Documente online.
Zona de administrare documente. Fisierele tale
Am uitat parola x Creaza cont nou
 HomeExploreaza
upload
Upload




LA MALATTIA

Italiana


LA MALATTIA

Immunità e neoplasie leucocitarie

Concetti base

In ogni uomo, le caratteristiche dei tessuti e la funzionalità degli organi sono il risultato di progressive specializzazioni delle sue cellule, ottenute regolando (attivando o sopprimendo) selettivamente la loro originaria capacità di produrre quasi 40 mila tipi di proteine, macromolecole polimeriche di aminoacidi, aventi funzioni diverse e spesso interdipendenti.



Ogni proteina è costruita decodificando chimicamente un particolare gene, cioè una ben definita sequenza di quattro basi organiche elementari: ad ogni terna ordinata di basi corrisponde un preciso aminoacido compreso fra venti tipi diversi.

Fisicamente i geni sono fra loro concatenati in modo da formare lunghi filamenti elicoidali (cromosomi), ubicati nel nucleo delle cellule e ripetuti pressoché identicamente in ognuna di esse. Il loro complesso viene comunemente chiamato DNA (Tab. 1).

Le cellule originarie (staminali) sono dette totipotenti o pluripotenti con riferimento alla gamma di elementi specializzati che sono in grado di generare. Un clone è una copia esatta di una cellula o di un organismo; in senso lato, il termine è usato per indicare una popolazione di elementi fra loro identici, provenienti dalla moltiplicazione di un comune progenitore.

Il patrimonio genetico di un individuo è costituito dall'insieme dei suoi geni (o dai cromosomi in cui sono raggruppati): eventuali loro mutazioni, per effetto di agenti fisici, chimici o biologici, producono proteine alterate che possono causare devianze funzionali nell'organismo.

Tab.1: Numeri e termini in gioco

Valori: normali, riferiti all'uomo; in corsivo, riferiti a tutti gli esseri viventi; fra parentesi (nn), stime; N = numero.

La stessa copiatura del DNA, durante la duplicazione delle cellule, è statisticamente soggetta ad errori in un caso su un milione. Tenuto conto che per rimpiazzare gli elementi che muoiono, avvengono 10 milioni di suddivisioni al secondo, nel corpo umano si producono ogni secondo almeno dieci mutazioni. Si calcola che in una persona di 60 anni, oltre la metà dei componenti abbiano qualche sequenza di DNA più o meno significativamente difforme da quella originaria.

Le variazioni che si ripercuotono nei gameti (cellule germinali) sono all'origine della lenta evoluzione delle specie e soggette alla selezione naturale. Più correntemente, le mutazioni, soprattutto se nel tempo si accumulano in una stessa cellula ed interessano i suoi meccanismi di riproduzione, possono dare origine a cloni di elementi che presentano gli stessi difetti. Insorgono così neoplasie o tumori (accrescimenti anomali): benigni se rimangono localizzati e interessano un solo tipo di tessuto; maligni se penetrano o si riproducono (formando metastasi) in altri organi.

Il sangue

Anche il sangue è un tessuto. Come è noto, è un fluido continuamente spinto dal cuore a muoversi in circolo (da cui il nome di circolante o periferico), attraverso arterie, capillari e vene. La sua funzione è quella di trasportare in tutto il corpo particolari cellule, sostanze utili e scorie in modo che gli organi interessati possano venirne a contatto, utilizzarle od eliminarle.

Esso è formato:

- per il 55% del suo volume, da una parte liquida, il plasma: una soluzione composta per il 92% da siero e per l'8% da varie sostanze di dimensioni molecolari;

- per il restante 45%, da una parte corpuscolare, evidenziata con l'emocromo (abbreviazione di esame emocromocitometrico: misura della composizione cellulare del sangue): essa e' composta da diversi tipi di cellule (e dai 747j94h loro precursori) raggruppabili in tre categorie a seconda delle funzioni svolte (le percentuali, approssimate, si riferiscono al loro volume complessivo, *V, ed al loro numero totale, *N) (Fig.1):

  • eritrociti o globuli rossi, (ematocrito: 44%*V; 95%*N). Utilizzando l'emoglobina, prodotta al loro interno, trasportano anidride carbonica od ossigeno, scambiando l'una con l'altro a seconda che si trovino nei polmoni o in altre parti del corpo; vivono mediamente quattro mesi e solo i loro precursori sono in grado di riprodursi, perché, entrando nella fase matura, perdono il DNA.
  • leucociti o globuli bianchi (meno dello 0.1% sia in volume che in numero). Provvedono ai meccanismi di difesa e svolgono la loro attività nei vari tessuti. Ad es. i linfociti (l.c.), la più numerosa delle famiglie in cui sono suddivisi, da soli concorrono a formare circa il 2% del peso corporeo; infatti, oltre che trovarsi nel circolante, si raggruppano nelle mucose (MALT: Mucose Associated Lymphocytic Tissue), in agglomerati specifici (linfonodi o linfoghiandole) e in pochi altri organi (timo, milza, fegato, midollo osseo). Per tornare dalla periferia verso un comune sbocco nella vena succlavia, vicino al cuore, dispongono di una rete di vasi autonoma (sistema linfatico).
  • trombociti o piastrine (piastrinocrito: 0,2%*V; 5%*N). Intervengono nell'emostasi (arresto delle emorragie) e nella coagulazione; sono prodotti in gruppo (fino a 60 per volta) in seguito alla dissoluzione di un loro precursore di grosse dimensioni (megacariocita) entro cui sono maturati; sono senza nucleo e relativamente piccoli; vivono al massimo dieci giorni.

Tutte le cellule ematiche, presenti nel sangue periferico, originano da cellule staminali pluripotenti ematopoietiche (emopoiési: produzione di cellule del sangue) che in genere si sono riprodotte e specializzate per fasi successive nella parte spugnosa delle ossa. Il sangue midollare, la cui composizione (mielogramma) è diversa dall'emocromo del sangue periferico, meglio evidenzia, attraverso i precursori delle cellule ematiche, eventuali alterazioni neoplastiche e costituisce l'80% della cellularità del midollo osseo (la parte restante è composta da cellule nutritive, strutturali e stimolatrici) (Fig.2; Tab.2).

Fig.1 - Ripartizione numerica delle cellule presenti nel sangue periferico.

a - Emocromo b - Leucociti

c - Linfociti d - Granulociti

La progressiva differenziazione delle cellule emopoietiche è determinata da fattori microambientali, cioè dalla presenza nel loro intorno di sostanze stimolatrici che riflettono le esigenze dell'organismo; come primo passo vengono separate le due fondamentali linee di specializzazione:

la linfatica, che porta alla formazione di linfociti;

- la mieloide, che origina piastrine, eritrociti, e i restanti sottotipi di leucociti (chiamati granulociti o monociti in base alla forma del nucleo).

