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Corso di laurea in economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo La Rivista Internazionale di Scienze Sociali negli anni 1933-1938: struttura, direzione, collaboratori principali

Italiana


Canziani Emanuele

Corso di laurea in economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo



La Rivista Internazionale di Scienze Sociali negli anni 1933-1938: struttura, direzione, collaboratori principali

Prof.sa Daniela Parisi

INDICE

Premessa

Introduzione storica

La struttura

La direzione di Amintore Fanfani

L'organizzazione economica alla luce della dottrina cattolica

Il sostegno al corporativismo

Storia economica: una chiave di lettura per il presente

Economia ed etica: un rapporto contrastato

Collaboratori principali

Francesco Vito

Analisi delle forme di mercato

Analisi delle fluttuazioni cicliche

Aree arretrate

Economia ed etica

Jacopo Mazzei

Lavori storici di politica economica

Studi di politica economica internazionale sul ventennio tra le due Guerre Mondiali

Note Bibliografiche

Premessa

La R.I.S.S. [Rivista Internazionale di Scienze Sociali] fu fondata nel secolo scorso col proposito di stimolare i cattolici ad occuparsi dei problemi sociali seguendo il metodo scientifico ed aggiornandosi sui procedimenti seguiti negli altri Paesi. Le varie discipline sociali erano allora alle prime fasi del loro sviluppo, se si eccettua l'economia politica che si era già sufficientemente consolidata. Dominava però, allora, l'idea che il cammino degli studi sociali procedesse non nel senso di una sempre maggiore specificazione delle varie discipline ma piuttosto nel senso della coordinazione e sintesi di esse in una vasta, generale e comprensiva scienza sociale: la sociologia. Di qui il titolo e il contenuto del periodico fondato da mons. Salvatore Talamo e Giuseppe Toniolo: "Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie", che in pratica, si occupò di tutte le materie sociali.

Introduzione storica

La Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie nasce nel gennaio 1893 dopo la pubblicazione di un'enciclica rivoluzionaria, come la Rerum Novarum.

Il progetto della Rivista risale, però  al 1890 ed è comunque anteriore alla Rerum Novarum; ma non vi è dubbio che la pubblicazione dell'enciclica leonina diede nuova forza al progetto e offrì un decisivo impulso affinché lo stesso venisse realizzato. Del resto lo stesso Leone XIII al n. 45 della Rerum Novarum, aveva rivolto il suo encomio a coloro che si adoperavano per migliorare le condizioni dei lavoratori non solo con l'azione ma anche con il pensiero, tributando un elogio agli "uomini saggi" che, riunendosi a congresso "si comunicano le idee, uniscono le forze, si consultano intorno agli espedienti migliori" per risolvere la questione sociale: ed è difficile non pensare che, scrivendo quel passaggio della sua più famosa enciclica, il pontefice non avesse in mente uomini come Giuseppe Toniolo, del resto da lui frequentemente consultato.

In questo senso si può affermare che la Rivista, benché pensata nel 1890, sia diventata una realtà proprio per sostenere, all'indomani della Rerum Novarum, l'impegno dei cattolici per la soluzione della questione sociale.

Più precisamente questo pensiero viene espresso e formalizzato nel 1918, nel 25° della fondazione: in questa occasione si osserva che la Rivista era nata come commento vivo e perenne della grandiosa enciclica Rerum Novarum e strumento di formazione di una scuola sociale cristiana al fine di reggere l'Azione Cattolica popolare.

Le forme attraverso le quali la Rivista intende offrire il suo apporto allo sviluppo dell'insegnamento sociale della Chiesa sono molteplici.

La struttura e l'organizzazione della Rivista erano semplici ma difficili da realizzare: articoli, sunto di articoli pubblicati nelle riviste italiane e straniere nel campo delle scienze sociali (in questa parte erano comprese anche le analisi d'opere), cronaca dei fatti giornalieri distinti in tre gruppi: manifestazioni morali e religiose, vicende economiche, avvenimenti politici, tutti collegati con 828f51i le questioni sociali. Inoltre come appare dagli Indici cinquantennali (1893-1942) della "Rivista Internazionale di Scienze Sociali", fecero sulla Rivista le loro prime prove alcuni dei più qualificati economisti e giuristi cattolici del Novecento, da Francesco Vito ad Amintore Fanfani: e molti dei loro contributi si orientavano appunto in direzione dell'insegnamento sociale della Chiesa.

Questa è la storia dei primi 25 anni di vita della Rivista. Successivamente, nel 1927, la Rivista passò nell'ambito dell'Università Cattolica e, più precisamente nelle mani del Rettore, Padre Gemelli, che ne assunse la direzione, avendo come condirettore Pio Bondioli e capo redattore Augusto Arienti, quest'ultimo sostituito nel 1930 da Albino Uggè, grande docente di statistica alla Cattolica.

L'impostazione della Rivista non muta radicalmente, almeno per alcuni anni. Sarà nel 1933, quando assunse la direzione il professore Amintore Fanfani, che la Rivista prese nuovo vigore con la presenza negli articoli di autori stranieri e con il moltiplicarsi delle analisi d'opera (nel 1936 erano circa 300).

La documentazione, soprattutto, divenne molto più estesa, attraverso la pubblicazione dei principali documenti sociali della Chiesa, ma anche dando notizia di congressi, o "Settimane" od altri incontri dedicati alla questione sociale, nonché recensendo i principali lavori ad essa dedicati.

In secondo luogo la dottrina sociale della Chiesa venne ripresa e sviluppata in una serie di direzioni che risultano particolarmente congeniali al gruppo direzionale della Rivista - costituito prevalentemente da economisti e giuristi - quali la legislazione del lavoro, l'organizzazione sindacale, la tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, lo sviluppo del sistema economico e monetario in una prospettiva di correzione del sistema capitalistico, nei confronti del quale la Rivista assume toni fortemente critici.

Numerosi gli articoli dedicati alla ripresa dei temi dell'enciclica e costante l'attenzione al magistero della Chiesa, ripreso e sviluppato con specifica attenzione alla realtà politico-sociale italiana, ma anche con significative aperture internazionali, anche per la presenza di autorevoli collaboratori stranieri.

Almeno nel primo cinquantennio, tuttavia, la Rivista mostrò una certa diffidenza per un approccio prevalentemente teorico alla questione sociale. Che il riposo festivo o il lavoro dei fanciulli ricevano un'attenzione più marcata che non le dispute sulla legittimità o meno della proprietà privata, sta ad attestare una precisa scelta di campo, che potrebbe essere definita in termini di "attualizzazione", più che di ripensamento critico, della dottrina sociale della Chiesa. D'altra parte erano quelli, nella cultura cattolica, anni in cui le questioni teoriche sul fondamento biblico, sulla metodologia, sulla stessa legittimità concettuale della "dottrina sociale cristiana" (temi divenuti oggetto di vivacissimo dibattito negli anni a cavallo del Concilio Vaticano II) non suscitavano particolare interesse e si riteneva, che ai laici, quali erano in maggioranza i collaboratori della Rivista, spettasse essenzialmente il compito di cercare di tradurre in termini operativi le indicazioni del Magistero.

