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Nozioni di Pesca Subacquea 2

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Nozioni di Pesca Subacquea 2

Fucile - Criteri di Scelta

La versatilità che offre il fucile pneumatico è splendida e soddisferebbe la quasi totalità delle evenienze sportive. 



La dotazione classica di chi non vuole spendere una capitale e si accontenta della "normalità", potrebbe essere costituita da: 

un 70 con il variatore, per le tane e per la pesca in poca acqua e  da un 100 per i tiri al libero su lunghe distanze. 

Risolvereste il 95% dei problemi. 

Però non c'è fanatico più esagerato, più complessato, più insoddisfabile di un incallito cacciatore subacqueo "pneumaticista"; allora vediamo come accollarsi una prole di inimmaginabile potenzialità offensiva rammentando che le misure qui sotto elencate rappresentano delle indicazioni di massima e che tutte le variazioni sul tema sono ben accette.

IL TRENTA: Caricato a 18/20 atmosfere di precarica consente un tiro utile di circa un metro. E' il fucile più corto che sia stato fabbricato. Si adopera come arma incredibile nei buchetti difficilissimi: dotato di asta filettata da 8 mm, fiocina o arpione, è l'ideale per il pesce bianco davvero imprendibile; montato con lo spaccaossa è in grado di doppiare notevoli bestioni. E' negativo anche senza l'asta inserita, quindi attenzione a non smarrirlo.

IL CINQUANTA: Precaricato a 20/22 atmosfere consente un tiro utile di circa un metro e mezzo. E' un classico fucile da "tana corta" e per tutte quelle prede incastonate nelle fenditure strettissime e nel grotto. Si arma con asta da 8 mm filettata, fiocina o arpione, e castiga orde di saraghi. Dotato di spaccaossa rappresenta l'optimum per il doppiaggio delle prede, qualunque siano le proporzioni.

Il SETTANTA: Con il variatore è magnifico. Caricato dalle 22/23 atmosfere fino a 27/28 consente un tiro di circa due metri e mezzo. Brandeggevole e leggero; con la tahitiana da 7 mm, in basso fondale e con il torbido, è una saetta; con la 8 mm filettata, la fiocina o l'arpione, rappresenta una realtà superiore nelle tane medio lunghe e ampie; con la 9 mm e arpione, in spacchi fondi, è il giustiziere senza appello per i serranidi.

IL NOVANTA: Precaricato a 25/29 atmosfere consente un tiro utile di circa tre metri abbondanti. Agile, intuitivo, versatilissimo. Con la 9 mm tahitiana non si da scampo alle cernie in frana, con la stessa asta e arpione è implacabile sui serranidi in tana, anche se si mantengono lunghe; con la 8 mm si incrementa la velocità conservando una massa d'urto poderosa e non c'è fuga per pesci in lastroni profondi, in grotte, in caduta, in franata; la 7 mm tahitiana è un esempio splendido di rapidità e forza d'impatto abbinati ed è incommensurabile all'aspetto in acque medio fonde, in media visibilità, all'agguato.

IL CENTODIECI: L'espressione massima della filosofia pneumatica sposa questo straordinario oggetto; non si possono fare raffronti per la potenza, la gittata, la massa d'impatto che offre a più di quattro metri dalla volata. Precaricato dalle 27/28 atmosfere in su, a seconda della vostra prestanza fisica, è il cannone per eccellenza. I pesci di peso medio sono quasi sempre insagolati e quelli enormi vengono tramortiti al solo contatto superficiale del mezzo chilo di acciaio armonico. Con la 7 mm tahitiana, in acqua libera, la freccia non si vede partire, con la 8 mm tahitiana si scorge distintamente il rumore d'impatto sul corpo del pesce, con la 9 mm tahitiana è meglio, per riccioloni e cernioni, non farsi trovare al fondo di una caduta o a mezz'acqua.

I FUCILI AD ARIA DELLA NUOVA GENERAZIONE

Il fucile ad aria compressa ha visto la luce una trentina di anni fa per merito di quella che allora era una piccolissima azienda ligure, la Mares, che proprio con la serie dei mitici Sten, costruì la sua fortuna, fino a diventare una delle aziende leader nel mondo nella produzione di attrezzature subacquee. Gli Sten hanno accompagnato diverse generazioni di pescatori per circa vent'anni, divenendo, grazie alle loro caratteristiche di potenza e robustezza, il punto di riferimento per la concorrenza. Nell' ultimo decennio, invece, ecco ritornare prepotentemente in auge il fucile ad elastici che grazie alla sua velocità ed istintività nella mira , in brevissimo tempo, è riuscito ad assumere una posizione dominante sul mercato, fino a diventare di gran lunga l'arma più impiegata dai pescatori subacquei delle nuove generazioni. Ho perfettamente impresso nella memoria il ricordo di quando un amico mi fece provare un OMER T2O, una decina di anni orsono. Rimasi letteralmente strabiliato: preciso, velocissimo, istintivo nella mira. In men che non si dica mi ritrovai ad essere un convinto appassionato di questi fucili con cui ho iniziato ad insidiare le prime prede di un certo livello. Con gli anni e l'esperienza sono aumentate anche le dimensioni delle catture e conseguentemente quelle delle armi usate e i materiali sono diventati più sofisticati, fino ad arrivare ai fusti in carbonio. Con gli amici passavamo giornate intere a cercare di migliorare testate, elastici, ogive, ma la semplicità , grande punto di forza dell' arbalete, era al tempo stesso un limite ai nostri sforzi per migliorarne ulteriormente le prestazioni. Avevamo infatti notato che su pesci di grandi dimensioni la capacità di penetrazione era appena sufficiente e due volte su tre la costosa tahitiana era da buttare alla fine del combattimento. Se non sbaglio era il 1994 quando la Mares, dopo un lungo  periodo di colpevole immobilismo, decise finalmente di mettere in pratica sulla produzione di serie, le modifiche che il grandissimo Antonio Toschi, che per anni ha gareggiato per l' azienda ligure, aveva apportato sugli Sten, divenuti nelle sue mani, dei veri e propri fucili laboratorio. Ecco venire alla luce il Cyrano, fucile che prende il nome dalla forma caratteristica dell'ogiva , assottigliata per rendere più istintivo il puntamento e mirare "sull'asta". La grande innovazione è stata la canna da 11 mm di diametro che oltre a ridurre drasticamente lo sforzo di caricamento, permetteva di ottenere una grande velocità dell'asta, in quanto il pistone lavorava spingendo meno acqua . Non appena uno dei ragazzi del circolo arrivò con un 110 nuovo fiammante in men che non si dica eravamo in acqua a provarlo. Devo essere sincero: rimanemmo parzialmente delusi. Il fucile si faceva apprezzare per la grande sensibilità del grilletto, garantita dal perno di connessione con il dente di aggancio di diametro ridotto (1,5 mm), per la linea di mira istintiva, ma , pur essendo sicuramente il miglior pneumatico mai provato, non ci convinse ad abbandonare l' arbalete, in quanto la scarsa conoscenza dell' arma e di come farla funzionare a dovere non ci aveva permesso di sfruttarne interamente le potenzialità. Tornando ad Antonio Toschi , dovete sapere che è tesserato per lo stesso circolo di cui faccio parte e cioè la società sportiva " La Torretta" di Savona , sua città di origine. Anche se le sue sortite lontano dalla Sardegna sono ormai rare, quando è in città, non manca di passare in sede a rinnovare la tessera ed a  raccontarci aneddoti di pesca e consigli sulle attrezzature. Proprio in uno di questi incontri il discorso scivolò sul Cyrano. Arrivarono così le dritte giuste. Il modello di uno scorrisagola in delrin fatto al tornio, di dimensioni piccolissime, il variatore da eliminare, l'utilizzo di aste tahitiane e le parole :" pompalo, pompalo fin tanto che riesci a caricarlo". Premesso che la Mares sconsiglia di spingersi oltre le trenta atmosfere, il primo nel circolo che ha attrezzato a dovere il suo cannone è stato il mio amico Angelo. Al termine di una pescata assieme mi capitò di scaricargli il fucile. La bordata terrificante che ne è seguita, con l'asta praticamente invisibile e che a fine corsa dava uno strattone incredibile, mi ha fatto approfondire la conoscenza di questo fucile e delle modifiche da apportarvi. Vediamole assieme.

Variatore di potenza:

Sicuramente da eliminare sui fucili lunghi dedicati alla pesca di prede di grandi dimensioni. L'asportazione del blocchetto in teflon del variatore fa compiere al fucile un incremento di prestazioni notevolissimo, specie per quanto riguarda la velocità dell' asta, visto che l'espansione dell'aria non è frenata dal passaggio in stretti condotti. Per contro senza questo accessorio l'arma perde in versatilità e può essere usata solo per i tiri in acqua libera, inoltre è più difficile da caricare. Il variatore è invece indispensabile sui fucili corti e medi, che vengono più spesso usati nelle tane o comunque a ridosso della roccia .

Scorrisagola:

Allegati a questo articolo trovate la foto ed il disegno da portare al tornitore per la realizzazione di uno scorrisagola veramente mini in delrin, per nylon da 140.  Una volta tornito va poi ulteriormente ridotto con la lima e lucidato. Il materiale è resistentissimo, niente a che vedere con nessun tipo di tecnopolimero  impiegato per la produzione di serie, il che consente di ridurre al minimo gli ingombri, giocando su tolleranze veramente esigue. Volendo si puo' arrivare addirittura a modelli ancora più sottili, ma penso che gli spessori indicati nel disegno che segue siano il miglior rapporto possibile fra prestazioni ed affidabilità.  In caso non vi vogliate cimentare con il fai da te, l'unico scorrisagola veramente valido in commercio è quello che equipaggia le taitiane della Devoto.  

        Progetto scorrisagola in delrin per asta da 7 e nylon 140

 Pressione di precarica:           

Fermo restando quanto scrive la Mares sul libretto di istruzioni, il fucile va pompato tanto. Personalmente  uso il 110 per la pesca all'aspetto in estate intorno alle 40 atm perchè è il limite entro cui riesco a caricarlo senza sforzi eccessivi. Oltre è inutile andare, non tanto per le difficoltà di caricamento, che con le canne da 11 non sono più il limite alla precarica, ma perché si va a sollecitare troppo l' affidabilità dell' arma, con rischi di pericolose rotture, senza peraltro ottenere miglioramenti significativi nelle prestazioni. Basti pensare che un 110 con asta da 7mm a questa pressione ha una gittata che arriva a quasi 7 metri. Inoltre è del tutto inutile portare al limite la pressione di un fucile senza prima averne ottimizzato le prestazioni e senza considerare per che tipo di pesca lo useremo. Un'arma a 40 atm con sagolino spesso, asta filettata con arpione e scorrisagola grosso, ha le stesse prestazioni di una a 30 atm con nylon del 140 , asta tahitiana e scorrisagola piccolo e idrodinamico ed in più facciamo maggiore fatica a caricarla. Se vogliamo un cannone senza termini di paragone per dentici e ricciole, precarichiamo il fucile con tante atmosfere, mentre se la nostra azione di pesca si rivolge a prede di dimensioni più comuni e che magari spesso stazionano in prossimità delle rocce, allora teniamo la pressione un po' più bassa, magari utilizzando un'asta da 6,5 mm che è più leggera ed ha meno impatto. Le precauzioni da osservare sono innanzi tutto di serrare molto bene la volata e soprattutto la valvola di scarico posteriore per evitare problemi di  "sbananamento" del  serbatoio, dovuti al distacco asimmetrico di quest'ultimo dall' ogiva o più frequentemente dall'impugnatura. In secondo luogo, se abbiamo tante atmosfere nel fucile, non bisogna mai lasciarlo al sole, magari in macchina, perchè il calore provoca un repentino aumento della pressione (legge di Charles). Inoltre, nei periodi di lungo inutilizzo, è bene scaricarlo un po' in modo da non sottoporlo inutilmente a stress meccanici eccessivi. Per caricare l' arma con molte atmosfere senza fatica uso un raccordo con manometro come quello della foto, da collegare ad una bombola. Attenzione perchè in questo modo l'entrata dell'aria è piuttosto veloce e bisogna dosare con attenzione l' apertura del rubinetto.

 Volata:

Allargo i fori come nella foto per consentire un più rapido deflusso della colonna d'acqua che quindi esercita un minor freno sull'avanzamento del pistone. La modifica ha effetti apprezzabili solo sui fucili lunghi. I fori vanno fatti in modo che l'acqua in uscita abbia un " invito" che la guidi all' esterno. Siccome non si può eccedere verso la punta perché altrimenti si danneggia l'alloggiamento della boccola di ammortizzo, si agisce anche verso il basso. Così facendo, però può succedere che, riavvitando la volata, parte dei fori siano ostruiti dal terminale anodizzato della canna, vanificando lo scopo per cui abbiamo effettuato la modifica. Frapporre una rondella di teflon o nylon di un paio di millimetri di spessore fra volata e ogiva, come quella che si vede nella foto qui sotto, aiuta a risolvere l'inconveniente.

Grilletto:

Il meccanismo di sgancio del Cyrano è veramente eccellente e, agendo sulla vite di regolazione del grilletto per accorciarne la corsa, si ottiene uno sgancio sensibilissimo anche con tantissime atmosfere. Se siamo proprio dei fanatici possiamo limare leggermente il dente di aggancio ed il codolo del pistone per lisciare al massimo le zone di attrito. Questa modifica, che è invece quasi indispensabile su tutti gli altri fucili pneumatici che montano un perno da 3mm di diametro nel meccanismo di sgancio, in luogo di quello da 1,5 mm, va effettuata da mani esperte, visto che ci si può trovare in mano un fucile che sul più bello spara da solo, con tutti i rischi annessi e connessi. La soluzione del perno da 1,5 è talmente valida che la ditta Merou commercializza un apposito kit da montare sui fucili che adottano il vecchio sistema col perno più spesso.

Sganciasagola

Lo sganciasagola di serie va benissimo così com' è su quasi tutte le lunghezze, compresi i 110 caricati entro le 30 atm e con asta da 6,5 mm, in quanto due passate di sagola sono più che sufficienti. Quelli invece con asta da 7 e molto carichi, sono in grado di tirare completamente 3 passate di sagola, addirittura con strappo a fondo corsa. Con le 3 passate lo sganciasagola di serie ha due tipi di problemi. Spesso lascia sfuggire la passata più esterna e, specie se la sagola è molto tesa, indurisce il grilletto, pregiudicando la precisione del tiro. Una volta smontato lo sganciasagola, rimuovendo la piccola spina che lo tiene in sede, bisogna limare la parte in cui alloggia la sagola, appiattendo un po' la curva in modo da creare una sede che ospiti comodamente le tre file di nylon parallele. Così facendo si risolve il primo inconveniente. Per il secondo bisogna smussare l' angolo che è a contatto con il grilletto. Osservando il pezzo di serie dal basso, si può vedere che la corsa che il grilletto compie contro lo sganciasagola prima di permetterne la rotazione è notevole. Bisogna agire di lima accorciandola e arrotondando l' angolo di contatto, lasciando comunque un paio di millimetri di margine, altrimenti si corre il rischio che il nylon troppo teso faccia arretrare il grilletto e partire il colpo. 

limare dove indicano le frecce

La punta della freccia bianca qui sopra indica dove arrivava lo sganciasagola prima di essere limato. Come si vede, dopo la modifica, la corsa in cui c'è attrito con il grilletto è minima e, grazie all' angolo smussato, la sagola viene liberata immediatamente e dolcemente, senza sfregamenti o impuntamenti che possono pregiudicare la precisione del tiro. Con le 3 passate il nylon va disposto in maniera ordinata, con le spire che non si incrociano e vanno parallele dall' interno verso l' esterno. Questo accorgimento serve ad evitare che il monofilo si ingarbugli al momento del tiro.

 Canna:

Un accorgimento che permette una più rapida espansione dell' aria al momento dello sparo consiste nel praticare uno o due fori nella parte superiore della canna, in corrispondenza della sede che ospita il dente di aggancio per evitare interferenze con l'o-ring del pistone. Io ho preferito allargare quello piccolo già esistente, dandogli un forma leggermente ovale fino al diametro di circa 2 cm .Oltre si rischia di rovinare la filettatura in cui si avvita la valvola di carico posteriore e di indebolire eccessivamente una zona dove ci sono altre aperture come il taglio che ospita il grilletto ed il foro per le spine di fissaggio , come si vede dalla foto. I vantaggi di questa modifica su un fucile senza variatore sono veramente notevoli, specie sulla velocità del tiro.  Se si verificano frequenti distacchi fra serbatoio ed impugnatura, anche dopo aver serrato bene il fucile, è probabile che la canna abbia subito qualche leggera deformazione, magari non percepibile ad occhio nudo. Non esitate a sostituirla, costa meno di una coppia di elastici di un arbalete.   

Aste:

Sono importantissime ed in grado di influenzare in maniera determinante le prestazioni del fucile. Consiglio vivamente di usare frecce tahitiane. Il Cyrano è  l'unico fucile pneumatico che permette di caricare aste da 6,5 mm senza piegarle, in virtù della canna da 11. Sono velocissime, non temono paragoni neanche con gli arbalete ed, essendo prive di tacche, anche molto robuste. Con un Cyrano 110 e asta da 6,5 a doppia aletta Emanuele Zara ha trapassato (e catturato) un tonno da oltre 120 kg a tre metri di distanza, con l'asta che ha attraversato diagonalmente il pesce perforando, nel lato di uscita, l'opercolo corazzato del bestione, performance impensabile per qualsiasi arbalete di dimensioni mediterranee. Personalmente preferisco, sul 110 per dentici e ricciole, aste da 7 tahitiane a doppia aletta. Sono più robuste sui grossi pesci, comunque velocissime e con una penetrazione eccellente, ma meno delicate da armare se il fucile è molto carico e garantiscono una maggiore gittata rispetto a quelle da 6,5 . Il mio parere personale è che le migliori aste in commercio siano le Devoto. In particolare quelle da 7 mm sono filanti ma hanno alette molto solide, mentre quelle delle  6,5  sono di lamiera più sottile e quindi più adatte al pesce bianco. Le uniche modifiche che apporto sono di serrare la parte terminale delle alette in una morsa, così da piegarle leggermente verso l'interno e rendere la freccia ancora più idrodinamica e veloce (vedi foto a sinistra) e di bloccare il codolo con una goccia di frena  filetti  per evitare che si sviti mentre stiamo lavorando una grossa preda. Quando si parla di diametri di aste bisogna fare  una considerazione importante. Ad una lettura superficiale si può pensare che l'asta da 7 abbia una massa importante che se da un lato favorisce la penetrazione, dall'altro rallenta il tiro nel raffronto con le prestazioni di un buon arbalete con freccia da 6,5. In realtà non è così. L'asta da 6,5 di un fucile ad elastici da 110 è lunga 150 cm e pesa circa 380-390 grammi, praticamente lo stesso valore della 7 lunga  125 cm di un pneumatico di uguale misura , che ferma l' ago della bilancia a 390 grammi.

Aste da 8 mm

I fucili con canna da 11, contrariamente a quanto credono in molti, possono sparare anche aste da 8, come ha dimostrato Gianfranco Donati nel bellissimo video che documenta la cattura di un grosso tonno in cui utilizza uno stealth 110 con asta da 8. L' asta di per se non è un problema, mentre invece lo è il codolo che ha diametro 9 mm, mentre il foro della ghiera che si avvita alla volata e tiene in sede la boccola di ammortizzo è 8,7 mm. Le strade sono due. O si svita la ghiera (dopo aver scaricato il fucile) e ci si passa dentro il trapano con la punta da 9 mm o più semplicemente si sostituisce il pezzo con quello della serie sten che ha il foro interno più largo.

