Tanto tempo fa c'erano pochissimi idioti nel mondo
rispetto a oggi. Quando se ne trovava uno da qualche parte, subito era cacciato
via dal villaggio. Oggi, invece, bisognerebbe cacciare via la metà del
villaggio e ancora ciò non basterebbe. Ma come si spiega che ci sono in giro
tanti idioti? Ecco come sono andate le cose... Un giorno tre idioti che erano
stati cacciati via da un villaggio per colpa dei loro pettegolezzi, si
ritrovarono ad un crocevia e dissero:
«Forse arriveremo a qualche cosa di utile se riuniremo l'intelligenza di tre
teste stupide». E proseguirono il loro cammino insieme: dopo un certo tempo,
arrivarono davanti a una capanna dalla quale uscì un vecchio uomo che disse
loro:
«Dove andate?».
Gli idioti alzarono le spalle e risposero:
«Dove ci porteranno le nostre gambe. Ci hanno cacciato via dal nostro villaggio
per le nostre imbecillità».
Il vecchio rispose: «Allora entrate. Vi metterò alla prova».
Questo vecchio aveva tre figlie anche loro imbecilli e si dimostrò comprensivo.
L'indomani, chiese al primo idiota: «Tu, vai alla pesca!» E al secondo:
«Vai nel bosco e porta un masso legato con treccine
di corde!»
Poi al terzo:
«E tu portami delle noci di cocco!»
Gli idioti presero un recipiente ciascuno, un'ascia e un bastone e si misero in
strada. Il primo si fermò vicino al mare e si mise a pescare. Quando il suo
recipiente fu pieno, ebbe di colpo sete; ributtò tutto il pesce in acqua e tornò
a casa a bere.
Il vecchio gli domandò: «Dove sono i pesci?».
Egli rispose: «Li ho rimessi nell'acqua. Mi ha preso la sete e sono ritornato
veloce a cas 21221c213v a per bere.
Il vecchio si arrabbiò: «E non potevi bere al mare?» gli chiese.
L'idiota rispose: «Non ci ho pensato&...»
Durante questo tempo, il secondo idiota che era stato nel bosco, ma si
preparava a ritornare a casa; si era reso conto che non aveva corda per legare
i massi. Correva a casa appunto per cercarne una. Il vecchio si arrabbiò di
nuovo: «Perché non hai legato il tuo masso con una delle corde?». Egli rispose:
«Non ci ho pensato...». Il terzo idiota montò sulla palma da cocco, mostrò alle
noci di cocco il suo bastone e disse: «Tu devi buttare a terra queste noci di
cocco, hai capito?»
Scese e cominciò a lanciare il bastone sul cocco. Ma non fece cadere nessuna
noce. Anche lui ritornò a casa a mani vuote.
E una volta ancora il vecchio si arrabbiò: «Poiché tu eri sul cocco, perché non
hai colto il frutto con le mani?».
Egli rispose: «Non ci ho pensato...». Il vecchio seppe che non avrebbe
combinato niente di buono con quei tre scemi.
Gli diede in moglie le sue tre figlie e li cacciò via tutti quanti.
Gli idioti e le loro mogli costruirono una capanna e vi vissero bene e male.
Ebbero figli tanto stupidi quanto erano loro, le capanne si moltiplicarono e
gli idioti si
disseminarono in tutto il mondo.
Fiaba africana, una favola e racconto Senegalese, del Senegal.
Narra una leggenda africana che, all'origine del mondo,
l'elefante aveva la statura degli altri animali, nonostante ciò era il più
prepotente, voleva comandare su tutti ed essere servito e riverito come un re.
Gli abitanti della savana, stanchi delle sue prepotenze, si riunirono di
nascosto in assemblea e dissero:
- Non vogliamo più sopportare le angherie dell'elefante, tutti noi viviamo nel
terrore, ogni protesta e ogni ragionamento non sono serviti a niente. E' ora
che facciamo qualcosa per fargli capire le nostre ragioni.
