Italo Svevo
Scrittore e imprenditore
Vita e opere
Vita
Nasce a Trieste nel 1861, da una famiglia borghese; il padre (un imprenditore che lavora in un'azienda di vetrami) cerca di fornire ai figli un'educa 212d35c zione commerciale, consentendogli di studiare le lingue e mandandoli in Germania, paese molto più sviluppato dell'Italia a livello scolastico. La Trieste di fine '800 è una realtà molto distaccata dal resto dell'Italia, infatti è una città di porto, molto orientata verso l'est Europa. Il nome Italo Svevo, in realtà è uno pseudonimo, il suo vero nome è infatti Ettore Schmitz
Terminati gli studi, Svevo inizia a lavorare in banca, in una filiale della banca di Vienna, dove resterà per vent'anni (infatti la ditta del padre aveva avuto un crack economico ed era fallita). Tutte le sue conoscenze letterarie, sono frutto di studi personali eseguiti da autodidatta nel tempo libero; egli approfondisce i classici italiani, soprattutto Carducci, legge i testi dei naturalisti francesi, e (sapendo il tedesco) analizza molte tragedie di J. S. Miller e dei romantici tedeschi.
Inizia a comporre per diletto, non pubblicando però niente fino al , anno in cui dà alle stampe "Una vita", romanzo che però fu totale fallimento sia a livello di critica che di pubblico. Nel 1896 si sposa, abbandona la banca e (nel 1899) inizia a lavorare nella ditta del suocero (una ditta di vernici sottomarine) dove fa tantissima esperienza commerciale. Nel 1898 scrive "Senilità", che però si rivela un altro flop. Decide per questo di smettere di scrivere e dedicarsi solo al lavoro.
In questi anni
continua a leggere, approfondisce la sua conoscenza dei romanzieri russi, di
filosofi quali Schopenhauer e Nietzsche,
e nel 1908 si avvicina alla
psicoanalisi di Freud, che sperimenta anche su di sé. Questo lo porta a
considerare la malattia dell'uomo come strettamente legata alla condizione
della vita moderna: Svevo pensa che la società si divida in due categorie: i
sani e i malati. Nel 1923 decide di
tornare a scrivere e pubblica "La coscienza
di Zeno", che
però all'inizio, similmente ai libri precedenti, si rivelerà un fallimento. Dopo
tre anni, però, la critica inizia ad elogiarlo, grazie a molti articoli fatti
da Montale e Joyce. Svevo inizia quindi ad essere apprezzato non solo in
Italia, ma in tutta Europa. Nel 1927 decide
di pubblicare, dopo una revisione stilistica, "Senilità", che questa volta gli
darà un discreto successo. Nel 1928 muore
in un incidente automobilistico.
Il ritorno al lavoro
Deluso dall'insuccesso letterario,
decide di dedicarsi esclusivamente al commercio e diventa curatore di affari
nel colorificio Veneziani (che appartiene al suocero Gioacchino).
Per motivi d'affari legati al colorificio dove lavora, negli anni tra il 1899 e il 1912,
Svevo deve intraprendere diversi viaggi all'estero e sembra aver completamente
dimenticato la sua passione letteraria. In realtà egli continua a scrivere e
certamente a questo periodo risalgono le opere Un marito, Le
avventure di Maria e una decina di racconti.
Le opere
Tutte le sue opere hanno uno stile
molto simile: vedono la presenza di due figure contrapposte: una sveglia,
attiva, l'altra inetta, incapace di vivere. L'inetto, però, subirà
un'evoluzione nel corso dei libri, arrivando alla sua espressione più completa
solo con "La coscienza di Zeno".
"Una vita"
Il protagonista è Alfonso Nitti, un impiegato
che fatica a vivere (a causa di pregiudizi e del classismo che domina la società borghese). Il suo scopo
è quello di scrivere un romanzo, ma, non riuscendoci, si suiciderà. Questo
libro è molto autobiografico, anche se non ben orchestrato. Per comprenderlo
fino in fondo, bisogna infatti leggere anche "La coscienza di Zeno".
"Senilità"
Il protagonista è Emilio
Brentani, un piccolo impiegato che, nonostante sia riuscito a pubblicare un romanzo,
è un inetto, un uomo che si lascia scivolare la vita addosso, incapace di
prendere qualsiasi decisione. In più di Alfonso Nitti, ha però il fatto di
essere consapevole di questa sua inettitudine.
Emilio si innamora di una
ragazza popolana dai facili costumi, che però lui idealizza come una donna
angelicata; un giorno si presenta da lei con un amico scultore, Stefano Valli,
(che rappresenta il simbolo della sanità), la ragazza si innamora di lui,
abbandonando il protagonista. La sorella di Emilio, Amalia, è un'altra figura
inetta: nella vita non è mai stata capace di fare nessuna scelta, e quindi non
si è mai sposata. Anche lei si innamora dello scultore, ma non è capace di
essere ricambiata, e quindi tenta il suicidio. Alla fine del libro, il
protagonista, entra nella camera della sorella, scoprendo il suo mondo
nascosto, la sua depressione e il suo alcolismo.Emilio accetterà la sua
condizione di "senilità" interiore e deciderà di passare la vita aiutando sua
sorella.
