Se provate a calcolare questi celebri integrali:
| |
|
con le regole di integrazione per parti e per sostituzione, vi aggirerete per qualche 323b14d tempo fra varie espressioni, ma non riuscirete a sbarazzarvi del segno di integrale. Provare per credere. Nasce allora la domanda: perché? Forse le regole di integrazione che conosciamo non sono sufficienti per questi integrali? No, questi integrali non sono esprimibili in termini finiti mediante funzioni elementari. Ora cercheremo di chiarire il significato di questa affermazione.
Si definiscono funzioni elementari quelle funzioni che si possono ottenere partendo dalle funzioni razionali e facendo operazioni algebriche, esponenziazioni e logaritmi ([#!Riii!#], [#!Ro!#]). Si rammenta che le funzioni razionali sono il rapporto di due polinomi, ed includono come caso particolare i polinomi stessi. È da notare che nella costruzione delle funzioni elementari si intendono comprese anche le funzioni trigonometriche e le loro funzioni inverse, infatti queste funzioni si possono esprimere utilizzando la funzione esponenziale e la funzione logaritmica nel campo dei numeri complessi. Ad esempio, la funzione
rientra nella classe delle funzioni elementari, anche se ha un'espressione piuttosto complicata. La classe delle funzioni elementari è chiusa rispetto alle operazioni razionali (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione) ed anche rispetto alla derivazione: la derivata di una funzione elementare è ancora una funzione elementare [#!Ro!#, pag. 964-965]. Si dice pertanto che la classe delle funzioni elementari costituisce un campo differenziale. Per quanto sia vasta, questa classe non è chiusa rispetto all'integrazione: esistono cioè delle funzioni elementari, di espressione anche molto semplice, la cui primitiva non è una funzione elementare. Ad esempio, ex2, e-x2, ex/x, e le altre funzioni integrande che figurano nella (3). Come possiamo spiegarci questo fatto? Tanto per cominciare possiamo osservare che non vi è nessuna ragione per cui le funzioni che per ragioni pratiche risultano di uso più comune, e cioè le funzioni elementari, debbano rappresentare tutte le possibili funzioni. Può anche essere convincente il seguente
Esempio. Supponiamo che una persona conosca soltanto le funzioni
razionali (e quindi non conosca la funzione logaritmica). Può effettuare su di
esse le operazioni razionali, ed anche la derivazione, ed il risultato è sempre
una funzione razionale. Se invece prova a integrare la funzione razionale
semplice 1/x, per quanto astutamente possa applicare le regole di
integrazione per parti e per sostituzione, non riuscirà a sbarazzarsi del segno
di integrale, perché le primitive di 1/x sono e
non sono funzioni razionali.
Noi che lavoriamo con le funzioni elementari, quando vogliamo integrare ex2
ci troviamo nella stessa situazione della persona dell'esempio, nonostante il
fatto che le funzioni elementari costituiscano una classe molto più ampia di
quella delle funzioni razionali. Attenzione: una primitiva di ex2
è ,
dunque esiste. Solo che non rientra nella classe delle funzioni
elementari.
Le funzioni non integrabili elementarmente possono avere importanza pratica, e quindi non costituiscono soltanto dei casi patologici finalizzati a sé stessi. Un celebre esempio è il cosiddetto integrale degli errori, cioè
il cui valore può servire per esprimere la probabilità di commettere, durante una misura sperimentale, un errore compreso tra i valori a e b.
Abbiamo visto che, data una funzione elementare, nasce il problema di stabilire se ha una primitiva elementare, ed in caso affermativo trovarla. Il problema dell'integrazione in termini finiti consiste non tanto nel rispondere alla questione precedente per una data funzione integranda, quanto piuttosto nel trovare un metodo generale che, data una qualunque funzione elementare, possa essere applicato automaticamente e condurre a sapere se ha una primitiva elementare, ed in caso affermativo trovarla.
|