Un primo cambiamento dell'orientamento della Rivista a proposito di quei temi si ebbe nell'ottobre 1945 con l'assunzione della direzione della Rivista da parte di Francesco Vito che, all'inizio dell'anno era già stato nominato capo-redattore. Con Vito, la Rivista assume un più spiccato indirizzo di rivista di economia e politica economica, anche se Vito non ha mai disdegnato di accogliere articoli di scienza politica, di sociologia e di storia economica. Nonostante in tempi più recenti la Rivista abbia vissuto una fase di trasformazione che l'ha indirizzata ad essere rivista per addetti ai lavori, con i conseguenti problemi di "pubblico" in un momento in cui le riviste di economia sono fortemente aumentate, si può affermare che la "Rivista Internazionale di Scienze Sociali" ha rappresentato il più organico e sistematico momento di impegno culturale dei cattolici italiani sui problemi sociali. Ci fu infatti una scelta da parte della Rivista, quella di calare la dottrina sociale della Chiesa nella concretezza della storia ed appunto questa concretezza rappresenta l'aspetto più originale di una Rivista che ha sempre voluto radicarsi nella storia.

La struttura

Nel periodo analizzato la Rivista Internazionale di Scienze Sociali si pubblica in fascicoli bimestrali di almeno 96 pagine ciascuno.

Ogni fascicolo pubblicato consta di tre parti. La prima, in media di circa 150 pagine, è riservata ad articoli di carattere scientifico: l'immagine del periodico viene infatti costruita in questa sezione nel primo ventennio della Rivista grazie alle pubblicazioni di un gruppo stabile di collaboratori, tra i quali spiccano i nomi di Toniolo, Talamo, Rossignoli, Agliardi, Petrone, Tomassetti e Mauri. Un terzo degli articoli pubblicati riguarda tematiche di carattere sociale e civile e, di questo, buona parte tratta di problemi del lavoro: affrontare lo studio dei nodi sociali e legislativi della protezione del lavoratore e della promozione del suo ruolo nel sistema si configura da un lato, come una risposta diretta all'appello della Rerum Novarum, dall'altro come un'assunzione di responsabilità nei confronti di chi patisce le conseguenza più gravi della questione sociale. Il resto degli articoli verte soprattutto su argomenti di politica economica, di storia del pensiero economico, di sistemi tributari, inoltre consistenti sotto il profilo numerico sono soprattutto gli articoli sul sistema economico corporativo e quelli di argomenti speculativi di ampio raggio (filosofia, politica, storia, sociologia, psicologia).

Accanto alla sezione dedicata agli articoli compaiono le "Note e Discussioni", elaborate a commento di un convegno, di un libro importante o di avvenimenti sociali di rilievo.

Altra parte fondamentale della Rivista è la sezione dedicata alla "Cronaca sociale" cui viene dato un assetto più simile a un "Notiziario", che però comprende informazioni su Libri e Riviste, Convegni, il pensiero sociale cattolico in Italia e all'estero, scuole sociali e include di solito un necrologio di personalità di spicco venute a mancare di recente.

La sezione successiva è dedicata alle analisi d'opere in cui vengono recensite ed analizzate le più recenti pubblicazioni delle discipline di cui si occupa la Rivista. In primo luogo vengono prese in considerazione le opere inerenti la storia delle dottrine e dei fatti economici, seguono le analisi delle opere di economia pura, in terzo luogo vengono analizzati i testi di finanza poi quelli di statistica e infine le dottrine e le problematiche sociali.

Nella sezione dedicata all'analisi delle opere di economia trovano posto anche opere di politica finanziaria, economia monetaria, sistemi di salari e di prezzi nonché dispute sulla durata del lavoro in fabbrica.

Ogni fascicolo comprende anche una sezione di carattere bibliografico (circa 70 pagine di presentazione di testi e di "sunto" di riviste italiane e straniere) e una "cronaca" di avvenimenti sociali, politici e religiosi riguardanti soprattutto l'attività dei movimenti cattolici, seguita spesso dalla pubblicazione di documenti.

Nel ventaglio delle circa cinquecento pubblicazioni periodiche di ispirazione cattolica presenti in Italia attorno ai primi decenni del Novecento, certamente la "Rivista Internazionale" occupa uno spazio autorevole e di rilievo. La Rivista riesce infatti ad esprimere alcune istanze popolari che i governi liberali, molto distanti dalla realtà dei cittadini, erano incapaci di recepire, sa dimostrare l'urgenza e la complessità della questione sociale, sa inserirsi nel dibattito scientifico in tema di bene comune, con una propria voce autonoma, indicando alcune vie preferenziali di carattere economico per perseguirlo e contribuendo a sprovincializzare la cultura cattolica italiana.

La direzione di Amintore Fanfani

La direzione della Rivista Internazionale di Scienze Sociali fu affidata ad Amintore Fanfani nel 1933.

Amintore Fanfani (Pieve Santo Stefano, 6 febbraio 1908 - Roma, 20 novembre 1999) è stato uno dei più celebri politici italiani del Secondo dopoguerra, fu una figura storica del partito della Democrazia Cristiana; si distinse anche come storico dell'economia.

Proveniente da una numerosa ed umile famiglia della provincia toscana, compì i suoi studi tra Urbino (scuole medie) ed Arezzo (Liceo scientifico). Si iscrisse all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove studiò nel Collegio Augustinianum. Dopo la laurea in economia e commercio nel 1930, ottenne nel 1936 la cattedra di Storia delle Dottrine Economiche. Aderì con convinzione al fascismo e il suo nome comparve assieme a quello dei 330 firmatari che, nel 1938, appoggiarono il Manifesto della razza. Fanfani del regime condivise più che altro le scelte di politica economica e si dimostrò un convinto sostenitore del corporativismo, nel quale riconobbe uno strumento provvidenziale per salvare la società italiana dalla deriva liberale o da quella socialista ed indirizzarla verso la realizzazione di quegli ideali di giustizia sociale suggeriti dalla Dottrina sociale della chiesa.

Durante il periodo milanese, Fanfani si affermò nel panorama culturale italiano (e non solo) grazie a studi di argomento storico-economico che hanno conservato un duraturo successo, come testimonia la recentissima ripubblicazione (2005) dell'opera Cattolicesimo e Protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, nella quale propose una coraggiosa interpretazione dei fenomeni di genesi del capitalismo, con particolare riferimento al condizionamento dei fattori religiosi e in sostanziale disaccordo con le tesi, allora paradigmatiche, di Max Weber.

Sempre negli anni trascorsi a Milano conobbe Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira e, dalla fine degli anni trenta, prese a partecipare assiduamente alle loro riunioni , discutendo di cattolicesimo e società. Con l'entrata in guerra dell'Italia , il gruppo spostò la sua attenzione al ruolo che sarebbe dovuto toccare al mondo cattolico all'indomani di quella caduta del Fascismo che era ormai ritenuta imminente.

