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Cos'è il lavoro a tempo parziale

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Cos'è il lavoro a tempo parziale

La norma di apertura del decreto recita:



"nel rapporto di lavoro subordinato l'assunzione può avvenire a tempo pieno o a tempo parziale".

L'enunciato contiene "l'importante affermazione della piena equivalenza sociale e giuridica deicontrattipart-time e full time". Il legislatore delegato intende in tal modo sottolineare che la tipologia contrattuale in esame non contiene alcun carattere di specialità, ma rappresenta solo una particolare modalità di organizzazine della prestazione lavorativa.

Il "tempo parziale" viene definito in relazione al "tempo pieno", laddove l'elemento discretivo e qualificante è costituito unicamente dall'inferiorità dell'orario di lavoro stabilito nel contratto individuale, e può articolarsi secondo tipologie già implicitamente ammesse dal legislatore del 1984:

orizzontale, in cui la riduzionedi orario è prevista in relazione all'orario normale giornaliero;

verticale, in cui l'attività lavorativa è svolta e tempo pieno, ma solo in predeterminati periodi nel corso della settimana, del mese o dell'anno;

misto, si sostanzia in una combinazione delle tipologie precedenti, il cui svolgimento deve essere utilizzato dai cntratti collettivi di riferimento che ne determinano altresì condizioni e modalità (art 1).

Regolarità, durata e volontarietà 434i81e nel part-time

Il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato in forma scritta, richiesta ad probationem, ed il datore ha l'obbligo di inviarne una copi alla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio, entro 30 giorni dalla sua stipulazione. La forma scritta non è condizione di validità del contratto, ma rileva unicamente ai fini di prova della sua sussistenza per comprovarne il contenuto, anche in funzione dell'adempimentodelle procedure amministrative.

Il mancato rispetto del requisito formale comporta che su "richiesta del lavoratore, potrà essere dichiarata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura è stata accertata".

In altre parole in Decreto lascia al lavoratore la possibilità di scegliere se conserare il rapportodi lavoro a tempo parziale o piuttosto richiederne la conversione in full time.

Per quanto riguarda i vincoli di contenuto, viene disposto che il contratto deve contenere "la puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno" (art 2). La soluzione adottata nel testo della riforma chiarisce la necessità di specificare la distribuzione dell'orario di lavoro, inteso sia come durata, sia come collocazione temporale, in tutti i periodi di riferimento, senza lasciare sussistere margini di incertezza in ordine alla sua interpretazione.

La necessaria predeterminaione in forma c.d. rigida del connotato temporale della prestazione lavorativa è posta a tutela della programmabilità dei tempi di lavoro e di vita del lavoratore a tempo parziale, in un'ottica di valorizzazione della sua dimensione individuale. Sulla base della sentenza 11 maggio 1992 n°210, il legislatore individua le sanzioni per la violazione dei prescritti vincoli di contenuto, disponendo esplicitamente che la mancata indicazione della durata o della collocazione temporale dell'orario non comporta la nullità del contratto (art 8). Le conseguenze sono differenziate a seconda dei casi: l'omissione della durata è sanzionata alla stregua della violazione del requisito formale, implicando la possibilità del lavoratore di richiedere che sia dichiarata la sussistenza di un rapporto a tempo pieno; l'omissione della collocazione temporale dell'orario comporta l'intervento del giudice, che provvederà a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione, sulla base di quanto previsto dai contratti collettivi di riferimento o, in via equitativa, tenendo conto delle esigenze del lavoratore e di quelle de datore di lavoro (art 8).

"Per il periodo antecedente la data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un'ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno".

In realtà, deve ritenersi che l'intervento del giudice sia necessario anche nelle ipotesi di: mancata indicazione della durata (qualora il lavoratore opti per la prosecuzione del rapporto del rapporto a tempo parziale); mancanza di prova in ordine alla stipulazione del contratto; "incompiuta descrizione da parte dei tasti delle modalità temporali di svolgimento delle prestazione", nel caso in cui sia stata provata per via testimoniale l'esistenza dell'atto scritto. 

Il contratto di lavoro part-time: forma e contenuto

Come già visto in precedenza, il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere concluso in forma scritta.

Il legislatore del 2000 ha però operato un superamento amministrativo, secondo cui la forma scritta era richiesta ad sustantiam, in quanto requisito di validità del contratto.