Sagolino:

Uso sul terminale il nylon da 140 , che ritengo il miglior compromesso fra velocità (dell'asta) e resistenza. Sul mulinello preferisco il sagolino da 1,5 mm,  perchè anche se il nylon è più indicato per sfiancare le grandi prede, in virtù della sua elasticità, taglia le mani ed ha un fastidioso effetto memoria , problema che non si pone col trecciato sottile. Per le impiombature vanno benissimo gli anellini in ottone facilmente reperibili in commercio. Quelli a cannocchiale sono i migliori, in quanto lasciano praticamente inalterato il carico di rottura del monofilo . Può essere utile bruciare con un' accendino il capo di nylon che fuoriesce dall'anellino, fino a che si forma una pallina che raffreddandosi diventa durissima. E' una garanzia in più nel caso non avessimo serrato alla perfezione il rivettino ed il nylon inizi a scivolarvi all' interno se sottoposto a forte trazione.

Olio:

Le prestazioni del fucile sono ulteriormente migliorabili adottando un olio per forcelle di moto SAE 5, molto scorrevole, che minimizza l'attrito fra canna ed o-ring del pistone, rendendo ancora più veloce il tiro. A questo proposito va detto che c'è qualche perfezionista che ritiene questo aspetto così importante, da farsi tornire la sede dell'o-ring appena più profonda, così che la guarnizione, pur assicurando la tenuta, lavori meno schiacciata e quindi abbia una resistenza ancora minore allo scorrimento. Inoltre non bisogna esagerare con la quantità perché l'olio sottrae spazio all' aria. Per un 110 ne bastano  30 grammi  (il misurino si trova in qualsiasi negozio di nautica).

Mulinello:

Anche se non è una parte strutturale del fucile, ma un accessorio, il mulinello rimane un componente importantissimo, addirittura fondamentale se si colpisce una grossa preda. In commercio per i pneumatici c'è veramente poco di valido. Inspiegabilmente la Mares non produce più il Marò , veramente eccellente per capienza e robustezza. Lavora in verticale, ma , come ad esempio fa Toschi, può essere modificato e fatto lavorare in orizzontale. Solo ultimamente la Merou ha commercializzato un mulinello molto valido il Tuna, peraltro simile a quello artigianale ideato da Emanuele Zara e descritto sul n. 83 della rivista Pescasub, che adotto sui miei fucili. Lavora in orizzontale ed ha un'eccellente rapporto tra ingombro e capienza. E' ricavato per tornitura da un cilindro del diametro di 9 cm  di Moplen, un materiale che ha peso specifico 0,9 quindi positivo, che contrasta il peso del robusto telaio in lamierino di acciaio di spessore 1,5 mm, evitando fastidiosi condizionamenti sull'assetto del fucile. Ha una buona frizione (un disco di gomma dura) ed un sistema anti parrucche efficace. La capienza di questo mulinello è di 100 mt di nylon del 140 . Sul mio ho messo 90 metri di sagolino trecciato da 1,5 mm. Troverete allegata la foto ed il disegno da portare al tornitore sviluppato dal mio amico Angelo Carlevarino. Per il fissaggio al fucile uso delle fascette inox, che mi danno assoluta garanzia di affidabilità, con l'accortezza di isolarle dal fusto per mezzo di nastro isolante ed impedire così il logorio del serbatoio, dovuto all' azione della corrente galvanica. Mimetizzo le fascette con del nastro telato marrone.

Progetto mulinello di Emanuele Zara

Carichino:

Questo semplice ma essenziale accessorio che ci permette di armare il nostro cannone ha bisogno anche lui di qualche piccola modifica. Fino a quando il fucile non oltrepassa i 90 cm di lunghezza quello di serie andrà benissimo, ma per quelli da 110 in su, specie se molto pompati e senza variatore, il discorso è molto diverso. Anche persone molto alte, poggiando il calcio del fucile sul collo del piede ed estendendo al massimo il braccio verso l' alto, non riusciranno ad afferrare il carichino sulla punta della tahitiana, perché troppo lontano. Ecco allora venirci in soccorso le prolunghe, che formeranno una maniglia qualche centimetro più in basso che ci permetterà di  tirare spingendo l'asta all' interno della canna. La maniglia può essere la cima stessa, meglio se inserita in un tubetto di gomma che ci agevoli la  presa oppure una barretta di plastica forata al centro. L'asta andrà inserita nel foro ed in questo modo la direzione di trazione eviterà di generare flessioni nella freccia. Questo secondo tipo di carichino è particolarmente valido per caricare le aste da 6,5 mm, ma la lunghezza delle cime che legano la barretta deve essere inferiore a quella del pezzo di asta che fuoriesce dalla volata.  Contrariamente a quanto si crede, lo sforzo misurato in kg occorrente per caricare un fucile pneumatico di nuova generazione, anche ben pompato, è di molto inferiore a quello necessario per tendere una coppia di elastici di un buon arbalete, solo che per armare quest'ultimo si usano entrambe le braccia e sembra di fare meno fatica. Con la tecnica corretta chiunque è in grado di armare un 110 con canna da 11 a 40 atmosfere. Bisogna appoggiare il calcio sul collo del piede, portare la mano destra sulla maniglia del carichino e la sinistra non subito sulla volata, ma sull'asta a circa 30 - 40 cm dal codolo. Si inizia a tirare verso il basso con la destra, mentre la sinistra, oltre a contenere eventuali flessioni, spinge la freccia all'interno, per scivolare sulla volata quando il primo pezzo di asta è entrato nella canna. A questo punto, piegando leggermente la schiena, saranno i muscoli dorsali, molto più potenti di quelli del braccio, a farci completare agevolmente il caricamento. Molto più facile a farsi che a dirsi. Attenzione perché se da un lato le maniglie troppo lunghe ci avvantaggiano nella prima fase, dall' altro ci penalizzano molto alla fine, in quanto, per far agganciare l'asta, siamo costretti all' ultimo sforzo in posizione innaturale. Inoltre la forza sul carichino va allentata in modo graduale e soprattutto facendo ben attenzione a non avere la punta della tahitiana sotto la gola. Basta distendere appena il braccio che impugna la volata per evitare che l'eventuale colpo che parta accidentalmente per via di un aggancio imperfetto abbia conseguenze tragiche. Logicamente chi non asporta il blocchetto del variatore potrà frazionare lo sforzo di caricamento e fare molta meno fatica, ma questa comodità si paga in termini di prestazioni. Una cosa da evitare assolutamente è quella di caricare il fucile fuori dall' acqua, magari sul paiolo del gommone. Oltre ad essere vietato per legge è una manovra pericolosissima, che puo' portare alla rottura della canna, che è quella che tiene insieme il fucile, con conseguenze estremamente gravi. In questo modo, infatti, spingendo l' asta all' interno della canna, il fucile non è poggiato sulla valvola posteriore di carico, come quando lo abbiamo sul collo del piede mentre lo carichiamo in acqua, ma sullo spigolo posteriore dell' impugnatura. La forza che applichiamo , quindi, non è più coassiale con la canna, ma tende a distaccare la parte superiore dell' impugnatura dal serbatoio, andando , oltre un certo limite, a sollecitare la canna nella zona più debole (quella con i fori per il grilletto, per la spina e per il travaso dell' aria) col rischio di deformarla o provocarne la rottura. A buon intenditor poche parole. Non fatelo mai.

Assetto:

L'assetto del cyrano non è ottimale in quanto tende a cadere in punta e la differenza è parecchio avvertibile (sul 110) per chi ha sempre usato gli arbalete . Sul mio fucile inizialmente avevo applicato gli stabilizzatori per i fusti degli arbalete viper, che si innestano sulla parte inferiore dell' ogiva senza ulteriori modifiche  migliorando notevolmente il problema, non ostacolando il brandeggio e lasciando libera la linea di mira, come è possibile vedere dalle foto. Ora ho fatto l' abitudine e ne faccio a meno senza particolari problemi.

Cyrano

La Htm Sport , di cui fa parte la Mares ha recentemente acquisito la Sporasub e con questo marchio commercializza un pneumatico denominato "Stealth" che è identico in tutto e per tutto al cyrano, salvo che nell'ogiva. Nel primo è tradizionale, nel secondo assottigliata (da questa caratteristica prende il nome il fucile). Se l'ogiva assottigliata del cyrano permette un puntamento più agevole, per contro contiene meno aria (anzi è isolata dall' aria del serbatoio e riempita con un centratore per la canna) e questo fatto determina una differenza di assetto fra i due fucili che ha dell'incredibile. Lo stealth è leggerissimo ed equilibrato. Addirittura perfettamente neutro utilizzando l' asta da 6,5.

Stealth

Nel cyrano si può migliorare la situazione anche facendo penetrare l'aria nell' ogiva praticando qualche foro nel centratore o addirittura eliminandolo, ma solo se teniamo il fucile con pochissime atmosfere. L'ogiva, infatti, è in tecnopolimero ed ha una resistenza molto inferiore all'alluminio del serbatoio. Può bastare una scaldata al sole per farla scoppiare. Io non ho praticato questa modifica sul mio fucile proprio perché lo uso a pressioni che non la renderebbero sicura ed affidabile. Chi volesse trasformare il cyrano in stealth o viceversa, può farlo semplicemente sostituendo serbatoio ed ogiva, senza necessità di sostenere la spesa dell'acquisto di un nuovo fucile. 

Una volta effettuate queste modifiche avrete in mano un'arma veramente fuori dal comune ed addirittura insuperabile in due frangenti: nei tiri lunghi a grosse prede e nei modelli  più corti per la pesca in tana. Nelle altre situazioni di pesca, come il razzolo sul grotto , la pesca invernale in acqua bassa o i tiri al pesce bianco all'aspetto o sotto i lastroni, la scelta di un modello ad aria rispetto ad uno ad elastici è più che altro frutto di attitudini e preferenze personali. Il pneumatico ha il suo pregio migliore nel brandeggio e nell'ingombro fuori tutto in relazione alla sua gittata, l' arbalete nella silenziosità e nell' istintività della mira, (non nella precisione). Infatti , il fucile pneumatico è altrettanto preciso, ma la possibilità che ha l'arbalete di mirare sull' asta evita quel periodo di adattamento necessario a chi non ha mai usato il fucile ad aria per capire come si spara. Per quanto attiene all' aspetto alle grosse prede come i dentici e tutti i tipi di pelagici la differenza è invece notevolissima, anche rispetto agli ultimi arbalete con fusto inflessibile e doppio elastico. Un pescatore che ha fatto 10 tiri oltre i tre metri su prede di mole, non ha nessun dubbio su quale sia il fucile più adatto a questo tipo di pesca e, come già accennato in precedenza, non è questione di massa dell' asta. Il tiro di un pneumatico di nuova generazione è un connubio splendido di velocità e potenza abbinate: è molto più costante nell'arco di tutta la sua lunghezza, ha una gittata maggiore ed una velocità media superiore, specialmente a fondo corsa. In particolare nella pesca al dentice le ridotte dimensioni del fucile in rapporto alle prestazioni (un 110 ad aria è appena più lungo di un 75 ad elastici) sono una carta vincente, perché consentono di nasconderlo dappertutto.  Allo stesso modo nella pesca in tana il vantaggio delle armi ad aria rispetto ai corti arbalete è evidente, in fatto di gittata e potenza, specie se , come spesso avviene, si usa la fiocina. Un 50 si infila anche nei più stretti meandri del grotto, ma è in grado di fermare prede grandi e coriacee  come le cernie anche a due metri di distanza. Va comunque detto che nei modelli da tana la differenza con i fucili pneumatici con canna da 13 non è così evidente come nelle misure medie e  lunghe. Io mi trovo splendidamente con un cyrano 85 con variatore e asta da 6,5 mm anche nella pesca invernale. L'ingombro è quello di un arbalete  da 60 cm ma ha 4 metri di gittata ed è velocissimo. Il suo pregio migliore è la versatilità, perché mi permette sia di operare nella tane non troppo anguste (con la minima potenza) e al tempo stesso di sparare lontano. Inoltre il brandeggio è fantastico, anche in presenza di forte risacca.

Insomma, sono convinto che se molti pescatori affezionati dell'arbalete provassero un pneumatico con queste caratteristiche rivedrebbero immediatamente tutte le loro idee sull' argomento, rendendosi conto che certe credenze, tipo la lentezza del tiro o l' imprecisione, sono ormai soltanto luoghi comuni portati avanti da chi parla senza prima aver fatto i dovuti confronti con i pneumatici di nuova generazione. Non abbiamo più a che fare solo con la potenza bruta dei fucili con canna da 13. Ora  abbiamo  una grande velocità, meno rinculo e molta meno fatica nel caricamento, oltre ad un sistema di sgancio finalmente esemplare. Fra l'altro i costi di manutenzione sono molto minori se raffrontati alle gomme crepate e alle aste piegate che annualmente cambiamo su un arbalete: basta infatti sostituire o-ring e olio ogni due o tre anni, mentre l' aria è gratis. Per me rimane comunque un mistero il motivo per cui  le ditte del settore, non offrano di serie una versione "cattiva" del fucile, almeno dei lunghi, senza obbligare ad effettuare tutte queste modifiche che comunque richiedono manualità e attrezzatura. Invece la tahitiana a doppia aletta di serie è inguardabile, lo scorrisagola idem, (anche se leggermente meglio di quelli mastodontici degli sten), non c'è il nylon in dotazione ma del comune sagolino che rallenta molto il tiro, il mulinello dedicato (opzionale) è poco capiente ed ha un aspetto fragile e non mi risulta sia in commercio una versione da aspetto di cyrano o stealth che esca di fabbrica senza variatore. Sono sicuro che la base di utenza che fruirebbe delle superbe prestazioni di questi fucili si allargherebbe, così come i pezzi venduti, ma non vado oltre perchè non mi intendo di marketing. Devo anche aggiungere che nonostante Gianfranco Donati nella sua bella videocassetta di pesca al dentice cerchi di dimostrare il contrario, il rumore in fase di sparo, seppur più contenuto che in passato, è nettamente più forte che in un arbalete, anche se non ho mai verificato differenze particolari sul comportamento dei pesci. Dove sono smaliziati dopo la prima fucilata non vedi più una coda, dove conoscono meno l' insidia del pescatore si riesce a piazzare più di un tiro nella stessa zona, indipendentemente dal tipo di propulsione usata. Naturalmente non bisogna dimenticare che chi non ha una buona tecnica di pesca, non troverà alcuna scorciatoia nell' usare un fucile con queste prestazioni. Prima bisogna imparare a pescare correttamente, a conoscere le abitudini ed i comportamenti delle prede, poi si potranno apprezzare i vantaggi di queste armi. Un bravo pescatore con un fucile mediocre riempirà ugualmente il carniere, un principiante con un fucilone è probabile che rimedi ugualmente un cappotto dietro l' altro. Inoltre i cannoni con molte atmosfere richiedono esperienza per essere gestiti correttamente. E' sempre meglio arrivarci per gradi, man mano che si iniziano ad insidiare prede adeguate. Non ha senso passare da un fucile da tana direttamente al più potente, senza le necessarie tappe intermedie.

In questo articolo ho parlato di quelli che è secondo me sono i  prodotti attualmente al vertice delle armi pneumatiche, specie in virtù della canna da 11 mm di diametro, ovvero Cyrano e Stealth. Quest'ultimo costa anche un po' meno. Le modifiche indicate sono comunque attuabili con tutti i fucili ad aria, compresi quelli con canna da 13, che anche se nella globalità perdono il confronto, consentono comunque l' utilizzo di aste di generoso diametro , per tipi di pesca  particolari come quella specifica ai grandi pelagici dove si può rinunciare alla velocità in favore di una maggiore penetrazione. Nel frattempo il progresso avanza. Sono comparsi sul mercato i "Mamba" fucili che tramite un' otturatore sull' asta impediscono l' ingresso dell' acqua nella canna. Il loro pregio migliore è quello di offrire prestazioni simili ai loro cugini molto pompati, ma con un numero di atmosfere molto minore, con benefici importanti sul rinculo (e quindi sulla precisione) e sul caricamento che è semplificato dalla bassa pressione di precarica. Se volete effettuare le elaborazioni è meglio farvi assistere da un amico più esperto o da un tecnico, almeno per le prime volte e ricordate che il fucile va sempre scar 10510g610k icato, agendo sull' apposita valvola, prima di essere smontato. Non dimenticate inoltre che un fucile modificato decade dalla garanzia.

       Il Funzionamento

COME FUNZIONA MECCANICAMENTE.

L'aria compressa è il motore, il segreto delle eccezionali performance dell'arma oleo pneumatica. Il gas è comprimibile, leggero, non si logora, non costa, è una specie di "mollone" con un ciclo virtualmente infinito. 

La presenza di guarnizioni idonee fa sì che non ci siano fuoriuscite occasionali dal sistema così che il dato pressorio resta praticamente costante anche dopo numerosi anni d'attività subacquea e conseguenti tiri in mare (può subisce una moderatissima diminuzione relativa ad una comprensibile usura dei materiali e degli O ring).

ll fucile viene venduto con una determinata precarica d'esercizio, che è immessa dalla ditta costruttrice e che, generalmente, non supera mai le 20/25 atmosfere di pressione (bar o atm). 

Con la pompa, o iniettore, di piccolo calibro e fornita di corredo, si può incrementare il valore, com'è previsto dal manuale d'uso specifico: avvitandola alla valvola a spillo e agendo sullo stantuffo, si permetterà ad altra aria supplementare di penetrare all'interno dell'arma, in seguito all'abbassamento della sfera metallica (in condizioni di riposo è tenuta ermeticamente in sede da una molla). Il libretto d'istruzioni fornisce suggerimenti e a volte dei grafici che spiegano fino a che livello massimo si può portare la precarica e quanti cicli di pompate si debbono dare a seguito. 

Per diminuirne il volume pressorio, invece, è sufficiente introdurre un piccolo tondino, un punteruolo o un chiodino arrotondato, da 1.5 mm di sezione, nel forellino della valvola e premerlo a fondo senza spingere mai eccessivamente: l'aria che desidereremo evacuare uscirà sbuffando insieme ad un po' d'olio nebulizzato. 

Le manovre di precarica, e scarico, debbono sempre essere eseguite: all'asciutto (per non inquinare "corrosivamente" l'interno della canna e annessi meccanici); a fucile preventivamente mantenuto con la testata verso il basso (per consentire all'olio di depositarsi lontano dalla valvola e non disperdersi durante lo sgonfiaggio); se il modello n'è dotato, con il variatore di potenza sempre in posizione di "massima" (con la potenza "minima" inserita, durante la precarica il fucile non può accumulare una parte significativa di pressione e nella fase di scarico non può eliminarla completamente). 

Passando alla fase determinante, e cioè al momento di armamento pratico, bisogna convenire che la cosa spaventa molti potenziali acquirenti. C'è chi è convinto che si debba possedere inevitabilmente una forza muscolare tremenda e qualcun altro che crede di non riuscire nell'intento già prima di mettersi all'opera. 

É sicuramente vero che i fuciloni da un metro e passa, pre caricati a più di trenta atmosfere sono dei veri banchi di prova fisica ma spesso, senza arrivare necessariamente a questi livelli mostruosi, adatti a pesche super specialistiche, è possibile ottenere risultati splendidi anche con molte armi medie, qualche atmosfera in meno e conseguente sopravvenuta facilità di caricamento. 

Non sempre funziona, inoltre, l'equazione teorica che recita: - maggiore è la pressione di precarica migliori risultano le prestazioni balistiche ottenibili -. Intercedono in questa fondamentale argomentazione molteplici variabili che via via tratteremo. 

L'asta, inserita all'interno della testata, s'innesta nell'incavo del pistone, grazie a un cono "morse" (collegamento meccanico semplice, possibile per la specifica conicità del fondello del dardo). La sagola viene fissata passandola per due volte o tre volte tra l'appiglio inferiore dell'ogiva e lo sganciasagola. 

La rondellina presente sulla freccia cala nella depressione circolare della testata e mantiene centrato il tutto; fa sì che l'azione venga guidata correttamente fino al termine, senza impuntamenti o flessioni dannose delle parti in movimento.

 Spingendo la freccia all'interno della canna, si agisce di rimando sul pistone che arretrerà e comprimerà l'aria, aumentandone la pressione, fino ad agganciarsi al dente di sgancio. 