"La coscienza di Zeno"
Il libro, diversamente dai libri precedenti ha la struttura di un diario psicoanalitico. La narrazione è molto libera:, infatti Svevo scrive utilizzando la prima persona, creando dei capitoli separati sia a livello cronologico che contenutistico. Alcuni fatti, vengono ripresi in più capitoli, ma in modo diverso; questo consente al lettore di creare un quadro più preciso della figura di Zeno Cosini, il protagonista.
Svevo, si rende però conto che, usando la prima persona, è molto difficile non cadere in un racconto autobiografico. Questo fatto sarà molto evidente nell'ultima parte del romanzo, dove, con la voce di Zeno, Svevo darà la sua visione del mondo e del progresso. Lo scopo del diario per Zeno (e quindi per Svevo) è quello di prendere i ricordi passati, registrati dalla memoria e poi dal diario, per poterli poi utilizzare, per comprendere meglio la propria vita.
La memoria, secondo l'autore, non è quindi capace di creatività, è solo logica e razionale. Quest'idea è molto diversa da quella di Joyce, secondo il quale la memoria è essenzialmente attività creativa; ricordiamo lo "stream of consciousness" caratteristico dei romanzi di quest'ultimo.
Lo stile
È stato detto che, nella dimensione della modernità, la non coincidenza tra l'ambito dell'esperienza e l'orizzonte delle aspettative, mette in crisi definitivamente l'idea di tempo come continuità e svolgimento. All'incertezza di un futuro che pesa sul presente come responsabilità e rischio, si sovrappone il senso della fine, l'attesa di un arresto traumatico, di una catastrofe segnata dai connotati ambigui di una temporalità che ritorna tautologicamente su se stessa.
Non è un caso che, il protagonista eponimo di " La coscienza di Zeno", dichiari di non sapersi "muovere" a proprio agio nel tempo, essendo consapevole che il "destino" dell'uomo è un "tempo misto", in cui il "presente imperioso" risorge "offuscando" il passato, mentre il futuro "esiste in germe, mai in azione". Il lettore è chiamato a muoversi, insieme al personaggio, nel tempo-spazio di una coscienza che, tra memoria e dimenticanza, lascia intravedere i segnali minacciosi dell'Unheimlich (sconosciuto) e si presenta come un luogo funebre, disseminato di rovine, il "cimitero" dei "buoni propositi".
La ricerca del senso può tradursi allora nella registrazione del non-senso, del vuoto, del disordine metafisico. È probabilmente questo, uno dei significati della famosa "pagina delle date", là dove Zeno intraprende un'"analisi storica" della propria "propensione al fumo": se l'anniversario è l'istituto del sentimento del tempo, gli anniversari dell'"ultima sigaretta" appaiono come registrazione di un evento mai accaduto, sanzione dello scorrere di una temporalità assurda.
Il caleidoscopio delle date si avvolge su se stesso nella ricerca di una "concordanza" delle cifre che segue la logica paradossale della bizzarria, non dell'"armonia", bensì della "deformità". Una stravagante combinatoria numerologica che, secondo il procedimento tipico, a doppio fondo, della scrittura sveviana, si traduce in parodia di quella mistica dei numeri, fondamentale nella cultura antica e in modo singolare nel mondo ebraico (che ha rappresentato per secoli la certezza di un rapporto tra uomo e mondo solidamente fondato su un ordine metafisico). Il tempo, "non è quella cosa
impensabile che non s'arresta mai. Da me, solo da me ritorna". Per uno scrittore che ha letto Nietzsche non certo in chiave estetizzante, ma dal punto di vista di una cultura che, tra Schopenhauer e Mach, ha esperito tragicamente la perdita della totalità e il crepuscolo del soggetto, la teoria dell'eterno ritorno dell'identico rappresenta la scoperta della fine della storia (come progressione certa e dialetticamente necessaria del tempo, all'interno di un soggetto ridotto a pluralità di nuclei psichici o a convenzione grammaticale).
D'altro canto, Svevo non ha mai cessato di opporsi alla "ridicola concezione del Superuomo" così come è stata imposta "specialmente a noi italiani", scorgendo invece in essa una possibile descrizione filosofica del genotipo "inettitudine-senilità-malattia", ovvero del tipo umano del "contemplatore" visto nella sua alterità irriducibile rispetto a quello del "lottatore".
Nel saggio "L'uomo e la teoria darwiniana", Svevo disegna il ritratto di un ipotetico uomo del futuro la cui sopravvivenza è condizionata dal fatto di aver conservata "la possibilità di evolversi" e finisce poi per identificarlo in se stesso: "Nella mia mancanza assoluta di sviluppo marcato in qualsivoglia senso, io sono quell'uomo". Ma probabilmente questo ulteriore stadio antropologico ha qualcosa a che fare con il mondo nuovo di Nietzsche, in cui "i pesi e le misure" di tutte le cose devono essere rideterminati ed in cui la misura rinnovata della "Forza" potrà apparire appunto come una funzione della "Debolezza".
Il Superuomo nietzschiano o, come diremmo meglio seguendo Vattimo, l'Oltreuomo che è "l'Uomo dell'Oltre", può forse scorgersi in filigrana nel personaggio di Zeno, che nella sua posizione di marginalità bizzarra, esercita in ultima analisi la funzione di testimone critico, perché lo sguardo di chi è nato e vissuto sempre "a sproposito" può cogliere meglio di altri il disordine e la disarmonia del mondo.
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