Ho dormito l'ultima notte
nella casa di mio padre
al quartiere proletario.
La guerra, aborto d'uomini
dementi, è passata sulla
mia casa di
Il cuore ha le sue distruzioni
come le macerie di spettri,
eppure il cuore ancora grida,
geme, dispera, ma vive
come la madonna di Raffaello
salvata tra i sassi della mia casa
e un paio di calzoni grigioverdi.
3 aprile 1945
a Renzo Vespignani
È questo il ponte che conduce all'isola
dei prati dove muore la città
d'uomini vivi, dove vive il campo
santo dei morti tra convogli radi
al fischio delle fabbriche.
A notte i morti crescono coi tufi
che ardono alla luna.
È questo il ponte che conduce all'isola
dei morti dove vive la pietà
degli uomini che vegliano nel grigio
di queste loro case in miniatura
sepolte dentro gli orti.
A notte i treni passano sui morti
che ridono alla luna.
29 gennaio 1946
Anche gli alberi un tempo erano croci.
Appesi ai rami d'ombra agonizzavano
i miei fratelli, il sole dentro gli occhi.
Perduta era dell'anima l'effigie
umana, sconosciuta ogni parola
d'amore era tra i simili, scomparso
tutto dell'uomo il seme e la misura.
Tutto passò in delirio: la memoria,
torbido lago ove affluisce il cuore,
sarà specchio d'immagini e di nomi.
Torno a scoprire i morti ad uno ad uno,
incustodite ceneri, a ridire
il nome dei compagni come in una
segreta antologia.
21 gennaio 1948
Figlio, tu non farai certo il poeta
denigrato mestiere, bene raro
che in sé racchiude una perla segreta:
moneta antica dal valore amaro.
Il tuo malfermo passo ad altre mura
io guiderò, ma se la mala pianta
dentro il tuo cuore rinverdisse, oh, quanta
radice estirperei. Altra natura,
figlio, ti fiorirà nel sangue e nuova
vita t'allieterà i futuri anni
che s'aprono al tuo sguardo, altra ventura
avrai, diversa sorte,
lontano dagli affanni
dell'inconsulta vita che dà morte.
Tu non conoscerai la zona dove
si giuoca l'amicizia ai tristi dadi.
Se un giorno passerai in mezzo ai radi
poeti, a te il ricordo non sovvenga
del paterno sgomento.
E rifuggir dovrai
le mura, il ponte e il vasto casamento
e la corrotta aria dei quartieri
che accolsero il mio cuore un tempo (ieri)
così remoto che non fa memoria.
Né tu conoscerai le amene dispute
e i disinganni e i falsi ingegni e i queruli
lamenti, né l'incorrisposto affetto;
né familiari ti saranno i nomi,
o figlio mio felice
ad altre rive vòlto,
degli sconvolti amici di tuo padre
pronti alla guerra ed alla insofferenza
per una voce che raggela l'eco
della loro incantata maldicenza.
maggio 1956
Quali paesi mai alla tua luce
offrire? Quali nomi delle antiche
favole a te? Non ne conservo alcuno
dell'infanzia, incantato millennio,
nell'incauto tempo che assottiglia
la grama fantasia, sepolto.
Mari d'eventi l'isola sommerse
ove ancorata l'anima attendeva
nella rada speranza ad echi umani...
Oh, mitica memoria che riemerge
dall'infuocato cielo, dalla terra
contrita, dal marino sepolcro,
umile foglia nell'incerta mano
del fanciullo che ignaro passo muove
tra scheletriti mostri,
è già ventura e grazia, intatta forma,
alle favole nuove, a te che andrai
nel mare del tuo vivere a spiegate
vele, col radar nell'aperta mente.
23 aprile 1957
Mutato ponte e più mutate cose
dell'inesausto vivere
negli afoni mattini. Si fa monte
il ricordo degli anni quando ancora
intatta era l'immagine dei pini
densi di fumo e l'isola
di verde m'accoglieva
ogni giorno al passaggio contemplato
dei treni amici e delle amiche grida.
Oggi mutata è pure la mia vita
e i desideri, e il senso
delle parole s'è trasfigurato:
tanta merce è passata e tanto fiato...
Solo intatto mi resta
l'intramontato innesto (amore? odio?)
per il mio Portonaccio fatto mesto
e ilare, sconvolto e avvolto a un tempo
da memoria che rende l'ora desta.
ottobre 1957
Paesaggio no: carattere del tempo.