 Il margine appiattito del grano di regolazione sospinge il perno di connessione (più è fine diametralmente più la sensibilità di trasmissione del meccanismo risulterà felice) che a sua volta trasmetterà l'impulso di liberazione al dente di ritegno; questi, come un semplice braccio di leva, libererà il pistone agganciato che. Il cilindretto, letteralmente sparatola dalla potente ri-espansione dell'aria, percorrerà, con un attrito bassissimo, (ulteriormente decrementato da un velatura impalpabile d'olio) tutta la canna, scagliando ad altissima velocità l'asta verso l'esterno. Il disimpegno sarà istantaneo appena la superficie del pistone urterà contro la boccola d'ammortizzo. 

La funzione di ammortizzamento è determinata da un sottile tubetto di gomma che fascia la boccola di resina e dalla struttura interna della testata. Quando il pistone picchia sulla sede plastica mette in funzione il cilindro elastico, mobile per alcuni millimetri, che assorbe parzialmente la botta.

Il variatore di potenza merita una descrizione approfondita perché ci sono tanti pescatori che non ne comprendono appieno il funzionamento. E' bene segnalare che quest'accessorio dona al fucile oleopneumatico una serie di vantaggi pratici che non si riscontrano in nessun altro tipo di arma subacquea prodotta attualmente ma è anche doveroso ammettere che per sfruttarlo adeguatamente bisogna capirne a fondo i meccanismi d'azione. Il blocchetto di regolazione è sistemato all'interno del serbatoio contiguamente all'impugnatura. 

E' solidale a questa per mezzo di inserti maschi sulla circonferenza esterna che si accoppiano con opportune sedi femmine.  La canna lo attraversa coassialmente e un O- ring e un anello elastico lo bloccano in posizione, garantendo allo stesso tempo anche una determinata tenuta pressoria. 

In pratica il serbatoio e la canna devono rappresentare due entità separate, divise, e la comunicazione è resa possibile solo attraverso il consenso "autorizzato" del blocco regolatore che la attua per mezzo di passaggi forzati. Uno è un foro passante che collega la camera del serbatoio con quella della canna. 

La luce si può bloccare ermeticamente con un tondino munito di apposito O-ring, pilotato esternamente dall'astina regolatrice: quando il cursore è rivolto verso il basso significa che sta chiudendo il blocchetto, quando invece è tirato indietro e verso l'alto lo lascia aperto. 

Sparando potete quindi avere la disposizione immediata di due potenze a scelta: la minima e la massima. 

La massima, con la piena utilizzazione di tutta l'aria precompressa delle due sezioni (serbatoio e canna), rese simultaneamente intercomunicanti dall'apertura della luce. 

La minima, con un'energia volumetrica ridotta perché la luce di passaggio sarà sigillata in chiusura e quindi risulteranno fruibili per la fase propulsiva solo dei piccoli spazi: l'aria presente nell'esiguo volume della canna, la micro camera compresa tra il retro del blocchetto di regolazione e l'interno dell'impugnatura. 

Fin qui non dovrebbero sussistere dubbi di comprensione ma progredendo alla fase successiva la questione necessita di un po' più d'attenzione. Il regolatore non è solamente utile per variare la potenza ma consente il frazionamento e la diluizione temporale dello sforzo nel caricamento dell'arma. 

Se si spara in posizione di "minima" verrà sempre e solo sfruttata una parte piccola di gas compresso che resterà tale e quale anche durante l'armamento del fucile: l'operazione risulterà, di conseguenza, estremamente facile. Se però spariamo in "massima" la faccenda cambia radicalmente: l'aria, sia del serbatoio sia della canna, si unisce e si espande nuovamente in tutto il fucile. Le atmosfere si "avvertiranno" completamente nella loro pienezza e la forza che si dovrà applicare per decomprimere il volume espanso, sarà importante (naturalmente in relazione al numero di atmosfere di precarica). 

Lasciando il cursore sulla massima sentiremo sempre la durezza nell'azione di armamento fino in fondo e, fino a che la coda del pistone non sarà ancorata al dente, non esisteranno facilitazioni. Vediamo come si può risparmiare un po' d'energia fisica: per prima cosa portate l'astina del regolatore in posizione di minima. Adesso il blocchetto è chiuso, stagno, ma se provate a caricare brutalmente l'arma vi accorgerete di nuovo che il fucile sarà "marmoreo". 

Poiché tutta l'aria risulta ancora espansa all'interno delle due camere, bisognerà ripristinare le divisioni vantaggiose per noi con un po' di pazienza. Naturalmente l'unico ed inevitabile modo è quello di spingere nuovamente l'asta nella canna al fine di far decomprimere il gas da un settore all'altro. Al primo tentativo magari farete "abbassare" la freccia solo per una decina di centimetri per poi ritornare stancamente alla posizione d'inizio; vi sembrerà di fare sempre una fatica bestia ma al secondo exploit... ecco che, pressappoco fino al punto raggiunto in precedenza, lo sforzo risulterà decrementato e la spinta esercitata sulla freccia diminuita. 

Procedendo a piccoli passi, e tirando il fiato tra una trazione e l'altra, armerete qualsiasi cannone. Il merito va ad una minuta valvolina fissa, denominata di "non ritorno" che, come dice il nome, fa si che l'aria decompressa (fase del caricamento dell'arma) si accumula, progressivamente e soprattutto senza ritornare indietro, nei piccoli spazi preposti e quindi risulti più facile da ricomprimere successivamente.

Descrizione Pezzi - Fucile

Come è fatto un classico fucile oleopneumatico?

L'attrezzo si può scomporre schematicamente in alcuni pezzi.

L'IMPUGNATURA

è quella struttura plastica che, come dice il nome, viene impugnata durante l'azione di caccia. E' stampata a caldo con tecnopolimeri caricati, atti a resistere alla pressione ed è forata disassatamente e longitudinalmente, per il passaggio della canna. 

Anteriormente presenta un tratto cilindrico per l'inserzione del serbatoio, l'apposita sede per l'O Ring di tenuta e, posteriormente, l'incavo per la valvola di gonfiaggio. Sul fianco sinistro ci può essere il tunnel dell'astina di regolazione, se l'arma ne prevede l'impiego, e lo speciale spazio geometrico per manovrare l'apposito cursore. 

Il calcio ha una forma a pistola, anatomica, inclinata rispetto all'asse orizzontale, per una presa comoda ed intuitiva. In alcuni modelli è addirittura separato in due parti: una è la "scheletratura" rigida di supporto che diparte dalla stessa impugnatura, l'altra è rimovibile, costituita da un sovra calciolo in morbida termogomma (o termoplastica) che viene montato ad innesto e fermato con una spina trasversale (in plastica o in acciaio inox). 

Alla fine del calcio, in prossimità del fondo, si osserva un foro, o un micro aggancio, per fissare la sagola o un moschettone di sicurezza alla cima della boa. Certe impugnature hanno il calcio cavo e possono ospitare delle micro torce o, molto più comunemente, i carichini per l'armamento del fucile.

LA VALVOLA A SPILLO:

è realizzata in ottone cromato o in alluminio anodizzato, lavorato a macchina. Un tappo a vite colorato ne chiude il fondo esterno. 

E' scomponibile in quattro parti: al suo interno si osservano una piccola sfera e una contigua molla di spinta, entrambe in acciaio inossidabile, un O ring, e una boccola plastica che preme la guarnizione. 

Il congegno permette la precarica o lo scarico dell'aria contenuta nel fucile tramite un'azione di pressione diretta sulla sferetta metallica.

IL GRILLETTO:

è situato all'interno dell'elsa: l'impugnatura possiede una scanalatura interna in cui s'inserisce di misura e un foro passante per la spina (in acciaio inossidabile) sulla quale bascula. Il grande e piatto corpo plastico è solidale con il grano di regolazione (inox), filettato, che aziona meccanicamente i leveraggi di sparo. Il grilletto ha un profilo centrale compatibile con la falange del dito e superiormente possiede una forma a forcella che si adatta al sistema di sicura. Qualcuno coordina anche il rilascio immediato dello sganciasagola laterale tramite un'apposita conformazione pronunciata.

IL SISTEMA DI SGANCIO:

addentrandoci internamente, nella predisposizione forata dell'impugnatura, scorgiamo la presenza di preziosi componenti. Sono: la boccolina guida, filettata esternamente e forata centralmente (generalmente in ottone cromato), il sottile e indispensabile pistoncino di connessione (in acciaio inox) dal cui diametro dipende, in parte, la dolcezza di sgancio, e "l'invisibile" O Ring di tenuta stagna dell'intero micro sistema.

LA SICURA

è una semplice barretta o un congegno in più pezzi che impedisce meccanicamente al grilletto di agire; lavora generalmente in modo trasversale ed è facilmente azionabile con un dito. Il meccanismo blocca esclusivamente il grilletto, impedendogli di muoversi, e non il sistema interno di sgancio.

LO SGANCIASAGOLA:

guardando lateralmente l'elsa, osserviamo, nella parte inferiore, l'appendice plastica sagomata; essa è imperniata su una spina (inox) di diametro piccolissimo che permette un movimento libero, orizzontale o verticale a seconda dei modelli. Sgancia le passate di sagola appena arretra il grilletto e ha una forma tale che le permette di ritornare automaticamente nella posizione originaria, subito dopo lo sparo, senza l'ausilio di molle.

LA CANNA

è in lega di alluminio anodizzato, ha una lunghezza variabile a seconda delle armi ed ha un diametro interno di 13 mm oppure, per un unico modello, 11 mm. L'anima del cilindro metallico, generalmente, ha una rifinitura precisa, atta a permettere uno scorrimento relativamente senza gioco del pistone (H 8 - H 9) ed è speculare. Alle due estremità vi sono due filettature: una interna, a cui si avvita la valvola di precarica, e l'altra esterna che raccorda la testata. In prossimità della coda, inferiormente, c'è una fresatura che permette il piazzamento dei congegni di sparo: si nota anche, sul fondo della canna, la sede a rientrare della molla del dente di arresto. Lungo il decorso dell'attrezzo troviamo delle sedi scanalate che trattengono gli anelli elastici.

IL PISTONE:

è il cilindro che scorre, con una superficie di contatto minimo, all'interno della canna e a cui è demandato il compito di espellere rapidamente la freccia. Per raccordarsi ad essa presenta una sede calibrata con il codolo dell'asta in uso. E' stampato in due materiali diversi: l'acciaio cementato e zincato, impiegato per la coda che deve ancorarsi saldamente al dente di ritenzione, e la resina acetalica per il corpo vero e proprio che lo rende leggero e autolubrificante. Le sedi apposite per le fondamentali guarnizioni di tenuta sono ricavate generalmente sul corpo di metallo: la calotta in gomma (guarnizione a tazza) e il piccolo O ring, posizionato appena sopra.

GLI O - Rings:

sono le guarnizioni che trattengono l'aria compressa all'interno del fucile oleo pneumatico. Si dividono in statiche, quando non sono soggette a garantire la tenuta in movimento (raccordo impugnatura, serbatoio, ogiva, testata, ecc.), e dinamiche, quando assicurano la tenuta a parti impegnate in azioni di scorrimento (astina variatore di potenza, perno di connessione, pistone). Consentono al sistema oleo pneumatico di "esercitare" con pressioni d'esercizio elevatissime.

IL DENTE DI AGGANCIO:

viene montato all'interno della canna grazie all'apposita sede fresata; è tenuto in posizione da una spina in acciaio inossidabile che li trapassa trasversalmente. Il materiale scelto per il pezzo è un acciaio inossidabile temperato: deve garantire una durezza ferrea (almeno 50 Hrc) per evitare usura e consunzione con conseguente pericolosità di sgancio occasionale. L'oggetto ha la funzione essenziale di agganciare stabilmente la coda del pistone e di liberarla solo quando viene premuto il grilletto. L'azione è permessa e indotta da una molla specifica che prende posto tra il perno posteriore di cui è dotato il dente, e la fresatura circolare ricavata internamente alla canna.

IL SERBATOIO:

è il grosso tubo che caratterizza immediatamente le armi ad aria compresse e che è concentrico alla canna. Ha un diametro esterno di 40 mm. E' prodotto in lega di alluminio, che viene poi anodizzata per donargli una lunghissima protezione anti corrosione. E' il maggior serbatoio dell'energia accumulata pronta a scaricarsi veemente sul pistone. Proprio su questo semplice componente sono intervenute delle novità interessanti rispetto alla produzione passata: ad esempio, in commercio, ce n'è uno a forma rastremata, con il terminale conico di esigua sezione. Promette migliore manovrabilità. Ultimamente sono in auge i trattamenti di rivestimento gommati, fonoassorbenti, che svolgono un duplice ruolo: protettivo e insonorizzante.

L'OGIVA:

è il raccordo plastico che unisce il serbatoio alla testata. La forma è un'altra di quelle caratteristiche che sono state rinnovate nel corso degli anni: si è tentato di renderla più filante e anatomica sia per consentire una linea di mira migliore e sia per poter caricare meglio il fucile. Nella parte superiore si trova il mirino, costituito da un supplemento di materiale e, in taluni casi, da un inserto fluorescente; nella porzione inferiore è situata una protuberanza stondata, il passasagola. Lateralmente, o trasversalmente, c'è un foro per poter annodare, o solo infilare, il sagolino da collegare all'asta.

LA TESTATA

è il tratto conclusivo del fucile ad aria. E' un cilindro di lega di alluminio anodizzato, forato longitudinalmente, adornato da una serie di tre o quattro fori (in qualche esemplare di diametro variabile e inclinati di 45°) ricavati sulla circonferenza: servono per velocizzare l'espulsione dell'acqua accumulata dentro la canna. All'interno è situata la boccola d'ammortizzo che arresta il pistone a fondo corsa (oggi in resina acetalica ma un tempo in acciaio inox), estraibile, da quasi tutte le testate, svitando la ghiera anteriore.

IL VARIATORE DI POTENZA:

è un cilindro plastico dotato di più aperture interne. Una di queste, centrale, permette il passaggio della canna; un'altra, più piccola, ospita una valvola di non ritorno e il suo gommino: entrano in funzione quando si decomprime una parte d'aria. Per ultimo scorgiamo una luce laterale e opposta, che può essere occlusa o aperta, al bisogno, dall'O ring dell'astina regolatrice e che consente di escludere parzialmente un volume di aria prescelto. Il blocchetto di variazione potenza può essere azionato sia per dosare finemente e al bisogno la decompressione del gas in fase di armamento del fucile, sia per utilizzare tutta la potenza disponibile, o solo per sfruttarne una piccola porzione.

L'OLIO: 

immesso in quantità adeguata e variabile, a secondo delle dimensioni del fucile (comunque sempre pochi decilitri), protegge i meccanismi interni, lubrifica le guarnizioni, consente il movimento fluido delle parti mobili. Ha una viscosità bassa, è anti corrosivo, è adatto a sistemi idropneumatici. Principalmente la sua presenza consente al pistone di raggiungere una velocità di scorrimento elevata, dato che l'attrito lungo la canna sarà quasi annullato.

SMONTIAMO L'OLEOPNEUMATICO.
Di Gianni Mignone

Sempre con maggiore frequenza si assiste sul forum a richieste di aiuto per riparare e/o apportare modifiche a fucili oleopneumatici. Sperando di fare cosa gradita agli amici di Bluworld, mi sono deciso a scrivere quest'articolo, corredandolo con tante foto, al fine di facilitare che vuole cimentarsi con l'arte del far da sé. Per prima cosa vorrei sfatare il falso credo che si è instaurato e che declama questo tipo d'arma come soggetto a cure e manutenzioni continue quasi maniacali. Esso, in vero, è spartano e solido, va passato sotto l'acqua ogni qualvolta torna dal mare, come, d'altronde, tutte le nostre attrezzature. Unica accortezza da parte del suo proprietario è tenerlo lontano dalla sabbia, unico e vero nemico dell'oleopnematico in quanto basta un semplice granello per compromettere l'integrità della canna e di conseguenza la perfetta tenuta. Partiamo dal fucile, che in questo caso è un SL Cressi 40, ma il " protocollo " è estendibile a qualsiasi altra arma c.d. ad aria, comprese quelle che presentano il variatore di potenza. Gli attrezzi che ci servono li ho esposti sul banchetto da lavoro, proprio per meglio rendere l'idea della falsa complessità degli oleo.

Foto 1

Iniziamo: Fucile ancora carico o si presume che sia tale, viene posto in posizione verticale, con la testata in basso, per almeno 10-15 minuti. Quindi aiutandoci con una moneta e con una pinza svitiamo il tappo sito a protezione della valvola di precarica, come si evince dalla foto

Foto 2

Tolto il tappo, con l'ausilio di un punteruolo premere sulla sferetta della valvola di precarica di modo che uscirà l'aria contenuta nel serbatoio del fucile. Togliete l'attrezzo solo quando non sentirete più alcun sibilo di aria.

Foto 3

Adesso va fatta una breve parentesi: Ad eccezione dei fucili Cressi che monta testata e boccola di chiusura di testata perfettamente cilindrica, tutte le altre case montano un dado esagonale che richiede una chiave a forchetta ( fissa ) o esagonale del n° 19. Nel caso in esame, mi sono aiutato con due cacciavite a stella di grandezza diversa, uno per la boccola superiore ed un altro per svitare il corpo testata.

Foto 4

Foto 5 

Quindi, sempre con il cacciavite a stella ho proceduto a svitare il corpo testata, nel quale è alloggiata la boccola di ammortizzo in tecnopolimero.

 Foto 6

Una volta svitato il corpo testata, si procede ad estrarre il pistone.

L'operazione prevede:

* l'inserimento dell'asta nel pistone;

* lo scivolamento di questi fino al suo aggancio al dente di ritenzione;

* ulteriore pressione dell'asta al fine di agganciarla meglio al pistone;

* premere il grilletto e contemporaneamente tirare su l'asta, la quale si trascinerà fuori dalla canna interna anche il pistone.

 Foto 7 

Estratto il pistone , si fa defluire l'olio contenuto all'interno del fucile. Questa operazione può richiedere diversi minuti. Consiglio di sistemare il fucile in posizione verticale appoggiato ad un muro e con la parte anteriore in un contenitore. All'uopo utilizzo le classiche bottiglie di plastica a cui asporto la parte superiore.

Foto 8

Adesso passiamo a smontare la volata e successivamente il serbatoio

Foto 9 

quindi togliamo il serbatoio

Foto 10 

a questo punto abbiamo messo a nudo la canna interna, per cui si procede a togliere il tendisagola, il grilletto e la sicura, cosa semplicissima in quanto basta far fuoriuscire le relative spine in acciaio mentre la sicura uscirà facilmente dal suo alloggiamento una volta che non sarà più fermata dal grilletto.

Foto 11  

la foto sopra mostra l'operazione per lo smontaggio del tendisagola (di colore giallo )

Foto 12 

Smontaggio del grilletto avviene mediante la fuoriuscita della spina di acciaio dal proprio alloggiamento

Foto 13 

il grilletto ormai non più trattenuto dalla spina viene agevolmente sfilato

Foto 14  

estrazione della sicura Fatto ciò , con l'ausilio di una pinzetta a becchi lunghi si sfila il piolino di sgancio ubicato sotto il grilletto. Se stiamo smontando un fucile di ultima generazione: Mares ( Cyrano - Spark e ultima serie sten ), Sporasub e Maori, bisogna svitare la vite copri o-ring nell'impugnatura nel cui foro passa il piolino di sgancio e con attenzione va estratto anche il guida piolino.

Foto 15 

quindi si passa a svitare la valvola di precarica

Foto 16 

A questo punto si sfila la canna dal suo alloggio

Foto 17 

Un prossimo articolo tratterà il rimontaggio del fucile oleopneumatico

Gianni Mignone

La Potenza, Gittata, Penetrazione

La potenza

Il fucile oleopneumatico possiede delle virtù da tenere bene in considerazione e che spesso sono dimenticate o trascurate. Quest'arma non ha rivali sul mercato attuale, ad esempio, per la potenza che sa esprimere. Potenza a basso costo, non deteriorabile nel tempo, costante nell'impegno.  Potenza esuberante che risolve qualsiasi situazione ma, al contempo, dosabile e calibrabile nei casi in cui sia richiesta un' immediata riduzione significativa.  Un pugno di ferro in un guanto di velluto. 