Tab.2: Mielogramma

I valori percentuali sono riferiti al numero *N di cellule (blasto: germe, precursore).

Autodifese

Gli esseri viventi mantengono la propria integrità attraverso complessi meccanismi di difesa, sviluppati nel corso di milioni di anni che vengono attivati al momento della comparsa nell'organismo (aggressione) di sostanze tossiche, organismi infettivi o parassiti (patogeni).

Negli animali "superiori" nella scala evolutiva, e quindi anche nell'uomo, l'immunità che ne deriva si distingue anzitutto in base alla sua origine:

- naturale o generica, precostituita dalla nascita e non correlata al tipo di aggressore;

- acquisita o specifica verso un dato patogeno, se si forma nel corso della vita in seguito ad una aggressione.

In secondo luogo, l'immunità viene classificata come segue in base alle modalità ed ai componenti, fra loro cooperanti ed interdipendenti, con cui si attua:

a La difesa umorale è dovuta all'azione di particolari sostanze sciolte nel siero sanguigno:

il complemento: una ventina di macromolecole che si aggregano in cascata sui patogeni per distruggerli o evidenziarli ad altri componenti (sono presenti in parte anche nelle piante e nei tessuti degli animali 'inferiori');

gli stimoli o messaggi di natura chimica, scambiati fra le cellule, per attivare opportuni processi distruttivi: enzimi (proteine che agevolano lo svolgimento di particolari reazioni chimiche), ormoni, istamine, citochine (chiamate interleuchine se avvengono tra leucociti);

le immunoglobuline, dette anche gammaglobuline (od anche anticorpi, con riferimento alla fase in cui sono ancora legate alla membrana dei particolari l.c. da cui hanno origine): sono agenti specifici sviluppati per reazione alla comparsa di un patogeno, per tale funzione definito anche antìgene (cioè stimolatore di una risposta immunitaria); esse hanno la facoltà di agganciare con precisione una delle numerose brevi sequenze aminoacidiche (epitopo o determinante antìgenico, composto di 3-16 elementi), che caratterizzano l'antigene, tramite una propria struttura ad essa chimicamente affine e complementare; non distruggono il patogeno, ma lo marcano per sensibilizzare le cellule capaci di farlo.

b - La difesa cellulo-mediata è attuata per fasi successive attraverso varie famiglie di leucociti, veicolati dal sangue, che agiscono in modo fra loro differenziato per giungere alla eliminazione dei patogeni (Tab. 3).

E'interessante rilevare che per classificare e quantizzare percentualmente i sottotipi di l.c., e per molte altre analisi di citochimica, si ricorre in laboratorio proprio a tecniche immunologiche.

L'immunofenotipizzazione consente di suddividere i l.c. in sottoinsiemi (clùster) basandosi su macromolecole che popolano la loro membrana (marcatori di superficie) e che sono tipiche della funzione svolta, dello stadio di maturazione e delle eventuali devianze.

Tab.3: Suddivisione dei leucociti

Le percentuali, approssimate, rispetto alla famiglia di appartenenza, si riferiscono alla frazione numerica *N presente nel circolante:

Tipo

%*N

Note

linfociti 

(l.c.)

sono gli elementi con cui si concreta l'immunità specifica; a loro volta sono suddivisi in:

l.c. T

- circa il 65% (helper-inducer, o CD4+) modula le reazioni di difesa.

- il resto (suppressor-cytotoxic, o CD8+) esplica un'azione distruttiva sui patogeni;

l.c. B

producono gli anticorpi complementari agli antigeni; dapprima agiscono trattenendoli sulla propria membrana; in seguito, trasformati in plasmacellule, li liberano nel siero in grande quantità, dando origine alle difese umorali specifiche.

l.c. della memoria

minima

fraz. di T e B

sopravvivono per anni mantenendo il ricordo di una aggressione subita, pronti a reagire ad una sua ricomparsa.

Cellule NK

(Natural Killer)

operano in modo non specifico, ma sono in grado di riconoscere e distruggere anche le cellule dell'organismo che hanno subito alterazioni (p.es. di carattere virale o tumorale), anche se sono sfuggite a precedenti identificazioni.

monocìti-macrofagici

dopo circa dieci ore di permanenza nel circuito sanguigno, si insediano per mesi nei tessuti:

- dapprima per fagocitare localmente i patogeni (istiocìti, microgliali, pleurici, sinoviali,...);

- in seguito per esporre i loro frammenti antigenici sulle estremità delle proprie protuberanze, allo scopo di attivare i l.c. T (cellule dendrìtiche, interdigitate,...).

granulocìti

sono sopannominati cellule spazzino; distruggono in vari modi (ossidazione, fagocitazione, endocitosi, lisi della membrana...), le cellule umane deviate o non più efficienti, ed i patogeni, soprattutto se sono stati precedentemente evidenziati dalle difese umorali; in base al colorante a cui reagiscono (neutro, acido, basico), vengono suddivisi in:

neutròfili

eosinòfili

basòfili

max 4

- hanno una vita media di 2-4 giorni;

- liberati nel sangue sopravvivono solo mezz'ora;

- nelle infezioni incipienti esercitano un'azione infiammatoria, con l'emissione di istamina, per richiamare sul luogo i linfociti (comportamento analogo a quello dei mastocìti, un altro tipo di cellule con funzioni di presidio locale).

I cluster, i loro marcatori e i corrispettivi anticorpi pronti per l'uso, che si trovano in commercio, sono univocamente codificati a livello internazionale con nomi del tipo CDnn (Cluster Definition contraddistinto col numero nn): p.es. CD5=T; CD4=T.helper; CD8=T.citotossici; CD19,..CD23=B (con riferimento a sue diverse molecole di superficie).

Linfociti B

I linfociti B riconoscono gli antigeni e innescano le difese specifiche tramite le immunoglobuline (i.g.) da loro prodotte. Quest'ultime, con una la stuttura schematicamente rappresentata da una forma ad Y, sono composte da due coppie di catene aminoacidiche fra loro identiche e chimicamente collegate: una coppia pesante (h, heavy), che varia a seconda della maturazione o dell'azione svolta, ed una leggera (l, light) che per tutte può essere di due tipi (lambda o kappa).

- La parte inferiore della Y, in laboratorio, può essere staccata dal resto tramite un enzima (papaìna) ed assumere un aspetto cristallino; essa distingue fra loro i vari sottotipi di i.g., che nel loro insieme costituiscono il 20% delle proteine disciolte nel siero.

- Le due parti superiori (siti combinatori, per quanto detto, fra loro identici), conpongono la formazione adatta ad agganciare un dato epitopo e teoricamante possono assumere parecchie decine (per alcuni centinaia) di milioni di forme diverse (Fig.3; Tab. 4).