Discussero a lungo fino a che, di comune accordo, decisero di dargli una sonora
lezione.
Invitarono il prepotente in un'ampia radura dove gli avevano apprestato un
ricco banchetto per abbonirlo e per tenerlo occupato. L'elefante aveva
accettato ben volentieri, tutto contento di essere così ossequiato; mentre era
assorto a gustare il pranzo, gli animali lo circondarono e cominciarono a
dargli tante botte con le zampe e con le corna sino a gonfiarlo tutto, da capo
a piedi!
Il malcapitato, alquanto malconcio, andò a tuffarsi nel vicino fiume per dare
refrigerio alle tante ferite che aveva sul corpo. Gli ci vollero parecchi
giorni per guarire e, quando i dolori furono passati e le piaghe rimarginate,
l'elefante, specchiandosi nell'acqua del fiume, vide che il suo corpo era
rimasto tutto gonfio, enorme, pesante! Soltanto le orecchie erano rimaste come
prima e certamente non facevano bella figura in quel suo grande testone!
Era diventato il più grande animale della savana, ma il suo potere era finito! Ora
non avrebbe più potuto comandare nemmeno sugli animali più piccoli perché la
sua grande mole avrebbe ricordato a tutti la lezione avuta nella radura.
E fu così che l'elefante, da quel giorno, prese a camminare con le orecchie abbassate.
per la vergogna.
Fiaba africana
Ai limiti di una grande foresta, in Africa, viveva tra gli altri animali una giraffa bellissima, agile e snella, più alta di qualunque altra. Sapendo di essere ammirata non solo dalle sue compagne ma da tutti gli animali era diventata superba e non aveva più rispetto per nessuno, né dava aiuto a chi glielo chiedeva. Anzi se ne andava in giro tutto il santo giorno per mostrare la sua bellezza agli uni e agli altri dicendo: - Guardatemi, io sono la più bella. - Gli altri animali, stufi di udire le sue vanterie, la prendevano in giro, ma la giraffa vanitosa era troppo occupata a rimirarsi per dar loro retta. Un giorno la scimmia decise di darle una lezione. Si mise a blandirla con parole che accarezzavano le orecchie della giraffa: - Ma come sei bella! Ma come sei alta! La tua testa arriva dove nessuno altro animale può giungere... - E così dicendo, la condusse verso la palma della foresta. Quando furono giunti là, la scimmia chiese alla giraffa di prendere i datteri che stavano in alto e che erano i più dolci. lì suo collo era lunghissimo, ma per quanto si sforzasse di allungarlo ancor di più, non riusciva a raggiungere il frutto. Allora la scimmia, con un balzo, saltò sul dorso della giraffa, poi sul collo e finalmente si issò sulla sua testa riuscendo ad afferrare il frutto desiderato. Una volta tornata a terra, la scimmia disse alla giraffa: - Vedi, cara mia, sei la più alta, la più bella, però non puoi vivere senza gli altri, non puoi fare a meno degli altri animali. La giraffa imparò la lezione e da quel giorno cominciò a collaborare con gli altri animali e a rispettarli.
Fiaba africana
Favola Prova d'amore
Fiabe e favole africane per bambini.
Il racconto etnico africano: Prova d'amore
C'era una volta un re che aveva una figlia ammirata da tutti per la sua
bellezza e bontà.
Molti venivano a offrirle gioielli, stoffe preziose, noci di kola, sperando d'averla come sposa. Ma la giovane non
sapeva decidersi.
- A chi mi concederai? - chiese a suo padre.
- Non so - disse il padre - Lascio scegliere a te: sono sicuro che tu,
giudiziosa come sei, farai la scelta migliore.
- Facciamo così - propose la giovane - Tu fai sapere che sono stata morsa da un
serpente velenoso e sono morta. I membri della famiglia reale prenderanno il
lutto. Suoneranno i tam-tam dei funerali e cominceranno le danze funebri.