Riducibile o incrementabile a piacere innumerevoli volte, con elementari operazioni meccaniche. Tranquilla e facilitata, all'occorrenza, nell'azione di caricamento, terribile e inesauribile nell'espressione massima di forza.  E' in grado di trapassare in acqua libera tonni superiori al quintale, come fossero mollicce falde di burro, ma è capace pure di fermare in stretti canali rocciosi dei saraghetti che rasentano la porzione, senza scalfire minimamente lo scoglio che c'è posteriormente. 

Scaglia lontano frecce da mezzo chilo con noncuranza, e tratta con suprema delicatezza dardi esili, donandogli insospettabili prestazioni balistiche. La forza che possiede non piagnucola al cospetto di diametri impressionanti, da nove millimetri e più, e fa sbellicare spassosamente la scaltra tahitiana da sei e mezzo. Sospinge aste dalla massa spaventosamente letale con sufficiente rapidità e fa letteralmente volare "spilli" di dimensioni più abbottonate.  La propulsione pneumatica dona una tranquillità meravigliosamente ostentata al proprietario. 

La sicurezza in vari frangenti è assolutamente certa, stabile, garantita. In dieci centimetri d'acqua come a trentacinque, una preda che transiti a tiro è da ritenersi bella che secca.  Il potere d'arresto è micidiale e si osservano pescioni che appena raggiunti restano scioccati, inebetiti, tramortiti. Le grosse cernie, le ricciole, le lecce, i dentici, i dotti, i branzinacci, le oratone, troveranno un'antagonista inarrestabile sulla loro strada. 

I pneumatici lunghi (oltre i 95/97 cm) accumulano e restituiscono maggiore energia rispetto agli omologhi più piccini (50/70 cm), in virtù della canna più pronunciata e della spinta progressiva offerta al pistone, ma sono anche più difficoltosi da caricare poiché si esprimono al meglio con precariche di almeno 25 atmosfere. 

I piccoli si comportano con distinzione già dalle 18/20 atm fornite di base. La potenza deve risultare adeguata al soggetto utilizzatore, adattata alle specifiche esigenze e non aumentata a dismisura solo per sentito dire o per emulazione; il rendimento globale del pneumatico è straordinariamente elevato e non va necessariamente a nozze con la dose di atmosfere di precarica, troppo volte "muscolarmente impossibile" da gestire

La gittata, la forza di penetrazione, la velocità

Molti cacciatori si lamentano che il loro fucile non rende in proporzione quanto invece si dimostra ingombrante.  Lunghezze esageratamente pronunciate e tiri modesti, solo discreti, inappaganti. Situazioni oggettive che non permettono di: occultare l'attrezzatura perché questa sporge eccessivamente dal contesto ambientale; tane con l'ingresso microscopico e il pesce sul fondo, apparentemente imprendibile; acque torbide come il caffelatte e ombre che transitano fugaci... Con l'arma oleo pneumatica vanno rivisti i parametri di paragone e le conseguenze pratiche legate a tutto ciò. La gittata, intesa come tiro utile, sorprende se viene confrontata con le dimensioni totali del fucile. Il risultato e che quasi tutti i pesci vengono direttamente insagolati, anche a distanze non proprio ritenute canoniche. Incide in questa specifica analisi senza dubbio anche il peso dell'asta, la sua massa, la sua lunghezza totale, ma mai troppo negativamente come si verifica obiettivamente in altri tipi di propulsione. 

Quante volte spariamo ad una preda e la vediamo appena "toccata", fortunatamente, senza averla passata da parte a parte? Squame larghe e spesse due dita, ossa dure e resistenti come il metallo, pellacce ruvide e invalicabili: spiacenti, ma con lei non c'è n'è per nessuno. La capacità di penetrazione risulta sempre sufficiente e dinanzi a qualsiasi ostacolo non permette brutte figure. 

C'è, sotto sotto, un fattore che non si erge prepotente, che non dichiara la sua superiorità, che non vuole dimostrare nulla a nessuno ma che è alla base delle performance di questo sistema: la velocità. Velocità del pistone all'interno della canna lucidissima, velocità dell'asta sul bersaglio, velocità a trapassare il pinnuto. Provate solo ad eliminare i voluminosi orpelli che sono situati sul dardo di serie, o meglio a sostituirli con qualcosa di molto più idrodinamico e poi ne riparliamo: resterete meravigliati dai risultati ottenibili. 

Spigole sparate di muso infilate come spiedini, dentici sparati nel momento del "saluto" (il famoso scatto di fuga repentino), inanellati come tordi. Tante supposizioni e credenze maturate in anni di pescate sono state evidenziate e suffragate da test ingegneristici, promossi dalle case produttrici con tanto di pubblicazioni scientifiche, solo ultimamente.  Normalmente la freccia è assicurata all'ogiva con due passate allo sganciasagola: in tanti casi sembrano riduttive... 

Eseguendo un semplice calcoletto aritmetico si potrà valutare il raggio in cui qualsiasi pinnuto riceverà il "companatico" per la dipartita dal mondo sottomarino. Un pneumatico, al momento del tiro, farà distendere completamente la sagola e voi avvertirete ancora uno "strappo" deciso dell'asta a fine corsa. 

Ecco, senza timore di smentita, qual è il dato di gittata utile del fucile: la lunghezza abbondante di due passate di sagola. A essere pignoli c'è qualche modello che si spinge ancora oltre e si mangia almeno un altro mezzo giro; poi ci sarebbe da inserire nel computo della stima anche la lunghezza della freccia, ma come dovreste sapere è rarissimo sparare ad una preda ad oltre tre metri e mezzo dalla testata! 

Un cinquantino, misurato fuori tutto, dal calcio alla testata, serve la "bastonata" a un po' meno di un paio di metri: circa 160 cm; un settanta a circa 250 cm; un novanta a 320 cm; un centoquindici a 420 cm

Pensate a quante situazioni potrete accedere favorevolmente: il centodieci quasi invisibile dietro la smilza concrezione di grotto e la sorpresina cattiva di una fiondata tremenda a lunga distanza; il saragone intanato profondamente nello spacchetto incuneato tra due strettissime lame di granito e l'agevole introduzione del fuciletto sterminatore; il torbidume difficile e l' agguato mortale del corto sessantacinque.

Come Armarlo

Le posizioni assumibili per una corretta azione di armamento

Caricare con la tecnica giusta un fucile ad aria agevolerà sicuramente lo svolgimento stesso dell'operazione, ma soprattutto non si creeranno situazioni pericolose e non si danneggeranno i meccanismi e gli accessori presenti sull'arma. 

Prima regola assolutamente inderogabile: i fucili si caricano esclusivamente in acqua e mai a stretto contatto, o peggio, diretti contro persone o cose. Non è raro aver sentito descrivere incidenti gravissimi sfiorati solo per un soffio e per pura fortuna. L'asta si colloca sulla sommità della testata e si assicura il codolo (o fondello) nella sede del pistone: è sufficiente premere con una lieve pressione.

Verificate che la rondella scorrevole del dardo si stabilizzi nella depressione apposita della ghiera di testata e il fondello abbia fatto presa: le precauzioni adottate servono a tenere in asse la freccia durante la progressione rapida all'interno della canna. Inserite la sicura se presente. Dopodiché bloccate stabilmente e immobilizzate il calcio, o l'impugnatura, con una parte del corpo. 

Questa può essere: la coscia, quasi all'angolo inguinale, per le armi corte o cortissime; la depressione creata dalle due ginocchia serrate e appaiate per le armi medie; la sede determinata tra due gambe incrociate, con una delle due caviglie appoggiate al tallone dell'altra, per le armi medio lunghe; il collo del piede per le armi lunghe. Una mano stringerà saldamente l'ogiva e l'altra spingerà in basso l'asta. 

La fase principale, quella della spinta, dovrà esercitarsi con i vari elementi allineati e saldi sulle posizioni intraprese inizialmente. Il viso e la porzione superiore del torace non devono essere per nessun motivo avvicinati, o meglio sopravanzati alla verticale del fucile in armamento Durante uno sforzo fisico impegnativo, ad esempio per i cannoni da 110/115 centimetri, bisogna coinvolgere anche parte dei muscoli della schiena, lombari e dorsali, al fine di aumentare l'energia e la forza di carico: il solo impiego limitato all'uso dei bicipiti va bene per i fucili corti e medi.

Inserendo la minima, nelle armi che ne sono provvisti, spingeremo all'inizio fin dove riusciremo ad arrivare, anche solo per i primi fatidici venti centimetri; se la manovra di carica non fosse immediata e risultasse faticosissimo il proseguo si potrà suddividere la spinta nell'arco di due o tre volte: ad ogni pressione il sistema sarà sempre più cedevole. 

Quando il pistone giungerà finalmente sul dente, per un gioco di molla, verrà trattenuto: sentiremo un "clack" di aggancio familiare.

Il carichino.

L'azione di carica di un fucile pneumatico è un'operazione molto delicata sia per l'utilizzatore stesso sia per l'asta in se.  Una piccola manovra sbagliata, una torsione disassata, un improvviso calo di forza fisica e il patatrac potrebbe succedere: la freccia piegata orribilmente, l'arma che può sfuggire pericolosamente alla presa, ecc. 

I problemi divengono flebili quando si armano i fuciletti e sul dardo si montano le fiocine: le dita prendono posto saldamente tra i denti di metallo o nei fori ricavati nel telaio plastico, e la spinta avverrà con forza, decisa, ma sarà quasi istantanea e senza tentennamenti.  Tutto si complica se al posto del cinquedenti avvitiamo un arpione, uno spaccaossa, o peggio ancora se abbiamo a che fare con un'esilissima tahitiana e un cannonaccio. 

Il carichino è una piccola appendice a forma di "T", stampata in tecnopolimero caricato, che è indispensabile per caricare i fucili ad aria muniti di punta unica. Presenta una sede apposita, qualche modello è rinforzato con del metallo o con una pallina di gomma dura, in cui si colloca la punta del dardo; nella porzione opposta ha due spessi prolungamenti laterali, atti a esercitare una presa manuale efficace. 

In un angolo c'è il forellino per legare un tratto di sagolino, o un elastichino, al fine di non smarrirlo e assicurarlo da qualche parte. Si usa in modo istintivo, infilando il tratto terminale dell'asta nell'incavo ed effettuando un'abbondante pressione con la mano racchiusa sui due "tiranti": dopo alcuni istanti il pistone è agganciato. 

Per i fucili medi e corti non si riscontrano praticamente difficoltà oggettive ma se passiamo ai grossi calibri si evidenziano le questioni serie. Se siete due metri di statura nessuna paura: anche se l'insieme asta - fucile, supera la vostra altezza, riuscirete ad armare anche "le colubrine" più impegnative poiché con l'estensione di un braccio oltrepassate il limite centimetrico. 

Ma come la mettiamo se siete alti solo un metro e sessantacinque? 

Fermo restando che il calcio deve restare sul collo del piede e una mano deve impugnare l'ogiva, come fare a raggiungere il puntale della tahitiana a tale distanza e "scaricare" di botto tutte le atmosfere?  Bisogna dotare necessariamente l'ammennicolo di due prolunghe laterali e di una traversa orizzontale per poterlo afferrare bene. 

Con un trapano basta praticare due forellini alle estremità del carichino e legarci una cimetta, o una treccia composta da trefoli più sottili, fino a creare l'architettura di trazione. 

Un tubetto di plastica o dell'Acquaseal spalmato sui cordini, costituiranno l'impugnatura obliqua. 

Personalmente ne ho fatti parecchi tipi, di differenti lunghezze, e ne adotto specificatamente uno per ogni modello perché le misure, da calcolare attentamente, non ammettono errori di valutazione. E utile fare dei test preventivi all'asciutto o fare delle proporzioni di comparazione con i modelli più corti. Il carichino semplice, di dimensioni lillipuziane può essere inserito all'interno dell'impugnatura, sotto il polsino della giacca, sotto i bordini dei pantaloni, sotto la giacca o legato alla boa. 

Quello elaborato e naturalmente più ingombrante, si posiziona sotto ai bermuda, sotto al bordo della giacca, sotto al pallone. Per saggia precauzione è auspicabile averne con se almeno un altro esemplare, il costo è ridicolo, perché è frequente ed è capitato a tutti, di sfilarsi la muta senza tante precauzioni e vederlo finire malinconicamente in acqua.  Una elaborazione maniacale consiste nel sagomare un carichino ex novo da una barra di tecnopolimero con un basso peso specifico (galleggiante).

Le Aste

Acciao Zincato

Acciaio inossidabile

Accaio inossidabile temperato

Acciao Armonico

D 6.5

D 7.0

D 8.0

D 9.0

Accessori

Sagola 

Spaccaossa

Le modifiche

L'asta montata sul vostro oleopneumatico è così importante da condizionare in gran parte l'opera dello stesso. C'è un rapporto strettissimo tra performance balistiche, sfruttamento adeguato della potenza, risultati conseguibili. Con essa si carica l'arma, si punta la preda, si cerca di raggiungere il bersaglio, si trattiene il pesce una volta colpito. Comprendete che le mansioni a cui è preposta obbligano l'acquirente ad accertarsi che il prodotto scelto sia valutato molto accuratamente sotto il profilo tecnico e qualitativo. Un'asta scadente farà risultare negativamente anche il sistema che c'è a monte, senza alcun dubbio. Per armare il fucile, come abbiamo già visto, occorre che l'asta sia spinta con forza all'interno della canna: questa manovra comporta un notevole carico meccanico sulla freccia che non deve principalmente stortarsi o piegarsi malamente. Sulle armi a canna lunga l'operazione è senza dubbio maggiormente delicata ed è quindi più facile rovinarla: la precisione del tiro si ottiene con un'asta perfettamente diritta, non dimentichiamolo. Il problema della ruggine è un altro di quegli aspetti che è meglio evitare in partenza: sia per i residui ferrosi che potrebbero distaccarsi dal metallo ed insinuarsi tra la guarnizioni di tenuta del pistone, determinando una possibile perdita d'aria, sia per la possibilità di grippaggio della rondellina di scorrimento e centraggio con la freccia. Esiste poi il capitolo immenso e discusso delle dimensioni fisiche che il tondino deve possedere. La lunghezza è un dato fondamentale per scoccare tiri precisi e in lontananza. Semplificando il tutto si potrebbe dire che il dardo, in acqua, ha una portanza idrodinamica, per capirci come quella di un'ala di aeroplano. Un fuciletto piccino, con una freccia da 50 cm, anche se fosse caricato a 40 atm non potrebbe mai scagliare il dardo a grandi distanze subacquee. Per vincere le resistenze e gli attriti dell'elemento liquido occorre anche un diametro ed un peso adeguato. Una sezione frontale delimitata, filante, garantisce che l'asta viaggi con una velocità sostenuta senza freni supplementari. Con una buona massa, inoltre, avremo un dato indispensabile per incrementare la capacità di penetrazione a fine tragitto.

Le aste per il pneumatico sono solitamente fornite di: un codolo o fondello in acciaio inossidabile, avvitato alla filettatura di coda. Esso ha una forma prettamente conica: la parte inferiore è il famoso cono "morse" che si vincola nella sede del pistone (ogni marca ha una conicità differente che non è possibile, quasi sempre, adattare universalmente su qualsiasi pistone), mentre la parte superiore orizzontale è piatta e fornisce il supporto di battuta alla rondella. Una rondella scorrevole in acciaio inox, alta qualche millimetro, che accoppia all'esterno con la fresatura della ghiera di testata e offre una base di "ancoraggio" agli accessori presenti. Una molla in acciaio inox, che ha il ruolo, tutto sommato, marginale, di ammortizzare il cordino di collegamento quando l'asta è a fine corsa. Uno scorrisagola di plastica, mobile, a cui viene annodata la sagola che trattiene la freccia. Generalmente per i pneumatici vengono vendute aste con una punta brevemente filettata su cui si possono avvitare le fiocine o gli arpioni ma da qualche anno la solfa è cambiata. Se volete ottenere prestazioni inimmaginabili ed eccezionali, adoperate sui fucili medi e lunghi una tahitiana (asta di lunghezza leggermente aumentata rispetto al ricambio originale e con un'aletta incorporata nella stessa struttura): tanti supposti difetti scompariranno d'incanto e vi ritroverete fra le mani un vero gioiellino. Il materiale che offre i migliori compromessi globali, sia in fatto di flessibilità, inossidabilità, peso, durezza, costi, è l'acciaio, in tante sue sfumature, vediamole insieme.  

Quali diametri utilizzare?

Il fucile oleopneumatico può adottare aste di differente diametro senza mostrare stravolgimenti radicali e sostanziali delle sue proprietà balistiche. Aumentando o diminuendo la pressione di precarica potremo giostrarci la questione alla grande, cercando sempre l'indice di adattabilità migliore. Con le armi che possiedono la canna interna da 11 mm (i Cyrano della Mares) non si possono oltrepassare gli 8 mm mentre con tutte le altre da 13 mm si possono usare anche frecce da 9 mm e, adattandone alcuni componenti intimi, anche oltre. L'unica precauzione per il montaggio di aste maggiorate, consisterà nel misurare, con un calibro di precisione, il diametro del codolo dell'asta che dovrà, per prima cosa, passare liberalmente dentro la boccola d'ammortizzo (ultimamente le più recenti boccole sono state ridimensionate come foro centrale passante per consentire al pistone un margine di appoggio superiore, e quindi si deve controllare attentamente il diametro interno del foro, pena l'impossibilità materiale che un'asta grossa possa transitare all'interno) e poi assicurarsi e sincerarsi del suo rapporto millimetrico con il diametro del dardo: devono esserci almeno due decimi di battuta supplementare per la rondella scorrevole, altrimenti al primo tiro vedremo l'asta scomparire nel blu.  

Acciaio zincato

tradizionalmente presente sulle rastrelliere dei negozi subacquei lo si riconosce dai riflessi dorati che presenta sulla superficie. Ha accompagnato schiere di pescatori. La colorazione giallastra è dovuta alla zincatura elettrolitica, un processo chimico che protegge il materiale ferroso su cui è fissata. Si possono anche reperire aste in altre tinte: nere, verdi, argentee. La durata del riporto di zinco le preserva dall'ossidazione per qualche stagione. Non sono di qualità meccaniche eccelse poiché si piegano facilmente ma altrettanto agilmente si possono raddrizzare anche nella stessa battuta: basta prenderle a due mani e fletterle controlateralmente con un ginocchio. Il proseguo della pescata è assicurata. Per la loro scarsa propensione alla flessione elastica durante l'armamento, non si adottano per i fucili lunghi oltre i 90 cm e in diametri sotto gli 8 mm. Sono molto usate per la pesca in tana, in versione filettata. Il costo è basso e la reperibilità comune.

Acciaio inossidabile

riconoscibili dalle precedenti per il colore lucente del metallo. La resistenza alla corrosione è ottima, quasi secolare, ma non si può dire altrettanto per le caratteristiche meccaniche: solitamente sono costituite da inox AISI serie 300 che non è a livelli massimi di robustezza ed elasticità per questo scopo specifico. Di norma l'acciaio di questo tipo non viene temprato e resta con le sue qualità originarie: si storta, quindi, abbastanza facilmente. Impiegate in luogo delle precedenti zincate ripagano approssimativamente con le medesime qualità intrinseche ma con una durata nel tempo, praticamente infinita. Proponibili spassionatamente per la pesca in tana e per i fucili non oltre i 90 cm: aste da 8 mm, o da 9 mm, con la filettatura di corredo. Esistono in tante versioni e calibri ma, ad esempio, le tahitiane si caricano con elevati rischi di piegatura, sempre in costante agguato, e non sono quindi troppo consigliabili. L'impatto diretto con le rocce denota, inoltre, la morbidità del materiale con punte schiacciate e rovinate seriamente. L'opera di raddrizzatura è immediata, vista la duttilità dell'acciaio. Il prezzo d'acquisto è medio basso e la reperibilità semplice.