Fig 3: Rappresentazione schematica di una immunoglobulina.

< ) ( > < ), ( > siti combinatori

* \ / *

* \ / * <, >, * catene leggere

* \ / * \ , | , / ,), ( catene pesanti

| |

| | | | FC (Frazione Cristallizzabile)

| |

La grande variabilità dei siti combinatori serve a fronteggiare l'enorme numero di configurazioni ottenibili con le poche unità di aminoacidi che definiscono un determinante antigenico. Essa è ottenuta operando arrangiamenti (cioè tagli, eliminazioni e ricongiungimenti) nelle zone geniche in cui in origine sono codificate, ripetute centinaia di volte con lievi variazioni, alcune piccole porzioni terminali delle catene leggere e pesanti. Soltanto dopo la loro casuale compattazione, il l.c. B viene abilitato ad esprimere le due proteine e con ciò si determina la sua specializzazione: una immunoglobulina adatta a contrastare antigeni diversi solo se questi in qualche zona presentano lo stesso determinante antigenico.

- I l.c. B sono anche detti Bursa-equivalenti. Il termine B è l'iniziale del luogo in cui maturano: per l'uomo il midollo osseo (Bone marrow), per gli uccelli la Borsa di Fabrizio, un organo vicino alla coda scoperto dall'anatomista padovano Girolamo Fabrici d'Acquapendente (1535-1619).

- Nel corso di un'aggressione i linfociti B, con la specificità più adatta a contrastarla, vengono stimolati a riprodursi dai l.c. T e raggiungono, per successivi tentativi, tramite mutazioni, la configurazione capace di complementare con precisione un antigene.

Tab. 4: Le immunoglobuline

Le concentrazioni sono riferite al siero; i giorni indicano il tempo necessario perchè la quantità si dimezzi (emivita)

Tipo

mg/dl

giorni

Note

M

Prime i.g. prodotte sulla membrana alla attivazione di una reazione immunitaria; sono spesso riunite in strutture a forma di stella (pentamero).

A

Due sottotipi: una predominante nel siero, l'altra nelle secrezioni umorali (saliva, latte, lacrime, tratto intestinale e respiratorio).

G

Quattro sottotipi: sono prodotte dopo le IgM e IgD nella risposta primaria, e sono la classe dominante nella risposta secondaria.

D

Principale recettore per l'antigene nella prima fase della risposta immunitaria.

E

10-30

micron./dl

Si fissano sulla membrana dei basofili e dei mastociti inducendo la liberazione di sostanze infiammatorie (risposta allergica).

Il processo (immunità primaria) può rivelarsi inadeguato alla virulenza dei patogeni; la reazione è invece immediata se l'aggressore si ripresenta successivamente, perché vengono riattivati i l.c. della memoria (immunità secondaria).

- Con la vaccinazione le difese specifiche sono preventivamente fatte sviluppare iniettando nell'organismo patogeni devitalizzati; con l'iniezione di siero anticorpale, estratto dal plasma di animali immunizzati, si ha invece una tutela immediata ma limitata alla vita delle immunoglobuline in esso contenute (circa 20 giorni).

Linfociti T

I linfociti T controllano che l'attività' distruttiva del sistema immunitario sia rivolta solo verso componenti estranei: a tale scopo, nella fase di maturazione che avviene nel timo (da cui anche il nome di Timociti o Timo-dipendenti), sono sottoposti ad una severa selezione e sopravvivono (delezione clonale) solo se i loro recettori non manifestano aggressività nei confronti del proprio organismo (circa il 10 %).

Il loro comportamento è strettamente legato alla presenza sulla membrana delle cellule con cui vengono in contatto, di particolari proteine, appartenenti al cosiddetto MHC (Major Histo. compatibility Complex), che hanno la facoltà di legarsi agli antigeni. La loro reazione è più o meno energica a seconda della contemporanea presenza o assenza di i.g. e/o del complemento:

- i l.c. T CD8+, con attività citotossica, sono stimolati dalle molecole MHC di classe I, presenti in tutti i tipi di cellule;

- i l.c. T CD4+, regolatori, dalle molecole MHC di classe II, presenti solo su cellule del sistema immunitario (l.c. B e macrofagi) e dell'epitelio (pelle).

La combinazione, formata dai diversi tipi di proteine MHC, è una caratteristica propria di ogni individuo: in origine, diverse centinaia di tipi distinti sono codificati nei geni, ma solo poche decine sono scelti a caso, nella fase embrionale, per essere in seguito sviluppati sulle membrane. La combinazione risultante contraddistingue in certo modo l'integrità e l'identità di tutte le cellule che compongono un dato organismo (self): l'eventuale comparsa al suo interno di elementi con proteine diverse dal proprio MHC, dà luogo a reazioni immunitarie; l'insieme dei diversi antigeni che si possono originare da cellule umane è detto HLA (Human Leukocyte Antigen).

- L'azione di riconoscimento può essere elusa o resa difficoltosa nei casi di immuno.depressione conseguente a specifiche terapie o patologie o quando gli aggressori si mimetizzano, penetrando all'interno delle cellule, come fanno i virus.

- Con il trapianto vengono inseriti nell'organismo componenti o tessuti selezionati, pretrattati o coltivati per contrastare una malfunzione. Nell'allotrapianto essi provengono da un estraneo o da un familiare e possono dar luogo a fenomeni di rigetto a seconda del grado di compatibilità fra i due MHC del donatore e del ricevente. Per agevolare l'attecchimento, il midollo malato viene, in precedenza, pressochè totalmente distrutto; il mini.allo.trapianto prevede che il midollo del ricevente venga solo parzialmente eliminato, permettendo comunque che abbia il sopravvento quello trapiantato. Nell'auto.trapianto, si utilizzano cellule in precedenza estratte dallo stesso individuo ed in tal caso, ovviamente, il rigetto non si verifica.

- Nelle trasfusioni, la compatibilità dei globuli rossi è principalmente legata a due tipi di molecole superficiali (sistema AB0). Le loro quattro possibili combinazioni determinano il gruppo sanguigno di appartenenza: AB, A, B, 0 (nell'ultimo entrambe le molecole sono assenti); tutti i gruppi vengono ulteriormente suddivisi in positivi, +, o negativi, -, a seconda della presenza o meno di un terzo fattore, denominato Rh. Non danno luogo a reazioni immunitarie i donatori del gruppo 0- e dei gruppi dotati solo di molecole con cui il ricevente è abituato a convivere, perché presenti sui propri eritrociti: p.es. chi appartiene ad AB+ può ricevere da tutti, ma può donare solo alle persone del gruppo AB+.

- Nelle malattie autoimmuni alcuni tipi di cellule del self non vengono riconosciute compatibili ed innescano processi infiammatori che tendono a distruggere tessuti appartenenti al proprio organismo.