Dissodare il mezzogiorno dell'uomo
coi suoi problemi:
soluzione indicazione calcolo
La risposta è nel verbo mordeo mordes
momordi morsum fino all'osso mórdere,
l'idillio è già all'ergastolo...
distinguo
piccola differenza
tra massa ed individuo:
la prima forse riesci a manovrarla
ma l'individuo lo devi convincere;
perciò il colore dominante è il verde
dell'ironia scoperta
(sapessi il resto come so a memoria
le torbide coscienze, specchio scuro
di chi rispetta il più e non il meglio)
ma occhio ai fatti e alla loro origine
da filologi non solleticando...
se prendessimo il tempo per il collo
scopriremmo l'intera verità
di questi anni rimasti dentro il mollo
delle parole dette per metà:
mezza democrazia mezzo coraggio
artifici finzioni
come nel gioco delle «tre cartine»:
manovrano sul trespolo le impure
mani di chi sovrasta...
Ai falsi poveri: a chi fa memoria
forse la sola stagione di miseria e la tengono
in mostra come gloria della loro poetica materia,
ma non fu povertà vera ch'è maceria di silenzi.
La povertà che mai se e va in feria
e dura quanto il fiato, non s'ingloria...
Oh, mente,
lucida oltranza
che non avrà più ostacolo
se non la propria perturbata fine
giunta che sia la morte (tardo oracolo)
degli anni all'ineffabile confine.
Ma la meschina fissità del numero
- improba cavia dell'intelligenza -
fosca non ti renda, mente:
il numero senz'anima ti acceca.
novembre 1960 - gennaio 1962
inviando a Zanzotto
alcuni «Sonetti del carattere»
Zanzotto, d'altra specie è quel tuo cielo
non corrotto da preci e fatto mitico
da pregi in trascendenza. Tu che abiuri
dalle consuete lettere, viva monade,
sai l'inallettevole paesaggio
della mente, anelante vendemmia.
Solìgo, finestra sul tuo orto
indiscusso, la pieve, ecloga (vita
silenziosa), la 2, la tua migliore
sorte che a foglie inverdirà di quercia
resistente sull'orlo.
Andrea,
diamo nomi agli anonimi concetti,
diamo corrente ai fili...
luglio 1962
Porta Ninfina è la piazzuola amica
dei miei prim'anni. Anche la mia d infanzia
giace lassù, stagione inesplorata
che dall'esilio urbano scorgo a stento
tra le dita del tempo, fitta rete
di emersi eventi e di sommersa gente:
radici, tronchi, rami, fiori, frutti,
pasto alla morte, ed io tra loro, foglia.
Se non mi fossi allontanato tanto
da quel bene che altrove invano cerco...
Certa ed incerta è l'anima, palese
e occulta la ragione che sommuove
le cose umane, ed ogni direzione
sconvolta appare. La varia stagione
non segue più una ritmica misura.
S'avanza a stento dentro l'anno, oscura
preda all'ignoto e dell'ignoto meta.
Su Sarrocco di fango e pietra
- fiume d'una storia comune - si riflettono
stalle, colli, ruderi di chiese popolari.
Questa strada mulattiera, carraia,
mi rispecchia come pupilla immagine...
Se sali la scorgi umida, umile dal monte.
L'alto col basso si confondono,
hanno dimensioni illusorie,
relative.
Dopo il Serrone
la pianura slarga nella plaga pontina:
Doganella, Ninfa, Latina...
Allora ecco riemergere
quello che prima al fondo ti appariva:
Porta Ninfina.
Il relativo è un limite
che dentro ti trascini:
valle vertice
Ovest Est
... ...
Solo resiste al tempo ieri-domani
la misura antica della saggezza,
un arco
come il Ponte della Catena
dove scorrono scorie di secoli,
acqua, vena dei Lepìni.
Cori, 1960-1962
Se un giorno guardaste dalla parte di qua
sotto il parallelo tracciato dall'indifferenza
dei cento governi che si sono susseguiti
come ciliege che una tira l'altra;
se un giorno le ciliege la piantassero
di tirarsi l'una dietro l'altra
e il vento portasse un governo d'altra natura
che non traccia paralleli con indifferenza;
se un giorno decidessimo di cambiare alfabeto
e numeri, invertendo l'ordine di andata,
allora non venite a dirci che sobilliamo le regole:
noi al di qua parliamo un'altra lingua.
22 dicembre 1968
Vivere è una trappola
che racchiude una scorza di formaggio:
un'annusata, il tempo di vederla...
Che altro vuoi da me, Disperazione?
Hai colpito nel segno, Crudeltà.
Hai colmato il bicchiere, Solitudine.
Mi stai nutrendo, Ira.
Sono tuo pasto, Follia.
Mi avvolgi nel tuo manto, Bestemmia.