Acciaio armonico

è il tipo di acciaio che, per capirci, si usa per fare le molle. Un materiale splendido, dalle peculiarità meccaniche sopraffine. Sottoposto ad un sapiente e accurato procedimento di trattamento termico acuisce ancora le prerogative salienti: durezza, elasticità, flessibilità, resistenza, memoria di ritorno. Prodotte in tutti i diametri e in tutte le lunghezze le frecce in armonico rappresentano il partner migliore che potete affiancare ai lunghi oleopneumatici. Permettono di armare il cannone perdonandovi errori vari, restano belle diritte per dei tiri precisissimi, sopportano urti sulle cuspidi. Le tahitiane sono la scelta preponderante e consigliabile spassionatamente per ottenere il massimo anche in velocità. In tana sono un po' sprecate... Quando si storcono si possono raddrizzare ma non è un lavoro molto semplice: occorrono una morsa e un martello e discrete capacità manuali. Il problema di fondo resta la resistenza all'ossidazione. C'è da dire che se la zincatura elettrolitica è eseguita con cura così come la manutenzione ordinaria, non ci dovremo preoccupare tanto per alcuni anni, mentre se il riporto è scarso, o mal fissato, o mal gestito osserveremo la precoce comparsa della ruggine. I costi si piazzano in una fascia medio alta e la reperibilità selezionata in alcuni negozi.

Acciaio inossidabile temperato

definito anche impropriamente acciaio inossidabile armonico, è un materiale abbastanza recente e l'ultimo in ordine di apparizione sui mercati. Sottoponendo a trattamento specifico un particolare tipo di acciaio inox, generalmente della serie AISI 400, si ottengono dei risultati assai lusinghieri. Siccome, però, il tenore di carbonio è inferiore a quello contenuto nel puro acciaio armonico, non avremo mai l'identica bontà tecnica. Ci accontenteremo ugualmente di un buon prodotto finale. Il colore è argento chiaro, quasi "vetrato". Il pregio migliore oltre all'inossidabilità, è la durezza, che le fa resistere a violenti colpi contro le pietre e non la fa stortare durante l'armamento. É acquistabile in molti calibri e lunghezze: un occhio di riguardo va rivolto alle lunghe tahitiane. Rammentate che le frecce in inox temprato sono durissime da lavorare (per fori, limature, filettature) e una volta piegate sono quasi sempre irrecuperabili: si snervano e non tornano più diritte. Il problema maggiore resta il prezzo d'acquisto che è piuttosto elevato mentre per la reperibilità vale il discorso dell'acciaio armonico.  

6.5 mm

Un diametro insolito per l'impiego su un oleopneumatico ma con i fucili dell'ultima generazione (canna da 11 mm) è da testare. La velocità impressionante è la dimensione che spiccherà su qualunque contesto. Consigliabile esclusivamente nella versione tahitiana e preferibilmente sui fucili da 95 cm in poi. La capacità di penetrazione a fine corsa è ottima su lunghezze che oltrepassano il metro (su aste corte c'è il problema del peso). Per l'armamento occorre la massima prudenza e la tecnica deve essere inappuntabile: meglio non eccedere, comunque, con le atmosfere di precarica dell'arma.  

7 mm

Il diametro classico per chi non vuole rischiare. Sempre in versione tahitiana offre una penetrazione idrodinamica esemplare e conserva una massa discreta: buona in armi dai 70 cm in su. E' robusta nell'azione di carica e non flette esageratamente anche con fucili mediamente pompati. Montata su vecchi archibugi in luogo dell'originale sembra farli resuscitare: precisa, potente, rapida. In versione filettata è un po' più veloce delle sorelline analoghe dotate di maggior peso, ed è utilizzata preferibilmente per i pesci molto sfuggenti. Di serie viene fornita da molti costruttori per esaltare le caratteristiche dei loro prodotti.  

8 mm

È il diametro standard di moltissimi fucili. Generalmente è filettata e usatissima nella pesca in tana dove viene corredata di fiocine, arpioni. La massa è poderosa è verificabile anche nelle misure più piccine. Inutile affermare che la capacità di arresto sul pesce è senza macchia così come la resistenza a piegature o danneggiamenti. Riduce lievemente la velocità di propulsione senza comunque scendere a livelli drammatici. Basta acquistarne, o prepararne, una tahitiana, per cambiare subito idea: su pesci grossi e lontani fornisce tiri con un tasso di letalità "da mattatoio". Abbisogna di sistemi con una precarica di base abbondante e generosa.  

        9 mm

Non è comunissima, è quasi scomparsa dai negozi specializzati e appartiene a mondi di pesca abbastanza lontani, purtroppo. L'azione di caricamento è resa quasi insensibile a possibili flessioni anomale. Ha una massa paurosa, di svariati etti, e dove arriva sfonda tutto. Non c'è osso cranico o strato dermico che ne possano ostacolare la devastante progressione. Il tiro potrebbe sembrare un po' "pilotato" ma se il fucile è molto carico la questione si ridimensiona ai minimi termini. Usata in tana, per serranidi principalmente, armi dai 70 cm in su; o al libero o ancora in caduta, su pelagici di grande caratura, con i cannoni da metro e oltre.

 Gli accessori delle aste

Un primo sguardo, di parte, va rivolto ai sistemi presenti sulle aste tahitiane (comuni ad altri accessori) che impediscono alla preda colpita di liberarsi: le alette di ritenzione. Vengono stampate con lamiera sottile, d'acciaio inossidabile, e rivestono come un guanto il dardo. Sono imperniate con l'apposito ribattino, sempre in inox e si articolano sull'asta con un angolo di circa 80 °; sono fissate a breve distanza dalla punta, perché possano aprirsi subito dopo che l'asta ha passato l'animale. Ci sono pesci che per un nonnulla si lacerano le carni o che si dibattono come ossessi, creandosi dei fori bestiali; per questo tipo di pinnuti occorrono alette lunghe almeno 6 o 7 cm, fissate a distanza dalla punta della freccia (sembra incredibile ma può accadere che il puntale fuoriesca di lato trascinandosi appresso l'aletta e poi tutta l'asta...). Il pneumatico, a differenza di altre tipologie propulsive, ha una tale potenza di perforazione che spesso si trovano le prede insagolate e cioè finite direttamente sul filo di collegamento; la freccia, dopo aver trapassato il bersaglio, fuoriesce completamente dal corpo dell'animale e resta penzolante nel vuoto. Perciò tanti pescatori si accontentano di una mono aletta, sicuri che è essa sia sufficiente ai loro scopi: per garantirsi sonni tranquillissimi sarebbe meglio, però, appaiarne una bella coppia, contrapposta oppure sfalsata, non si sa mai ...

Con che cosa si adornano degnamente le aste filettate? La domanda ha due risposte che ripercorrono gli annali della subacquea e diecimila avventure passate: le fiocine e gli arpioni.

La fiocina è un oggetto quasi familiare alla popolazione mediterranea, nel senso che non siamo solo noi subacquei ad impiegarle ma è in uso anche tra i pescatori con le reti, ricorre nelle illustrazioni di antiche raffigurazioni marinare, ecc. E' un oggetto dotato di più punte acuminate, nel particolare che ci interessa: tre o cinque. La lunghezza degli aculei, il numero, l'inossidabilità, gli ardiglioni di ritenuta, le rifiniture, sono variabili che differenziano la produzione ordinaria. La fiocina tradizionale è saldata ad un tratto tondo, forato e maschiato, che si avvita al dardo; si adopera principalmente per la pesca in tana, con armi corte e cortissime, e in casi molto settoriali, come ad esempio per l'aspetto in acque torbidissime. L'immediatezza di mira, l'alta percentuale di successo di sparo, la superficie ampia di shock, la rapidità nel tiro su prede instabili e mobilissime, la possibilità di "fermare" pesci attaccati alle pareti: ecco i suoi pregi. I difetti rappresentano l'altra campana: insufficiente trattenuta su pesci larghi e di grossa stazza, freno idrodinamico marcato, gittata dell'asta ridotta significativamente, velocità rallentata. I tre punte conservano una superiorità per la manovrabilità ulteriore tra spazi microscopici, ma perdono in capacità di ritenzione. L'evoluzione tecnica, come si sa, trova le risposta a tutto, e così sono nati trepunte e cinquepunte speciali. Per l'ingegno di un progettista nostrano sono state create delle fiocine (alcuni decenni orsono) che hanno le punte temprate annegate direttamente in un telaio di nylon o tecnopolimero. Divenute ben presto "di tendenza" appaiono in quasi tutti i borsoni dei cacciatori tanisti. Che vantaggi comportano? Principalmente assorbono molto bene le botte che si determinano inevitabilmente quando si spara tra strette pareti rocciose, risparmiando le punte e poi che le due apposite aperture laterali, per l'inserimento delle dita, sono ottime per l'azione di armamento del sistema pneumatico. Per compensare i deficit di gittata (in parte) e soprattutto di sicurezza nella cattura di pesci grossi, è apparso in commercio un tre punte in acciaio inox particolare: ha le punte lunghissime, e su ognuna non c'è l'ardiglione di tenuta ma bensì una piccolissima aletta, una mini tahitiana. Il problema sentito si verifica quando si deve sfiocinare il pesce: non basta esercitare una trazione decisa e uniforme, come si fa con le fiocine normali (a volte, per i casi impossibili si agisce anche con i talloni dei piedi, tenuti di fianco all'asta, e poi si conclude con uno strappo secco) perché la presa è così salda e indissolubile che sembra tutto piantato: si dovrà lavorare di coltello o stiletto.

L'arpione è un accessorio che passa inosservato forse per la rarefazione di prede che ne invogliavano l'adozione o anche perché adoperando aste tahitiane non se ne avverte più l'esigenza spicciola; infatti, nel suo piccolo, riproduce fedelmente la medesima struttura: un corpo appuntito, avvitabile al dardo filettato, e due alette contrapposte applicate al di sotto. La differenza cospicua sta nel fatto che è molto meno idrodinamico. Ne esistono di tantissimi tipi, con alette corte e lunghe, con punte di svariati profili e forme, in inox temprato o in acciaio protetto da zincatura, fini o grandi di sezione, tozzi e filanti, pesanti e leggeri. Il vantaggio enorme, secondo noi, che conserva tuttora, è l'intercambiabilità rapida: può essere montato su un'asta che precedentemente aveva la fiocina, in pochi secondi. In alcuni campi, e nello specifico nella pesca in tana, questa dote si apprezzerà adeguatamente. Potremo disporre, quindi, di una punta unica al bisogno, con tutta la potenza e la precisione che ne consegue. Se il cinquedenti e tanto meno il tre, non offrivano garanzie sicurissime per l'uccisione di pesci superiori ai due o tre chili (esistono sempre le eccezioni relegate alla bravura e alla fortuna), l'arpione è in grado di fermare praticamente tutti i tipi di pesci, con un traumatismo d'impatto che non ha eguali. Un enorme grongo o un cernione da 20 chili devono ricevere una sorpresina con i fiocchi. Naturalmente con le fiocine resta il fatto che è facile colpire il pesce anche se è messo in posizioni difficilissime mentre con la punta unica diventa più difficile prendere velocemente la mira e centrare le prede. I luoghi dove si ripone in attesa d'impiego possono essere: l'interno polsino, il sotto bermuda, l'interno calciolo, la gibernetta in cintura, il contenitore sotto il pallone, ecc. Una volta trafitta la preda si svita dalla freccia per estrarla senza difficoltà. Consigliamo di interporre sempre un giro di teflon da idraulici tra la filettatura maschio dell'asta e la femmina degli accessori avvitabili: tutte le manovre di fissaggio e sbloccaggio ne beneficeranno e non ci sarà il rischio di perdere tutto. Considerando che molti paesi dell'area mediterranea hanno proibito l'utilizzo della fiocina, ritenendola poco sportiva e non sempre letale, affidiamo all'arpione i contenziosi in tana.  

Spaccaossa

Ora analizzeremo brevemente un arpione di impiego specialistico ma che potremo usare anche in altre circostanze normali e che consigliamo sempre di avere appresso: lo spaccaossa. Praticamente si tratta di un arpione classico a cui sono state eliminate le alette e arrotondate tutte le protuberanze al fine di renderlo straordinariamente penetrante. I miei sono elaborati; vengono filettati e torniti da tondini di acciaio da tempra (poi trattato) e dotati di una bella punta triangolare. Lo scopo primario dello spaccaossa è l'inflizione del colpo di grazia. Non sfoglieremo un trattato di medicina legale e non ci dilungheremo in spiegazioni truculente ma l'uccisione della preda è un fatto fondamentale e compierla il più rapidamente possibile è un atto dovuto. Esistono degli animali dotati di una forza tremenda che, se non sono centrati in punto vitale, ci faranno sudare le proverbiali sette camicie e a volte non solo quelle, prima di averne il sopravvento. Generalmente quando si fanno questi discorsi si finisce a trattare inevitabilmente del gigante degli antri, la cernia. Il serrannide ferito è davvero un osso duro e forse è proprio per lui che si è inventato l'arpione senza alette: avvitato su un'asta di un secondo fucile, è in grado di colpire nuovamente la preda senza che nessun meccanismo di ritegno ne ostacoli l'estrazione successiva. La manovra di recupero dell'asta conficcata sarà veloce così come i tiri conseguenti: l'obiettivo consisterà nel raggiungere un punto mortale per uccidere definitivamente il bestione e ricuperarlo in scioltezza, senza dannarsi l'anima in una raffica di tuffi e tira molla. Vediamo in quali altre situazioni torna utile: poniamo il caso che abbiate sparato ad un pinnuto e questo si sia infilato in un labirinto di grotto, trascinandosi dietro un bel po' di metri di sagola. Tirate un capo e vi accorgete che si è formato un groviglio di filo. Cercate in tutti gli spacchi e ... sorpresa! Il denticione fa capolino sotto un tetto di posidonie, troppo pimpante e vispo; scendete con il vostro fucile pneumatico armato con lo spaccaossa, sparate fulminando la preda, vi riprendete l'asta e riemergete. Nel tuffo successivo basterà disincagliare con pazienza la sagola con la tranquillità del pescione già stecchito.  

Sagole

Le aste si collegano al fucile con la sagola. Le armi pneumatiche possiedono il vantaggio di scegliere, senza problemi, un numero congruo di cordini e cimette varie. La potenza esuberante non le relega all'utilizzo di sagolini finissimi per non turbare le peculiarità balistiche o meglio non è così sensibile a questo genere di variazioni. Per la tana si può andare sul "pesante", privilegiando avvistabilità e robustezza visto che si spara da corte distanze su bersagli in spazi confinati. Noi adoperiamo un trecciato di nylon pieno da tre millimetri, di un bel colore sgargiante: se ne scorge immediatamente la presenza anche negli spacchi profondi ed indica istintivamente la direzione della freccia nonostante la sospensione fitta e l'oscurità. Una volta centrato il pesce si può estrarre repentinamente, senza timore che il collegamento tessile si abrada o si laceri contro qualche asperità. L'unione con l'ogiva deve risultare immediata e disimpegnabile all'istante: può tornare utilissima in numerosi frangenti. I nodi speciali sono un paio ma va anche benissimo una bella girella grossa, da pesca in mare per intenderci, con il moschettoncino a sgancio rapido. Si fissa uno spezzoncino al foro dell'ogiva e si collega un capo all'anello del componente girevole: il filo non si attorciglierà mai e voi potrete sganciarlo e sostituirlo con praticità. Per non tirare esageratamente le due passate di filo con lo sganciasagola, indurendo da matti il grilletto, si può inserire lungo la sagola un elemento elastico che allenta e regola la tensione. Al libero si assottiglia il diametro della sagola fino a giungere al traguardo: il monofilo di nylon. La presenza dello scorrisagola, da un lato rappresenta un freno idrodinamico, dall'altra vi offre una vagonata di sicurezza: anche i capillari più esili, legati all'elemento scorrevole, non si tagliano, non si spezzano improvvisamente. Un sagolino da un paio di millimetri è già un buon compromesso ma per raggiungere i vertici della velocità nulla è meglio di un monofilo da 1. 20 mm. Si acquista in un negozio di pesca o in una cooperativa che vende prodotti per pescatori professionisti: si usa d'altronde per preparare i palamiti. Si può legare con un nodino allo scorrisagola, ma la cosa migliore è impiombarlo con gli appositi tondini in ottone (occorre una pinza specifica reperibile in un negozio che vende prodotti da traina). La giunzione sarà molto idrodinamica e resistente.

Le modifiche e le elaborazioni artigianali.

Materiali occorrenti: lime, cutter, cartavetro, un rotolo di teflon in pellicola, barretta di tecnopolimero, tondino di acciaio inossidabile da tempera, un trapano, delle punte sottili, una morsa, una pinza "grip", indirizzi di officine meccaniche.

Gli interventi sulle aste dei fucili ad aria sono una strada da percorrere necessariamente se si vuole entrare in una nuova dimensione di tiro. La tahitiana oggetto delle nostre cure dovrà sostanzialmente essere il più "nuda" possibile. Per prima cosa cercate di eliminare la molla che è solo un freno idrodinamico. Una morsa con le ganasce protette da una lastrina di piombo bloccherà la freccia e voi, con una pinza grip, sviterete il fondello. Accederete con questa metodica anche per sfilare lo scorrisagola; ricercate la massima forma idrodinamica con l'adozione di un ricambio specifico, o con la modifica, per quello che vi è possibile, di quello posseduto. Se non ci fosse lui la freccia quasi quasi decollerebbe. La lima e il cutter saranno i compagni di lavoro e la riduzione delle dimensioni non deve intaccare assolutamente la zona dei forellini passa filo. Una lucidatura con della cartavetro completerà l'attività intrapresa. Un sistema furbo funziona: inserendo un tondino con il diametro posseduto dalla freccia, o uno spezzone di una vecchia asta, sul trapano di casa mantenuto in orizzontale, montargli sopra lo scorrisagola e scartavetrarlo mentre questi ruota sul proprio asse, come se possedessimo un tornio. La radicale sostituzione dello scorrisagola con un componente nuovo, è un passo nel quale si comprende che.... incominciamo a far sul serio. Va tornito da una barretta in tecnopolimero autolubrificante o in altri materiali che preferite, nelle dimensioni più piccine che potrete immaginare. Disegnatelo di una linea snella e filante e praticate i buchetti passafilo mantenendoli aderentissimi alla struttura centrale. Chiedete al tornitore solo una sgrossatura a grandi linee del manufatto e l'esecuzione del foro di scorrimento, e poi rifinite manualmente voi l'oggetto: risparmierete sui costi. Il codolo sarebbe opportuno fosse bloccato alla filettatura o con un'interposizione di una strisciolina di teflon da idraulico o con una goccia di blocca filetti, perché esiste il rischio che si sviti improvvisamente. Un lavoro pesantuccio in termini economici ma di grande consistenza tecnica si ottiene con la riduzione e la filettatura del puntale, mediante tornitura, e l'avvitatura finale di una nuova punta, un po' più larga di diametro, affilata e fatta successivamente temprare. Così facendo si "copre" l'aletta, o la coppia d'alette, idrodinamicamente e si rinforza incredibilmente la cuspide micidiale del dardo. Ideale per le prede importanti. Sulla stessa dirittura dispendiosa vi è la rettifica integrale di un asta, eseguibile in un'apposita officina, per creare diametri bizzarri: 6.7 mm, 7.3 mm, 7.5 mm, 7,8 mm, ecc. Le alette, dovranno essere molto sottili ma al contempo robuste. Ci sono alcune ditte artigianali che ne forniscono di sublimi e la sostituzione con le originali, sempre che si riesca a ridurre la sezione d'ingombro frontale, è consigliabile.