- Nelle allergìe si verificano reazioni abnormi, con abbondante produzione di istamina, alla comparsa di sostanze di per sé non nocive (anafilàssi); i casi più comuni riguardano pollini, alimenti, metalli, e frammenti organici provenienti da animali come peli, squame, escrezioni.

Neoplasie

I leucociti sono costituenti fondamentali della barriera immunitaria che impedisce la diffusione dei patogeni e blocca l'attività delle cellule deviate. Il loro mancato o tardivo intervento consente l'insorgere di malattie e malfunzioni da cui essi stessi possono essere colpiti, attenuando progressivamente proprio l'azione di controllo e pulizia che attuano tramite il sangue.

Le principali alterazioni neoplastiche, mono- od oligo-clonali (determinate da uno o pochi ceppi), che riguadano i leucociti, sono leucemìe, linfòmi, mielòma.

La vita di una cellula termina in due modi: per necròsi, morte accidentale o indotta dalle difese immunitarie (vengono sciolte nel sangue scorie non riciclabili la cui eliminazione può essere nociva a fegato e reni); per apoptòsi, dissoluzione spontanea prevista all'interno della stessa cellula quando ha esaurito la propria attività (si producono sostanze riciclabili). Nei tumori, compresi quelli del sangue, le cellule malate hanno difficoltà sia ad essere individuate dalle autodifese, sia a completare il ciclo evolutivo; spesso prolungano la loro esistenza soffermandosi in fasi immature come quella blàstica (ed in tal caso il loro accumulo non è legato ad una velocità di riproduzione particolarmente elevata).

Per la diagnosi, le osservazioni cliniche vanno sempre confermate con esami specifici (emocromo, mielogramma, ecografia, biopsia di linfonodi o del midollo, elettroforési delle proteine sciolte nel siero, dosaggio delle immunoglobuline,...). Conclusivi sono gli approfondimenti di citochimica (come la tipizzazione), citogenética (esame delle zone cromosomiche) e di biologia molecolare (analisi sui prodotti sintetizzati nella cellula). Per completare l'inquadramento si valutano inoltre il numero e tipo di organi colpiti (stadiazione) e la velocità di crescita del clone (tempo di raddoppio).

Secondo alcuni, molte disfunzioni sono da mettere in relazione con la relativamente recente comparsa del sistema immunitario nello scenario evolutivo: i suoi meccanismi operativi non sarebbero ancora sufficientemente 'perfezionati' dalla selezione naturale.

Leucemìe

Le leucemìe sono un gruppo eterogeneo di disordini neoplastici caratterizzati dalla proliferazione clonale di precursori ematopoietici. Le manifestazioni cliniche (sìntomi) sono dovute direttamente o indirettamente al loro accumulo ed alla loro infiltrazione nei vari organi, che nel tempo comportano squilibri metabolici ed alterazioni funzionali. Conseguenze dell'infiltrazione midollare sono anemìa, neutropenìa e piastrinopenìa (-penìa: scarsità), che a loro volta provocano infezioni ed emorragie.

A seconda della loro evoluzione, lenta o rapida, le leucemie vengono suddivise in croniche ed acute. Entrambe sono a loro volta classificate in base alle famiglie di leucociti che presentano alterazioni: linfàtiche, se riguardano i linfociti, e mielòidi, se riguardano piastrine, eritrociti, monociti e, con maggior frequenza, precursori di granulociti.

a- Leucemie croniche

- La leucemia linfatica cronica (LLC) è la più diffusa e colpisce in genere persone oltre i 50 anni. E' caratterizzata da linfociti neoplastici generalmente di tipo B, apparentemente maturi: essi si accumulano dapprima nei linfonodi, poi nella milza e nel fegato, aumentandone le dimensioni, e nel midollo, variando la sua normale distribuzione cellulare. Spesso è accompagnata da un'anomala produzione di gammaglobuline che provoca malattie autoimmuni ed alterate risposte anticorpali. L'esordio è asintomatico e non necessita di cure; in seguito si manifestano generalmente dolori addominali, astenìa (debolezza), anoressìa, perdita di peso e linfo.adeno.megalìe (-megalia: ingrossamento, in questo caso dei linfonodi).

Il decorso varia molto a seconda dello stadio della malattia e in genere per lungo tempo compromette poco il benessere del paziente. La strategia terapeutica è contenitiva e rivolta soprattutto a migliorare la qualità di vita; non si sono trovati per ora trattamenti eradicanti.

- La leucemia mieloide cronica (LMC) ha anch'essa un esordio asintomatico; in seguito è caratterizzata da modesta astenia, febbre, leggera perdita di peso e, a volte, dolore allo sterno; la fase più avanzata (blastica) comporta l'arresto della maturazione e/o differenziazione dei blasti periferici, nonchè il loro incremento numerico, con comparsa di emorragie per conseguente piastrinopenia.

Ad eccezione del trapianto allogenico, anche nella LMC le terapie sono in genere di contenimento o volte ad evitare alle cellule stimoli che provocano comportamenti anomali (glivec).

b- Leucemie acute

La diagnosi di leucemia acuta deriva generalmente da un sospetto clinico e, solo raramente, a seguito di un esame emocromocitometrico eseguito per altri motivi. Le caratteristiche che inducono ad ipotizzarne l'insorgenza sono: pallore, spleno- (milza) e/o epato- megalia, linfoadenomegalie, febbre persistente (conseguente ad infezioni o di natura sconosciuta), faringite, petecchie ed altre manifestazioni emorragiche, dolori ossei, ipertrofia gengivale ed infiltrazioni cutanee.

Il sospetto va verificato valutando l'emocromo e con lo studio morfologico degli elementi del sangue periferico e midollare: la diagnosi è confermata se in entrambi si riscontrano elementi blastici (nel midollo per un valore pari almeno al 30%), e dagli esiti di successive analisi di citochimica, citogenetica e biologia molecolare.

Sottolineando l'immaturità delle cellule colpite, le leucemie acute vengono più propriamente denominate linfoblàstiche (LLA), quando il clone cellulare alterato è orientato a produrre linfociti, e mieloblàstiche (LMA), quando invece è orientato a produrre altri componenti ematici. La prima è la neoplasia, più frequente nell'infanzia, dove presenta una probabilità di guarigione maggiore che nell'età adulta; la seconda è più frequente nell'adulto, con buone probabilità di sopravvivenza e di guarigione completa.

Linfomi, mieloma ed altre malattie midollari

a - I linfomi   sono trasformazioni neoplastiche che colpiscono prevalentemente i linfonodi; essi, se sono superficiali, appaiono come tumefazioni dure ma indolori; se sono interni al torace o all'addome, sono spesso asintomatici e possono ritardare pericolosamente il riconoscimento della malattia.

