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Il Calice in Piemonte

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Il Calice in Piemonte

"Per trovare la via d'uscita da un labirinto - recitò infatti Guglielmo - non vi è che un mezzo. A ogni nodo nuovo ossia mai visitato prima il percorso di arrivo sarà contraddistinto con tre segni. Se a causa di segni precedenti su qualcuno dei cammini del nodo si vedrà che quel nodo è già stato visitato si porrà un solo segno sul percorso di arrivo. Se tutti i varchi sono già stati segnati allora bisognerà rifare la strada tornando indietro. Ma se uno o due varchi del nodo sono ancora senza segni se ne sceglierà uno qualsiasi apponendovi due segni. Incamminandosi per un varco che porta un solo segno ve ne apporremo altri due in modo che ora quel varco ne porti tre. Tutte le parti del labirinto dovrebbero essere state percorse se arrivando a un nodo non si prenderà mai il varco con tre segni a meno che nessuno degli altri varchi sia ormai privo di segn 212p1521c i."
"E secondo questa regola si esce?"
"Quasi mai che io sappia..."



(Umberto Eco Il nome della rosa Bompiani 1980 II notte)

In nessun documento ufficiale si fa cenno al Santo Graal: questo evidenzia il fatto che la famiglia voleva rimanerne in possesso senza doverlo cedere né al Vaticano né all'imperatore i quali avevano finanziato la Crociata. E' quindi probabile che abbia tenuto nascosto ad entrambi la reliquia.

Non è strano che essi non si siano informati sull'esito della ricerca?

Onorio III non ne ebbe la possibilità poiché morì un anno dopo il ritorno di Demetrio. Federico II invece probabilmente richiese notizie ai Monferrato sul "tesoro" che avevano cercato in Palestina. Le informazioni fornite dalla famiglia piemontese sono facilmente intuibili analizzando i movimenti di Federico II. Egli tre anni dopo il loro ritorno partì per Gerusalemme (nonostante la scomunica papale) e riuscì grazie ad un negoziato con il sultano d'Egitto al-Kamil ad ottenerla facendosi proclamare re nel marzo 1229. Solo la ricerca di una reliquia può giustificare la sua impresa ormai anacronistica rispetto ai suoi tempi. Ivi non trovò il tesoro che andava cercando e probabilmente incontrò i Templari che si erano visti strappare dalle mani il Graal dai marchesi del Piemonte.

La sua ricerca quindi si spostò nella penisola italiana e più specificamente nel Piemonte dove egli intuì che i Monferrato potevano aver posto il "tesoro" che avevano trovato e che gli avevano nascosto. Una serie di problemi però gli impedirono di portare avanti la sua ricerca.[1] Non sappiamo chi incontrò nei dieci anni seguenti la conquista di Gerusalemme o quali dati raccolse sulla ubicazione del bottino che stava cercando. E' però da sottolineare il fatto che Federico II si sia circondato di poeti eredi della scuola trovadorica (dalla quale sorsero le leggende del Graal) ed abbia fondato con loro la Scuola Siciliana. Questo porta a credere che l'imperatore in un modo o nell'altro abbia intuito in cosa consistesse il misterioso "tesoro" dei Monferrato.

Nel 1238 Federico occupò la città di Ivrea. Evidentemente qualche cosa lo spinse a pensare che il Graal potesse trovarsi nel Canavese e più specificamente nel capoluogo della zona. Non si stava sbagliando: il Santo Graal era custodito dai Monferrato all'interno della chiesa di Sant'Ulderico che ancora oggi sorge nel centro storico di Ivrea affacciata sulla piazza del Municipio. E' rimasta testimonianza del passaggio della reliquia sulla prima vetrata a destra che compare sulla facciata romanica appena sopra il portale: una riproduzione del Calice di Cristo realizzata probabilmente nel XIII secolo[2] ci dà la sicurezza che nel 1224 i Monferrato nascosero a Sant'Ulderico la reliquia della Passione.