Con l'8 settembre del 1943, tuttavia, il gruppo si sciolse e, fino alla Liberazione, Fanfani si rifugiò in Svizzera, dove organizzò corsi universitari per i rifugiati italiani. Appena rientrato in Italia, venne invitato a Roma proprio dall'amico Giuseppe Dossetti, appena eletto alla vicesegreteria democristiana, che gli affidò la direzione dell' ufficio propaganda del partito. Ebbe in questo modo inizio la sua carriera politica e nel mezzo secolo successivo si troverà sempre, anche se a fasi alterne, al centro della scena politica nazionale.

Eletto all'Assemblea Costituente, fece parte della Commissione che ha redatto il testo della nuova Costituzione repubblicana: sua è la formula: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro".

L'ispirazione che guidava Amintore Fanfani aveva le sue radici in una prospettiva politica molto più decisiva e rilevante, sia in termini personali, sia in termini di efficacia per il Paese. La Repubblica si fondava sul lavoro in quanto si fondava sui lavoratori, sul loro volto concreto, sui loro bisogni quotidiani, sulla loro povertà che spesso era manifesta, ma spesso anche nascosta (come egli stesso aveva osservato nei «Colloqui sui poveri»).

Prima e oltre Keynes c'era dunque il solidarismo cattolico, che egli aveva attinto dalla adesione consapevole alla Chiesa e al suo magistero e che aveva coltivato con l'intelligenza dello storico economico, abituato a considerare la concretezza e insieme la complessità dei fatti umani e sociali.

Riconsiderate a distanza, ma nel loro significato fondativo, le consapevolezze che guidarono Amintore Fanfani nella direzione della Rivista Internazionale di Scienze Sociali furono quelle proprie di un riformatore dalle solide basi culturali: dagli oggetti di studio e dal metodo di ricerca egli seppe ricavare, senza soluzione di continuità, i punti di riferimento per la sua azione e per il suo impegno.

La prima originaria consapevolezza si generava dall'attenzione alla povertà e alla disuguaglianza sociale; una attenzione concreta e, nello stesso tempo, intelligente, carica cioè della volontà di capire le cause e i rimedi di un fenomeno - la povertà - non eliminabile, ma pur sempre correggibile e attenuabile grazie all'intervento politico-economico.

La seconda consapevolezza riguardava il ruolo del lavoro e, più in particolare, la volontà di una sua rivalutazione come elemento di riscatto e di promozione della persona. Nella tutela del lavoro stava per Fanfani la chiave dello sviluppo, cioè il rispetto della persona del lavoratore che nel suo lavoro scopre se stesso e la sua dignità e, quindi, diventa risorsa per il Paese.

Un'altra consapevolezza caratterizzò Amintore Fanfani: quella che lo attestava in modo convinto su posizioni di tenace realismo politico. A questo realismo non era estranea proprio la sensibilità dello storico dell'economia, la tradizione italiana della disciplina e l'atmosfera culturale nell'Ateneo milanese. Il realismo economico di Fanfani può definirsi il rifiuto di ogni strutturalismo o determinismo meccanicistico, fosse quello del mercato e dei suoi dogmi o quello marxista e comunista della storia. Lo stesso paradigma realizzato dell'economia mista è interpretabile secondo questa prospettiva: prima ancora che mediazione tra interessi e ideologie opposte, essa rappresentava, appunto, una forma di rigorosa aderenza alla realtà, a ciò che essa offre e consente di fare; era il realismo di chi è abituato per professione e convinzione ad accettare tale realtà e la sua dimensione sociale come fenomeno tipicamente umano e, quindi, per sua natura complesso, non riconducibile a schemi, ad astrazioni, a teorizzazioni.

E' inoltre coerente ritornare ai fondamenti ideali e culturali sui quali il grande riformatore impostò la direzione della Rivista e che non possono non essere rintracciati nella sua dimensione preminente di studioso.

Fanfani fondò la sua opera sul rigore metodologico e contenutistico che egli ha sempre perseguito, ma anche e soprattutto su alcune idee e a categorie interpretative che egli andò maturando negli anni della sua formazione e del suo insegnamento universitario.

La prima e più qualificante è l'accettazione e l'acquisizione critica e costruttiva delle trasformazioni economico-sociali come dato di partenza per il loro superamento. Con la sua opera indiscutibilmente più significativa, Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, del 1934, a 26 anni, Fanfani sprovincializzò la storiografia economica italiana ponendosi in dialogo con le nuove metodologie di Sombart e Weber ma, soprattutto, superando quella specie di «blocco» della cultura cattolica nei confronti del capitalismo e della modernità per approdare a una vera e propria (e fino a quel momento inedita) pacificazione con l'industrialismo.

L'industrialismo poteva infatti essere re-interpretato in chiave solidaristica e personalista e, per il tramite della centralità del ruolo dello Stato, era possibile conseguire una razionalizzazione efficace e efficiente diversa da quella capitalistico borghese.

L'impostazione della Rivista Internazionale di Scienze Sociali sotto la direzione di Amintore Fanfani non cambiò radicalmente rispetto al precedente periodo in cui direttore era Padre Agostino Gemelli. Risultano evidenti, però i cambiamenti in ambito tematico avvenuti all'interno della Rivista; quando assunse la direzione, Fanfani incentrò l'attenzione della Rivista su temi di carattere economico, politico, sociale ed etico che negli anni '30 iniziavano a delinearsi come prossimi scenari del dibattito tra economisti e sociologi in vista di scelte che si sarebbero dimostrate cruciali per i governi dei maggiori stati europei, come per esempio l'adozione del sistema corporativistico da parte del regime fascista.

Questi temi infatti furono:

  • L'organizzazione economica alla luce della dottrina cattolica.
  • L'analisi e il sostegno al corporativismo come sistema politico economico.
  • La storia economica come chiave di interpretazione degli avvenimenti contemporanei.
  • Il rapporto tra economia ed etica.

L'organizzazione economica alla luce della dottrina cattolica

Il decennio 1930-1940 rappresenta un punto di svolta nel dibattito sui sistemi economici e sulla loro attuazione. Vengono sollevati per la prima volta numerosi dubbi e critiche all'organizzazione economica capitalista, soprattutto in considerazione della crisi del '29 e delle sue tragiche conseguenze sul sistema economico mondiale e, sul fronte opposto, si inizia solo allora ad esaminare le linee essenziali di una forma determinata di organizzazione economica come quella comunista che stava instaurandosi nei paesi dell'est.

La Rivista, che della dottrina cattolica si erge a portavoce ufficiale in ambito socio-economico, non offre un programma determinato di organizzazione economica, tuttavia essa prende posizione rispetto alle forme concrete delle relazioni economiche poiché queste hanno sempre riflessi morali. La dottrina cattolica si limita all'affermazione del principio etico fondamentale secondo cui è un legame sociale che assicura l'armonia fra il principio individuale e il principio sociale: un legame di solidarietà, che è essenzialmente di natura etica.