La nuova normativa ha dichiarato che la forma scritta del contratto è richiesta soltanto ai fini di prova e di conseguenza, ove essa manchi, è ammessa la prova testimoniale. L'eventuale mancanza o indeterminatezza circa la durata delle prestazioni cui è tenuto il lavoratore "non comporta la nullità del contratto".

Secondo il Ministero del lavoro "in un settore tradizionalmente dominato dal principio di libertà della forma e dell'autonomia delle parti, il legislatore ha voluto coerentemente stabilire la semplice forma del "documento" ossia del contratto, come strumento per raggiungere lo scopo che è quello di fissare in esso i contenuti del particolare rapporto di lavoro che lo stesso legislatore ha indicato e quindi di agevolarne l'accertamento in modo da evitare una utilizzazione non corretta dell'istituto. In definitiva la forma scritta è da considerare solo come requisito ai fini della prova, per cui oggi i contratti part-time stipulati senza l'adozione di tale forma, al pari di quelli risultanti da atto scritto, al regime giuridico stabilito per il part-time dal nuovo decreto". In difetto di prova, sia documentale che testimoniale, la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno e non a tempo parziale potrà essere accertato in giudizio su richiesta del lavoratore. Ulteriore novità, rispetto alla disciplina del 1984, riguarda l'obbligo della comunicazione annuale da parte del datore di lavoro, alle RSA sull'andamento delle assunzioni a tempo parziale, sulla tipologia (verticale, orizzontale, misto) e sul ricorso al lavoro supplementare. Rimane invece l'obbligo della comunicazione dell'assunzione del lavoratore a tempo parziale alla Direzione provinciale del lavoro entro il termine di 30 giorni.

Infine, il legislatore, col decreto del 2000, sembra aver ufficializzato la possibilità di cumulare più rapporti di lavoro a tempo parziale in capo allo stesso lavoratore subordinato. Infatti, ci si doveva chiedere se il cumulo di contratti part-time potesse concretizzarsi nel superamento dell'orario "normale" di lavoro. La dottrina e la giurisprudenza hanno ritenuto inammissibile tale ipotesi perché, sia pure in assenza di una sanzione circa il superamento dell'orario normale a seguito di più contratti a tempo parziale, il superamento del normale orario contrasta con la normativa italiana in merito all'orario di lavoro. Infatti, il legislatore tramite tale istituto, sin dal 1923, mira a tutelare la sicurezza, la libertà, la dignità e la salute del lavoratore quali diritti costituzionalmente garantiti. La possibilità di sommare più rapporti di lavoro a tempo parziale è, quindi, concessa solo a patto che non venga superato il predetto limite invalicabile dell'orario "normale" di lavoro.

Diritti e doveri del datore di lavoro e del lavoratore

Il lavoratore a tempo parziale ha gli stessi diritti e doveri nei riguardi del datore di lavoro di tutti i lavoratori subordinati. Ha inoltre il diritto, se previsto dal contratto individuale, di precedenza nel passaggio dal part-time a full-time rispetto alle nuove assunzioni a tempo pieno, avvenute nelle unità produttive site nello stesso ambito comunale e per le stesse mansioni o mansioni equivalenti. Il lavoratore a tempo pieno ha invece il diritto a essere informato, anche con comunicazione scritta accessibile a tutti, dell'intenzione di procedere ad assunzioni a tempo parziale per poter presentare domanda di trasformazione. Il lavoratore affetto da patologie oncologiche ha il diritto di trasformazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno quando il lavoratore lo richieda. Il datore di lavoro, oltre ai diritti e doveri tipici del rapporto di lavoro subordinato ha:

Il diritto a richiedere lavoro supplementare, straordinario e stipulare clausole flessibili ed elastiche secondo le modalità e nei limiti indicati dalla legge

Il dovere di informare le rappresentanze sindacali aziendali dell'andamento del ricorso al lavoro part-time

Il dovere di informare i lavoratori dell'intenzione di procedere a nuove assunzioni part-time e full-time e di trasformare il contratto ai lavoratori affetti da malattie oncologiche.

La disciplina del part-time

La disciplina del part-time nasce nei primi anni '80 perché si avvertiva la necessità di una regolamentazione legale del part-time quale forma atta a garantire una migliore utilizzazione della forza-lavoro e l'emersione di parte dei rapporti occultati nei fenomeni di lavoro nero.