CONGEGNI DI SICUREZZA DEI FUCILI SUBACQUEI

Autore: Leonardo Sampogna

Molti di voi avranno già letto un mio intervento sul Forum su questo specifico argomento. Dato l'apprezzamento manifestato e la delicatezza dell'argomento, ho pensato di elaborare un articolo vero e proprio, dotato di immagini esplicative.
Inizio subito dicendovi che personalmente, per quanto possa apparire un controsenso, uso molti dei miei fucili dopo aver asportato il congegno di sicura, mentre su altri lo lascio al suo posto. Tenete presente che come utilizzatore sono un po' un caso anomalo rispetto alla media dei tiratori, perché nel maneggio delle armi ho una dimestichezza particolarmente spiccata per via dell'abbondante esercizio maturato nel mio ambito professionale, che mi consente di abituarmi all'utilizzo di armi diverse con procedure diverse senza subire particolari deficit o sviluppare "brutti vizi" derivanti dall'abitudine.
Come ho già sostenuto in passato, ai miei fucili applico le modifiche che ritengo utili a migliorarne l'impiego senza comprometterne la funzionalità; in particolare, effettuo solo quelle modifiche che mirano a correggere aspetti dell'arma che durante l'uso mi appaiono come difetti.

Dopo questa lunga premessa passo subito ad analizzare i sistemi di sicurezza che ritengo inefficienti o che presentano problemi tali da spingermi ad una loro eliminazione. A questo proposito, è di fondamentale importanza un chiarimento: i congegni di sicurezza dei fucili subacquei vengono giustamente previsti e montati sui fucili dalle aziende costruttrici ed hanno certamente una funzione importante, ma in generale non sono in grado di prevenire colpi accidentali e per questo la regola comportamentale numero uno di chi impugna questi attrezzi è: NON PUNTARE MAI IL FUCILE VERSO ALTRE PERSONE.
Questa regola vale a prescindere dal fatto che la sicura sia inserita o meno. Se si adotta questa basilare regola di sicurezza, la sicura diventa un orpello pressoché inutile che può rischiare di farci perdere una preda in seguito ad un inserimento accidentale e che, conseguentemente, si può scegliere di eliminare.

Fucili ad aria compressa: esistono due tipi di congengo principali che assolvono alla stessa funzione di "sicura". Il più recente lo definiremo modello "Cyrano": è una sorta di leva che una volta azionata va a bloccare il movimento del grilletto e si sovrappone alla sua guardia o ponticello, interferendo con l'azione del dito indice sul grilletto stesso.
Di un sistema simile era dotato il Grinta, ma la leva bloccava solo il grilletto, sporgendo dalla guardia in modo vistoso, per avvisare il tatto del tiratore del fatto che la sicura era inserita.
Il sistema tradizionale, invece, consiste in una barretta dotata di un cavo ed un pieno, posizionata di traverso davanti alla parte alta del grilletto, che scorrendo di lato nella sua sede inibisce il movimento al grilletto.


Dei due sistemi, sicuramente il tradizionale è quello che solitamente, appoggiando il fucile sul fondo, si corre il rischio di trovare inavvertitamente inserito- il che mette il sub nella condizione di poter offendere i pesci solo....a maleparole.

Il difetto che i due sistemi presentano in comune consiste nel fatto che le leve di sicura non bloccano l'intero meccanismo di scatto (più propriamente di sgancio) ma, come dicevamo, inibiscono il solo movimento del grilletto, lasciando libero il dente che trattiene il pistone di basculare nella sua sede, non riuscendo così a scongiurare in modo assoluto la partenza del c.d. colpo accidentale.

Personalmente, dispongo solo di fucili ad aria dotati del sistema tradizionale, sui quali ho immediatamente rimosso il congegno di sicura. Penso però che rimuoverei anche il sistema Cyrano.


Smontaggio e rimozione: nei vecchi Sten bisognava scaricare l'aria contenuta nel serbatoio, smontare il grilletto e sfilare la barretta dalla sua sede. Nei Seac era sufficiente sfilare la barretta dal lato che lo consentiva, senza dover smontare il grilletto. Nei Grinta non c'era problema, perché dopo un po' saltava via da sola.

Fucili ad elastico: dai vari modelli che ho avuto modo di esaminare, ho concluso che il congegno di sicurezza dei fucili ad elastico, per il tipo di strutturazione meccanica che li caratterizza, possono considerarsi più efficienti di quelli implementati sugli oleopneumatici, perché -di fatto- nella maggior parte dei casi, pur agendo sul grilletto, riescono a bloccare l'intero meccanismo di sgancio.

Ne esistono alcuni dotati di un sistema tradizionale (Apache e Comanche della Cressi-Sub, serie T-20 della Omer) oppure quelli che definirei a "cilindro eccentrico", il quale e costituito da un cilindro a sezione eccentrica fata come una "D" che in posizione di sparo presenta, al dorso del grilletto, la parte cava, mentre ruotando su sé stesso va ad opporre al movimento dello grilletto la gobba della rimanente sezione.

Questo sistema è presente sui Viper, sugli Excalibur, sulle impugnature Esclapez. Per comandare questo sistema si agisce sulla testa del cilindro appositamente sovradimenzionata, facendola ruotare con l'azione di un dito. Converrete con me che azionare accidentalmente tale sicura è praticamente impossibile, al massimo la si può dimenticare inserita. Sul mio Viper l'ho lasciata al suo posto così che possa tappare il foro della sua sede ed evitare che eventuali corpi estranei possano insinuarsi dietro al grilletto inficiando lo sgancio.


Le procedure di smontaggio delle sicure dei vari arbalete variano a seconda delle marche e dei modelli di impugnatura: in questa sede non mi e' possibile descriverle tutte, pertanto faccio cenno alle più comuni:

fucili serie Apache, Comanche e simili: bisogna sfilare le spine che trattengono la scatola di scatto per sollevarla dalla sua sede, dopodiché è possibile sfilare il tasto che costituisce la sicura;

impugnature serie T-20 e simili: bisogna svitare la testa di plastica rossa presente su uno dei lati del tasto di sicura e poi sfilarlo facendolo scorrere nella direzione opposta.
Per smontare la sicura ad eccentrico è solitamente sufficiente premerla e ruotarle in uno dei due sensi fino a che la stessa non viene fuori.

La Manutenzione

Il fucile oleopneumatico teme una cosa sopra tutte le altre e da cui è raccomandabile stare molto alla larga: la sabbia.  Non gettate mai l'attrezzo sulla battigia o peggio piantato a testa in giù nella rena: i tremendi granellini s'intrufolano dappertutto e se finiscono tra la guarnizione dinamica del pistone e la canna c'è una alta probabilità che il sistema perda la sua ermeticità.

L'aria comincerà ad uscire lentamente e l'arma si scaricherà del tutto, lasciandovi a piedi. Per lo stesso motivo, e cioè interposizione di materiale abrasivo tra una superficie metallica delicata e gli O ring che scorrono, si potrà verificare una rimozione dello strato di zincatura protettiva e la creazione di striature e rigature.  L'acqua salata penetrerà nei micro solchi e corroderà lentamente l'interno della canna per cui la perdita sarà solo questione di tempo. 

Per il resto si può stare tranquilli anche se una corretta manutenzione non deve essere dimenticata come d'altronde avviene per le altre attrezzature.  L'arma oleopneumatica se non è iper gonfiata o usata davvero malamente vi garantirà un servizio senza ombre né problemi per svariati anni. I materiali d'assemblaggio sono trattati contro l'erosione, contro la ruggine ma l'incuria e l'inosservanza danneggiano alla lunga ogni supporto. 

Dopo l'uso si sciacquano le diverse parti con una doccetta e dell'acqua dolce per rimuovere i depositi salini e i detriti: le zone del grilletto, del cursore del variatore, della testata e soprattutto l'asta subiranno un accurato lavaggio. 

Per lunghi periodi di riposo e inattività conviene non lasciarlo mai troppo pompato ma scaricarlo un po'; si prende un tondino da 1.5 mm, si mette il regolatore in potenza massima, e si preme leggermente la sfera della valvola a spillo ricordando di proteggere le mani e il viso, dalla vaporizzazione del lubrificante, con un foglio di giornale o uno straccio.  In questa maniera le deformazioni delle guarnizioni saranno scongiurate. Si ripone ben asciutto in posizione orizzontale, con il calciolo orientato verso il basso, affinché l'olio lubrifichi i meccanismi di sparo. 

E' utile spruzzare saltuariamente un prodotto siliconico sui vari leveraggi e all'imboccatura della canna. Il cambio dell'olio, la sostituzione degli O- ring, la controllatina agli elementi interni si esegue, solitamente, con una frequenza biennale, triennale.  Nel caso, invece, che il fucile sia stato adoperato a pressioni stratosferiche, a frequentissimi tiri e abbia partecipato a centinaia di battute, è meglio sia revisionato con anticipo temporale.  Lo smontaggio completo dell'arma non è complicato ma se non si possiede un minimo d'attrezzatura e qualche conoscenza tecnica su ciò che si sta facendo è meglio desistere in partenza dal lavoro: si rischia di compiere più danno che altro. 

Ricordiamo ancora una volta che l'arma deve sempre risultare completamente scarica prima di procedere allo smembra mento dei componenti.

I Guasti

In questa piccola scaletta scorriamo insieme le tipologie di guasti e problematiche che possono verificarsi a danno del sistema e le probabili cause rammentando che quasi tutte sono dovute a un uso poco accorto o ad una manutenzione cattiva.

Pre caricate il fucile con la pompetta in dotazione e la valvola a spillo non trattiene l'aria immessa. La sferetta non ritorna in posizione o l'O-ring è fuori sede o danneggiato: si scompone la valvola e si controlla che non ci siano sabbia, detriti all'interno e si verifica l'integrità e il posizionamento corretto della guarnizione.

Perdita d'aria dai fori della testata e dalla ghiera di testata durante l'armamento con l'asta. Se accade subito, nei primi istanti dell'azione è tutto nella norma poiché la canna si sta riempiendo d'acqua e quindi espelle l'aria intrappolata ma se la fuoriuscita di bolle continua vuol dire che la canna è stata rigata e si deve sostituire.

A fucile non armato esce dell'aria dalla testata. Il pistone potrebbe avere una delle due guarnizioni danneggiate o difettose oppure la canna negli ultimi centimetri è rigata: si deve controllare attentamente l'interno canna e gli O- ring di scorrimento pistone.

Avete caricato il fucile e l'asta non resta innestata sul pistone, e ogni volta che inclinate il serbatoio verso il basso si sfila. Il fondello non è originale oppure è consunto; sostituite il codolo o dategli qualche colpetto con un martello (o battetelo su uno scoglio) per recuperare la tenuta meccanica.

L'asta parte improvvisamente se il fucile viene sottoposto ad un urto o il grilletto è divenuto sensibilissimo. Il dente di ritegno potrebbe essere usurato o il grano del grilletto è stato avvitato eccessivamente: svitate di un paio di filetti il grano di regolazione e, se l'intervento si dimostrasse inutile, sostituite immediatamente il dente di sgancio.

Il regolatore di potenza non varia la minima o perde dal cursore. Le guarnizioni sono schiacciate, fuori sede o danneggiate, oppure l'astina di comando è stata piegata all'interno per un utilizzo maldestro; smontate l'impugnatura e sostituite gli O- ring e verificate l'integrità dell'astina.

Quando premete il grilletto c'è una perdita d'aria o di olio, dalla sede apposita sul calcio. L'O- ring potrebbe essere danneggiato, o la boccolina di guida non è stata avvitata a fondo oppure il pistoncino di connessione è stato rigato o piegato; si accede al sistema rimuovendo il grilletto e si verifica attentamente l'integrità dei componenti e all'occorrenza si sostituiscono.

Costruire il frigo

sistemi per congelare meglio con il congelatore portatile

Per congelatore portatile parlo di un piccolo congelatore che riusciamo a caricarlo in auto da due o tre cassetti e funziona a 220v.

Sui pianali del congelatore mettere un nylon così poi si stacca tutto il blocco Il pesce prima eviscerato e lavato in acqua dolce, si congela meglio e più velocemente e non rovina il congelatore, dividere il pesce 

parte piu' larga del congelatore: pesci lunghi :branzini e cefali barracuda ecc parte piu' stretta del congelatore pesci piatti : saraghi orate dentici ecc nei vari buchetti che si formano mettere il pesce che si incastra

Se peschiamo tanto e lo spazio si ridimensiona possiamo tagliare la coda e quelli grossi specie barracuda e cefali anche la testa.

Per pesci oltre i 5 k conviene tagliarlo già a fette mentre non è ancora congelato.

Se dobbiamo prendere anche i polpi possiamo munirci di vaschette di plastica tipo 10 x20 dove il polpo congelando prende la forma e diventa un mattoncino che occupa meno posto. Ogni volta che si aggiunge pesce fresco nel congelatore, con uno spruzzino caricato di acqua dolce che nebulizzata copre il pesce anche più volte nella giornata, così si forma uno strato leggero di ghiaccio Quando si deve partire non aprirlo più almeno 10 ore prima di partire e poi chiuderlo con lo schoch anche in torno alle guarnizioni

In auto coprirlo con un asciugamano o altro e nelle soste possibilmente l'auto all'ombra

Dopo tutti questi accorgimenti abbiamo praticamente un grande blocco di pesce ghiacciato che può durare almeno 25 ore anche 30 senza corrente , oppure se abbiamo la possibilità di ricaricarlo anche per poche ore durante il viaggio. ancora meglio

costruzione di un frigo portatile su misura e consigli per conservare il pesce pescato

Dall' inizio della mia carriera di cacciatore in apnea ben 25 anni fa, le prede con il passare degli anni sono aumentate sia di grandezza che di numero ,meno male.

Allora dopo il week-end passato al mare ( visto che vivo ancora purtroppo a Torino dovevo portare a casa il pesce, e i frigo comprati sempre più grossi non mi soddisfacevano sia per la poca coibentanzione che offrono sia per la misure standar loro.

Non c'è nessuna regola nel fai da te, ognuno può interpretare a suo modo la costruzione in base all'ingegno personale o il materiale reperibile in ogni zona faranno si che ognuno avrà il suo frigo personalizzato alle proprie esigenze.

io vi do solo alcuni consigli.

ogni situazione comunque ha il suo frigo, mi spiego: il gommone ha una esigenza, l'inverno o l' estate un'altra i giorni di permanenza al mare,e poi il tipo di automobile grande o piccola che uno ha influisce sullo spazio.

logicamente chi ha la possibilità al mare di avere ghiaccio o addirittura di congelare il pesce, beati loro,ma chi non può allora può decidersi di costruire un valido frigo .

Il frigo da gommone io e il grande zara l'abbiamo progettato molto più robusto viste le botte e i salti del gommone, non molto grande in quanto deve starci il pesce della giornata e lo spazio sul gommone è sempre troppo poco e molto più coibeante visto che sta tutto il giorno al sole.

Costruzione del frigo da gommone

Come involucro ho preso il cestone bianco da panettiere, va bene anche un altro cesto che se ha già i manici non dovremo bucare per far passare le corde.

ricordiamoci che più faremo le cose in grande più ghiaccio ci vorrà e più peserà .

La parte coibente sarà di polipan, quel materiale che si mette sotto i tetti per tenere caldo in inverno e fresco in estate.

Lo troviamo in vendita in fogli di varie misure e in vari spessori dai 2 ai 7cm.

Il costo varia dallo spessore che vogliamo usare.se facciamo una media di due fogli di 3cm di spessore con 130 x60 cm che ci servono staremo all' incirca sulle 10.00 Euro a foglio.

Non consiglio i fogli rivestiti in cartone, in quanto assorbe acqua e si stacca.  

Il materiale si lavora molto bene con il cutter a lama larga e per le parti più spesse con quelle seghe fini a mano e chi ci riesce anche con la resistenza incandescente per il modellismo in quanto lascia la superficie liscia ma è difficile per fare dei tagli diritti.

L' incollaggio tra le parti che devono rivestire il futuro frigo si possono fare con il tubo di silicone apposito circa 5.50 Euro e nella lavorazione non abbiamo nessun problema, è semplice incastrare i vari pezzi e incollarli. Io ad esempio non li ho incollati solo incastrati fra di loro così mi e più facile smontarlo. Lo spessore visto la durata giornaliera di freddo, a mio avviso basta sui 3 cm anche per l'interno in alluminio che aiutano a mantenere il freddo .

Ultimamente in commercio ci sono gli spray di schiuma liquida, personalmente non mi piacciono perché o scorrono troppo o troppo poco (dove non si riesce a vedere) per questo uso fanno troppe bolle per cui abbiamo poca superficie coibente e appiccicano troppo. Ultimo acquisto un bel foglio di alluminio spesso 0,2 mm larghezza 1 metro per due al costo di circa 5.50 Euro. L' alluminio ci serve per rivestire la parte interna del frigo. Ma più sarà spesso più fatica faremo a piegarlo

Ricapitolando prendiamo il cestone e tagliando il polipan (almeno di 3 cm di spessore) su misura lo incastriamo dentro coprendo tutti i lati, poi prendiamo il foglio d' alluminio e adesso inizia il lavoro più difficile cioè rivestire la parte interna del frigo. Lo taglieremo con una grossa forbice.

Con molta calma e pazienza senza tagliarci iniziamo molto lentamente a spingere il foglio in tutti i lati del polipan, logicamente avremo almeno due lati aperti che finito il lavoro e tagliato la parte eccedente con i lati aperti li chiuderemo con acciaio liquido ( costo circa 8.00 Euro ) piuttosto che silicone così non si toglierà più e non passerà l'acqua; In questo modo il frigo è completamente smontabile nei casi entra l' acqua o succo di pesce altamente puzzolente così possiamo smontarlo e pulirlo.  

Il coperchio, altra parte importante consiglio  d i farlo a livello del cestone , e ancora meglio con la parte interna sempre di alluminio, poi il polipan che incastra il tutto a battuta, internamente a "t", e meglio in quanto difficilmente il freddo può uscire (vedere disegno ). 

La parte superiore del coperchio ho appiccicato un foglio di gomma bianca.

Consigli per tenere il pesce più fresco possibile

I ghiacci a mattonelle si devono sempre tenere in congelatore o almeno metterli tre giorni prima a meno 15- 25 gradi sottozero. consiglio di comprare delle formelle comunque grandi specie quelle della ditta camping gaz da 20cm x25cm. modello m30.

Sul fondo del frigo man mano che il ghiaccio si scioglie fa l' acqua magari mischiata alla bagna del pesce e allora il freddo diminuisce così metteremo sul fondo un qualcosa che spesso 2 cm circa sollevi il tutto lasciando che l' acqua non tocchi il ghiaccio restante, personalmente metto tagliando su misura quelle pedane di plastica perforate.

Per viaggi lunghi il ghiaccio bisogna avvolgerlo nella carta di giornale, fa disperdere meno il freddo e sopra il frigo coprirlo con una vecchia coperta di lana .

Il ghiaccio una volta mettevo delle bottiglie vuote con acqua e sale per riuscire ad abbassare ancora di più la temperatura di congelamento con il risultato che si sono ossidati i condotti del congelatore e ho dovuto cambiarlo.

Nel periodo di maggior caldo o per più giorni aggiungo dell'altro ghiaccio che poi posizionerò in mezzo al pesce.

Il pesce visto che ha del sale addosso dopo averlo pulito se riusciamo lo sciacquiamo in acqua dolce in quanto ci interessa che si raffreddi il più possibile e il più rapidamente.

Se metterlo nei sacchetti alimentari o no lascio alle vostri abitudini.  

Ricordiamoci che dopo una pescata faticosa, la pulizia del pesce, le foto ricordo, la svestizione e la fame fa si che con la stanchezza addosso di andare in macchina a prendere il frigo per metterci il pesce uno non ha più voglia e fa si che uno aspetti e lo lasci in acqua , per esperienza vi consigli o di non farlo e invece fare un ultimo sforzo e di andarlo a prendere o di portarci il pesce, in quanto in acqua bassa dove l' avrete lasciato, la temperatura specialmente d'estate è alta, tale da cuocere i pesci nel senso che vanno in decomposizione molto più velocemente tipo i gronghi o quei pesci che hanno una pelle sottile e poche squame.

Il pesce si mantiene più fresco se non lo si pulisce e lo si lascia integro,mentre una volta aperto e pulito il calore entra anche nella parte interna iniziando anche da dentro a scaldarsi,specie lasciato come detto nell' acqua bassa e calda. Altri utilizzano il sistema della baiatura ovvero mettere ¾ di acqua di mare nel frigo e aggiungere del ghiaccio a pezzi oppure rompere il ghiaccio fatto con le bottiglie. importante che il pesce sia sempre coperto dal livello di ghiaccio e acqua.

