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MARIA LUISA SPAZIANI 1924

Italiana


Maria Luisa Spaziani 1924

da Le acque del Sabato

Luna d'inverno

Luna d'inverno che dal melograno

per i vetri di casa filtri lenta

sui miei sonni veloci, di ladro,

sempre inseguito e sempre per partire.



Come un velo di lacrime t'appanna

e presto l'ora suonerà...

Lontano,

oltre le nostre sponde, oltre le magre

stagioni che con moto di marea

mortalmente stancandoci ci esaltano

e ci umiliano poi, splenderai lieta

tu, insegna d'oro all'ultima locanda,

lampada sopra il desco incorruttibile

al cui chiarore ad uno ad uno

i visi in cerchio rivedrò, che un turbine

vuoto e crudele mi cancella.

Lettera 1951

Natale altro non è che quest'immenso

silenzio che dilaga per le strade,

dove platani ciechi

ridono con la neve,

altro non è che fondere a distanza

le nostre solitudini,

sopra i molli sargassi

stendere nella notte un ponte d'oro.

Sono qui, col tuo dono che mi illumina

di dieci stelle-lune,

trasognata guidandomi per mano

dove vibra un riverbero

di fuochi e di lanterne (verde e viola),

di girandole e insegne di caffè.

Van Gogh, Parigi azzurra...

Un pino a destra

per appendervi quattro nostalgie

e la mia fede in te, bianca cometa

in cima.

Marzo in rue Mouffetard

Fetido e allegro il Mouff scende fra ritmi

gregoriani e lamenti di moschea.

Buca il geranio la maceria, rissa

un ventoso fondale d'Algeria

oltre i tetti decrepiti, fra i cento

occhi in agguato a Contrescarpe.

Stoccafissi, incunaboli, archibugi,

lardo di foca, cembali, damasci

sopra il fiume di paprike e cannella.

Al tramonto una febbre sottile

sconvolge il labirinto, grida al fuoco

il formicaio. Quieti i Patriarchi

nelle fonde necropoli d'argilla

incidono i millenni con la daga

sulla tenera luna.

Il cadente rifugio di Verlaine

scuotono a notte rumbe negre.

da Utilità della memoria

La Via Crucis

La bronchite stanotte mi trasforma

in una quercia carica di neve.

Crocifissa alla terra con radici

di debolezza e brividi,

sento i rami che grevi si curvano

sotto il peso di mille cristalli.

Conobbi un giorno un ragazzetto, molto

più malato di me.

Respirava a fatica, ed un veliero

insabbiato pareva nel suo letto,

ma il suo pensiero in alto era il rigogolo

sulla cima dell'olmo fulminato.

Questa notte lo penso, io che so bene

che presto guarirò.

E simile mi sento a quel fedele

che vidi a Bruges nel suo manto di lontra.

Guardava una via Crucis e si sforzava

di immaginare il fiele e ogni tormento.

E forse oscuramente anche sentiva

che non soltanto il Cristo delle icone

il passo sterminato delle tenebre

lo varca in nostro nome.

Ore 14,47

Passa il tempo nel fuoco del tuo sguardo.

«Non vedo ponti per tornare indietro

né l'angelo mi prende sulle ali.»

Comunque si è deciso: rifiutare

tetri pedaggi al passatore.

Ma oggi siamo ancora più mortali

se la gloria s'intreccia alla vergogna.

Lo speaker (senti?) ardevi ardevo ardo

ardendo ardete il rapido a Bologna

ha tre anni e due mesi di ritardo.

Dalla finestra di Colette

I passi del passato, senti che s'allontanano

con un rumore gracile di risa e sonagliere?

I giacinti falciati, calpestati,

violentano di essenze l'azzurro delle sere.

E la luna si gonfia, più rossa del pallone

che stringevo bambina, custode del San Gral.

Abbraccio tutto ciò che viene, il nome

che non conosco et ce petit peu de mal.

Il fuoco dipinto

Anche l'estate morirà, sontuoso

strascico acceso d'occhi di pavone,

e le stecche spiumate intrecceranno

graticci di prigione.

Con lamento di corni udrò il richiamo

dei boschi (addio per sempre) e dell'altura,

e gli occhi fisseranno eternamente

dietro le spalle, oltre la paura.

I

L'arido muschio che fra porta e porta

su mobili e tappeti in fretta cresce,

ben presto coprirà l'antico nido.

Non l'anima più un palpito né un grido.

Ruggì l'incendio ed ora tutto tace,

ché anche la fiamma muore in aria morta.