In questa ottica, si inserivano gli accordi trilaterali del 1983 e del 1984 che erano proprio finalizzate alla salvaguardia ed all'incremento dell'occupazione.

Nel 1984, il Governo, procede all'emanazione di una serie di decreti-legge, più volte non approvati in Parlamento, fino al decreto-legge 726 del 30 ottobre 1984, recanti "misure urgenti a sostegno ed incremento dei livelli occupazionali" che, con alcune modifiche, diventa legge 19 dicembre 1984, n°863. L'obiettivo del provvedimento nel suo complesso "è quello di passare dalla tutela dei lavoratori nel mercato del lavoro, quindi anche dei disoccupati. La legge si rivela come un ampio compromesso tra le forze parlamentari e sindacali". Il legislatore ha cercato di superare le vecchie rigidità al fine di dare una risposta, da una parte, al problema riguardante il sostegno dell'occupazione, dall'altro alle difficoltà di accesso al lavoro dei giovani che si presentano sempre più numerosi sul mercato. La norma interviene su due piani: il primo è quello del sostegno alla riduzione degli orari di lavoro in azienda, contrattata con i sindacati maggiormente rappresentativi; il secondo, più pregnante, è quello della "flessibilizzazione" dei contenuti del contratto di lavoro, in particolare di quelli che scandiscono il "tempo" della prestazione.

Nel 2000 il legislatore, considerata la necessità di adeguamento della previdente normativa alle nuove esigenze del mondo del lavoro, nonché ai dettami delle norme comunitarie, ha profondamente spiegato l'intera disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale. Ne è derivato un nuovo ed organico quadro normativo che ha determinato l'implicita abrogazione dell'art 5 della legge 19 dicembre 1984, 863, normativa cardine dell'istituto in esame. Con il decreto legislativo 25 febbraio 2000, 61 l'Italia recepisce la Direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro, UNICE, CEEP, CES, riguardante il lavoro part-time. I punti fondamentali dell'accordo riguardano: "il rigoroso rispetto del principio di non discriminazione (art 4) nei confronti dei lavoratori a tempo parziale; il miglioramento della qualità del lavoro part-time; la volontarietà della scelta di questa tipologia di rapporto di lavoro". In sostanza si tenta di creare un bilanciamento tra esigenze aziendali e lavoratori che devono essere messi nella condizione di poter svolgere anche un'altra eventuale occupazione, di guardare ai bisogni familiari o ad altre attività extra-lavorative. La riforma, nel complesso, mira ad incrementare la diffusione del contratto di lavoro a tempo parziale e a migliorare la qualità, mediante una serie di disposizioni volte a coniugare le istanze di flessibilità delle imprese con adeguate garanzie e tutele per i lavoratori a tempo parziale.

La legge 14 febbraio 2003, 30 (cd. Legge Biagi) interviene nuovamente in materia di lavoro part-time con l'obiettivo primario di rafforzare le potenzialità di detto contratto di lavoro subordinato, sia a vantaggio del lavoratore che dell'impresa. L'art 3 della citata legge delega il Governo a modificare ed integrare la precedente normativa prevedendo, da un lato l'abrogazione di qualsiasi norma contrastante con l'applicazione del part-time, dall'altro il ricorso a tale modalità lavorativa anche da parte di settori che vi erano poco abituati, nonché una politica di favore per strumenti quali clausole elastiche e lavoro supplementare. Il decreto legislativo di attuazione della legge 30/2003 concretizza la delega nell'art 46 il quale corregge, abroga e sostituisce talune parti del decreto legislativo 25 febbraio 2000, 61 e successive modifiche ed integrazioni.