Costruzione del frigo per trasporto del pesce per più giorni

Sempre prendendo il polipan con uno spessore sui 3 cm (o anche più spesso) e questa volta incollando le parti con il silicone apposito o in alternativa la colla a caldo (facendo comunque attenzione a non sciogliere il polipan), ho voluto realizzare un frigo per :delle esigenze di spazio in automobile, per non vedere i branzini grossi sempre piegati e per avere il freddo per almeno quattro giorni. comunque chi vuole può aumentare lo spessore ma già così per il week end o per tre,quattro giorni stiamo tranquilli che il pesce non ne risente. anche perché il pescato dell'ultimo giorno logicamente è fresco.

Le misure per costruire il frigo le prendiamo in questo modo:

la misura della lunghezza o della base, parte dal numero di formelle del ghiaccio che sono tre, per cui tre per il lato più stretto di ognuna 20 cm fa 60 cm più due formelle ai lati con spessore 3 cm fa 69 arrotondiamo per l' espansione del ghiaccio a 70 cm di parte interna.

La larghezza della formella misura 25 facciamo 26cm di frigo. per l'altezza abbiamo la misura delle formelle di 20 cm ma la portiamo a 25cm. Dato che dobbiamo avere il coperchio che s' incastra perfettamente dentro.

 

Con queste misure possiamo adesso scegliere in base ai costi a due scelte : prima d'incollare le parti e avvolgere in o scocth telato il tutto ( o avvolgere ancora se uno vuole in quei fogli adesivi tipo finto legno o altri soggetti) solo che con il passare del tempo e delle pescate la parte interna essendo " grezza " così come l' abbiamo comprata sarà molto delicata e si rovina con le spine dei pesci e le botte del ghiaccio e allora abbiamo poi un frigo che dopo un paio d' anni è sporco magari di nero di seppia, le pareti sono rovinate dalle spine dorsali di una spigola o di una cernia e in quei buchetti che si formano sono comunque porosi e assorbono anche se di poco la solita bagna puzzolente.  

I manici li realizziamo con un pezzo di tubo di gomma della lunghezza che ci serve, facendo passare della corda grossa dentro il tubo e nella parte dentro il frigo naturalmente bucato, la corda la passiamo dentro grosse rondelle o ancora meglio una placchetta di plastica e la fissiamo con grossi nodi .  

il problema è quando il frigo è pieno di pesce e ghiaccio, la corda tagliera' il polipan visto il peso, la soluzione è far passare anche la gomma oltre la corda dentro il buco del polipan.

Seconda alternativa quella che dopo vari tentativi me risultata la più funzionale e la più duratura. Abbiamo come detto prima la base e il polipan già tagliato con le stesse misure riportate sopra. Però rivestiamo la parte interna con il plexsigas con uno spessore di 3mm trasparente immaginate un acquario e lo rivestiamo tutto attorno con il polipan.

Il problema è il prezzo , io lo fatto costruire con quelle misure più un bordo attorno di 3cm di larghezza ad un costo di 110.00 Euro. Il vantaggio è che ho finalmente un frigo indistruttibile, facile da pulire, e comunque leggero da trasportare. Le misure della vasca di plexsigas parte superiore saranno comprese con lo spessore del materiale cioè:

la lunghezza 700mm più il bordo 60mm totale 766mm

la larghezza 260mm più il bordo 60mm totale 326mm

l' altezza sempre internamente 250mm

Consiglio prima farsi fare la vasca , poi avvolgere il tutto con il polipan che se l'abbiamo fatto più spesso anche il bordo superiore della vasca sarà più largo .

Poi,la parte di polipan esterna viene rivestita o con il solito scocth telato che comprime il tutto oppure anche per preservare la parte esterna dalle botte e colpi del carica e scarica dall'auto, ci ho messo una plastica trasparente rigida ma la più sottile che riuscite a trovare in commercio tutto attorno e poi l' ho rivestito del foglio adesivo di finto legno.  

Il coperchio nella parte interna farà da battuta e rimane incastrato a livello dove sopra il polipan comunque attaccheremo un foglio di plexsigas sempre da 3 mm. Per il manici laterali innaturalmente bucheremo anche il plexsigas e procederemo come già detto.  

Adesso il frigo finito sembra più ad una piccola cassapanca ma molto robusto. Per chi vuole ulteriormente migliorare il coperchio dato che il freddo scende verso il basso, avevo pensato di infilare le formelle direttamente al coperchio con solo due sbarrette in alluminio come due guide la prima passante e l' ultima chiusa sul fondo per bloccare le formelle.  

Intossicazione da pesci andati a male

La pericolosità degli animali marini può manifestarsi anche "a tavola", quando questi pesci, dopo averli cacciati, li mangiamo. E' noto che i tessuti eduli dei pesci e dei molluschi cadono in putrefazione molto rapidamente, determinando fenomeni di avvelenamento che possono paragonarsi a quelli caratteristici del botulismo. esistono dei pesci, la cui estrema facilità di corrompersi, specie alle nostre temperature estive, li deve far considerare come pericolosi o sospetti a meno che non siano in condizioni di assoluta freschezza. questo fenomeno si verifica particolarmente tra gli scombriformi e i tunniformi, quali tonno, tonnetto, bonito, palamita, alletterato, sgombro, tombarello, lanzardo, ecc.  

E' sufficiente che un esemplare di una di queste specie resti soltanto per due ore al sole immediatamente dopo essere stato pescato, perché si inizi nella sua carne quel processo di decomposizione capace di generare avvelenamenti. Normalmente nei tessuti dei pesci è contenuta una sostanza chimica chiamata istidina. La temperatura favorevole mette in azione alcuni batteri che sono sempre presenti nei tessuti stessi, e che trasformano questa sostanza in saurina, composto chimico del tipo istaminico che genera nell' uomo violenti fenomeni di tipo allergico che iniziano pochi minuti dopo l'ingestione e che generalmente si risolvono con prognosi favorevole dopo otto o dodici ore.

L' ingestione sarà così seguita, entro pochi minuti, da cefalee, disfagia, nausea, vomito, dolori addominali, considerandosi comunque come segno tipico, la comparsa di arrossamenti cutanei in sede facciale. prurito, orticarie e broncospasmo sono più rari e possono essere confusi con segni di una reazione allergica. effetti tossici a livello cardiaco sono rappresentati da un rapido indebolimento delle pulsazioni, da palpitazioni e disturbi del ritmo. la durata dei sintomi si aggira solitamente intorno alle 24 ore. Purtroppo però se il pesce ingerito è molto, la prognosi da favorevole diviene infausta e possono verificarsi quei casi letali di cui spesso leggiamo sulle cronache dei giornali, specie nei mesi estivi, ma si potrà avere giovamento con sostanze ad azione antistaminica.  

Plancetta " SUNRISE "

ALLESTIMENTO Un giorno mentre ero in soffitta del garage vedo una tavoletta galleggiante per il mare, guardandola attentamente mi resi conto che poteva fungere da plancetta per la pesca subacquea, quindi pensai: "perché non allestirla?". Così mi procurai un po' di materiale che avevo in garage, e mi misi al lavoro.

MATERIALI OCCORRENTI

Tavoletta galleggiante in PVC (in vendita in alcuni negozi di articoli per il mare) per bambini.

Le dimensioni sono 65 x 35 (credo che più grossa non esista).

Una bomboletta di Poliuretano espanso;

Curva per tubo rigido da 16 mm;

20 cm di tubo rigido da 20 mm

  • 60 cm di tubo rigido da 16* mm (in vendita nei nei negozi di materiale elettrico);

  • Materiale plastico (quello usato per le cartelline della scuola);
  •  Carta adesiva rossa e carta adesiva bianca (reperibile nelle ferramenta o negozi di parati);

  • Supporti plastici o inox (io ho usato degli attacchi plastici presi da plafoniere per lambade fluorescenti o neon) non so se si vendono, comunque si possono usare anche occhielli in acciaio inox, l'importante che abbiano il filetto per poterli bloccare con un dado all'interno della plancetta.

  • Supporti per attacchi dei moschettoni in teflon, (reperibili credo nelle ferramenta o negozi di maniglierie) oppure di altri materiali inossidabili.

  • 50 o più cm di velcro da 5 cm maschio + femmina.

  • 50 viti in acciaio inox da 4 cm.

PROCEDURA DI ALLESTIMENTO

Primo passo da seguire è forare la plancetta sulla parte anteriore in prossimità del centro; il foro sarà del diametro adatto al supporto che vorrete usare.

  • Il secondo passo è l'incisione (10 cm circa) sulla parte anteriore-superiore della Plancetta, per poter infilare il dado che andrà ad avvitarsi al filetto del supporto che passerà attraverso il foro.

  • Una volta avvitato il dado sul filetto potete ruotarlo in modo da farlo avvitare fino a stringere all'interno della plancetta (purtroppo sarà scomoda questa procedura, però sapete bene che in mare nulla può essere lasciato al caso, semmai dotatevi di una chiave per mantenere il dado fermo mentre ruotate il supporto)

Eseguire la stessa procedura (se volete) sui supporti posteriori, e successivamente richiudete le incisioni provvisoriamente con una striscia di nastro isolante.

N.B. Per i supporti anteriori o posteriori potete anche usare golfari in acciaio inox che trovate nei negozi di nautica, visto che difficilmente potrete trovare i supporti plastici rappresentati in figura.

INIEZIONE DEL POLIURETANO ESPANSO

 Il passo successivo sarà quello di immettere del poliuretano espanso all'interno della plancetta per renderla molto più palleggiabile, ma soprattutto robusta, visto che potrebbe essere soggetta a schiacciamento per il continuo uso. Prima di usare il poliuretano dotatevi di guanti e una tuta da meccanico o indumenti vecchi (se il poliuretano si posa su qualsiasi tessuto, non verrà più via dallo stesso), e isolate la superficie su cui lavorerete.

Una volta usate queste precauzioni applicate dei fori appena più grossi della cannuccia della bomboletta, sulla plancetta (uno avanti) per infilare la cannuccia e successivamente iniettare il poliuretano. L'iniezione deve avvenire un po' (fate delle pause di 10 min.) alla volta in modo tale da espandersi e guardare semmai controluce l'espansione del poliuretano. Cercate di farlo andare nella parte posteriore della plancetta, mettendo la stessa in una posizione verticale. Man mano che il poliuretano si indurirà, la plancetta potrà assumere dei rigonfiamenti, spetta a voi far uscite quell'aria di troppo. Una volta conclusa questa fase aspettate qualche ora è successivamente togliete il nastro sulle incisioni, dove la zona ormai si è solidificata.

N.B. Se durante questa fase il poliuretano non copre tutto il volume interno della plancetta, potete comunque fare dei fori in prossimità delle zone vuote, è applicare la schiuma poliuretanica in quella determinata zona. Una volta indurito non c'è pericolo di fuoriuscita. Finita questa operazione si può procedere al fissaggio dei supporti.  

FISSAGGIO DEI SUPPORTI SOTTOSTANTI

Premetto che sul PVC qualsiasi colla applicata non garantisce la tenuta, quindi l'uso di viti in acciaio inox sarà la soluzione da adottare. Le viti potranno essere da 4 cm e fissate ai lati dei supporti negli appositi fori. Dopo aver applicato i vari supporti passiamo alla parte superiore della plancetta, quella dove sistemeremo i fucili.

  • Per sistemare con sicurezza i fucili possiamo avvalerci di velcro da 5 cm è fissarlo con pezzi di tubo rigido da 20 mm di diametro, tagliando una semi-circonferenza adatta alla scanalatura.

  • Dopo aver sagomato il tubo, applichiamo dei fori a circa 1.3 cm dall'estremità, dove andremo ad avvitare le viti (lunghe 4 cm). La posizione del velcro sulla scanalatura potrà essere sistemata a seconda dell'esigenza del pescatore, in base alla propria attrezzatura.  

Applicazione della curva a 90°

  • Applicando questo supporto, si potrebbero incontrare alcune difficoltà per il sistema di fissaggio, sottoposto ad una certa sollecitazione avendo sullo stesso una bandierina con tubo (io ne ho applicato uno da 60 cm), nell'andare avanti, nell'imbarcare onde, questo sistema non potrebbe essere molto efficace, quindi chi riesce ad apportare delle varianti efficienti, lo faccia pure.

Questa curva sfrutta una protuberanza della plancetta stessa, che in figura non si vede, di un paio di centimetri dove ho inserito la curva incollandola con il silicone. Successivamente ho inserito un supporto gommoso inserendo 4 viti, in modo da rinforzare la curva.

COSTRUZIONE DELLA BANDIERINA

  • Per la costruzione della bandierina ho utilizzato un tubo rigido da 16 mm di diametro per 60 cm di lunghezza e un pezzo di plastica morbida, (materiale utilizzato per cartelline scolastiche) su cui ci ho applicato dei fogli di carta adesiva.

  •  Dopo aver completato la bandierina, ho effettuato un taglio sul tubo, lungo quanto la larghezza della bandierina, e ho infilato il bordo della bandiera fino alla fine del taglio, stingendo il tutto con una fascetta

CONSIDERAZIONI FINALI

L'allestimento di questa plancetta è stata realizzata secondo le mie esigenze, nulla vieta la propria personalizzazione a parte il riempimento in poliuretano che risulta fondamentale per l'uso che ne faremo. Buon lavoro.  

BARDI: CONDIZIONAMENTI DEL TIRO E PRECISIONE

Autore: Marco Bardi

Foto: Charlie Patriarca

Pochi giorni fa sono andato a pescare con il gommone in una zona sotto costa. Il mare era leggermente mosso e la visibilità decente: c'erano insomma tutti i presupposti per una battuta in basso fondale.

Mentre inizio a vestirmi ripenso al racconto di un amico, che si lamentava di aver rotto la propria muta in liscio spaccato con estrema facilità.
Chiaramente, non appena penso che a me non è mai accaduto, ecco che, tirando un po' troppo bruscamente, il pantalone si apre all'altezza della coscia. Già ero nervoso per altri motivi, adesso sono nero !!

Iniziano le imprecazioni del caso, specialmente perché la muta di scorta che porto sempre in gommone non c'è: dopo mesi di sosta nel borsone, l'ho portata a casa per un lavaggio e lì è rimasta. Non ho scelta: o pesco con la muta squarciata o rinuncio.
Per fortuna l'acqua non è fredda, così mi avventuro. Appena immerso, mi rendo conto che ad ogni piccolo movimento litri di acqua entrano ed escono dallo squarcio e che questo inconveniente mi darà non pochi fastidi. In compenso, però, le condizioni in acqua sono interessanti, anche perché la marea è nel suo momento migliore e la fase positiva durerà almeno altre due ore.


Al primo tuffo arrivano tre cefali di buona taglia. Il mare fa ondeggiare leggermente il fedele Alluminum 90 in carbonio con il quale normalmente sono un vero "cecchino" e riesco a centrare il bersaglio anche nei tiri più difficili con un tasso di "cilecche" bassissimo.

Ecco che il cefalo giunge a tiro. Si muove lento, percepisco prima del tiro che qualcosa non va e..difatti sparo e sbaglio clamorosamente il pesce, che scappa in tutta fretta trascinandosi dietro anche gli altri due compagni.

"Si inizia bene", penso tra me.

Effettuo il tuffo successivo a pochi metri di distanza dal primo, su un fondale di 4 metri.

Ecco un altro cefalo, questa volta più grosso. Scorre veloce davanti al fucile, miro e sparo, ma anche stavolta il tiro non è dei migliori e risulta basso: il cefalo è colpito in pancia e potrebbe strapparsi. Mollo il fucile per lasciare che il pesce sia libero di dibattersi nella sagola in modo che l'arbalete, tendendo a galleggiare, ammortizzi i suoi strattoni.

La preda insagolata si perde più difficilmente, perché non ha punti d'appoggio su cui forzare e lacerarsi la ferita nel tentativo di liberarsi, cosa che invece accade quando resta sull'asta.
La scelta è azzeccata ed il pesce resta in sagola a tirare il fucile che, a guisa di un galleggiante da pesca, sale e scende sotto la sua trazione. Dopo un minuto circa il pesce ormai esausto si avvicina ai massi del fondo cercando qualche nicchia dove liberarsi dalla sagola: è questo il momento di afferrarlo, mettendolo a contrasto con la roccia. Una volta bloccata la preda a contrasto con i massi, infatti, è più facile afferrarla saldamente con le mani.
Recuperato il pesce risalgo, prendo il coltello a stiletto e metto fine alle sue sofferenze. Fisso la preda al porta pesci della cintura, un metodo che a me piace molto in quanto ritengo che possa attirare altri pesci durante la fase dell'aspetto.
Credo che uno o più pesci attaccati alla cintura, oltre a spezzare meglio l'immagine del subacqueo, servano anche a confondere le altre prede che, vedendo altri pesci vicino a quell'oggetto grande e immobile sul fondo, si sentono più tranquilli e indugiano meno nell'avvicinamento.
Sicuramente si tratta di opinioni personali e non di regole comprovate con metodo scientifico, ma alla base di questa impressione ci sono conferme accumulate in anni di prove e controprove.

Foto: Charlie Patriarca

Torniamo alla pescata. I tiri poco precisi mi preoccupano, ma in compenso sembra che ci sia un buon movimento di pesce. Dopo un altro tuffo andato a vuoto, ecco un bel sarago agitato ma a tiro: prima di sparare sento il nervosismo del tiro, una sensazione che compare solo quando non mi sento sicuro, infatti sparo effettuando un'ulteriore padella clamorosa quanto la precedente.
Per esperienza ho imparato che quando si hanno giornate negative si possono anche cambiare 100 fucili, ma la musica resterà la stessa. Oggi mi sono immerso che già ero nervoso, poi la muta rotta e l'acqua che entra ed esce mi agitano ulteriormente.

Inoltre, il mare sul fondo mi sposta il fucile rendendo difficile il puntamento e, non ultimo, gli errori già effettuati non mi risollevano certo il morale. Sarà una giornata nera.

Poco dopo è il turno di una spigola di 700 grammi circa: avanza nervosa e veloce, ma il tiro non è dei più difficili, eppure, senza troppa sorpresa, mi ritrovo con l'asta da una parte ed il pesce in fuga. Non mi do per vinto e dopo pochi minuti ecco un altro cefalo: sbaglio anche quello. Oggi c'è pesce ma non ci sono io.

La mia determinazione mi spinge a continuare e così, dopo due altre padelle, finalmente riesco a prendere un bel sarago che mi si mette di fianco davanti al fucile, offrendomi tutta la sua sagoma. Impossibile sbagliare, ma dopo averlo preso mi rendo conto di averlo colpito alto e troppo laterale: se fosse stato un cefalo avrei sbagliato anche questo!! Successivamente riesco a catturare un altro cefalo - che per fortuna mi si piazza davanti alla punta dell'asta, altrimenti non so come sarebbe andata. Insisto ancora, ma mi accorgo che il pesce inizia a diminuire in maniera evidente, inizia l'orario poco interessante che sommato agli sbagli, mi invita a desistere.

In questi momenti ripenso alle altre rare giornate in cui ho sbagliato di tutto. Per fortuna l'esperienza mi consola: so che si tratta di casualità e che quando ci sono motivi di tensione e nervosismo è più facile sbagliare il tiro. Poi la volta successiva di solito ritorno a fare tiri spettacolari che mi danno grande soddisfazione. Ho voluto raccontare di questa giornata non solo per dare qualche consiglio pratico sulla pesca in basso fondo, ma soprattutto perché ci insegna una lezione importante: la stessa persona con lo stesso fucile può risultare un vero "cecchino" un giorno ed un perfetto imbranato un'altro.
Molti pescatori subacquei che si scervellano per capire quale fucile sia più preciso dovrebbero riflettere su questo aspetto.