II

Ci scambiammo tesori senza prezzo.

Sprecai genio e speranze, notti e fede

per lanciare quel ponte luminoso.

Raggiungerti è impossibile a ritroso.

Ogni passo s'impiglia - o serpe, o fogna -

nella fitta gramigna del disprezzo.

III

La mia vita sarà tabula rasa.

Dove fiorì il roseto di parole

sprofonda un fosso di filo spinato.

Sul male nessun bene è radicato.

E tu hai voluto, o cùcula loquace,

sulle macerie altrui farti la casa.

IV

Pensavo: è una mimosa che profuma

e dà colore e vita al mio deserto.

Eri fragile, allegra e fantasiosa.

Ginestra sei. La tua radice odiosa

sembra carezzi il muro. E cerca crepe,

e tutto umilia, sbriciola, frantuma.

V

Quantum est spatium diei sempre ti penso

ma questa lotta no, non è gloriosa.

La sera piego il capo, ortica stanca.

Ti ricordi la luna così bianca

del quattordici luglio? No, perdona.

Per me sola esalava quell'incenso.

VI

Sera di Carnevale. Mi capivi

nell'ombra accanto alla finestra? Il pianto

mi sfrangiava i colombi, astratte lune.

Ti chiedevo pietà. Sognai la fune

che nel pozzo si getta anche al lebbroso.

Credevo nei miracoli... Sentivi?

VII

La tua lettera giunse quando l'orto

volgeva al colmo dell'estate. Il pesco

maturava fra grappoli sontuosi.

Tutto m'hanno strappato i tuoi marosi,

fiori, frutti, talenti, amore e fede.

E il tempo è fermo come sangue morto.

VIII

Mi destava la tortora a Torino.

O allegro balzo all'alba, o l'avventura!

Il cielo, ampia vetrata cattedrale,

sfumava adagio fra turchese e opale.

Ora il risveglio è orrendo. Il cappio esiste

e forse questo è l'ultimo mattino.

IX

Ritentando d'uscir dal labirinto

contemplavo montagne, aprivo libri,

coglievo ombre fuggenti di bellezza.

Solo tu scioglieresti l'amarezza

ma sei balsamo e scure. E il resto è inerte,

e il mondo intero m'è fuoco dipinto.

X

Ci ripensi, regina di Palmira,

a quelle nostre antiche mascherate?

Emily, Saffo, Buckingham, Giovanna,

Gaspara, Amleto, Caterina e Anna.

Spenta è la luminaria, o esatta mira:

ombra più ombra di fatica e d'ira.

Via del Babuino

I

Il Babuino è una caverna lunga,

fredda sovente anche d'estate, e ulula

a perdifiato se la tramontana

la scudiscia e la infila come un piffero.

È la mia grotta primordiale, serba

sepolte sotto il lastrico le mie

catacombe private, i miei ricordi

vivi o morti, e ne sprizzano fiammelle

di fuochi fatui a fior del pavimento.

Ha carogne di gatti, e fiori spenti

e calpestati e intrisi d'ogni pioggia,

e io ogni giorno ci cammino e sento

i miei millenni fremere, la lenta

putrefazione che nel buio, è certo,

nuovi fermenti appresta, nuovi inganni.

II

Passano popi dalle lunghe barbe

nella strada che abito. La chiesa

(Sant'Atanasio, rito greco) manda

su dal buio cortile un gregoriano

tinto di nenie arabe, di suoni

ilari e gutturali che il capraio

greco fa risuonare ancora oggi

nelle valli d'Arcadia. Scoppia il sole

di Maratone e il sale dell'Eubea

dentro quei ritmi esotici. Ma quieto

li tempera l'incenso, e il suo cristiano

memento sale fino alle finestre

ed è un freddo d'ogiva, un ancestrale

limite che ci spenna, un fiotto nero

che fino all'alto pino ora s'innalza

e lo tinge di morte.

[Il sogno che mi tenta, che di notte]

Il sogno che mi tenta, che di notte

ostinato rapace va raspando

contro i vetri nebbiosi e forza i cardini

della segreta agli avatar (già sibila

l'eterna sinusoide che costellano

astri defunti e crisantemi spenti),

chi chiama, chi risveglia da quell'altro

sonno sotto le croci, quali fili

tira, intricati, dalla cassapanca

delle dormienti marionette?