La legge n. 863 del 1984

Il lavoro a tempo parziale viene formalmente riconosciuto nell'ordinamento giuridico italiano con la legge 863/1984. la disciplina contenuta nell'art 5 di tale legge, che trova applicazione alla generalità del settore privato, con l'esplicita esclusione dei soli operai agricoli, cerca di adattare le diverse esigenze di flessibilità dei datori di lavoro e dei lavoratori e superare le diatribe sorte su numerosi aspetti applicativi, specie di natura previdenziale. L'autonomia collettiva ha a lungo ostacolato la diffusione dell'istituto, per poi rivedere la propria posizione e richiederne una disciplina promozionale. Questa componente ha fatto sì che il contratto si diffondesse in gran parte al di fuori della negoziazione collettiva, nell'ambito di pattuizioni individuali intercorse tra datori di lavoro e lavoratori. Il legislatore, quindi, detta una disciplina "speciale" per quegli aspetti che non rientrano nel concetto tradizionale di lavoro. Parte della dottrina anteriore alla legalizzazione del part-time riteneva peggiorativo delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori e potenzialmente lesivo dei loro diritti e delle loro garanzie. Nella configurazione del part-time, in realtà, la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa non costituisce profilo di deviazione rispetto al tipo ordinario. Il part-time è, piuttosto, un rapporto di lavoro subordinato 2° disciplina speciale": infatti, oltre ai profili esplicitamente ordinati dal legislatore, si applica la regolamentazione generale del lavoro subordinato, normalmente riproporzionata in relazione alla quantità di prestazione contrattata.

Il rapporto di lavoro a tempo parziale si configura come un normale rapporto di lavoro, salvo gli opportuni adeguamenti quantitativi conseguenti ad una minore durata oraria rispetto al "normale" rapporto full-time.

Ai sensi dell'art5, co. 1°:

i lavoratori che siano disponibili a svolgere attività ad orario inferiore rispetto a quello ordinario previsto dai contratti collettivi di lavoro o per periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno possono chiedere di essere iscritti in apposita lista di collocamento. L'iscrizione nella lista dei lavoratori a tempo parziale non è incompatibile con l'iscrizione nella lista ordinaria di collocamento. Il lavoratore che venga avviato ad un lavoro a tempo parziale può chiedere di mantenere l'iscrizione nella prima o nella seconda classe della lista ordinaria nonché nella lista dei lavoratori a tempo parziale

La disciplina normativa non contiene una definizione esplicita del lavoro a tempo parziale. La relativa nozione può essere desunta dalla disposizione contenuta nel 1°co, dell'art. 5: requisito necessario per la qualificazione del rapporto, oltre al fatto che la prestazione deve essere svolta ad orario inferiore rispetto a quello ordinario, è la disponibilità del lavoratore a svolgere un'attività ad orario e retribuzione ridotta, nel senso che il tempo parziale deve essere liberamente voluto dalle parti e non imposto da circostanze o dal datore. L'elemento volontaristico è rafforzato dall'obbligo di un vincolo formale e di alcuni contenuti predeterminati nel contratto individuale, quali elementi per la validità dello stesso. La ratio della legge 863 è quella di favorire l'occupazione adattandola alle specifiche esigenze produttivo-organizzative e a quelle dei singoli lavoratori. A tal fine, il legislatore introduce criteri quantitativi di durata minima della prestazione lavorativa a tempo parziale:

orizzontale, quando la prestazione viene eseguita tutti i giorni ad orario inferiore rispetto a quello normale;

verticale o ciclico, quando la prestazione è erogata ad orario completo, ma con periodi di riposo durante la settimana, il mese o l'anno, con la permanenza del vincolo obbligatorio anche nei periodi di sospensione dell'esecuzione del rapporto di lavoro;

biassiale o misto, che prevede una combinazione di entrambe le modalità.

Il contratto di lavoro a tempo parziale è, dunque, una tipologia negoziale in sé flessibile: i margini di tale flessibilità afferiscono al momento della stipulazione dello stesso, laddove datore e lavoratore possono accordarsi secondo i molteplici schemi indicati.

Il 2° co. Dell'art 5, prevede vincoli di forma, contenuto e comunicazione per il contratto individuale di lavoro a tempo parziale disponendo:

il contratto di lavoro a tempo parziale deve stipularsi per iscritto. In esso devono essere indicate le mansioni e la distribuzione d'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Copia del contratto deve essere inviata entro 30 giorni al competente Ispettorato provinciale del lavoro