Esistono due categorie di linfomi: linfomi non di Hodgkin e linfomi di Hodgkin, le cui biopsie all'esame microscopico presentano un particolare tipo di linfociti di grosse dimensioni (cellule di Reed-Sternberg).

- Il linfoma non di Hodgkin (LNH) è relativamente frequente tra i 20 e 40 anni. I linfonodi interessati sono localizzati in prevalenza nel collo o sopra la clavicola; quando hanno dimensioni maggiori di un centimetro e persistono per più di 4-6 settimane, è opportuno eseguire una biopsia, da cui si può riconoscere il tipo di linfoma e determinare l'eventuale coinvolgimento di altri organi. Si classifica in base al tipo di linfociti (T o B) coinvolti, allo stadio funzionale o maturativo raggiunto ed all'aggressività: i linfomi ad alto grado di malignità possono evolvere in leucemie, ma paradossalmente hanno una buona probabilità di guarigione; i linfomi a basso grado di malignità hanno un decorso lungo, scarsamente sintomatico, indolente, e solo in pochi casi possono essere eradicati.

- Il linfoma di Hodgkin (LH), è piuttosto raro e può manifestarsi in forma diffusa o localizzata; può colpire anche la milza, ma è più frequente nel collo e nel mediastino (zona compresa fra i due polmoni). I disturbi lamentati sono prurito intenso, febbricola associata a sudorazione e perdita di peso. In assenza di cure il tessuto neoplastico si diffonde alle altre stazioni linfonodali e può invadere altri tessuti, compromettendo la funzionalità di organi vitali; se trattato negli stadi iniziali, invece, risponde bene alla terapia con alte percentuali di guarigioni complete. E' uno dei tumori a migliore prognosi perché ben conosciuto come biologia, modalità di diffusione e trattamento.

b - Il mieloma multiplo (MM) è una neoplasia del midollo osseo caratterizzata da una eccessiva proliferazione di plasmacellule. Essa comporta una minore produzione degli altri elementi del sangue con conseguente anemia, piastrinopenia, frequenti infezioni batteriche, osteolisi (dissoluzione del tessuto osseo) e aumento dei livelli di calcio nel siero. La presenza di immunoglobuline in quantità elevata esplica una azione tossica sui reni.

c - L'anemia aplastica. In essa, al contrario delle malattie tumorali, viene impedita la suddivisione delle cellule ematiche, e di conseguenza il midollo tende ad essere saturato da sostanze nutritive (cellule grasse); colpisce in prevalenza i giovani fra 15 e 24 anni, e gli ultrasessantenni.

d - Alcune altre malattie che riguardano il midollo osseo sono:

- mielodisplasìa: disarmonica riproduzione dei componenti mieloidi;

- trombocitemìa: eccessiva produzione di piastrine;

- emoglobinurìa: espulsione di emoglobina con le urine, soprattutto di notte;

- policitemìa: anomalo incremento di eritrociti;

- mielofibròsi: le cellule strutturali (o stromàli) 'soffocano' l'emopoiesi;

leucemia a cellule capellute, per il particolare aspetto delle cellule colpite.

Terapie

Il trattamento delle malattie tumorali del sangue varia ovviamente in funzione del male diagnosticato. Per grandi linee, comunque, le strategie ricadono in una combinazione di interventi, spesso comuni ad altre forme tumorali, che hanno lo scopo di eliminare focolai di cellule in rapida moltiplicazione o bloccate in fasi precoci del loro ciclo vitale:

Chirurgia: asportazione del tessuto neoplastico, se localmente delimitato: splenectomia, ...

Radioterapia: se il tumore è localizzato in uno spazio ben delimitato, l'irradiazione con raggi X o gamma induce la morte (necròsi) degli elementi ivi ubicati e in prevalenza colpiti dal male.

Chemioterapia: utilizzo di farmaci con funzioni citostatiche e/o citotossiche, con l'obiettivo di:

o       intralciare la sintesi di nuovo DNA;

o       bloccare la produzione di proteine all'interno della cellula;

o       arrestare la separazione del nucleo in due parti (fase preliminare alla suddivisione dell'intera cellula);

o       impedire l'ingresso nelle cellule di segnali che stimolano comportamenti anomali;

o       attenuare la reattività infiammatoria con agenti linfocitolitici.

Trapianto di tessuti ematici e sopattutto di cellule staminali isolate dal sangue, da midollo osseo o da cordoni ombelicali (conservati in apposite 'banche'): da esse si possono anche ricavare cloni opportunamente differenziati che, iniettati nel sangue, sono utili a curare altre malattie.

Anticorpi monoconali (MAB o MoAB: Monoclonal AntiBody): le immunoglobuline monoclonali di cavia, capaci di aggredire i marcatori associati ad una data patologia, quando vengono iniettate nel sangue, fungono da antigeni ed attivano il complemento, aiutando i l.c. umani ad individuare e distruggere le cellule malate a cui si sono aggregate.

Le cure, spesso raccolte e dettagliate a livello internazionale in protocolli terapeutici (CHOP, CHOPS,..), possono avere un ventaglio d'azione più ampio di quanto desiderato e colpire altre cellule sane con caratteristiche simili a quelle malate; per questo vanno accompagnate da somministrazione di farmaci di supporto, aventi cioè uno scopo non propriamente terapeutico, quello di attenuare eventuali effetti collaterali e limitare il rischio di rigetto o di infezioni da patogeni cosiddetti opportunisti.

I risultati vengono valutati in base al tempo che intercorre fra il termine della cura e la ripresa della malattia. La sua remissione può essere totale (se si protrae per più di dieci anni, la guarigione si considera completa), o parziale (allora interessa anche il grado e il tipo di malattia residua minima, MRD, Minimum Resuidual Disease).

Modi più specifici per affrontare le malattie tumorali, comprese quelle del sangue, sono tuttora oggetto di studio. Uno degli obiettivi è produrre i.g. capaci di identificare le cellule anomale, modificando, con tecniche di ingegneria genetica, l.c. appartenenti allo stesso malato: i cloni ricavati lo metterebbero in grado di contrastare autonomamente la malattia.

Il trapianto di midollo osseo

Soffermiamoci ora , sulle implicazioni psicosociali nei casi di trapianto di midollo osseo, oltre che sulle indicazioni e le tecniche ad esso inerenti.

Il trapianto trova la sua indicazione in malattie oncologiche non suscettibili di essere controllate o sradicate con le convenzionali strategie terapeutiche, poiché consente di utilizzare dosi sovramassimali di farmaci antiblastici, che indurrebbero altrimenti una soppressione dell'emopoiesi. Sul piano fisico e relazionale, il trapianto comporta conseguenze a lungo invalidanti e si inserisce in una storia di malattia e di terapia più o meno lunga, ma certamente logorante dal punto di vista psicofisico.