Vedremo cosa succederà.Il re, sorpreso e un po'
controvoglia, accettò. La triste notizia si diffuse come un fulmine. Nei
villaggi fu un gran parlare sommesso, spari di fucile rintronavano in segno di
dolore, mentre le donne anziane, alla porta della stanza mortuaria, sgranavano
le loro tristi melopee. Ed ecco arrivare anche i pretendenti della principessa.
Si presentarono al re e pretesero la restituzione dei beni donati.
- Giacché tua figlia è morta, rendimi i miei gioielli, le stoffe preziose, le
noci di kola.
Il re accontentò tutti, nauseato da un simile comportamento. Capì allora quanto
sua figlia fosse prudente.
Per ultimo si presentò un giovanotto, povero, come appariva dagli abiti dimessi
che indossava. Con le lacrime agli occhi egli disse:
- O re, ho sentito la dolorosa notizia e non so come rassegnarmi. Porto queste
stoffe per colei che tanto amavo segretamente. Non mi ritenevo degno di lei.
Desidero che anche nella tomba lei sia sempre la più bella di tutte. Metti
accanto a lei anche queste noci di kola perché le
diano forza nel grande viaggio. Il re fu commosso fino al profondo del cuore.
Si presentò alla folla, fece tacere ogni clamore e annunciò a gran voce:
- Vi do una grande notizia: mia figlia non è morta. Ha voluto mettere alla
prova l'amore dei suoi pretendenti. Ora so chi ama davvero e profondamente mia
figlia. E' questo giovane! E' povero ma sincero.
Dopo qualche tempo si celebrarono le nozze con la più bella festa mai vista a
memoria d'uomo.
I vecchi pretendenti non c'erano e non si fecero più vedere.
Fiaba africana, una favola e racconto dell'Africa.
Dopo una lunga e coraggiosa vita, un valoroso samurai
giunse nell'aldilà e fu destinato al paradiso.
Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche
all'inferno.
Un angelo lo accontentò.
Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con
piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i
commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti,
pallidi, lividi e scheletriti da far pietà.
"Com'è possibile?" chiese il samurai alla sua guida.
"Con tutto quel ben di Dio davanti!"
"Ci sono posate per mangiare, solo che sono lunghe più di un metro e
devono essere rigorosamente impugnate all'estremità. Solo così possono portarsi
il cibo alla bocca"
Il coraggioso samurai rabbrividì.
Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero,
non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto ai denti.
Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa. Il paradiso era un salone assolutamente identico
all'inferno!
Dentro l'immenso salone c'era un'infinita tavolata di gente seduta davanti ad
un'identica sfilata di piatti deliziosi.
Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di
un metro, da impugnare all'estremità per portarsi il cibo alla bocca.
C'era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben
pasciuta, sprizzante di gioia.
"Ma com'è possibile?", chiese stupito il coraggioso samurai.
L'angelo sorrise:
"All'inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria
bocca, perché così si sono sempre comportati nella loro vita. Qui al contrario,
ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il
proprio vicino".
Paradiso e inferno sono nelle tue mani.
Oggi.
(Fiaba cinese)
(Fiaba e racconto e leggenda cinese)
Molto tempo fa, in un piccolo villaggio, viveva un leone.
Disturbava continuamente la gente del villaggio e uccideva chiunque passasse
vicino alla sua capanna.
Il re del villaggio allora indisse una riunione straordinaria. In essa tutti i
cacciatori del villaggio decisero di andare in cerca del leone e di ucciderlo.
Costruirono anzitutto una capanna molto resistente, dove potessero rinchiudere
il leone prima di ucciderlo. I cacciatori riuscirono poi a catturare il leone e
lo rinchiusero nella capanna in attesa di punirlo senza pietà.
Il giorno dopo, un uomo stava passando vicino alla capanna: il leone lo
supplicò di aprire la capanna e di farlo uscire. L'uomo all'inizio resistette,
ma poi cedette alla continua implorazione del leone e aprì la capanna. Appena
il leone usci fuori si avventò sul'uomo cercando di
ucciderlo. Questi pregò il leone di risparmiarlo, ma inutilmente.