La sua formulazione ha alimentato un ricco contenzioso in sede giudiziale: impone la forma scritta senza specificarne la natura, utilizza una nozione di distribuzione dell'orario che lascia indeterminate le clausole ammesse e vietate, detta requisiti, senza indicare le sanzioni in caso di inosservanza degli stessi. In virtù dei commi iniziali dell'art. 5, il lavoratore si obbliga circa il "quanto" e il "quale" tempo della prestazione lavorativa e sul tipo di attività da svolgere. È questo il cardine della normativa: rileva sia ai fini della programmabilità del tempo di non lavoro o di altra attività per il lavoratore, sia all'interesse dell'impresa di articolare ed adeguare l'orario di lavoro alle esigenze produttive. L'intreccio degli interessi coinvolti, ha indotto a ritenere che il datore non possa variare, unilateralmente, la distribuzione dell'orario indicata nel contratto. Le mansioni formalizzate per iscritto, invece, sono soggette allo jus variandi dell'imprenditore, potere comunque circoscritto dalle garanzie dettate dall'art. 2103 del cod. civ.

La giurisprudenza e parte della dottrina sono concordi nel ritenere la natura ad substantiam dell'atto scritto, quale requisito di validità del contratto individuale di lavoro.

Sul piano della ratio della previsione normativa, il requisito formale esprime una regola di certezza per le parti: per il lavoratore subordinato, al fine di evitare una eccessiva genericità dell'obbligazione lavorativa; per il datore, al fine di ridurre gli obblighi contributivi. L'adesione alla tesi di tale forma comporta, in caso di inosservanza, implicazioni drastiche: la nullità dell'intero contratto e la perdita del posto di lavoro. La sanzione per l'illecito, paradossalmente, si risolve a vantaggio della parte contro la quale era posta come vincolo. Per tutelare il lavoratore contro facili abusi, la giurisprudenza ha fatto ricorso ad una presunzione a favore dell'orario di lavoro a tempo pieno, in modo che contratto part-time nullo per vizio di forma continui ad esistere a tempo pieno. L'elaborazione giurisprudenziale, ha utilizzato differenti apparati tecnici e argomentativi, implicanti diverse conseguenze di carattere retributivo e contributivo per il periodo pregresso.

Da una parte, veniva individuata nella disposizione dell'art. 5 della legge 863/1984, una relazione tra una "regola generale" (l'orario ordinario) ed una "eccezione" (l'orario inferiore rispetto a quello ordinario o per periodi predeterminati), in virtù della quale doveva operare la disciplina normale: in questo caso, il ricorso alle regole generali implica la nullità solo parziale della clausola part-time e la sua sostituzione con l'orario pieno, che trova applicazione sin dall'origine, con il diritto del lavoratore al trattamento retributivo e contributivo integrale.

Contro tali incongruenze, parte della dottrina individuava la natura ad probationem del requisito formale.

La pronuncia leading case, n°8169 del 1990, escludendo la conversione automatica del contratto, enuncia due diversi principi: ricalcando la disciplina civilistica, la Suprema Corte reputa che la mancanza di forma scritta determini la nullità dell'intero contratto, con la sola salvezza dei trattamenti dovuti per le prestazioni rese di fatto, e che, pertanto, lo stesso non produca effetti per il futuro.

Il decreto legislativo n. 61 del 2000

Come enunciato in precedenza, nel 2000 il legislatore ha profondamente novellato la disciplina del part-time. Infatti, con la direttiva97/81/CE, che ha reso efficace l'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro pubblici e privati, a questa tipologia di impiego viene attribuito un ruolo fondamentale nel quadro della strategia europea per l'occupazione, perché ritenuta in grado di soddisfare le contrapposte esigenze dei lavoratori e dei datori di lavoro. La volontà delle parti sociali è quella di definire un quadro generale per l'eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di contribuire allo sviluppo di tale tipologia su basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro, sia per i lavoratori. La Direttiva intende evitare che il soddisfacimento delle esigenze di flessibilità delle imprese abbia ricadute peggiorative sulla condizione dei lavoratori riteneva comunque necessaria l'adozione di una normativa per l'incentivazione del lavoro a tempo parziale, basata sul principio della volontarietà nella scelta di tale tipologia di impiego, quale condizione fondamentale per la sua diffusione. A livello comunitario si intende promuovere lo sviluppo del part-time volontario, quale misura atta a soddisfare le esigenze dei lavoratori mediante un'organizzazione del lavoro più flessibile, che "risponda tanto agli auspici dei lavoratori quanto all'esigenza della concorrenza

Il legislatore comunitario detta "principi generali e prescrizioni minime" in materia di part-time, con una tecnica generica ed ampia, in modo da adattarsi ai diversi ordinamenti nazionali. L'obiettivo perseguito è duplice:

assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei part-timers e migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale;

facilitare lo sviluppo dell'istituto su base volontaria e contribuire all'organizzazione flessibile dell'orario di lavoro, in modo da tener conto delle esigenze dei datori e dei lavoratori.