Per la Chiesa è indifferente che l'organizzazione economica di un popolo sia prevalentemente agricola o industriale, che prevalga la media-grande impresa sulla la piccola, che lo scambio dei beni e dei servizi avvenga sotto forma di baratto o tramite mezzi monetari, se la creazione e la messa in circolazione della moneta avvenga tramite un sistema bancario assai semplice o attraverso un sistema bancario altamente specializzato, e via dicendo. Benché quindi la dottrina cattolica non si proponga di prescrivere il programma concreto di organizzazione economica dei vari paesi, tuttavia non rimane indifferente di fronte ai vari sistemi di organizzazione perché essa esige che il principio direttivo dell'ordinamento economico sia conforme alla giustizia sociale. Il sistema capitalistico, inteso come sistema di libera iniziativa, della proprietà privata, della libera scelta di attività economica, non sarebbe, come tale,condannabile, ma , poiché esso assume come principio direttivo la concorrenza cioè l'individualismo economico è necessario che tutto un piano di riforme sia applicato perché la giustizia sociale sia rispettata. Come l'individualismo economico, così il comunismo è condannabile perché fa penetrare nell'organizzazione concreta dell'economia il principio materialista, distruttore della personalità umana e negatore del valore etico della vita.  Nella concezione della dottrina cattolica quindi è l'ordinamento corporativo, che discende dalla concezione organica della società, quello che più si avvicina alla realizzazione della giustizia sociale. Da questa convinzione deriva il sostegno della Rivista e del suo direttore al sistema economico corporativistico.

Il sostegno al corporativismo

Gli articoli pubblicati sulla Rivista che trattano del corporativismo negli anni in cui fu direttore Fanfani sono numerosissimi e tra questi ricordo solo i più autorevoli: Amoroso L. "L'ordine corporativo XLII, Serie III (vol. V, 1934 pp 765-780); De Stefani A., "La logica del sistema corporativo, XLI, Serie III (vol. IV), 1933, pp 393-441; Rouast A. "Qualche realizzazione corporativa all'estero, XLIII, Serie III, (vol. VI), 1935, pp 731-745; Sacco I.M. "Il regime corporativo e i cattolici sociali" XLVII, Serie III (vol. X), 1938, pp 196-207; Sancho-Izquierdo M. "Vecchio e nuovo corporativismo spagnolo" XLVI, Serie III (vol. IX) 1938, pp 127-138; Vito F. " Le premesse dell'economia corporativa internazionale, XLII, Serie III (vol. II), 1934 pp 556-565.

La pubblicazione di tutti questi articoli dimostra che, come giovane direttore della R.I.S.S., Fanfani non poteva che contrastare sia l'economia di mercato, sia la pianificazione collettivista. Anzi, da cattolico convinto, doveva inevitabilmente rifarsi alla celebre enciclica «Rerum Novarum» di Leone XIII (che verrà poi ripresa a fatta propria da Pio XI nella «Quadragesimo Anno» del 1931), in cui si sollecita per la prima volta la creazione di corporazioni di datori di lavoro e lavoratori per porre fine a un conflitto che, all'origine della civiltà industriale, vedeva un piccolo e privilegiato mondo di sfruttatori (i capitalisti) approfittare di una vasta massa di sfruttati (i proletari). Per questi motivi durante la direzione di Fanfani la Rivista Internazionale di Scienze Sociali fu il più grande organo di stampa cattolico a sostegno del corporativismo.

Con il termine Corporativismo si intende un sistema politico ed economico che si propone di superare l'antagonismo fra lavoratori e datori di lavoro, creando un sistema di mediazione degli interessi sotto l'egida dello Stato. L'idea corporativa è presente nel pensiero sociale cattolico della fine del XIX secolo come alternativa sia alla competizione individualistica del liberismo sia alla lotta di classe. Al centro del sistema stanno le corporazioni, organi rappresentativi a base professionale, comprendenti rappresentanti sia dei lavoratori sia degli imprenditori, ispirati alle corporazioni medievali

Il regime fascista italiano adottò il corporativismo come forma istituzionale capace di promuovere la solidarietà nazionale e la produzione, subordinando gli interessi dei lavoratori e degli imprenditori all'interesse supremo dello Stato. I principi fondamentali del corporativismo fascista si possono rintracciare nella Carta del lavoro del 1926, che definiva il lavoro, in tutte le sue forme, intellettuali, tecniche, manuali, un "dovere sociale". Lo stesso documento affermava che "essendo l'organizzazione privata della produzione [...] una funzione di interesse nazionale, l'organizzazione dell'impresa è responsabile dell'indirizzo della produzione di fronte allo Stato".

Sempre nel 1926 furono istituiti il Consiglio nazionale delle corporazioni, organo di controllo della vita economica del paese, destinato a soppiantare la rappresentanza elettiva parlamentare e un ministero delle Corporazioni. Durante il fascismo, tuttavia, le relazioni industriali furono regolate sostanzialmente in modo autoritario attraverso il divieto di sciopero e il Sindacato unico fascista, che era dotato di personalità giuridica pubblica. Le corporazioni furono inizialmente concepite come organi di collegamento tra le organizzazioni sindacali nazionali con compiti di conciliazione delle controversie di lavoro.

Fanfani vedeva con i propri occhi, e anche con quelli di Agostino Gemelli, che il corporativismo funzionava perfettamente, attenuava e cancellava le tensioni sociali, dava vita a comunità di intesa perfetta per lo sviluppo del mercato. Come ricorda Vincenzo La Russa, «nella storia delle dottrine e delle istituzioni, il corporativismo è l'applicazione ai rapporti tra capitale e lavoro dei princìpi che animavano le corporazioni del Medio Evo. Così, Leone XIII, già nell'enciclica "Quod Apostolici", del 1878, che precedette la "Rerum Novarum", diceva che l'appartenenza alle coporazioni doveva rendere lavoratori e datori di lavoro contenti della loro sorte. La Chiesa, e diversi sociologi cattolici, ritenevano infatti che con il corporativismo si potessero combattere i difetti dell'economia capitalista, ma anche quelli del collettivismo classista».

Fu così che quando il fascismo sposò il corporativismo (trasformato da aspirazione ideale in vera e propria scienza dai liguri Carlo Costamagna e Carlo Alberto Biggini), promuovendolo a sistema istituzionale, molti cattolici italiani, incoraggiati dalla linea tutt'altro che ostile della gerarchia ecclesiastica nei confronti del regime, videro nel corporativismo fascista un sistema economico eccellente. Questa particolare congiuntura di eventi e situazioni spiegano l'adesione convinta di Fanfani al sistema corporativistico e di fatto al regime fascista in quanto queste due entità non erano di fatto scindibili del tutto l'una dall'altra. Fanfani quindi aderì con entusiasmo più alla politica economica e sociale del regime che alla sua ideologia.

Storia economica: una chiave di lettura per il presente

Un altro tema che contraddistinse la direzione di Fanfani della Rivista Internazionale di Scienze sociali fu quello relativo alla storia economica e alla storia delle dottrine economiche, argomenti analizzati anche  e soprattutto alla luce degli avvenimenti socio-economici che si erano verificati di recente nella società degli anni '30. In questo senso, appare perfettamente comprensibile l'interesse destato, dal fondamentale articolo, "Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo", che lo stesso Fanfani, allora giovanissimo professore di Storia economica presso l'Università Cattolica di Milano, scrisse nel 1934. L'interesse per questa approfondita analisi sul formarsi della società capitalistica, condotta in rapporto alle diverse interpretazioni del mondo e in rapporto alle diverse concezioni del destino umano di cui il cristianesimo cattolico e protestante si è fatto, rispettivamente, portatore, è stata ribadita anche dagli importanti convegni che sono stati dedicati alla ricostruzione dell'opera di Amintore Fanfani, prima dalla Pontificia Università Gregoriana, e più recentemente dalla medesima Cattolica di Milano.