Dal punto di vista della procedura, il recupero della normale emopoiesi si ottiene mediante l'infusione di cellule staminali emopoietiche, prelevate dal midollo osseo o dal sangue periferico di un donatore o dello stesso paziente. Ecco perché il termine trapianto di midollo osseo comprende il trapianto allogenico (da donatore) e il trapianto autologo o autotrapianto (prelevato dallo stesso paziente).

Nelle malattie a localizzazione midollare l'indicazione principale è il trapianto allogenico, poiché in questi casi è proprio l'apparato emopoietico che è coinvolto nella malattia. Ma il trapianto allogenico presuppone la disponibilità di un donatore istocompatibile e una procedura che comporta rischi. Per tali motivi l'auto trapianto è ampiamente adoperato, sotto certe condizioni, anche per le malattie ematologiche a potenziale localizzazione midollare, con risultati clinici, per alcune patologie, migliori che con le convenzionali chemioterapie in termini di sopravvivenza e percentuale di guarigione. In ematologia il trapianto ha trovato un crescente impiego a partire dal 1980. La tecnica è abbastanza standardizzata, i risultati si confermano incoraggianti.

Trapianto allogenico

II trapianto allogenico (TMO) è una procedura aggressiva ad alta tecnologia medica, che coinvolge paziente, donatore e famiglia in modo del tutto peculiare sia sul piano fisico che su quello emozionale. In oncoematologia il TMO trova la sua indicazione soprattutto nelle leucemie mieloidi acute e croniche, nelle leucemie linfoidi acute e nei linfomi. Il TMO implica la distruzione radiochemioterapica del midollo osseo del paziente e la sua ricostituzione con le cellule staminali prelevate dal midollo osseo o dal sangue periferico del donatore. E' necessaria una profonda immuno-depressione per prevenire il rigetto o la Graft Versus Host D-sease (GVHD), complessa reazione immunologica del midollo trapiantato contro il paziente. Il rischio di complicanze infettive richiede l'isolamento in camera sterile sino all'attecchimento e il semi-isolamento a domicilio per almeno 100 giorni dopo il TMO. Ciò implica una profonda restrizione della vita personale e di relazione, la vicinanza stretta al centro trapiantologico, la dipendenza dall'assistenza di un familiare.

Nella maggior parte dei casi il donatore è reperibile tra i fratelli. Se non vi è un familiare compatibile, il paziente deve ricorrere ai registri dei donatori volontari o alle banche di sangue di cordone ombelicale.

I pazienti che affrontano il TMO hanno già subito una profonda crisi psicosomatica a causa del grave coinvolgimento fisico, della misteriosità e dell'aspetto autogenerativo della proliferazione maligna. Il TMO, che implica una dipendenza prolungata, l'isolamento, la necessità di convivere a lungo con il rischio, inevitabilmente interferisce con meccanismi di adattamento alla malattia ancora non stabilizzati e favorisce ulteriori passi verso la regressione. La regressione è non solo inevitabile, ma, entro certi limiti, utile all'accettazione delle cure, poiché permette al paziente di tollerare le difficoltà, di dipendere e affidarsi ai curanti, rinunziando temporaneamente alle funzioni e al ruolo di adulto.

Fasi del trapianto

La sequenza delle fasi del TMO, ben codificata dal punto di vista clinico e biologico, implica anche peculiari reazioni psichiche, che sarebbe necessario prendere in considerazione per individuare gli aspetti critici correlabili a sintomi di ordine psicopatologico.

Il processo della decisione e il consenso informato: presuppongono che paziente, donatore e famiglia siano pienamente consapevoli delle potenzialità e dei rischi. Spesso però nella fase di valutazione della proponibilità del TMO succede che il paziente e la famiglia abbiano mobilitato fantasie e aspettative e si siano formati una loro opinione sul trapianto, che orienterà la scelta ad un livello irrazionale poco elaborato. Il paziente, stretto tra il rischio della malattia e quello della terapia, deve scegliere in tempi brevi ed in assenza di un bagaglio culturale consolidato, sentendosi in una situazione conflittuale. Nel caso sia pienamente informato sulla gravità della sua malattia, deve riattualizzarne tale gravità proprio quando ha raggiunto un certo benessere e spesso, inconsapevolmente, la sensazione di avercela fatta; nel caso in cui non sia pienamente a conoscenza delle implicazioni della sua malattia, si sente costretto bruscamente a rinunziare a quella quota di negazione che la stessa istituzione e l'ambiente avevano protetto .

L'attesa: l'intervallo tra la proposta del TMO ed il ricovero è una fase durante la quale l'elaborazione della malattia e della scelta del TMO entrano in conflitto con la densità degli atti medici e dei problemi organizzativi. Paziente e donatore vengono sottoposti ad un complesso check-up per verificare la fattibilità del TMO. Passività, depressione, blocco emozionale o maniacalità sono spesso le uniche possibili vie di uscita.

Il condizionamento: il ricovero in camera sterile segna il passaggio ad un ambiente dove il tempo sembra bruscamente arrestarsi, sostituito dal ritmo dei monitors, dei rilievi medici e delle terapie. L'inizio della chemioterapia (condizionamento) rappresenta il sollievo dalle ansie e dai ripensamenti, ma è anche il momento in cui il treno ha ormai lasciato la stazione. Affiorano rimpianti e sentimenti di depressione, lutto, talvolta colpa ed espiazione. La chemio-radioterapia, i cortisonici e le medicazioni per gli effetti collaterali disorientano il paziente e possono indurre un senso di perdita di controllo dal punto di vista psicologico, sino a vere e proprie sindromi psico-organiche .

L'infusione: è frequente in questa fase un insieme di sollievo e delusione (tutto qui?), talvolta euforia, senso di legame e gratitudine verso il donatore, mentre rimossi, in ombra, sono le angosce per l'identità e i sentimenti di dipendenza e disvalore nei riguardi del donatore, che affioreranno nel percorso successivo, talvolta a distanza di molto tempo .

L'isolamento: il giorno dell'infusione segna l'inizio dell'isolamento vero e proprio, si intensificano le norme di sterilità, inizia l'alimentazione parenterale e le conseguenze dell'immunosoppressione compromettono intensamente il benessere del paziente, che diviene totalmente dipendente dalle cure del reparto e dei familiari. L'insorgenza di una mucosite del cavo orale impedisce quasi completamente la comunicazione verbale. Le relazioni, apparentemente spersonalizzate dagli abiti sterili e dal rituale tecnico, sono in realtà molto più esclusive, la comunicazione dominante non verbale, di tipo empatico. In questo clima da camera-incubatrice la regressione è massima, difficile riconoscere ed esprimere sentimenti e bisogni . Questa è una delle fasi più critiche

L'attecchimento: anche la fase dell'attecchimento è fisicamente e psicologicamente delicata e complessa. Si rinforzano le aspettative e i timori. Si avvia una sorta di svezzamento: cibi liquidi, omogeneizzati, le prime parole mano a mano che si risolve la stomatite. Questa fase è segnata da molti sentimenti contrastanti. Il sollievo per il successo del TMO contrasta con la mancanza di autonomia e con le trasformazioni dell'immagine corporea

La dimissione e la fase post-trapianto: la dimissione infrange bruscamente lo scudo protettivo rappresentato dall'intensa relazione di dipendenza dalle cure del reparto, costringendo il paziente in condizioni fisiche ancora precarie ad affrontare la vita esterna.