Il primo punto riguarda un generale divieto di discriminazione tra lavoro a tempo parziale e lavoratore a tempo pieno. Pertanto viene imposto l'obbligo in capo ai datori di lavoro di facilitare l'accesso a tutti i livelli dell'impresa, anche in riferimento alle posizioni qualificate e con responsabilità direzionali e ad adottare misure finalizzate a facilitare l'accesso ai part-timers alla formazione professionale per favorire le loro carriere.

Il secondo punto, invece, riguardano le disposizioni relative al perseguimento della promozione del part-time. Infatti viene imposto di rimuovere gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare lo sviluppo del part-time. Viene, quindi, sancito il principio per cui il rifiuto del lavoratore di convertire il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non costituisce motivo valido di licenziamento e vengono, inoltre, istituiti in capo al datore di lavoro una serie di obblighi quali, ad esempio, la diffusione di informazioni circa i posti a tempo pieno e a tempo parziale disponibili.

L'importanza della direttiva comunitaria è stata di primissimo rilievo per il nostro ordinamento: da un lato, ha costituito il fulcro della dichiarazioni di inammissibilità del referendum abrogativo dell'art. 5 della legge n°863/1984; dall'altro è stata il presupposto per l'approvazione della legge comunitaria 5 febbraio 1999 n°25,con cui il Governo è stato delegato di recepire la normativa comunitaria. In attuazione di tale delega è stato emanato il D.LGS 25 Febbraio 2000 n°61 che ha dettato la nuova disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale in Italia. Con tale intervento, il legislatore delegatola riformato in modo organico la materia, alla luce dei difetti della vecchia normativa e dei molteplici dubbi interpretativi e problemi applicativi da essa originati, dettando diritti e obblighi delle parti, e prevedendo uno specifico apparato sanzionatorio in caso di violazione dei requisiti richiesti. La riforma mitra ad incrementare la diffusione del contratto di lavoro a tempo parziale e a migliorarne la qualità, grazie ad una serie di disposizioni volte a coniugare flessibilità delle imprese con le tutele per i lavoratori a tempo parziale. L'intero impianto normativo va valutato alla luce del "principio di non discriminazione" che garantisce ai lavoratori a tempo parziale gli stessi diritti dei lavoratori a tempo pieno comparabili, ovvero di quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri stabiliti dai contratti collettivi di riferimento. Il decreto, inoltre, detta la regola generale per cui il trattamento normativo è quello spettante ai lavoratori a tempo pieno, mentre quello economico è suscettibile di riproporzionamento in relazione alla ridotta durata della prestazione lavorativa. Nell'ottica promozionale del decreto "l'affermazione del principio di parità appena orientata a restituire dignità all'impiego a tempo parziale rispetto a quello a tempo pieno, eliminando ogni possibile penalizzazione dei lavoratori a tempo parziale". Allo stesso scopo, il legislatore delegato garantisce all'autonomia individuale la volontarietà nella gestione del proprio impegno lavorativo e valorizza l'autonomia collettiva nella regolamentazione della materia, mentre ai contratti collettivi devolve funzioni normative su numerosi aspetti della disciplina, soprattutto con riguardo a quelli più innovativi, laddove l'effettiva applicazione del contratto da parte del datore di lavoro si fa condizione imprescindibile per l'utilizzazione dei nuovi strumenti di flessibilità.

La legge n. 30 del 14 febbraio 2003 ed il d. lgs. n. 276 del 10 settembre 2003: rinvio

I principi ed i criteri direttivi sono stati ripresi ed ampiamente sviluppati nel D.LGS 10 settembre 2003 n°276, intitolato, appunto, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n°30. Il decreto del 2000, così modificato nel 2001, rimane il testo base: si è infatti preferito agire per sovrapposizione, apportando modifiche e correttivi parziali al testo normativo antecedente. La scelta è da ricondurre alla volontà del legislatore di portare a compimento il processo di evoluzione legislativa della fattispecie.


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