Non il ramo spezzato, non l'erba scomposta lungo il sentiero
ci dicevano il suo passaggio, ma il tocco di solitudine
che ogni cosa in sé custodiva ed a noi rendeva, liberando
dopo il messaggio consueto l'altra, l'ignota parola.
Come trasalivamo ascoltandola, come s'orientava sicuro
il nostro cuore sull'invisibile traccia!
Così noi sempre ti seguimmo, Dominatore ed Amato,
né ci sorprende la bianca luce in cui svelato al nostro fianco cammini
(ora che l'ombra carnale è tramontata sul meridiano della morte)
perché da lungo tempo te solo conoscevamo, 818v213i a te solo
obbedivamo, tua destinata preda,
trascinando sulle vie della terra la tua celeste catena straniera.
Eppure ogni anno voi tornate,
Santi, pel cuore che vi sa distinguere
contro lo sfondo delle vite che cadono
come questa pioggia dirotta, rovesciandosi
sulla terra che avida la beve,
diluvio dall'inizio
attraversando oblique il cielo, linea
incolore di lacrime
fino all'erba
In questo giorno che
la vigilia
(la pietà della carne, la pietà della polvere
e i crisantemi in attesa
d'essere collocati sulle tombe)
voi tornate col vostro passo certo
e luminoso di pianeti
a rischiarar la pioggia delle nostre
esistenze che cadono
dentro la pietà ma fuori della gloria.
Non a te appartengo, sebbene nel cavo
Della tua mano ora riposi, viandante,
Né alla sabbia da cui mi raccogliesti
E dove giacqui lungamente, prima
Che al tuo sguardo si offrisse la mia forma mirabile.
Io compagna d'agili pesci e d'alghe
Ebbi vita dal grembo delle libere onde.
E non odio ne oblio ma l'amara tempesta me ne divise.
Perciò si duole in me l'antica patria e rimormora
Assiduamente e ne sospira la mia anima marina,
Mentre tu reggi il mio segreto sulla tua
E stupito vi pieghi il tuo orecchio straniero.
Acqua e polvere, acqua e polvere,
Voi non mi eravate così indifferenti
Un istante prima ch'io morissi:
Allora bramavo l'acqua, detestavo l'arida polvere;
E ora tutti i fiumi dell'universo
Sono per me lo stesso che polvere,
Tutta la pioggia dell'universo
Non toglierà dalle mie labbra il sapore di polvere.
Non datemi quel che bramavo, perché più nulla desidero.
Non allontanate quel che odiavo perché più nulla odio.
Riportate indietro, fratelli, le vostre colme anfore
E lasciatemi solo nella mia polvere.
Che dirti, amore mio, che dirti?
Che l'uva è vendemmiata
Ed ogni succo disfatto in dolcezza?
Che ragnatele di nebbia
Hanno striato la terra? Nel bosco
Tutte le bacche sono ormai cadute,
Rimane il legno bruno e lucido
E l'anno corre alla sua foce
Lungo le vene dell'ultima foglia.
Che dirti, amore mio, che dirti?
Le parole hanno un senso
Soltanto se le nutre la memoria.
Ma tu non hai ricordo di stagioni,
Tanto meno ricordo di ricordi:
Sei nuova e fresca, intatta dal declino
Che rattrista lo sguardo di tua madre
Mentre fissi serena
Questo tuo primo autunno.
a Giovanni Getto
Con questi stessi occhi che ora guardano
Monti e boschi sul puro arco del lago,
Con questi stessi occhi e non con altri
Noi vedremo il Signore.
Prima saremo stati solo un pugno di polvere,
Sparso dal veto su pietre e su acque;
Decomposte con noi parole e azioni
Come le orme di antichi viandanti.
Ma ogni cosa perduta fa ritorno
Ed ogni cosa sepolta riaffiora;
Ogni attimo di vita si riannoda
Per seguirci davanti al Signore.