      Tali convegni hanno contribuito a illuminare il peculiare significato di questo saggio. Sulla base dei gravissimi effetti economici e sociali prodotti dalla Grande depressione del 1929, quest'opera si faceva portatrice di un riformismo di derivazione cristiano-sociale che puntava a temperare l'egoismo individualista, caratteristico di larga parte del sistema capitalistico, con una concezione dell'economia ispirata a criteri di solidarietà. Intendeva inoltre prendere le distanze dall'allora diffusa posizione weberiana che, trent'anni prima, aveva affermato, in polemica con l'impostazione marxista, il ruolo determinante esercitato dalla cultura religiosa e dal sistema etico proprio del protestantesimo nella genesi del capitalismo. Fanfani all'inizio concorda con l'impostazione di Max Weber secondo cui l'essenza più profonda del capitalismo non consiste nell'essere «soltanto un insieme di istituzioni o un modo di svolgersi dei rapporti di produzione», bensì nell'essere «prima di tutto una cultura e una gerarchia di valori che impronta il modo di pensare e di agire». Ma a tale tesi Fanfani contrapponeva il primato, nel determinare l'essenza della stessa attività economica, del complesso ruolo storico svolto dallo "spirito cattolico", secondo il quale «l'economia è subordinata, come mezzo al fine, al benessere dell'uomo e della comunità». Dunque, pur partendo dal riconoscimento della determinante funzione svolta anche dai Paesi di cultura cattolica nel fondare le radici economico-sociali dello spirito del capitalismo, che darebbero i primi segni di sé (a differenza  di quanto esposto nella tesi weberiana) «già alla fine del Medioevo», Fanfani non ne escludeva un'incompatibilità di fondo con il pensiero cristiano e, di conseguenza, ne proponeva una profonda riforma ispirata ai principi della dottrina sociale della Chiesa, che nella stessa Rerum Novarum aveva messo in guardia dai pericoli legati all'affermarsi di un sistema capitalistico fondato sulla concorrenza sfrenata e sulla concentrazione monopolistica della ricchezza. Sostenendo con forza queste considerazioni con questa proposta economico-sociale, Fanfani diede alla Rivista un ruolo significativo anche per la storia del movimento cattolico, non solo italiano, perché si ricollegava a tutta una tradizione ottocentesca del pensiero sociale cristiano che, pur avendo origini diverse e pur essendosi declinata in forme ed esperienze diverse in vari Paesi europei, aveva poi trovato un proprio momento di sintesi teorica e programmatica nella ben nota enciclica leoniana, e si era articolata, nel secolo successivo, in tutta una serie di esperienze e di passaggi storici. Tra questi ultimi particolare rilievo avrebbe assunto l'enciclica Quadragesimo anno, emanata da Pio XI soltanto tre anni prima della pubblicazione dello scritto di Fanfani. In particolare, la linea editoriale di Fanfani, nel coerente richiamo a questa tradizione che coraggiosamente aveva sottolineato la gravità e l'urgenza della soluzione della cosiddetta "questione sociale", e che aveva in qualche modo rappresentato il punto di partenza di un'autentica politica sociale della Chiesa, riprendeva alcuni spunti della teorizzazione del suo maestro e mentore Giuseppe Toniolo. Toniolo, fu tra i più attivi fautori di un'azione dei cattolici sul terreno sociale e politico condotta sulla base della ricerca di una soluzione, ispirata al corporativismo medievale, alternativa tanto all'impostazione liberista quanto a quella socialista. Una prospettiva, quella indicata da Toniolo, destinata ad avere notevole influenza sul pensiero sociale cattolico della prima metà del Novecento.

Economia ed etica: un rapporto contrastato

La subordinazione dell'economia e anche della politica ai comandamenti della morale resta uno dei fili conduttori dell'opera di redazione della Rivista da parte di Fanfani.

La separazione tra economia ed etica era stata fino ai primi del Novecento la parola d'ordine per la maggioranza degli studiosi. L'indipendenza dell'economia dall'etica era difesa in base al principio che, usando la scienza il processo di astrazione e non volendo né potendo essa riflettere la realtà esattamente, l'economia in quanto scienza, poteva scegliere a propria base uno qualsiasi dei fini per i quali agisce  l'azione umana. Se questo fine non era conforme all'etica poco male; la scienza infatti non vuole valutare l'azione umana, ma solo indagare ciò che è. Fino ad allora quindi l'economia si fondava sull'egoismo dei singoli. Negli anni 30 viene, però, affermandosi un'idea diversa. In tutti i paesi si irrobustì la schiera di coloro che avvertivano il bisogno di rivedere le relazioni tra scienza economica ed etica e si adoperavano alla ricerca delle responsabilità e dei compiti che spettavano all'economista cattolico intuendo che essi erano soprattutto legati all'analisi dei rapporti tra economia ed etica. Questa analisi che si ricollega a quella di Toniolo, porta gli studiosi a superare nettamente fin dal 1936 la posizione dominante nel pensiero economico del tempo che identificava la scientificità dell'economia con la neutralità nei confronti dei giudizi etici. Poiché la scienza economica è sempre, esplicitamente o implicitamente, guida dell'azione, essa non può prescindere dai fini individuali e sociali. Questi fini, infatti, non sono determinabili all'interno della scienza, ma assunti dall'esterno come dati, e per l'economista cattolico, come dati eticamente validi, cioè dedotti da una "esatta" definizione della natura umana e delle sue finalità. L'economia, scienza dei mezzi, è così subordinata all'etica, scienza dei fini. In quest'ottica si può comprendere l'enorme mole di articoli e saggi pubblicati sulla Rivista a cavallo degli anni in cui la direzione era affidata a Fanfani che proprio per la sua formazione era sempre stato particolarmente coinvolto in questa disputa sul carattere etico della scienza economica. Riporto di seguito alcuni dei più importanti articoli sul tema in questione che fissarono i punti di riferimento del dibattito. Scalia C. "L'etica nella scienza economica", XXXIII, (vol. XCVIII), 373, Gennaio 1934, pp 25-41; Marsili-Libelli "Spunti di morale economica", XLI, Serie III (vol. IV) 1933, pp 420-429; Mazzei J. "A proposito del carattere etico dell'economia politica", XLII, Serie III (vol. IV), 1933, pp 757-784; Mazzei J. "Sul carattere etico della scienza economica" XLII, Serie III (vol. V), 1934, pp 75-87; Vito F. "Economia ed etica", XLIV, serie III (vol. VII), 1936, pp. 254-271. 

Per tutti gli articoli vengono indicati: l'annata della rivista, i numeri del volume e del fascicolo, l'anno di pubblicazione e le pagine della rivista.

Collaboratori principali

Francesco Vito

Vito Francesco (21 ottobre 1902, Pignataro Maggiore, Caserta - 6 aprile 1968 Milano).