La gente che passava di là informò il villaggio di quello che stava succedendo.
L'uomo e il leone raccontarono la loro versione dei fatti. Molti patrocinavano
la morte dell'uomo, molti altri imploravano clemenza.
Passava di là un lupo, che viveva nelle vicinanze del villaggio, e si fermò ad
ascoltare la controversia. Chiese poi le diverse argomentazioni. L'uomo
raccontò al lupo che il leone nella capanna stava soffrendo: lo aveva
supplicato di aprire la capanna per poter uscire. Così aveva fatto, ma il leone
dopo essere uscito aveva cercato di ucciderlo. Il lupo ascoltò molto
attentamente il racconto dell'uomo.
Il lupo, animale molto saggio e intelligente, disse che non gli erano chiari i
termini della controversia, per cui proponeva una dimostrazione. Consigliò di
tornare alla capanna per verificare sul posto l'accaduto.
Allora l'uomo tornò alla capanna, aprì la porta e il leone vi entrò; il lupo
chiese di riportare la porta nella posizione originaria. L'uomo e il leone
dissero che era chiusa ermeticamente: l'uomo allora chiuse la porta con il
lucchetto, cosi ché il leone non potesse uscire. Il lupo parlò al leone e gli disse:
«Sei un ingrato: una persona ti ha aiutato a uscire dalla capanna e tu volevi
ucciderla. Perciò tu rimarrai nella capanna e vi morirai, mentre l'uomo andrà
via libero.»
L'uomo potè andarsene, mentre il leone rimase dentro
la capanna a soffrire.
Fiaba africana, una favola dell'Africa.
Tanto tempo fa,
- Va' e annuncia agli uomini che come io muoio e nasco di nuovo, anch'essi
moriranno e rinasceranno. Purtroppo la lepre, nel riferire alla gente il
messaggio della luna, fece una gran confusione. E infatti disse: - Come io
muoio e non torno un'altra volta in vita, anche voi morirete e non rinascerete
più. Quando la lepre fu di ritorno,
- Ho detto così: come io muoio e non torno un'altra volta in vita, anche voi
morirete e non rinascerete più.
- Ma perché hai detto una cosa simile? - gridò
E gli uomini, da quel tempo, muoiono e non rinascono.
(Sud Africa)
Fiaba africana, Sud Africa
Il cavallo e il fiume.
Fiabe cinesi e orientali. Le fiabe e favole per bambini, genitori e adulti.
Il cavallo e il fiume (una favola cinese, della Cina)
Un cavallino viveva nella stalla con la madre e non era mai uscito di casa,
né si era mai allontanato dal suo fianco protettivo.
Un giorno la madre gli disse: "E' ora che tu esca e che impari a fare
piccole commissioni per me. Porta questo sacchetto di grano al mulino!"
Con il sacco sulla groppa, contento di rendersi utile, il puledro si mise a
galoppare verso il mulino.
Ma dopo un po' incontrò sul suo cammino un fiume gonfio d'acqua che fluiva
gorgogliando.
"Che cosa devo fare? Potrò attraversare?"
Si fermò incerto sulla riva.
Non sapeva a chi chiedere consiglio.
Si guardò intorno e vide un vecchio bue che brucava lì accanto. Il cavallino si
avvicinò e gli chiese:
"Zio, posso attraversare il fiume?"
"Certo, l'acqua non è profonda, mi arriva appena a ginocchio, vai
tranquillo".
Il cavallino si mise a galoppare verso il fiume, ma quando stava proprio sulla
riva in procinto di attraversare, uno scoiattolo gli si avvicinò saltellando e
gli disse tutto agitato: "Non passare, non passare! È pericoloso, rischi
di annegare!"
"Ma il fiume è così profondo?" Chiese il cavallino confuso.
