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GIOVANNA BEMPORAD 1928

Italiana


Giovanna Bemporad 1928

da Esercizi

La passeggiata

Sotto frequenti, tiepide alluvioni -

pioggia su noi gocciolava, non ombra

dagli alberi - andavamo; e per la mano

ci guidava il passeggio a un monumento



votivo, ad un boschetto, un chiaro stagno.

Sacre ramosità, come ali o braccia,

tremavano, alla brezza dolce e piena,

di un'agonia che ci obbligava, cuori

troppo esitanti, ad appagarci in sogno.

Parole - cerchi magici di arena -

lasciammo indietro, e le piccole morti

d'ore mietute come da un inverno

sulle panchine immobili al passeggio.

A una forma sorella

da una stampa cinese

Non si svela il mio astro che alle risa

dei tuoi occhi, azalea, forma sorella

splendente come giada, che ti specchi

nel ruscello di seta e il piede esiguo

chiuso in conchiglia d'ostrica vi immergi.

La gioia m'incorona, o il mio pensiero

sopra il filo translucido dei sogni

si distende e s'allevia come un cirro

se coi draghi di bronzo e i liocorni

dei tuoi capelli scherzo un po' sdegnosa?

Strofina il fianco contro la tua spalla

la mia sete d'amore: grande bestia

che si allunga sul tuo collo e accarezza

la tua guancia con cadenza di sonno,

con la marea della notte negli occhi.

La ninfa e l'ermafrodito

Chiusi i suoi grandi occhi insufficienti

dove essenze d'aurora e d'ideale

galleggiano, ha disteso il fianco ambrato

tra pioppi ed olmi anelanti all'altezza

l'ermafrodito; ha disteso il suo corpo

sull'erba, vinto dal meriggio fulvo

che impone una consegna di silenzio

e una riserva d'ombra ad ogni fronda

sospesa al dolce incanto del suo sonno.

Sono strali nel fianco e nel mio cuore

le linee del suo corpo, chiare, lisce

fino ai capelli, attorti in arabeschi

simili a verdi draghi addormentati.

Forse il belletto aereo dell'aurora

ha tinto questa bocca, molle e gonfia

come un frutto dei tropici. Il suo riso

che ride alle ninfee m'intesse il velo

di una trapunta gelosia; mi apprendo

come un ape al suo labbro materiato

di piacere e di sonno, e vi suggello

solitudini lunghe e incontri rari,

stagioni d odio, d'amore e l'asprezza

della morte essenziale, e mi allontano

sull'ala ebbra e inquieta del pudore.

Studio per una romanza

L'ombra degli olmi immobile pendeva

sopra di me, ma non cadeva un'altra

ombra su me, con l'ombra della sera?

La sua fronte, più rigida che un'erma,

stava di contro a un ramo orizzontale:

silenzio intorno all'ansietà d'amore.

Fuga di perle rimbalzanti, un riso

non suscitò la mia sulla sua bocca?

E piagato di lacrime il mio labbro

non era, quando in groppa con la morte

l'anima tra le palpebre socchiuse

cavalcava, e la schiuma del suo freno

non mescolava il tossico dei baci?

Casta luna, che complice tra i rami

mostrandoti mi illumini la guancia

di una femmina calda che i villani

dietro le siepi sforzano sull'erba:

la breve eclissi, il rogo alimentato

dai profumi di un labbro d'amaranto

non invidio, se all'onda immateriale

della tua grazia mescolo il mio sangue.


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