Economista, professore ordinario di Economia politica nella Facoltà di Scienze politiche e direttore dell'Istituto di Scienze economiche dell'Università Cattolica; direttore dal 1945 della "Rivista Internazionale di Scienze Sociali". Membro del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro e di numerose accademie e associazioni scientifiche italiane e straniere, fu presidente dell'Associazione Italiana di Scienze Politiche, vicepresidente del Comitato permanente delle Settimane sociali dei cattolici d'Italia, della Commissione italiana UNESCO, della Federazione internazionale delle Università Cattoliche, consultore della Pontificia commissione dei seminari e delle Università degli studi per la preparazione del Concilio Vaticano II, membro del gruppo Auditores laici del Concilio stesso e della Commissione pontificia per lo studio dei problemi della popolazione, della famiglia e della natalità. Fu insignito dal governo italiano della medaglia d'oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte.

Laureatosi presso l'Università di Napoli in giurisprudenza nel 1925, in Scienze economiche, politiche e sociali nel 1926, in Filosofia nel 1928, vinse l'anno successivo la borsa di studio L. Ellero che utilizzò per il perfezionamento degli studi economici presso l?università Cattolica di Milano. Studiò successivamente in Germania presso le Università di Monaco e di Berlino dove vinse una borsa di studio della Humbold Stiftung. Nel 1932 ottenne la libera docenza in Economia politica e l'anno successivo, con una borsa di studio della Fondazione Rockefeller, si recò negli USA dove continuò gli studi economici presso la Columbia University di New York e l'Università di Chicago.

Nel 1935 vinse il concorso della cattedra di Economia politica e venne chiamato all'Università Cattolica, dove insegnò fino al momento della morte.

Vito aveva sempre partecipato attivamente ai vari organi di governo dell'Università Cattolica, e di essa per sei anni (1959-1965), era stato rettore, successore del fondatore Agostino Gemelli, portando a compimento la Facoltà di Medicina a Roma.

Vito fu inoltre direttore della "Rivista Internazionale di Scienze Sociali" succedendo ad Amintore Fanfani.

E fu proprio sotto la direzione di Francesco Vito la Rivista oltre ad assumere un più spiccato indirizzo di rivista economica ebbe anche un'altra importante funzione. In quel periodo - appena successivo alla seconda guerra mondiale ma anche gli anni sessanta - la facoltà di Economia e Commercio, come tutta la Cattolica, cresceva a ritmo serrato mentre ciò che mancava erano i docenti. La Rivista cominciò a funzionare come strumento di sostegno per la formazione di una scuola economica in Cattolica, che poi divenne famosa. All'Università Cattolica Vito seppe quindi creare una "scuola" di scienze economiche che si sforzava di conciliare la serietà degli studi, il rigore scientifico e l'analisi critica delle più recenti correnti di pensiero economico con l'ispirazione cristiana.

Già nel 1947 sulla Rivista iniziarono a comparire i nomi di Franca Duchini, Ercole Calcaterra, Siro Lombardini, Franco Feroldi, i primi allievi di Francesco Vito a cui poi si aggiungevano molti altri. In definitiva, la selezione e il reclutamento di economisti hanno avuto origine con Vito e la sua Rivista.

L'attività scientifica di Francesco Vito è stata molto intensa ed è documentata da una bibliografia di circa quattrocento titoli che spaziano nei più diversi settori della teoria, della politica e della metodologia economiche. In essa sono tuttavia rilevabili alcuni filoni principali.

Analisi delle forme di mercato

Il campo che per primo richiamò l'interesse scientifico di Vito fu quello dell' analisi delle forme di mercato non concorrenziali ed in particolare dei sindacati o "cartelli" industriali. Essi vengono considerati come il risultato dell'evoluzione tecnologica e delle sue conseguenze sulla struttura dell'impresa. L'analisi mette in evidenza da una parte l'esigenza di schemi teorici diversi dal modello concorrenziale e dall'altra quella del controllo dello Stato sull'economia.

Il tema affrontato fin dal 1930 nel volume I sindacati industriali. Cartelli e Gruppi (Giuffrè, Milano 1939) verrà ripreso nell'immediato dopoguerra nell'opera L'economia a servizio dell'uomo (Vita e pensiero, Milano 1961), che contiene un attento esame del cambiamento irreversibile che la struttura concorrenziale di mercato ha subito nel periodo tra le due guerre e dei motivi che richiedono il passaggio da una politica di interventi occasionali ad un piano organico di controllo di mercato. La controversia sulla natura e i limiti della pianificazione, si può risolvere solo se si riconosce preliminarmente "come il piano non è fine a se stesso., ma è strumento per la realizzazione dei fini dell'economia sociale, e che, d'altra parte, questi fini non si identificano puramente e semplicemente con l'appagamento delle preferenze dei singoli, ma col bene comune o, con l'attuazione della giustizia sociale" (ibid., p. 156).

Alla luce della concezione cristiana dell'uomo e della società, Vito individua, in quel momento storico, la concretizzazione della giustizia sociale nella realizzazione di un alto e stabile livello di occupazione e analizza gli strumenti atti a realizzare l'obiettivo indicato, con particolare riferimento al sistema economico italiano. Secondo Vito infatti la politica economica non è che una parte della politica sociale, in quanto persegue quella parte della politica sociale che assicura l'occupazione totale. La politica sociale si dovrebbe occupare per giunta dell'integrità fisica del lavoratore e della personalità morale del lavoratore. Vito sostiene inoltre che la politica economica sia diretta a fornire i presupposti economici della politica sociale, infatti ogni politica sociale presuppone certe condizioni economiche. Nelle successive edizioni del volume su citato e nei numerosi articoli in argomento pubblicati in riviste specializzate italiane e straniere, appare la capacità di Vito di individuare con chiarezza le trasformazioni in atto nella società e di mettere i risultati delle ricerche scientifiche, anche le più sofisticate al servizio di una politica economica e sociale ispirata ad una forte tensione verso la giustizia sociale. Ai movimenti cattolici operanti nella realtà sociale ed in particolare alle ACLI e alle associazioni sindacali di ispirazione cristiana, Vito fornì quindi una base teorica e un orientamento operativo di notevole efficacia.

Analisi delle fluttuazioni cicliche

Un secondo campo di indagine, al quale Vito ha portato un contributo rilevante è quello dell'analisi delle fluttuazioni cicliche. La sua teoria dell'autofinanziamento delle imprese come possibile causa di fluttuazione (Il risparmio forzato come fondamento della teoria dei cicli economici, Vita e Pensiero, Milano 1933; Le fluttuazioni cicliche, Vita e Pensiero, Milano 1954) mette in luce alcuni significativi rapporti fra lo modificazioni del quadro istituzionale e la instabilità del sistema e contribuisce al superamento della astrattezza e del meccanicismo dei modelli teorici allora dominanti.