E l'attimo che chiaro ora si libra
Su questo lago e sulle nostre anime,
Neppur esso è perduto nel tempo, ma s'avvia
Dove non potrà il tempo divorarci!
Apro la mia finestra, guardo il cielo
E i grandi alberi d'oro che sembrano reggerlo.
Penso a te, un punto perduto nella luce
Come son io: davanti a un cielo, ad alberi
Che altri un giorno fisseranno, tentando
Similmente di esprimersi, lottando
Con le parole, con la gioia. Vento e foglie,
Oro denso e memoria, l'impossibile
Che urge in gola... Oggi a noi questo è dato,
Oggi prestiamo all'universo il nostro volto effimero.
Simultanee faville, questo è il momento del nostro ardere.
Questa l'eclisse che abbiam vista insieme.
L'altra ci attende ad uno ad uno:
Non sarà divulgata dai giornali
O trasmessa dalla televisione,
Non vi saranno scienziati in subbuglio
Né telescopi puntati a spiarla,
E nemmeno il commento degli uccelli,
La loro gioia dopo l'ansia.
Prevederla è impossibile.
Una creatura, sola,
Avanzerà sull'orlo della tenebra
E fisserà l'orrore
D'un sole che si spenge.
E su lei sola poi verrà la piena
Della luce stupenda, in un ritorno
Mille volte più intenso -
Ma non più in questo mondo.
Ecco il bianco drappello che semina la pace
in punta di siringa.
In un fruscìo confuso
si levano i nostri demonî
e vanno ad aspettarci
un po' più in là, verso l'alba.
Subentra un vuoto dirupato
come di febbre ad un tratto caduta.
La stanchezza è di piombo.
Ogni lancetta immota, verticale.
Come fu lieve la pungente grazia!
«Voltatevi di fianco, presto, è tutto».
E l'anima
più facilmente fu ammainata
di qualsiasi vela o bandiera.
ad Annarosa
Poiché il fiore era falso ma la pietra era vera
ci concentrammo sulla pietra:
spigoli schegge macchie asperità.
Ad essa ci aggrappammo, la stringemmo
negando ogni altro scampo.
Pure, nel fondo della mente, ancora
ritornava un effluvio, un tremolio
di petali leggero - tre campanule bianche
nel cantuccio di un quadro di Klee.
Noi cercavamo disperatamente
di non badarvi, e sapevamo bene
che ne saremmo morti.
Sono morti
anche i tuoi abiti nell'armadio, le tue scarpe sotto il letto,
morto il tuo posto a tavola.
Nei vecchi taccuini la tua scrittura
è geroglifico d'un incerto elisio.
Tutte le tue fotografie
hanno, di colpo, mutato espressione.
La casa stessa è strana, alterata ed ignota.
Per ogni sua parete passa il confine -
in ogni stanza
l'oscuro fiume e il barcaiolo invisibile
che ti ha portato di là,
mentre a noi ancora rifiuta il traghetto.
Regalità della morte!
Le persone che ieri lietamente
con te avrebbero scherzato
oggi sostano timide, bisbigliano
compunte e fissano smarrite
quell'orgoglioso principe marmoreo
che a un tratto sei diventato.
Ed anche a me ed ai figli è conferita
una specie di corona:
non la maggiore, ma quale si addice
a chi è seduto sui gradini del trono.
In tuo onore anche noi riceviamo
la nostra parte di onore,
finché si sciolga la sfilata solenne
e ognuno, dopo l'ultima
stretta di mano ed inchino, ritorni
al suo piccolo, amato mondo vivo,
lasciando te al tuo destino definitivo
e noi ai riflessi del tuo gelo.
Sono saggi i polinesiani che mettono
i loro morti in una canoa, li sospingono
nelle acque del tramonto,
affidati a una rotta che qualche Dio guiderà:
perché il mare lava via tutti gli errori e i dolori,
annulla tutti i rimpianti nelle più rare metamorfosi
e consola del passato perduto, dell'avvenire mancato,
per essi offrendo la somiglianza della sua spuma.