"Certo, un amico ieri è annegato" raccontò lo scoiattolo con voce
mesta.
Il cavallino non sapeva più a chi credere e decise di tornare a casa per
chiedere consiglio alla madre.
"Sono tornato perché l'acqua è molto profonda" disse imbarazzato
"non posso attraversare il fiume".
"Sei sicuro? Io penso invece che l'acqua sia poco profonda"replicò la
madre.
"E' quello che mi ha detto il vecchio bue, ma lo scoiattolo insiste nel
dire che il fiume è pericoloso e che ieri è annegato un suo amico".
"Allora l'acqua è profonda o poco profonda? Prova a pensarci con la tua
testa".
"Veramente non ci ho pensato".
"Figlio mio, non devi ascoltare i consigli senza riflettere con la tua
testa. Puoi arrivarci da solo. Il bue è grande e grosso e pensa naturalmente che
il fiume sia poco profondo, mentre lo scoiattolo è così piccolo che può
annegare anche in una pozzanghera e pensa che sia molto profondo".
Dopo aver ascoltato le parole della madre, il cavallino si mise a galoppare
verso il fiume sicuro di sé.
Quando lo scoiattolo lo vide con le zampe ormai dentro il fiume gli gridò:
"Allora hai deciso di annegare?"
"Voglio provare ad attraversare".
E il cavallino scoprì che l'acqua del fiume non era né poco profonda come aveva
detto il bue, né troppo profonda come aveva detto lo scoiattolo.
(Fiaba cinese)
Fiabe cinesi e orientali: La storia delle spiagge Wangniang
La storia delle spiagge Wangniang (una favola cinese, fiaba e leggenda della Cina)
Molti anni fa, la pianura occidentale del Sichuan conobbe una siccità così
grave che gli alberi morivano, i giovani virgulti ingiallivano, le risaie si
spaccavano, i laghi mostravano il loro fondo e i raggi di un sole rosso fuoco
brillavano ogni giorno sulla terra.
In un piccolo villaggio, al bordo di una rapida, abitava una famiglia. La
madre, che si chiamava Madre Nie, aveva più di quarant'anni e suo figlio Nie
Lang ne aveva quattordici. Essi affittavano un campo, ma i pochi dou di cereali
che restavano non erano sufficienti, dopo aver pagato l'affitto restava poco:
Nie Lang doveva andare a raccogliere la legna per il fuoco e delle erbe per
venderle; molto sincero, laborioso e saggio, era sempre pronto ad aiutare i
vicini. Se la intendeva bene con i bambini del villaggio e il suo migliore
amico si chiamava Changsheng.
Un giorno, al primo canto del gallo, egli andò come sempre, con la gerla sulla
schiena, a tagliare delle erbe col falcetto. Salendo verso
Nel Fossato del Drago alla base della montagna, in primavera si era avuta
abbondanza di pesci e gamberetti, e di erbe sulle sue rive. Ma il luogo adesso
non era altro che pietrisco. Nie Lang emise un sospiro, e pensava di andare
altrove, quando vide improvvisamente una figura bianca dietro il tempio
tutelare. Molto stupito, disse: « Oh! Una lepre bianca!»
All'idea che la lepre mangia l'erba tenera, egli la seguì non si sa per quanti
li. Arrivata al fondo della valle, la lepre scomparve. Ma Nie Lang scoprì là un
ciuffo di verzura, e tutto contento, ne tagliò un cesto pieno.
Cosa estremamente bizzarra, l'indomani le erbe erano ricresciute. Egli andò
dunque a tagliarle due giorni di seguito. Poi pensò: «Sarebbe meglio che le
strappassi e le piantassi dietro casa mia, invece di correre ogni volta come un
coniglio per una dozzina di li». Si affrettò a scavare la terra e strappò le
erbe. Ora, stava per rialzarsi quando vide una pozza d'acqua, sulla cui
superficie brillava una perla. Nie Lang la prese, tutto felice, la mise
prudentemente in grembo e tornò a casa, con la sua gerla di erbe sulla schiena.