I Monferrato persero così nel 1238 il possesso del Graal. Mi accorsi però degli sforzi che la famiglia fece per rientrarne al più presto in possesso: Bonifacio II nel 1240 ebbe un figlio Guglielmo VII il Grande detto anche Spadalunga. Il suo marchesato era "costituito dalle regioni del Monferrato e del Canavese"[3]. Di Guglielmo parla anche Dante Alighieri nella sua Commedia: si legge in Purgatorio canto VII 133-136

Quel che più basso tra costor s'atterra
guardando in suso è Guglielmo marchese
per cui e Alessandria e la sua guerra
fa pianger Monferrato e Canavese.[4]

La perdita della città di Ivrea e del Graal spinse il marchese Guglielmo ad intraprendere una azione di attacco sulla città che durò per molti anni concludendosi il 19 Giugno 1266 con la riconquista di Ivrea (che si era invano ribellata al dominio imperiale). In seguito alla riconquista i Monferrato si resero conto dei rischi che correva la reliquia in un luogo come Ivrea: era il centro più importante del Canavese si trovava in una posizione troppo centrale per passare inosservato e dal 1179 era sede di un nucleo templare che aveva preso possesso della chiesa paleocristiana di San Nazzaro situata fuori dalle mura nell'area della Porta Vercellese[5]. Per tutti questi motivi essi decisero di spostare il Sacro Graal in un luogo più sicuro e appartato. Quasi sicuramente non la trasferirono in un luogo troppo lontano ma seguirono l'antica via Romea che ai tempi dei Romani collegava Eporedia ad Augusta Taurinorum (Ivrea a Torino): essa in direzione sud-ovest attraversava i centri di Pavone Perosa Feletto e Volpiano e si incrociava con un'altra importante via: quella proveniente dalla Valle Chiusella. Il bivio che si formava tra le due strade aveva una grande importanza per i Romani: essi lo avevano dotato di una torre che in seguito diede il nome al paese che vi sorse nei pressi: Torre Canavese.

L'importanza di questo piccolo centro abitato è nei suoi stretti rapporti con la città di Ivrea: l'eporediese re d'Italia Arduino aveva mandato proprio a Torre nel 998 suo figlio Guidone. Da costui era nata la discendenza dei San Martino.

Nel 1266 anno della riconquista di Ivrea da parte dei Monferrato il feudatario del castello di Torre era Tommaso di San Martino.

Tre anni prima era stata confermata una convenzione fra i Conti Canavesani la città di Vercelli ed altre; il fine primo di questa convenzione era quello di lottare contro i frequenti attacchi da parte di ladri e banditi. Poiché nei documenti relativi a tale accordo si trova anche il nome di Tommaso[6] è evidente che qualcosa deve averlo spinto a prevenire eventuali assalti al suo paese da parte di predoni. Probabilmente era stato contattato dai Monferrato prima che Ivrea fosse ripresa; essi in vista della imminente riconquista volevano fare del paese la sede definitiva del Sacro Calice e Tommaso avrebbe quindi firmato la convenzione proprio per premunirsi contro possibili attacchi. Oltre a stipulare tale accordo riuscì a rendere il suo castello una fortezza inespugnabile (un secolo dopo nel 1386 difesa da Giovanni Brindono sarà in grado addirittura di resistere all'assalto dei Tuchini). Le trattative tra Monferrato e San Martino durarono alcuni decenni.

A Tommaso succedette Ardizzione e a costui Giovanni Brindono. Il fratello di quest'ultimo Bonifacio della Torre fu monaco benedettino e abate di Santo Stefano. Benedetto XIII Papa Avignonese lo elesse Vescovo d'Ivrea nella chiesa di San Francesco a Chambéry il 12 aprile 1399. In un anno imprecisato successivo al 1412 lasciò Ivrea per andare a soggiornare a Torre dove morì il 17 novembre 1426. Egli non abbandonò la sede vescovile a mani vuote: con sé portò il Santo Graal. La sicurezza di questo fatto discende dall'analisi di molteplici fatti.

Per la carica ecclesiastica che ricopriva non poteva essere all'oscuro della presenza nella sua città di una reliquia tanto importante quanto il Sacro Calice.