Anche tu morto hai traversato il mare
quando ti abbiamo riportato alla tua isola.
Io dalla nave notturna ascoltavo
la voce delle acque, immaginando la bianca scia,
ti sentivo ormai puro e pacificato
e m'allietavo che per avventura
fosse il nostro cammino lo stesso del sole
e la tua terra natìa
fosse terra di ponente - la terra più quieta,
dentro il cui grembo dormono colombe.
Ti sei già abituato alla tua morte
o ti è difficile portarla
come un abito nuovo
non ancor bene adattato al tuo corpo?
Ti stringe qualche desiderio?
Senti pendere fili di rimpianto?
Tirare qualche laccio di ricordo?
O fu immediato l'abbandono
alla tua veste di ghiaccio?
Sottraggo i giorni ad uno ad uno, li sigillo
e metto via, quando sono compiuti,
benedicendo il loro sole, la loro pioggia
o qualunque sia stato il loro dono;
benedicendo soprattutto la notte
che, seppur lenta, li accolse alla fine.
E prego quelli che ancora rimangono
prima del nostro incontro (ed a contarli
bastano ormai le dita di una mano)
di non smarrirsi in cielo, ma procedere
come i loro fratelli: un po' più in fretta,
se possono, ritmandosi sul vivo
battito del mio cuore.
E tuttavia, neppure troppo in fretta -
perché ancora non so comprendere, adattarmi:
temo il momento in cui sarò chiamata
alla quasi insostenibile gioia.
I Stazione
Passi più bui della notte in cui risuonano
imprimono nel mondo, dall'inizio,
orme di sangue. Cos'ha fatto Caino
di suo fratello, cos'ha fatto l'uomo
dell'uomo?
V Stazione
Solo un colore, il giallo, unì conquistatori
e conquistati: questi adoravano il sole,
splendida fonte di vita, e gli altri l'oro,
fonte di morte: che, selvaggia, diedero
a quella gente fiduciosa e ignara,
per depredarla. Almeno non avessero,
in tutta questa storia di assassinio,
mai fatto il nome di Dio!
IX Stazione
Che cos'ha d'inferiore la peonia
perché purpurea, il croco perché giallo?
Perché lo scuro velluto dell'iris
dovrebbe valer meno dell'avorio
della magnolia? Quel che per i fiori
comprende senza sforzo, per se stesso
possa imparare, finalmente, l'uomo!
XIV Stazione
Pietà, Signore, della terra sconvolta,
dove l'uomo diffonde tanta violenza e rovina
dove ogni poggio può diventare un Golgotha
e ogni città può diventare Hiroshima.
XV Stazione
Affranti dalle nostre vie di morte
a Te giungiamo, nostro Salvatore.
Tu che morendo hai distrutto la morte,
insegnaci la Tua resurrezione.
Con la mappa del cielo invernale, che tu hai disegnato per me,
uscirò prima dell'alba in una piazza ormai vuota
d'uomini e alzerò gli occhi ad incontrare
i viandanti stellari che lentamente si muovono
intorno al polo dell'Orsa. Ai più splendenti
chiederò: «Sei tu Rigel? Sei tu Betelgeuse?
O Sirio? O la Capella?», restando ancora in dubbio
(tanta è la mia inesperienza nonostante il tuo aiuto)
su quale sia la risposta. E intanto penserò
a San Juan, perché quella sarà la notte di Dio,
dopo la notte dei sensi e dell'anima; e le stelle,
riconosciute o ignote, saranno per me tanti angeli
il cui volo silenzioso mi conduce verso il giorno.
E penserò anche a te, che da un altro parallelo contempli,
ugualmente assorto, lo stesso firmamento,
sentendo come un gelo esterno ed un fuoco interiore,
mentre i nostri cuori lontani, che sono ancora imprigionati nel tempo,
lo scandiscono all'unisono.
Degli anelli del tempo, che si aggiungono
sempre nuovi, furono alcuni così stretti
che ne ricordo solo l'orrore di soffocare.