Il regime ambulatoriale impone un ritmo di controlli frequenti, ma di rapporti umani fugaci, durante i quali il tempo disponibile è frantumato dalle analisi e dalle visite mediche. E' in questa fase che chi ha subito il TMO incontra difficoltà, molto più grandi di quanto avesse immaginato, a tornare ad un vita accettabile dal punto di vista sessuale, relazionale, lavorativo.

Contesto relazionale del trapianto

La relazione curanti-paziente: il paziente che affronta l'isolamento in camera sterile, va incontro ad una regressione più profonda rispetto ad altre situazioni terapeutiche e necessita contemporaneamente di una dimensione stabile di fiducia ed affidamento. Il personale è cimentato con una assistenza tecnicamente complessa e sofisticata e, contemporaneamente, è oggetto di una pesante delega. Porre in atto una procedura che sarà causa di sofferenze e rischi in pazienti in buone condizioni fisiche significa dover sopportare un grande senso di responsabilità. Si sviluppa una forma di comunicazione che richiama le modalità della relazione madre-bambino.

La relazione paziente-donatore: in una indagine sulle dinamiche evocate dalla donazione emerge una immagine del donatore idealizzata. Si dà per scontato che sia felice del proprio compito, deciso a mettere da parte dubbi, paure, conflitti in nome del proprio ruolo salvifico. Altrettanto idealizzata è l'immagine di un paziente grato e sostenuto dalla solidarietà e generosità del donatore. In realtà la donazione attiva in entrambi timori e fantasie profonde, difficili da esprimere in un contesto carico di aspettative ed impegnato ad affrontare con rapidità e concretezza gli aspetti organizzativi.

Negli studi sulle conseguenze psico-sociali della donazione emerge che, nel caso del donatore parente, si sviluppano dinamiche complesse, soprattutto se il donatore è spinto a donare senza che si tenga conto delle sue paure e preoccupazioni. I donatori volontari sembrano avere minori conseguenze a distanza dal trapianto.

La famiglia: iI TMO presuppone l'adesione al progetto del gruppo familiare, sia per il ruolo assistenziale che viene richiesto, sia per la necessità del consenso del donatore, nel caso sia un fratello. Il familiare, spettatore di tutte le fasi di rischio, non può concedersi pause o sfoghi. Deve condividere la restrizione dello spazio e la monotonia dei ritmi. Di fronte all'angoscia, la famiglia non può cercare sollievo nelle proprie regole interne, dovendo affrontare divisioni del nucleo familiare, alterazione dei ruoli, difficoltà logistiche ed economiche. E' quindi comprensibile che possano emergere gravi crisi, che minacciano la capacità dei singoli componenti o dell'intero nucleo familiare ad allearsi con i curanti, a tollerare i momenti difficili del decorso clinico.

Trapianto in età evolutiva

Il TMO in età evolutiva implica problemi specifici e altamente drammatici sia per l'ancora incompleta acquisizione dell'identità somatopsichica e sessuale dei pazienti, sia per la grande responsabilità morale e legale che grava sulla famiglia. Sono infatti i genitori che devono dare il consenso al TMO che, nella maggior parte dei casi, coinvolge non solo il figlio malato ma anche il fratello donatore, spesso minorenne. È quindi sempre presente, anche se a volte negata attraverso un investimento sul TMO vissuto come una magica via di salvezza, l'angoscia di avviare il proprio figlio a sofferenze .

Nel contesto del TMO l'isolamento in camera sterile, la stretta intimità tra madre e figlio, che coinvolge alimentazione, pulizia, funzioni corporali, rimandano ad una relazione simbiotica madre-bambino. La capacità di regressione può facilitare la tollerabilità della situazione e consentire l'assunzione di comportamenti adeguati, se vi è stata una esperienza sufficientemente positiva del passaggio attraverso le fasi evolutive.

Per quanto riguarda il donatore minorenne, investito della responsabilità di salvare il fratello malato, possono essere rafforzate le fantasie di persecuzione, spesso presenti nei fratelli di pazienti malati di leucemia. Tale vissuto è ancora più evidente nei fratelli già in posizione marginale e visti solo in funzione del ruolo di possibili salvatori.

Integrazione psicologica del trapianto

Uno studio rileva che solo una minoranza dei trapiantati considera se stesso come tornato normale. I pazienti riferiscono che il loro funzionamento fisico, cognitivo, lavorativo, sessuale e interpersonale è diverso, ma nonostante ciò la maggior parte considera comunque la decisione del TMO positiva

La ripresa della vita affettiva e sessuale ed il reinserimento, in termini lavorativi e sociali, appaiono dipendere maggiormente dal vissuto dei pazienti che dal grado di inabilità. La maggioranza dei pazienti ha riferito un peculiare sentimento di essere diversi, appartenenti anche dopo molti anni al gruppo dei trapiantati, stigmatizzato da un'esperienza irripetibile ed incomunicabile. Tale sentimento poggia anche sulla difficoltà a dare una spiegazione razionale o scientifica all'essere sopravvissuti. Come è stato riferito per i guariti dal cancro e per i superstiti delle grandi catastrofi, i pazienti vivono un senso di precarietà e di colpa per essere stati senza motivo prescelti al posto di compagni meno fortunati.

L'atteggiamento prevalente è di sollecitare una precoce ripresa delle funzioni personali e sociali. Ma la convinzione diffusa che una rapida ripresa delle funzioni adulte aiuti i pazienti a sentirsi normali non fa che aumentare il divario tra adattamento biologico e adattamento psicologico. Sembra invece più efficace aiutare i pazienti, seguendo la metafora della rinascita, a trovare il proprio tempo soggettivo per la fuoriuscita dalla regressione, ricostruendo un ponte tra il prima e il dopo trapianto, perché il paziente non rischi di vivere una insanabile frattura nella propria storia.

Trapianto autologo

II trapianto autologo (autoTMO) utilizza la reinfusione dì cellule staminali emopoietiche prelevate dal midollo osseo dello stesso paziente o dal sangue periferico, dopo tecniche di arricchimento. Tale ultima e più recente procedura, insieme all'impiego dei fattori di crescita, ha ridotto di molto il periodo di aplasia midollare. L'assenza dei problemi del rigetto e della GVHD, tipici dell'allotrapianto, comportano una immunosoppressione circoscritta agli effetti della chemioterapia e alla durata della cito-penia Il recupero fisico e funzionale è più rapido. L'autoTMO, quindi, è utilizzabile anche in età più avanzata.