Eppure - e fosse azzardo il suo richiamo

verso quei nomi abissalmente estranei -

stanotte insieme formavamo, stretti

sotto quella tettoia di mercato,

un'unica famiglia. E mai più dolce

edera avvinse alberi stranieri

né più tiepido sangue mai discorse

dalle mie vene (strano!) ad altre vene,

quanto in quell'ora che un vento maligno

mulinava i rifiuti - o forse i volti.

da Transito con catene

Febbraio traditore

Non so quale inquietudine posandosi

a scialle sopra i rami,

sopra le altane che nel vuoto sporgono

come prue di porti insabbiati,

non so che maleficio o ammonimento

o bilico dell'anima

gridano i corvi al baluardo dei platani.

Oggi è scirocco giallo di coriandoli,

già verzica la scorza, in capriole

vanno nubi arlecchine. Incombe nera

solo l'ambigua sonnolenza sua,

del fusto tutto spine, enigma al buio

che il suo vermiglio liquame trasuda,

che ultimo esploderà, sigillo infausto

di primavera, l'albero di Giuda.

Ultrasuono

Il rumore soffoca il canto

ma il canto è uno spillo che attraversa il pagliaio,

cercalo se puoi con torce e calamite

lui ti punge e trafigge quando vuole -

Voce clamante nel deserto, gemito,

ultrasuono, anno-luce, urlo di tribù riscattata,

inconsùtile varchi i deserti del tempo,

le inutili matasse dello spazio

Rito di novilunio

Lo so che il suo racimolo l'ulivo

oggi mi porge a mia salvezza. Sento

salire dalla terra un gregoriano

intessuto di vento, e non si espanse

in ritmi e pause mai sotto il mio cielo

più viva musica, più vera e segreta.

Ancora ieri questa irsuta landa

- isola dentro l'isola - stringevano

invisibili mura. Più chiostrata

ero di Chiara, di Teresa d'Avila,

Gertrude e Caterina. Urlava il mare

su dalle gole profonde dei pozzi.

Mi porge il suo racimolo a salvezza

quell'ulivo dell'Arca. Sorgeranno

borghi a Levante. O suoneranno trombe,

trascinando con tonfi di vetrata

le opache mura. Schiodo la tua effige,

la brucio in voto per la luna nera.

La tua triplice effige di baccante,

di santa e di sparviera.

Bianco su bianco

Il miele notturno che plana dalle ali del Pincio

fruga scompiglia le mie remote nebulose,

agita defunte bandiere, impollina controsperanza

le immagini-idee che hanno per stemma il tuo nome.

E tu, mia disturbata sinfonia, affresco che la lebbra corrode,

béviti quest'orgia silenziosa, affronta la confessione.

Sei stato vivo, sei stato vero, hai respirato un giorno?

Potevano morderti i cani, hai bevuto a sorgenti terrene?

Tutto è bianco su bianco, fantasma, leggenda o follia,

fata morgana, Amleto, delirio di febbre ventenne.

Non fa ombra il tuo corpo più del vento di marzo,

e lasci sul cuore orme più leggere della faina.

da La stella del libero arbitrio

Inutilità della memoria

Nell'odore dei fieni c'è il passato

stratigrafato, un Céroli di te.

L'inebriarsi ingenuo, il ricordarlo,

il ricordare che l'hai ricordato.

Ogni anno il profumo è diverso,

a poco a poco l'olfatto svaniva.

Più eroica la memoria si accaniva,

più forte si aggrappava.

Nell'odore dei fieni ancora transita

mia madre (e i nostri successivi cuori).

Si trasforma la vita nell'immenso

salone di un museo senza odori.

A sipario abbassato

Quando ti amavo sognavo i tuoi sogni.

Ti guardavo le palpebre dormire,

le ciglia in lieve tremito.

Talvolta

è a sipario abbassato che si snoda

con inauditi attori e luminarie

- la meraviglia

Cimitero di Prima Porta

I

su quella tomba immensamente nevico,

la mia carezza è fitta e non finisce -

perdo piango tutti i miei petali che rispuntano

senza tregua ad avvolgere un nome

II

Quel crisantemo mi ha rimessa in crisi,

lo temo e non lo temo -

gomitolo lilla, promessa di lunghe nozze -

ci sono paesi dove il sole non fa che nascere

III

ramaglia assordante del pino

rantolando s'impiglia in musiche -

o sgretolato greto d'autunno,

macilenta memoria di ciò che è

A Montale
il 12 settembre 1981

Tu ti cancelli e subito in altre forme ti annunci,

falsetto sapienziale di nebbia allegra,

antica palma adolescente, tremula

in un bemolle di acque strane.

La tua scomparsa è scandalo, è messaggio

che sconvolge interiori meridiani,

coinvolge il futuro e trascina

pitósfori, bufere e termitai -

Potrà mai dileguarsi il tuo passo

per chi eredita quegli impervi segreti?