In altri, larghi e informi, vagai smarrita
senza un sostegno a cui aggrapparmi. I più,
pallidamente indifferenti, si ammucchiavano
gli uni sugli altri, subito saldandosi
senza nemmeno un segno di sutura.
Solo a pochi e per poco è tollerabile
riandare. Ma almeno questo, l'ultimo,
di cui oggi si chiude il cerchio, resta perfetto
nel mio cuore: cornice d'oro intorno
a uno specchio di gioia. Chiedo solo
di serbar quest'immagine. E che a te
uno stesso fulgore la riveli
e la circondi, allo scadere dell'ora,
nel tuo specchio gemello.
Que bien sé yo la fuente que mana y corre
Aunque es de noche (San Juan de
la Cruz)
Io so la fonte che zampilla e scorre
benché sia notte, la so ritrovare
benché sia notte e un grappolo di notti:
notte del cielo e notte
del bosco, notte della lontananza,
notte di tutto il tempo ch'è trascorso
dal primo scaturire... La raggiungo
lungo i bruni sentieri dove mi guida
il suo richiamo d'argento. E vi tuffo
le mani, le sollevo
congiunte a coppa fino alle mie labbra
ed alle tue. Riconosci anche tu
nell'arcana purezza che ci disseta
il nostro pianto d'un giovane addio
(disceso ad irrorare le profonde
radici della vita), riconosci
quelle nostre visibili
e invisibili lacrime?
È come una mancanza di respiro
e un senso di morire
quando mi stringe improvviso
il desiderio di te tanto lontano
e nulla può calmarlo, altro pensiero
non può occuparmi, tranne il Paradiso
che sarebbe per me lo starti accanto.
Ma poiché ciò m'è negato, più cara,
molto più cara d'una fredda pace
mi è la stretta indicibile -
quasi un marchio di fuoco che proclami
ancora e sempre quanto sono tua.
A nessun costo vorrei separarmi
da questo mio dolore.
Questo giorno, che fu d'amore e lacerazione
tanti anni fa, ci vede ora camminare
insieme su sabbie e rocce, la tua mano
aiutandomi nei passi difficili
e il tuo sguardo orientando il mio, verso l'alta
barriera d'agavi e di canne,
limite di nord-est al litorale.
«Ecco - mi dici - sono queste», e indichi
le cinque agavi ormai pronte,
dopo la quasi centenaria attesa,
all'incredibile fioritura. Racchiuso
nel suo grosso uovo bruno, ogni fiore-fenice
si prepara ad erompere in un volo
estatico: la breve festa nuziale
al sole e al vento, celebrata da sciami
d'api d'oro - poi, subito, la morte.
Osserviamo le agavi protendersi
al loro compimento, nello slancio
degli steli, indomabile, e la resa
delle foglie già esauste, che immolarono
ogni linfa all'unico fine e si ripiegano
come vele ammainate. Qualcosa in noi
profondamente, quasi perdutamente,
risponde a quello slancio, a quella resa.
Io sento un nodo alla gola e rimango
in silenzio. Tu dici piano: «Anche le piante
hanno il loro destino».
L'anno contiene quest'unico guado
verso di te. Ogni volta
lo trovo un poco più sommerso, l'onda
più gonfia, la corrente
più minacciosa. Eppure
io t'ho raggiunto ancora, ed ogni breve
istante che trascorro accanto a te
diviene un «sempre» e se ne nutrirà
anche il tempo deserto. Se una dura
legge c'imporrà un «mai», noi condannati
ed immobili sulle opposte rive
intrecceremo tuttavia i richiami
di un desiderio tramutato in splendore.
Così la Tessitrice ed il Pastore
si rispondono: Vega ed Altair
tra cui si snoda l'alto
stellato fiume.
Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa' che siano
allora come foglie e come vento,
assecondando il suo volo.
E sappi che l'affetto nell'addio
non è minore che nell'incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.
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