Al suo arrivo a casa, il sole stava già tramontando dietro la montagna. Mamma
Nie stava preparando la zuppa di mais. Alla vista del suo ragazzo, si lamentò
amaramente:
- Perché rientri così tardi?
Nie Lang le raccontò la sua avventura e tirò fuori la perla. Improvvisamente,
tutta la casa fu illuminata da un bagliore così accecante che non si poteva
tenere gli occhi aperti. La madre si affrettò a dirgli di nasconderla nel vaso
del riso. Dopo cena, Nie Lang piantò le erbe dietro casa, vicino a un boschetto
di bambù.
Il giorno dopo, si alzò prestissimo e corse a dare un'occhiata alle sue
piantagioni. Ahimè, le erbe erano tutte secche. Rientrò a casa per vedere se la
perla era ancora là. Appena aperto il coperchio del vaso, gridò meravigliato:
- Madre, presto, venite a vedere!
Il vaso era pieno di riso, e sopra c'era ancora la perla. Capirono che era
una perla magica, poiché, da allora, se la si posava nel vaso del riso, il riso
aumentava, e se la si metteva su dell'argento, l'argento si moltiplicava. Alla
famiglia non mancavano ormai né vestiti né cibo. Quando i vicini non avevano di
che mangiare, Mamma Nie diceva a suo figlio di portar loro del riso. Anche lui
povero, Nie Lang voleva ben aiutare i vicini in difficoltà. La notizia si
sparse in fretta. Quando la seppe, Zhou il Riccone, un signorotto dispotico del
villaggio, disse al suo intendente:
- Bisogna cercare con tutti i mezzi di impadronirci di questa perla!
- Signore, disse l'intendente, la famiglia Nie è povera, sarà facile comperarla
con una bella sommetta.
Ma poiché Nie Lang era certamente troppo intelligente per lasciarsi ingannare,
Zhou e il suo intendente concepirono un piano oscuro: l'intendente sarebbe
andato con quattro servi a saccheggiare la casa dei Nie, con il pretesto che
Nie Lang aveva rubato la perla preziosa della famiglia Zhou tramandata dai suoi
antenati. Se Nie Lang non avesse dato la perla, lo si sarebbe incatenato e
condotto in prefettura.
Quando Changsheng, guardiano dei cavalli di casa Zhou, venne a conoscenza
del complotto, uscì di nascosto e andò ad informare Nie Lang affinché fuggisse
immediatamente con sua madre. Madre e figlio erano tutti indaffarati nei loro
preparativi per la partenza quando l'intendente di Zhou li fermò subdolamente
davanti alla porta.
- Ridatemi immediatamente, gridò, la perla magica del mio padrone o siete morti
tutti e due!
A quelle parole, Nie Lang si arrabbiò e disse puntando l'indice
sull'intendente:
- Tu non sai che malmenare i poveri appoggiandoti a Zhou il Riccone. Con quale
prova mi accusi di furto?
Senza prendersi pena di rispondergli, l'intendente ordinò ai servi di frugare
in casa ma non si trovò nulla. L'intendente sgranò gli occhi e disse di
perquisire Nie Lang che, immediatamente, inghiottì la perla.
- È finita, finita! Nie Lang ha inghiottito la perla, la perla è nella sua
pancia! Gridarono i domestici.
- Picchiatelo! urlò l'intendente.
Sotto i calci e i pugni, Nie Lang svenne. Fortunamente, alcuni vicini
riuscirono a scacciare l'intendente e i servi; quindi portarono Nie Lang dentro
casa e curarono le sue ferite.
Mamma Nie, seduta vicino al letto, vigilava su suo figlio, con le lacrime
agli occhi.
A mezzanotte passata, Nie Lang si svegliò improvvisamente e disse ad alta voce:
- Che sete! Voglio bere dell'acqua!