Integralmente mi percorri, Orrore.
Abiterò in te, Vuoto.
Mi hai piegato, Nulla...
Sei finalmente appagata, Negazione?
Sarò sempre tuo ospite, Tenebra?
Mai più risalirò da questo Abisso?
... Padre nostro,
non so dove tu sia:
ti chiedo solo un grammo di speranza...
... Sei diventato suono, fumo, nuvola,
aria, colore, linea, onda, fiato,
gesto, parola: tu sei il nostro battito.
31 dicembre 1973
Vorrei essere insensibile
come un oggetto,
una cosa scartata dal destino.
A passo d'uomo
ho ripercorso l'ultima tua strada
per ritrovare l'ombra d'un tuo gesto.
Eri tanto, eri tutto:
l'universo si rifletteva in te;
ora non sei che evanescenza: nulla.
Tua madre ha fatto il bucato
con le lenzuola dove dormisti
l'ultima notte: portano il tuo fiato.
Hai compiuto con noi un breve tratto,
ora osserviamo il vuoto che hai lasciato,
occupato soltanto dal ricordo.
Oggi che hai vent'anni
ti ricreiamo con la fantasia
nel luogo che conserva la tua voce.
Mi metto le tue scarpe, i tuoi calzini,
ricammino con te,
ma non so chi dei due sia la guida.
Lavinio, 6 luglio 1975
Dove vanno i segmenti, dove approdano
i tratti d'esistenza, quale «linea»
li calamita e forse ricongiunge?
L'involucro si sa come finisca,
ma il pensiero, il dolore, la memoria,
la fantasia, la parola, il segno?
La ragione - null'altro - mi consegna
un'unica risposta: l'universo
è continua presenza che ci assorbe.
Mistero, enigma, dubbio sono strati
negativi dell'essere, appartengono
al limite che noi chiamiamo vita.
Termina il tratto di segmento, il numero
dei giorni che l'involucro racchiude:
è il Tempo senza cifre l'infinito?
15 agosto 1975
Non riesco ad abituarmi
a non vederti più, a non sentirti:
è forse la condanna per chi resta?
Se avessi potuto raccogliere
nel cavo della mano la tua voce,
avrei almeno un'eco del respiro.
La tua aurora ancora scrive: è il fiato
d'una parola che rimane, il segno
della tua presenza indecifrabile.
Oggi due moto per le vie di Roma
(la stessa marca, stessa cilindrata):
ho chiamato, ma hanno accelerato.
Se ripercorro quella litoranea
o sollevo la sabbia di Lavinio,
tra le dita riaffiora il tuo profilo.
La filigrana del viso
torna a emergere dal vuoto,
come a un'estrema lente di follia...
2 settembre 1975
Se potessi portarti
qualche cosa di quello che hai lasciato
di qua... fammi sapere che desìderi.
Beato chi non sa, chi non ricorda:
la memoria è da uccidere, non l'uomo.
Altro che un dono, la memoria è un peso.
Però se mi mancasse pure lei,
oltre che te, mi resterebbe il nulla:
la condanna sarebbe più straziante.
Le tue cose, gli oggetti col tuo nome
sono tappe del vivere
che ci danno l'impronta dei tuoi passi.
25 dicembre 1975
Le pareti di casa
sono come le pagine
d'un libro aperto
fessure e macchie
sono date e nomi
che incrinano le vene
non sappiamo che il minimo
appena l'indispensabile
del tanto che esiste
non vediamo che il contorno
delle cose nel raggio
breve degli occhi
non possediamo che il cartoccio
degli oggetti di sussistenza
chiamata proprietà
ma se aggiungi un altro giorno
alla somma puoi dire
che sai e vedi ed hai più del superfluo.
10 maggio 1978
. era lui, che dubbio hai?
era Joyce per le strade di Dublino
al pub con l'irish-coffee da bere in coppa
o in quell'altro pub con la guinnes
scura davanti agli occhi
smaltata con quattro centimetri di biacca
panna schiumosa
due panne schiumose
tre panne, quante pinte
sullo stomaco di prima mattina...
Anche il Liffey è ricolmo di biacca
che scorre lenta nel grasso canale,
il sole strafottente è di marca nazionale,
sempre un po' su di giri
la gente di Dublino
con doppia scrittura
e lui gaelico sui manifesti
«torna indietro...»
la torre sul mare di scogli
tra i gabbiani di Dalkey
che sanno di verderame,
da qui comincia la cara e sporca città
con musica da camera in versi
per mischiarsi alla folla irrequieta
con lo schiamazzo facile
e l'ombra di Ulisse che annotta...
Dublino, novembre 1974
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