Aree arretrate

In numerosi scritti ed in particolare nella relazione tenuta al congresso internazionale di studio sul problema delle aree arretrate organizzato a Milano dal Centro nazionale difesa e prevenzione sociale nel 1954, Vito affronta il problema dell'arretratezza e della fame nel mondo fornendo un contributo originale alla tipologia del sottosviluppo. Ponendo fin dagli anni Cinquanta il problema dell'arretratezza in termini in cui sarà poi ripreso dal magistero sociale della Chiesa, la voce di Vito è un continuo richiamo ai fattori socioculturali dello sviluppo e dell'esigenza morale di superamento delle disparità territoriali.

Economia ed etica

La personalità scientifica di Vito e il suo apporto all'individuazione delle responsabilità e dei compiti dell'economista cattolico è anche legata alla sua analisi dei rapporti tra economia ed etica. Questa analisi che si ricollega a quella di Toniolo, porta Vito a superare nettamente fin dal 1936 la posizione dominante nel pensiero economico del tempo che identificava la scientificità dell'economia con la neutralità nei confronti dei giudizi etici. Poiché la scienza economica è sempre, esplicitamente o implicitamente, guida dell'azione, essa non può prescindere dai fini individuali e sociali. Questi fini, secondo Vito, non sono determinabili all'interno della scienza, ma assunti dall'esterno come dati, e per l'economista cattolico, come dati eticamente validi, cioè dedotti da una "esatta" definizione della natura umana e delle sue finalità. L'economia, scienza dei mezzi, è così subordinata all'etica, scienza dei fini (Economia e filosofia, in "Rivista di Filosofia neoscolastica", 1938, pp 367-386; La posizione dell'uomo nel pensiero contemporaneo, "Rivista Internazionale di Scienze Sociali", 1954, pp. 21-38).

Carattere comune alla multiforme attività di Vito fu la prontezza ad affrontare i temi che via via venivano alla ribalta della politica economica italiana e internazionale (economia di guerra, ricostruzione, integrazione economica europea ecc.) cercando di individuare quella soluzione che, fondata su una solida analisi teorica, fosse contemporaneamente quella più coerente con una visione cristiana dell'uomo e della società.

Il ruolo svolto da Vito nei confronti dei movimenti cattolici del secondo dopoguerra è quindi molto rilevante, anche se indiretto. Ad essi Vito, con la sua grande capacità di cogliere il senso e la direzione della storia, fornì il sostegno teorico per un progetto di politica economica moderna e coerente con l'ispirazione cristiana. Questo ruolo emerge da tutti gli scritti di Vito ed è particolarmente evidente nelle relazioni tenute alle Settimane sociali dei cattolici d'Italia dal 1934 al 1964; ai sette Convegni di studi di economia e politica del lavoro organizzati dalla CISL dal 1954 al 1967 (i temi furono: progresso economico, ruolo dell'agricoltura nello sviluppo, politica sociale della CEE, variazioni di produttività e prezzi, programmazione e sindacato, sviluppo economico e reddito agricolo, strumenti per la stabilità monetaria); ai numerosi Convegni nazionali e provinciali di formazione e studio promossi dalla ACLI, dalle UCID, dall'Associazione dei coltivatori diretti ecc. L'instancabile attività di Vito perla formazione culturale economica dei quadri delle associazioni di ispirazione cristiana è documentata anche dalla collana "Problemi economici d'oggi", da lui diretta ed edita da Vita e Pensiero, sui più significativi temi della politica economica italiana dagli anni Sessanta, e dall'attenzione data ai temi economici e sociali nei Corsi di aggiornamento culturale dell'Università Cattolica.

Jacopo Mazzei

Jacopo Mazzei nato alla fine del diciannovesimo secolo, nel 1892, rimase orfano di padre fin da ragazzo. La madre straordinariamente sensibile ai problemi che si delineavano all'inizio del '900 si impegnò in un'educazione severa, ma profondamente umana e cristiana suscitando nel giovane Jacopo sentimenti profondi e forti e la passione per i problemi sociali ed economici. Non disgiunta da questa Mazzei ebbe fin da ragazzo anche una forte inclinazione per gli studi storici e classici che caratterizzò gli studi di economia ai quali dedicò tutta la sua vita, specializzandosi nello studio delle teorie economiche inglesi.

Fu uno dei titolari della cattedra di Politica Economica Internazionale presso l'Università Cattolica del S. Cuore di Milano e fu uno dei principali assertori della necessità che questa disciplina avesse autonomo riconoscimento. In questa scelta è insita tutta l' ansia, tutta la passione di Jacopo Mazzei per ricercare le cause del disagio sociale e per studiare il modo di superarlo. Con grande sensibilità ed umanità studiò gli aspetti economici dei problemi sociali mettendo in luce che l'uomo deve tendere a dominare i fenomeni anziché esserne lo strumento.

Ebbe altissimo amore per la patria che traspare in ogni suo scritto: fu volontario nella guerra 15-18 e, fatto prigioniero in una pericolosa missione sul Col Santo fu condotto a Mathausen. Le privazioni degli anni di prigionia dettero inizio ai mali che per tanti anni lo tormentarono.

Amò straordinariamente l'agricoltura e profuse molto del suo ingegno per valorizzare la proprietà fondiaria e nei suoi studi mise in luce le ragioni storiche e sociali dell'equilibrio agricolo toscano.

Negli ultimi mesi della sua vita, non potendo egli più recarsi a Villa Favard per l'insegnamento, gli studenti chiesero di potersi recare da lui perché le lezioni non fossero interrotte.

Il Prof. Mazzei fu portato dalla sua indole, dalla sua impostazione mentale e dalla sua preparazione generale più specialmente verso studi di politica economica e di storia dottrinale e dei fatti della politica economica.

I suoi lavori possono dividersi in due grandi gruppi:

Lavori storici di politica economica

Tutta la politica economica internazionale dal '700 in avanti fu studiata dal Prof. Mazzei e il succo delle sue ricerche è esposto in: Schema di una storia della politica economica internazionale, pubblicato nel III volume della <<Nuova collana di economisti stranieri e italiani>>.

Mazzei si interessò specialmente anche della politica economica mercantilista pubblicando su essa varie opere di cui la più importante rimane certamente: Politica economica inglese prima di Adam Smith, opera destinata a mostrare oltre ai provvedimenti e della dottrina del tempo anche l'efficacia che essi ebbero sulla formazione del primato economico britannico.

Altra pietra miliare nella bibliografia di Jacopo Mazzei fu: Politica doganale differenziale e clausola della nazione più favorita; quest'opera è, dopo un esame della prima genesi della politica differenziale nel tardo medioevo, uno speciale esame di essa nel periodo mercantilista: esame della politica coloniale e contrattuale del tempo che riprendendo l'analisi del precedente volume sulla sua capacità di creare la futura attrezzatura e vitalità economica dei singoli stati, la volge soprattutto verso la genesi e la valutazione dei due grandi filoni lungo i quali si muoverà da allora in poi la politica economica internazionale: politica di paritào politica di trattamento preferenziale.

La dottrina mercantilista è stata studiata dal Prof. Mazzei in numerosi articoli pubblicati sulla Rivista Internazionale di Scienze Sociali tra i quali spicca per importanza: Potenza mezzo di ricchezza e ricchezza mezzo di potenza nel pensiero dei mercantilisti, "Rivista Internazionale di Scienze Sociali", gennaio 1933.