Il meglio della seppia è l'osso.

Il resto è per i cuochi.

da Torri di vedetta

Il sogno giusto

Se faccio un sogno, e poi

me ne nascono versi,

quei versi sono il sogno

che sognate con me.

Attenti ad incarnarvi

nel sogno giusto. Nascono

da una pagina scritta, in fitta schiera,

mostri, presagi o angeli.

Maceria di Provenza

Fa' che non le somigli

anche se m'innamora.

L'arco che abbraccia il niente

nel fitto delle ortiche,

il cardine divelto

su un baratro di spini.

Fu una città, si dice. Donne ardevano

in stanze ora abitate da un ciliegio.

In questo buio fisso della notte

àlacri andivenivano dei lumi.

Poi l'ultima delle anime si spense.

Il tempo pazientò secoli e secoli.

Bastò l'aria spostata da una rondine.

Ne sprofondò anche il nome.

Il dopo

I

Amarti è solo intuire la tua distanza.

Scoprire il lusso che traspare

insostenibile da una linea nuda.

II

Così rispondo a grandi lontananze

qui vibrando con nero su bianco,

così mi fondo agli eventi che taci,

barche filanti sull'onda del tuo nome.

Rispondo a misteriose lontananze

come l'alta marea che in silenzio

ogni volta risponde alla luna.

III

Vedrai, occhio di terra? So che avrò

una struggente fame

del colore dell'aria -

Mano di terra, sfiorerai

a marzo una radice che si sveglia?

Giungerà fin laggiù, del primo merlo

quel ciao un po' confuso

con gli strilli degli angeli?

Appennino ligure

Vengo a bruciare fra i tuoi rami neri,

mio salmastro paese di neve,

in te rinasco uccello del miracolo

nei silenzi scordati.

Ci fu un tempo di tregue e campane,

di sangue rosso, nettare e roveti.

Scendo viva nel pozzo della favola,

pietà di me, scivolose pareti.

Tu ti concedi a lampi, lo so bene,

come ogni crudele assoluto.

Ma in una goccia ruotano dei mondi,

perfino il sole è una pupilla cieca -

Ci fu un tempo di risse e campane,

di germogli e di verdi profeti.

Io vivo nello spazio se lo spazio si arrende.

La campana mi ritma ogni altrove.

La riva pietosa

Tu che rastremi in te ogni profondo

della mia mente-cuore,

che fai vergini e chiare le parole

quotidiane, le dracme corrose,

accogli le mie lettere: così

con la zattera è pietosa la riva.

Ti scriverò nei giorni fulgidissimi

e in giorni maledetti,

i giorni del cuore trionfante

e i giorni del cuore zitto

quando striscia e ci inchioda quel sospetto:

Tutto è già stato scritto?

Crisi

La parola che odio se il ferro non si piega,

se la fucina interna langue,

la parola che transita, cadavere

sopra l'acqua stagnante -

la parola, la figlia notarile

di cento dizionari, la farina

vergine d'acqua e lievito, lontana

dal farsi pane -

[E lui mi aspetterà nell'ipertempo]

E lui mi aspetterà nell'ipertempo,

sorridente e puntuale, con saluti

e storie che alle poverette orecchie

dell'arrivata parranno incredibili.

Ma riconoscerà, lui, ciò che gli dico?

In poche note o versi qui raccolgo

i messaggi essenziali. Un altro raggio,

aria diversa glieli tradurrà.

da I fasti dell'ortica

Il calore giusto

Fa' lievitare il verso come il pane

nel forno al suo calore giusto. Senti

che anche il verso emette il misterioso

profumo della cosa riuscita.

Vocali e consonanti si alleano,

s'incatenano e fondono. Ne esce

lo spiritello d'Aladino e danza

su e giù per la stanza.

Alle vittime di Mauthausen

Troverò in paradiso le parole non dette,

capitelli di colonne rimaste a metà.

Scaglie di stelle esplose, private di ogni luce,

antiche fontane secche che ritrovano il canto.

Troverò in paradiso quel macilento tralcio di rosa

che a Mauthausen fiorì dietro la baracca quattordici.

Avrà i suoi occhi ogni cosa capace di durare,

miracolata, innocente, ostinata e radiosa.

Troverò in paradiso la tua e la mia pazienza.

Ne faremo un collage con rendez-vous mancati,

e velieri arenati, e brandelli di scienza,

bandiere intrise di pianto, ostinate a sventolare.


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