Vedendo che suo figlio aveva ripreso conoscenza, Mamma Nie, felicissima, si
affrettò a dargli una ciotola d'acqua. Nie Lang la vuotò in un attimo e ne
chiese ancora un'altra. Molto impaziente, si mise a pancia in giù sull'orlo del
grande orcio e ne bevve tutta l'acqua. Sua madre tremava per la paura.
- Figlio mio, è terrificante vederti bere così tanta acqua!
- Mamma, il mio cuore soffre come se fosse arso da un fuoco violento! Voglio
bere ancora, mamma!
- Non c'è più acqua nel nostro orcio!
- Voglio andare a bere nella rapida!
Un lampo squarciò il cielo e illuminò tutta la casa, seguito dal fragore del
tuono. Nie Lang saltò per terra e corse fuori. Sua madre si precipitò per
rincorrerlo, ma più lei correva, più aumentava la sua paura. Poco tempo dopo,
apparve davanti a loro un fiume, simile a un lungo nastro grigio. Come
posseduto, Nie Lang si gettò in riva al fiume e bevve gloglottando.
I lampi e i tuoni si succedevano. In un batter d'occhio, Nie Lang aveva
prosciugato metà dell'acqua del fiume. Tirando per i piedi con tutta la sua
forza, la madre gridò:
- Che cosa ti sta succendendo, figlio mio?
Nie Lang si voltò, si era trasformato: si vedevano due corna sulla testa, dei
peli blu attorno alla bocca e delle scaglie rosse sul collo.
- Lasciate la presa, mamma, voglio essere un drago per vendicarmi di quest'odio
così immenso e profondo quanto il mare!
Sotto i tuoni e i lampi, l'acqua salì rapidamente nel fiume con delle onde
tumultuose, e sconvolse il silenzio dell'immensa terra.
Zhou il Riccone in persona arrivò giusto in quel momento, conducendo i suoi
servitori che brandivano delle torce, con l'intenzione di aprire il ventre di
Nie Lang e prendersi la perla.
Udendo questo vocìo, Nie Lang indovinò che c'erano della persone e disse:
- Lasciatemi, mamma, voglio vendicarmi!
Scrollandosi con tutte le sue forze, si rotolò nel fiume e fece scaturire delle
onde alte sino al cielo.
- Vecchia, dov'è andato tuo figlio?, gridò Zhou afferrando Mamma Nie per le
spalle.
- Che delinquente sei, Zhou! Insegui mio figlio sino al fiume. Non ti è
sufficiente? Nie Lang,- urlò,- il tuo nemico è arrivato!
Con un calcio, Zhou il Riccone gettò Mamma Nie per terra, e corse in riva al
fiume per cercare Nie Lang. Seguita da un lampo rosso e nel fracasso del tuono,
un'onda, scatenata come un cavallo al galoppo, trascinò tra i suoi flutti Zhou
il Riccone, il suo intendente e tutti i suoi servi, inghiottendoli sino
all'ultimo.
Il vento si calmò e la pioggia smise di cadere. Il cielo si rasserenò poco
a poco. Nie Lang levò la testa e chiamò dal fiume:
- Mamma, sto per partire!
- Figlio mio! Quando ritornerai? domandò Mamma Nie, afflitta.
- Poichè il mondo umano e il mare si separano, io non tornerò fino a quando le
rocce non sbocceranno come fiori e ai cavalli non spunteranno delle corna.
Avendo la triste convinzione che suo figlio non sarebbe mai più tornato,
Mamma Nie, in piedi su una grande roccia, gridava incessantemente:
«Figlio mio! Figlio mio!...»
Ai richiami della sua amata madre, Nie Lang volgeva più in alto la testa per
vederla.
Ventiquattro volte lei lo chiamò e ventiquattro volte egli alzò la testa. Ad
ogni saluto del figlio, comparve una spiaggia. Ne comparvero ventiquattro che
più tardi furono chiamate le «Spiagge che guardano la madre in cinese Spiagge Wangniang
(Fiaba e leggenda cinese)
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