Mazzei si occupò anche dello studio della dottrina fisiocratica in vari articoli col proposito non già di ripetere le consuete valutazioni critiche ma di rintracciare insieme coi caratteri principali del clima e della mentalità del tempo la logica, per così dire, delle deviazioni dell'errore o della non ancor chiara visione scientifica.

I principali articoli pubblicati dal Prof Mazzei sulla R.I.S.S. sui fisiocratici sono i seguenti:

L'idea di potenza statale e la politica economica fisiocratica, "Rivista internazionale di Scienze Sociali", luglio 1935;

Politica demografica e salari nei fisiocratici, "Rivista internazionale di Scienze Sociali", marzo 1936.

Studi di politica economica internazionale sul ventennio tra le due Guerre Mondiali

Questi studi di Mazzei si possono ulteriormente dividere in tre categorie:

Quelli che si propongono di esaminare nel suo aspetto totale la politica economica internazionale del ventennio, senza impostarsi su speciali punti di vista.

Dal 1936 Mazzei ha riassunto ogni anno nella Rivista Internazionale di Scienze Sociali la politica economica internazionale dell'annata:

Politica economica internazionale nel 1936, "Rivista Internazionale di Scienze Sociali" luglio 1937;

Politica economica internazionale nel 1937, "Rivista Internazionale di Scienze Sociali" maggio 1938;

Politica economica internazionale nel 1938, "Rivista Internazionale di Scienze Sociali" maggio 1939.

Inoltre nel volume Il cambio italiano, Mazzei compie un esame con carattere illustrativo e polemico sulla situazione monetaria italiana e della crisi del cambio italiano relativo al primo decennio del regime.

Nella seconda categoria si possono classificare gli scritti sulla politica economica del ventennio svolti ponendosi dal punto di vista della politica di parità o di differenziazione.

I problemi di parità e preferenza sono analiticamente analizzati nei seguenti scritti:

Parità e preferenza doganale nel dopoguerra, vol. III delle pubblicazioni del R. istituto Superiore di Scienze Economiche, in cui Mazzei compie un'ampia disamina dei problemi del genere assillanti l'Europa nel primo quindicennio post-bellico.

Le evasioni e le eccezioni alla clausola della nazione più favorita, Raccolta di scritti in memoria di Giuseppe Toniolo in occasione della sua morte, Milano, Vita e Pensiero, 1929.

La crisi degli stati agrari europei e i progetti doganali a loro favore, in "Rivista Internazionale di Scienze Sociali", settembre 1933.

La conferenza di Stresa e il memorandum italiano, in "Rivista Internazionale di Scienze Sociali" novembre 1933.

Lo studio è continuato nel campo coloniale che sempre più, nella sua progressiva chiusura differenziale, assume minacciosa importanza, in due relazioni al I e al III Congresso Coloniale nelle quali assai chiara appare la previsione delle conseguenze della chiusura imperiale mondiale.

A queste relazioni fece seguito anche l'articolo: I problemi della politica doganale coloniale del dopoguerra, pubblicato nella Rivista Internazionale di Scienze Sociali, maggio-giugno 1933.

Mazzei in quest'ambito analizzò anche come la rapida evoluzione della politica economica europea portò sollecitamente a non considerare la politica preferenziale come mezzo di collegamento europeo, ma come mezzo di aggressione intereuropea.

A una terza categoria appartengono gli scritti che studiano l'autarchia

Due di essi possono considerarsi come un'introduzione teoretica che riprende anche alcune analisi sulla varia efficacia della politica differenziale:

Deduzioni dalla teoria dei costi comparati a favore dell'autarchia, "Rivista italiana di Scienze economiche" marzo 1939;

Problemi sull'autarchia e la teoria dei costi comparati, "Rivista italiana di Scienze Economiche" marzo 1940.

Note Bibliografiche

Duchini Francesca e Parisi Daniela, "Indici cinquantennali (1893-1942) della Rivista Internazionale di Scienze Sociali", Vita e Pensiero, Milano, (1993).

Giancarlo Mazzocchi, "Introduzione agli indici cinquantennali (1893-1942) della Rivista Internazionale di Scienze Sociali", estr. da: R.I.S.S. 1994 fascicolo III, pp 773-775, Vita e Pensiero, Milano, (1994).

Sergio Zaninelli, "L'Università Cattolica del S. Cuore assume la pubblicazione della Rivista Internazionale di Scienze Sociali", estr. da R.I.S.S. 1994 fascicolo IV, pp 785-793, Vita e Pensiero, Milano, (1994).

Giorgio Campanini, "Un luogo eminente della cultura: la Rivista Internazionale di Scienze Sociali", estr. da: R.I.S.S 1994 fascicolo IV, pp 781-783, Vita e Pensiero, Milano, (1994).

Fanfani Amintore, "Storia delle dottrine economiche", Principato, Milano, (1971).

Fanfani Amintore, "Introduzione allo studio della storia economica", A. Giuffrè, Milano, (1960).

Fanfani Amintore, "Il significato del corporativismo", Emo Cavalleri, Como, (1937).

Fanfani Amintore, "Declino del capitalismo e significato del corporativismo", Società tipografica "Leonardo Da Vinci", Città di Castello, (1934).

Amintore Fanfani, "Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo", a cura di Pietro Raggi; prefazione di Antonio Fazio, Marsilio, Venezia, (2005).

Giorgio Galli, "Fanfani", Feltrinelli, Milano, (1975).

Vincenzo La Russa, Amintore Fanfani, Soveria Monnelli, Rubbettino, (2006).

Stefano Riccio, "Il pensiero economico e sociale di Francesco Vito", Istituto grafico editoriale italiano, Napoli, (1997).

Francesca Duchini, "Francesco Vito, cenni biografici", estr. da R.I.S.S. 1983 fascicolo IV, pp 579-582, Vita e Pensiero, Milano (1983).

Francesco Vito, "Economia ed etica", Vita e Pensiero, Milano, (1936).

Francesco Vito, "Introduzione alla teoria economica corporativa", estr. da: R.I.S.S. 1936 fascicolo I, pp 66-71, Vita e Pensiero Milano, (1936).

Francesco Vito, "Il concetto di economia alla luce della dottrina cattolica", estr. da: R.I.S.S. 1938 fascicoli IV-V, pp 667-685, Vita e Pensiero, Milano, (1938).

Francesco Vito, "L'organizzazione cattolica alla luce della dottrina cattolica", estr. da: R.I.S.S. 1938 fascicolo I, pp 1-16, Vita e Pensiero, Milano, (1938).

Francesco Vito, "Il risparmio forzato e la teoria dei cicli economici", estr. da: R.I.S.S. 1934 fascicolo I, pag 46, Vita e Pensiero, Milano, (1934).

Mazzei Jacopo, "L'economia italiana nel 1937", estr. da: R.I.S.S. 1938 fascicolo III, pp 495-558, Vita e Pensiero, Milano, (1938).

Associazione Villa Favard, "Notizie sulla vita, l'attività, e le opere di Jacopo Mazzei nel 20° anniversario della morte", Arti grafiche "Il Torchio", Firenze, (1967).


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