Il paese di Torre sorgendo su una collina ed essendo molto piccolo oltre ad essere difeso eccellentemente passava anche inosservato. Prova del trasferimento inoltre è la ribellione di Ivrea ai Monferrato: quando Guglielmo riunì sotto il suo dominio tutto il Canavese escluse da esso il libero Comune di Ivrea. Gli eporediesi proposero ai Monferrato l'acquisto dell'intera regione ma costoro lo impedirono in ogni modo segno che dovevano proteggere qualcosa di molto importante.

Dunque giunta nel paese in tutta segretezza in un anno imprecisato tra il 1412 e il 1426 la reliquia fu occultata in qualche luogo ancora oggi sconosciuto. Una delle prove più incontrovertibili della effettiva presenza del Santo Graal a Torre Canavese è il pilone votivo citato nel primo capitolo che si trova in regione "Caraver".

Nonostante la sua superficie sia ormai quasi completamente scrostata è ancora visibile nell'angolo in alto a sinistra il profilo di San Giovanni che regge nella mano destra un calice giallo da cui fuoriesce un serpente. La presenza dell'animale durante la deposizione si riferisce alla profezia che Gesù pronunciò a Nicodemo:

Come Mosé innalzò il serpente nel deserto così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo perché ognuno che crede in lui abbia la vita eterna [7].

Molto interessante risulta anche l'analisi del dipinto che si trova sul lato destro del pilone: ormai sbiadita compare la figura di San Guglielmo. Si tratta di un evidente riferimento a Guglielmo VI che nel 1224 era riuscito ad entrare in possesso del Graal.

Il fatto che il calice sia tenuto tuttora nascosto ci spinge a fare due ipotesi: forse qualcuno è al corrente della presenza del Calice nel paese ma non vuole parlarne. E a quale scopo? Molto più probabile è la seconda ipotesi: nessuno sa che a Torre c'è il Graal neanche tra le persone del luogo. Questo fatto è plausibile solo se ammettiamo la possibilità che Bonifacio lo abbia occultato bene in modo che esso fosse protetto da eventuali predoni (fu celebre nel XIV secolo Facino Cane). In quale luogo potrebbe aver nascosto il Sacro Calice?

Dovette fronteggiare una rivolta guidata dal pontefice e dopo laboriose trattative giunse all'accordo di San Germano (1230). In Germania scoppiò una rivolta sostenuta dal figlio di Federico Enrico VII e appoggiata dalle città tedesche. Enrico fu sconfitto e imprigionato nel 1235. Anche la Lega dei Comuni nuovamente ribellatasi fu sbaragliata nella battaglia di Cortenuova (1237); lo stesso Carroccio di Milano fu conquistato e inviato come trofeo in Campidoglio.

Edificata intorno all'anno Mille fu eretta in parrocchia verso il 1200.

Ernesto Bignami (a cura di) La Divina Commedia. Schemi riassunti analisi dei singoli canti vol. II Purgatorio Edizioni Bignami Milano 1965 p.78.

Gli ultimi due versi si riferiscono alla guerra mossa dopo la sua morte dal figlio Giovanni I alla città di Alessandria per vendicare il padre ucciso dal popolo alessandrino. Guglielmo venne infatti rinchiuso in una gabbia di ferro dove fu tenuto per un anno e mezzo fino alla sua morte avvenuta il 6 febbraio 1292. La guerra fu lunga e sfortunata ed arrecò gravi danni sia al Monferrato sia al Canavese.

Carlo Tosco in Atti del convegno "I Templari in Piemonte - dalla storia al mito" Assessorato alla cultura della Regione Piemonte.

Il primo di maggio gli uomini di Torre in numero di 31 giurano i capitoli di tale convenzione tendente ad estirpare i ladri dal Canavese fatta fra i Conti Canavesani Vercelli Pavia e Ivrea. in A. Bortolotti Fasti Canavesani Curbis ed. Ivrea 1870.

Vangelo di Giovanni 3 14.


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