L'autoTMO è indicato nel trattamento di numerose neoplasie ematologiche, quali le leucemie acute e croniche i mieloidi e i linfoidi, il mieloma multiplo, i linfomi. Le potenzialità curative, però, sono inferiori rispetto all'allo-trapianto per la possibilità di presenza di cellule terapeutiche (malattia minima residua) nelle cellule reinfuse e per la mancanza dell'effetto antineoplastico della GVHD. Esistono però tecniche di decontaminazione (purging) delle cellule staminali prelevate, anche se per ora i risultati sono controversi.

I migliori risultati si ottengono nei linfomi e nelle leucemie mieloidi acute e croniche in fase precoce.

Da quanto detto, l'autoTMO rappresenta una risorsa terapeutica aggressiva, ma abbastanza maneggevole. Mentre i clinici lo propongono come una terapia sempre più assimilabile ad una chemioterapia convenzionale, il vissuto dei pazienti è carico di paure, ansie e contraddizioni. Ad un livello più interno, se la possibilità di riutilizzare il proprio midollo può indurre un senso di onnipotenza per la propria capacità risanatrice, sono contemporaneamente sollecitate fantasie inquietanti su ciò che accade di una parte di sé sottratta e manipolata, divenuta altra.

Concludiamo infine, sottolineando che è opinione condivisa da quanti si occupano di TMO che esso è un'esperienza esistenziale di cambiamento profonda e che tale momento costituisce una sorta di percorso mitologico attraverso fasi cariche di significato: una sorta di discesa agli inferi per ritrovare la voglia di vivere e di essere diversi sani, non malati, consapevoli della propria esistenza, soggetti e non oggetti. In camera sterile si assiste spesso ad un fenomeno che ha la caratteristica del disvelamento: il paziente accede improvvisamente ai nodi esistenziali pertinenti alla propria vita, il rimosso affiora e prende vita sulla scena dell'esperienza.

Donazione midollo osseo

Il Registro dei Donatori di midollo osseo

Chi aspira, maschio o femmina indifferentemente, a diventare donatore di midollo osseo, al momento dell'iscrizione, deve avere un'età preferibilmente compresa tra i 18 e i 35 anni. È opportuno inoltre che sia sano o comunque non affetto da malattie croniche di qualche importanza ai principali organi o apparati. I suoi requisiti infatti devono rientrare nelle caratteristiche richieste dalla legge trasfusionale italiana (legge 4 maggio 1990, n. 107) e relativi decreti attuativi per la donazione di sangue.

Allorché il candidato donatore soddisfa a tutte le regole del reclutamento viene caratterizzato (tipizzato) per gli antigeni HLA Questo esame, che viene eseguito su una piccola quantità di sangue (circa 10 ml prelevati, anche non a digiuno), è abbastanza complesso e viene eseguito solo da alcuni laboratori specializzati. I suoi dati genetici vengono registrati su un archivio informatico e trasferiti, attraverso il registro regionale, al registro nazionale.

Successivamente, se viene riscontrata identità, a questo che potremmo definire "primo livello" , con uno qualsiasi dei pazienti in lista di attesa, il donatore è richiamato per ulteriori prelievi di sangue, necessari per indagini genetiche più raffinate.

E' probabile che durante le fasi successive dell'indagine ("secondo e terzo livello") la compatibilità con il paziente decada e, pertanto, il donatore non veda realizzato il suo intento.

Non importa! I suoi dati genetici (più completi ed approfonditi) non sono perduti. Potrà risultare, in seguito, compatibile per un altro paziente.

In qualsiasi momento il donatore ha diritto di ritirare il suo consenso, altrimenti, rimane iscritto sino al compimento del 55° anno di età.

A Pisa rivolgersi al Centro Trasfusionale dell'Ospedale di Cisanello.

Come avviene il prelievo di midollo osseo nel donatore

Anche se da qualche tempo ai donatori familiari (fratelli e sorelle dei pazienti) viene proposto di effettuare la donazione con modalità diverse da quelle finora impiegate, attualmente le cellule staminali da donatore non consanguineo vengono prelevate dal midollo osseo mediante ripetute punture delle creste iliache (ossa del bacino). Trattandosi di punture ossee, è necessario che il prelievo venga eseguito in anestesia, risultando altrimenti doloroso. In genere l'anestesia è totale, ma può essere effettuata anche quella di tipo epidurale, mediante puntura lombare. Il prelievo dura, di norma, 30-45 minuti e non comporta danno o menomazioni al donatore, come dimostra l'esperienza di oltre 150 mila prelievi di sangue midollare effettuati nel mondo.

Esistono comunque dei rischi minimi, legati alla procedura stessa e alle possibili complicanze. All'uscita dalla sala operatoria,il donatore viene tenuto spedalizzato per un periodo di 48 ore. Al risveglio, e per un paio di giorni, egli avvertirà del dolore, in genere contenuto, nelle sedi di prelievo. La quantità di sangue midollare che viene prelevata varia in rapporto al volume corporeo del ricevente, ma è di norma compresa fra i 700 e i 1000 ml. L'organismo non avverte nessun sintomo di carenza e il midollo prelevato si ricostituisce spontaneamente in 7-10 giorni; è opportuno comunque che, una settimana prima della data fissata per l' espianto, il donatore si sottoponga al prelievo di una o più unità di sangue che gli verranno reinfuse, in sala operatoria, per bilanciare il volume di sangue circolante. Da quanto sopra, appare ragionevole prevedere che un donatore debba restare assente dalle sue abituali occupazioni non più di una settimana.

Nel caso di ricerca di donatore all'estero, le spese sono a diretto carico della USL salvo la cosiddetta tassa di attivazione da versarsi al Registro Italiano Donatori di Midollo.

Oggi la donazione di midollo osseo è ampiamente sostituita dal recupero di cellule staminali periferiche che, dopo mobilizzazione con fattori di crescita, vengono raccolte con metodi analoghi a quella della comune donazione di leucociti o piastrine.

Questo elimina il prelievo dall'osso e le conseguenti sequele.

I rischi di una tale procedura sono estremamente bassi.


Document Info


Accesari: 6464
Apreciat: hand-up

Comenteaza documentul:

Nu esti inregistrat
Trebuie sa fii utilizator inregistrat pentru a putea comenta


Creaza cont nou

A fost util?

Daca documentul a fost util si crezi ca merita
sa adaugi un link catre el la tine in site


in pagina web a site-ului tau.




eCoduri.com - coduri postale, contabile, CAEN sau bancare

Politica de confidentialitate | Termenii si conditii de utilizare




Copyright © Contact (SCRIGROUP Int. 2024 )