In certe giornate, qualunque tiro risulta "impreciso", ma non per colpa del fucile, bensì per colpa di chi lo impugna. Se la cosa capita anche ad uno come me che si allena costantemente e che ha molta esperienza alle spalle, credo proprio che capiti un po' a tutti. Quel giorno, dopo ogni errore, mi veniva spontaneo controllare se l'asta era storta o se il fucile aveva problemi: niente di strano. La conferma che tutto era perfettamente a posto l'ho avuta pochi giorni dopo, quando sono tornato in acqua con gli stessi attrezzi ma con tutt'altro stato d'animo: ho effettuato pochi tiri, ma tutti perfetti.

Riflettendo sulla mia esperienza, credo che anche il fatto di aver strappato il pantalone della muta proprio quel giorno non sia stata una mera coincidenza, ma piuttosto una conferma del fatto che la serenità gioca un ruolo essenziale nella buona riuscita di una battuta di pesca in apnea.

In anni di esperienza ho verificato che sott'acqua la mancanza di tranquillità si paga non solo con un' apnea più corta del solito e quindi con una minore sicurezza, ma anche con una spiccata predisposizione agli errori, in primo luogo di tiro.

TECNICHE DI PESCA

 LA PESCA AL RAZZOLO

Mariano Satta,

A differenza dell'agguato, dell'aspetto e della pesca in tana, il razzolo non è una tecnica "pura", ma piuttosto la combinazione di queste tre diverse metodologie di pesca.

Per praticare il razzolo con successo, pertanto, è necessario maturare esperienza in tutte e tre le tecniche pure; in aggiunta, dovremo sviluppare enormemente l'istinto, la capacità di interpretare il fondale e quella di individuare le prede. Un buon "razzolatore" è colui che unisce ad un buon "fiuto del pesce" la capacità di improvvisare senza mai dare per scontato nulla delle azioni di pesca.

La maggior parte dei pescasub non dispone di mezzo nautico e si immerge da terra. Solitamente, le partenze da terra richiedono un'attrezzatura specifica, che deve permettere il nuoto di superficie ed azioni a batimetriche più o meno impegnative. Le battute vanno pianificate, e le zone prescelte devono presentare preferibilmente un fondale eterogeneo. Le aree migliori sono sempre quelle che presentano una costa bassa e frastagliata, che ci permettono spesso di operare sia nel bassofondo che a fondo. Interessanti risultano anche le coste "alte", e cioè i promontori che offrono cigliate e franate. La maggior parte delle azioni si praticano "a vista", e nel bassofondo l'agguato fatto con apnee brevi porta ad avvistamenti e catture. Segnali come la presenza di mangianza o l'avvistamento di predoni nei dintorni offrono occasioni per l'aspetto. Se si avvistano prede in prossimità di pietre e massi, opteremo per un'azione in tana, ma ci si potranno presentare anche occasioni di pesca in caduta e di tiro al libero.

PASSARE IN RASSEGNA IL FONDALE

Pescando al razzolo è fondamentale imparare a "passare in rassegna" il fondale, ossia ad osservare il fondo prestando attenzione anche ai minimi particolari. Questa attenta osservazione potrà portarci ad avvistare le prede, nel qual caso potremo tentarne la cattura, oppure ci potrà permettere di cogliere segnali che ne denunciano la possibile presenza, nel qual caso procederemo ad un'ispezione più accurata.

Una grossa tanuta colpita in caduta

Pescando, capitano spesso delle occasioni di cattura in caduta o con tiro al libero. In fase di discesa può accadere di avvistare nella nostra verticale una cernia a candela, qualche tanuta di peso, dei cefali che si presentano un pò alti sul fondo, qualche tordo corpulento o altre prede.
In caso di un avvistamento di questo tipo, discesa o planata vanno interrotte a favore di una discesa a foglia morta, che potrà permetterci di tentare un tiro in caduta o al volo. Il migliore avanzamento sulle prede è in diagonale anziché dalla verticale.

Così facendo, sebbene l'avanzamento avviene in acqua libera e quindi allo scoperto, le possibilità di portare a tiro l'eventuale preda aumentano notevolmente. La posizione così assunta ci permette di risultare meno visibili alla preda, perché offriremo alla sua visuale una massa minore; bloccare la pinneggiata, poi, riduce in modo sensibile le vibrazioni percepite dai pesci grazie alla linea laterale.

A volte potremo imbatterci in un branco inaspettato di limoni (ricciole di piccola taglia), che si possono catturare fermandosi a mezz'acqua, oppure, a volte, anche puntandoli direttamente in caduta.

Quando si opera nel bassofondo, potremo incappare in cefali di buona taglia che permettono il tiro al volo, e spesso ci capiteranno a tiro grossi branchi di salpe.

ADATTAMENTO
Le principali doti di un vero pescatore in apnea sono la capacità di adattamento al fondale e la capacità di sfruttare le occasioni di cattura che si possono presentare. Occorre essere polivalenti e saper mettere a frutto le esperienze maturate in tante catture effettuate nelle condizioni meteo più disparate. Difficilmente potremo ritenerci buoni razzolatori senza un adeguato bagaglio di esperienza. Le doti fisiche in sé non garantiscono alcun successo di cattura, al pari di azioni spinte al limite della profondità operativa o le apnee esasperate. E' il bagaglio d'esperienza che gioca a favore del pescatore, e la miglior cosa che si possa fare è sempre valutare e memorizzare le esperienze positive e negative del passato, per evitare di effettuare scelte di caccia sbagliate.

Solitamente, nelle partenze da terra si inizia la battuta pescando nel bassofondo, poi ci si sposta lentamente su batimetriche più o meno profonde. Nell'impostare la battuta si possono operare varie scelte: quando si pesca in coppia, le diverse possibilità vanno valutate insieme al compagno. Sarà sempre l'esperienza di ciascun pescatore a suggerire le scelte da adottare durante la pescata, ed il più delle volte la soluzione ideale consiste nel pescare a "fascia". Ognuno di noi ha delle abilità o delle esperienze particolari che lo rendono più efficace in una tecnica piuttosto che un'altra: il pescatore più esperto ed allenato della coppia si porterà sulla batimetrica più impegnativa, mentre l'altro dovrà pescare in acqua più bassa. La distanza tra i due non deve mai risultare eccessiva, gli sguardi si devono incrociare ed il controllo reciproco deve essere continuo.
Chi si trova ad operare nel bassofondo metterà in atto una tecnica mista tra aspetto ed agguato, scrutando tutti quei segnali che possono portare anche il compagno a compiere qualche bella cattura.

Chi pesca nella fascia più profonda deve restare abbondantemente entro i propri limiti, effettuando planate di avvistamento e mai azioni dinamiche a fondo solitarie.
Qualora si avvisti qualche preda e si decida di effettuare un aspetto o un agguato più a fondo, si deve sempre avvisare e chiamare il compagno, che provvederà a fornire assistenza a beneficio della sicurezza.


CONCENTRAZIONE
A differenza delle altre tecniche, che permettono di preparare il tuffo minuziosamente, nella pesca al razzolo dovremo restare concentrati durante l'intero arco della pescata.
Razzolando, l'imprevisto e la sorpresa saranno una vera costante nell'arco dell'intera pescata, e per questo non sempre avremo la possibilità di preparare un tuffo. Bisogna essere perennemente pronti ed attenti a sfruttare le occasioni che a volte si presentano in brevissimi attimi. Occorre mantenere la massima concentrazione anche in superficie, dove, come a fondo, non smetteremo mai di guardarci intorno e di prestare attenzione ad ogni dettaglio. L'istinto giocherà un ruolo di primo piano, così come l'esperienza, che matureremo anche con errori e scelte controproducenti.


SBAGLIANDO S'IMPARA

Il detto "sbagliando s'impara" è quanto mai calzante per chi si avvicina a questa tecnica senza aver maturato sufficiente esperienza. Di conseguenza, chi si avvicina al razzolo dovrà costruirsi il necessario bagaglio d'esperienza memorizzando sempre gli errori per cercare di correggere in futuro quegli elementi dell'azione che hanno causato l'insuccesso. Al razzolo si arriva dopo avere maturato esperienze nelle tecniche "pure". Inoltre, come accennavo, i momenti di spensieratezza portano a commettere degli errori o perdere delle occasioni, e per questo sono da evitare.


QUOTE E ZONE DI PESCA

Un buon razzolatore eviterà sempre di operare a quote esageratamente profonde, posso tranquillamente affermare che la batimetrica più congeniale per i più abili è fissata nella quota media dei 15 metri, con picchiate assistite più a fondo ma anche incursioni in poche spanne d'acqua. Saranno il fondale e la batimetrica a guidarci nei luoghi in cui operare.

Una grossa spigola è finita a pagliolo

E' importantissimo saper interpretare il fondale che ci si presenta sotto le pinne. Zone miste di posidonia e roccia possono offrire occasioni di cattura di tordi e salpe in basso fondale, mentre più a fondo le zone di questa tipologia possono offrire occasioni di cattura di saraghi, corvine, tordi, tanute, mustelle, murene o cefali.

Nel bassofondo, le azioni che mirano alla sorpresa della preda permettono di catturare saraghi pizzuti, maggiori e fasciati. Più variabili, invece, le quote in cui si possono presentare occasioni di cattura di prede di grande pregio, come le orate, le spigole e pesci possenti come le lecce.


LE OCCASIONI MANCATE

Per diventare bravi razzolatori dovremo imparare a sfruttare ogni occasione e a non commettere l'errore di sperare in altri incontri. Quando ci si trova di fronte ad una preda degna si deve sempre avere la necessaria lucidità per premere il grilletto, consapevoli del fatto che ogni occasione mancata è un pesce perso. Non dimentichiamo poi che un buon razzolatore realizza carnieri composti da prede di ogni tipo e non disdegna prede di minor pregio alimentare.


IMPARARE A CUCINARE IL PESCATO

Un mio amico, pescatore professionista di vecchia data, afferma che chi disdegna il pesce di minor valore come i tordi e le salpe, del mare ha capito ben poco. Tutti i pesci freschi sono buoni a suo dire, e non smette di ripetere che per dichiararsi abili pescatori bisogna esserlo non solo in mare ma anche in cucina. Prede considerate di seconda o terza scelta, restano prelibate se trattate con semplici accorgimenti. Una salpa appena catturata, ad esempio, va liberata dalle interiora immediatamente dopo la cattura; così facendo le sue carni fritte o lessate risulteranno ottime. Stessa cosa per i gronghi: li raschieremo con il pugnale per liberarli del muco bianco che ne ricopre la pelle e li puliremo in acqua subito dopo la cattura. Il taglio del ventre deve proseguire oltre l'orifizio anale verso la coda, per svuotare una sacca contenente una sostanza scura che rende amare le carni. Sono apprezzabilissimi anche i tordi e i marvizzi, le tanute e, in generale, qualunque specie.


ATTENZIONE AL CALDO ESTIVO

Durante la stagione estiva è fondamentale premunirsi di un frigo portatile con delle tavolette di ghiaccio: mai dimenticarlo, è importante esattamente come la maschera e le pinne, e deve fare parte sempre della nostra attrezzatura. Nel periodo estivo il rischio maggiore è che la più bella cattura della nostra vita si rovini in brevissimo tempo e le sue carni diventino immangiabili. Tutte le prede vanno spanciate immediatamente dopo la cattura, in acqua, e non vanno mai lasciate esposte al sole.


SICUREZZA

Nel razzolo a quote impegnative l'assistenza è indispensabile

Non bisogna mai perdersi di vista col compagno, ed è tassativo non abbandonare mai il pallone e pescare allontanandosi da esso.
La competizione con il compagno è assolutamente da evitare, per questo risulta ottima la scelta di dividere sempre il pescato. Il fine di un'uscita in mare deve essere sempre il divertimento, e le catture vanno considerate come un valore aggiunto della bella giornata di mare. Nella coppia, ciascun pescatore deve essere consapevole dei propri propri limiti.

Tutti gli avvertimenti ed i consigli forniti nei precedenti articoli su Agguato, Aspetto e Tana valgono ovviamente anche nella tecnica del razzolo, che -come accennato- le riassume tutte..


CONSIGLI
Nelle partenze da terra, un' ottima strategia è quella di utilizzare due auto: lasceremo una vettura sul luogo di rientro, per poi recarci sul punto di partenza con l'altro mezzo. Questa strategia ci permetterà di ispezionare una zona molto più vasta.
A volte, sopratutto nel periodo invernale, le condizioni meteo mutano repentinamente mentre si è in acqua: in caso di difficoltà è meglio desistere facendo dietrofront senza mai osare. Altri elementi che possono impedirci di completare il percorso previsto sono le correnti contrarie, il mare che s'ingrossa o, più banalmente, la stanchezza.
Pianificando una battuta al razzolo, è sempre preferibile scegliere quei fondali che offrono un ciglio o delle secchette parallele alla costa, perché in caso di difficoltà si ha sempre la possibilità di portarsi in acqua bassa o, in casi estremi, riguadagnare terra e raggiungere l'auto più vicina sfruttando i sentieri litoranei. Chi non ha la possibilità di recarsi a pesca con due auto deve fare scelte analoghe, ma dovrà prestare maggiore attenzione alle condizioni meteo e alla corrente, che se sostenuta potrebbe ostacolare il rientro all'auto.
In caso di vento contrario o forte corrente, un segreto per procedere con minore fatica è quello di portarsi nel bassofondo e seguire la costa piuttosto che tagliare da punta a punta: in questo modo riusciremo a sfruttare la corrente che si forma all'interno delle cale, di direzione contraria, e ad avanzare con minore dispendio di energie. Per quanto il tragitto risulti allungato, il rientro sarà più agevole e veloce; nuotare controcorrente è invece sconsigliabile, perché serve solo a mettere a dura prova le gambe con rischio di affaticamento eccessivo o crampi per coloro che non sono troppo allenati. Non dimentichiamo che in caso di vento o corrente la boa segnasub oppone resistenza, soprattutto se di forma sferica. In caso di mare formato, al contrario, bisogna portarsi fuori dalla costa, dove le onde non frangono. Per guadagnare terra è preferibile raggiungere delle cale ridossate e possibilmente con sabbia, dove le onde perdono di intensità ed il rischio di farsi male sulle pietre è annullato.

Chi affronta una battuta di pesca al razzolo con l'ausilio di un'imbarcazione di appoggio risulterà avvantaggiato in caso di stanchezza, e se le prede scarseggiano potrà sempre tentare uno spostamento. A differenza di quanto molti potrebbero pensare, anche quando ci si avvale del gommone è essenziale concentrarsi sulla pesca ed evitare eccessivi spostamenti: permanenza in acqua, concentrazione e attenta osservazione del fondale restano la tattica migliore.

Il cefalo è una preda tipica del razzolatore

ATTREZZATURE
Le migliori maschere sono quelle che offrono un'ottima visuale presentando al contempo un volume interno ridotto. Il tubo deve essere anatomico e di materiale morbido, mentre le pinne più indicate sono quelle con mescola di media durezza, in grado di agevolare il nuoto di superficie senza compromettere le azioni dinamiche sul fondo. Devono essere reattive, agili e non devono affaticare le articolazioni e la muscolatura. Per le mute, valgono le considerazioni di sempre: saranno preferibili i modelli caratterizzati da buona elasticità e termicità, mentre il colore potrà essere neutro o mimetico in base alle caratteristiche del fondale; personalmente, ritengo che un buon mimetismo aumenti le possibilità di cattura. Chi razzola nel bassofondo può sfruttare lo schienalino come nell'agguato e nell'aspetto, mentre chi opera più a fondo non ha alcuna necessità di ricorrere a questo attrezzo. Le armi da portare con sé in una battuta al razzolo saranno preferibilmente due: una corta, adatta alla tana, ed una più lunga, da usare nelle altre circostanze. Trattandosi di una tecnica mista, si può cambiare spesso l'arma in base alle caratteristiche del fondo.


SCELTE PERSONALI

Personalmente, preferisco impostare l'intera pescata impugnando un ottimo 90 armato con un mulinello di ridotte dimensioni, ma si tratta di una scelta dettata dal gusto personale e dal tipo di fondali che visito. Impugnando un corto arbalete da 75 centimetri ho catturato di tutto, dal pesce di medie dimensioni alla cernia, dal marvizzo al grosso dentice.
Solitamente armo il fucile con un terminale in nylon da 140 e doppia passata. A seconda delle necessità avvolgo una delle due passate nel mulinello. Così armato difficilmente carico alla seconda tacca, lo faccio solo quando mi imbatto in zone che fanno sperare in qualche tiro lungo. Preferisco sempre avvicinare il pesce piuttosto che azzardare tiri al limite. La versatilità che offre un buon 75 difficilmente si ritrova su altre armi.
Sono ormai tantissimi anni che preferisco gli arbalete agli oleopneumatici e non uso mai nessun tipo di fiocina, ma -ripeto- sono scelte personali.


CONDIZIONI METEO MARINE

Particolare attenzione meritano le condizioni meteo marine, il mare calmo si presenta ideale per chi si avventura le prime volte ad ispezionare zone nuove o ha poca esperienza. In base alle condizioni meteo si sceglie la batimetrica più congeniale ed è sempre preferibile evitare correnti e venti contrari che possono mettere a dura prova il fisico. Mai avventurarsi in mare con condizioni avverse e mai entrare in acqua senza avere pianificato la strategia insieme al compagno. In caso di affaticamento bisogna sempre informare il compagno e desistere.

TERMINE "RAZZOLATORE"

Fino agli anni 80 si usava il termine "razzolatore" in senso dispregiativo, poiché era convinzione di tutti che per essere buoni pescasub le prede andavano catturate in tana a grande profondità. Oggi, nel nuovo millennio, essere considerati buoni razzolatori ripaga di tanti sacrifici e gratifica l'esperienza maturata nelle lunghe ore trascorse in mare. Per quanto mi riguarda, la ritengo certamente la tecnica di pesca del futuro.

LA PESCA IN TANA -

Autore: Mariano Satta

Seppur raramente, l'orata può essere catturata anche in tana

La pesca in tana è la più classica delle tecniche, e forse la più antica. A differenza di quanto affermato da molti, resta una tecnica regina al pari di agguato e aspetto, e chi la pratica con criterio deve avere grandissimo allenamento, istinto molto sviluppato e ottime doti atletiche.
La pesca in tana si è spostata verso quote sempre più profonde, e l'abilità del cacciatore sta nell'individuare le tane in punti come secche, franate, concentrazione di grossi massi, massi isolati, lastre, grotto e spacchi nel fango duro alla base delle posidonie.


TRA I MIEI RICORDI

Quando mi affacciai alla pesca sub, agli inizi degli anni settanta, era normale per chiunque catturare prede dignitose sotto le pietre, anche in pochissimi metri d'acqua.
Ricordo in particolare la prima metà degli anni settanta, quando -giovanissimo- con un corto Katiuscia della GSD armato di asta da 9mm, suscitavo l'invidia dei miei amichetti, dotati dei Mini saetta a molla. Col fucile oleopneumatico della G.S.D riuscivo a catturare qualsiasi pesce: grossi gronghi, murene, saraghi, corvine e non raramente le cernie di peso. La fortuna di abitare ad Olbia e di trascorrere lunghi mesi a stretto contatto con il mare insieme alla mia famiglia mi offrì l'opportunità di raffinare sempre più la tecnica con grande successo. Erano altri tempi, e sebbene fossi solo un ragazzino in quel periodo per i giovani della mia età era abbastanza normale ricevere un fucile subacqueo come regalo per la promozione. In qui primi anni 70 conquistai la fiducia dei miei genitori e dei più grandi ed esperti del posto che, valutati i successi di cattura, mi portavano a pesca nelle isole costiere più lontane.

A distanza di tantissimi anni credo mi sia concesso un pizzico di vanità: riuscivo a catturare più pesce di chi mi portava e seguiva in acqua. Pescare da adolescente nelle isole di Mortorio e di Tavolara era il massimo della soddisfazione, poiché si trattava di zone per grandi ed esperti pescasub. La fortuna di avere in casa il fidanzato di mia sorella Angelo Masotti, attuale titolare di Cicci Sport, un negozio tecnico di subacquea qua ad Olbia, era grande. Cicci (Angelo) appartiene alla famiglia dei "Re di Tavolara", e in quel periodo non mancavano le occasioni di visitare i posti più ricchi di lastre, come le famose strade romane.

La cernia, preda classica da tana

Oltre ad avere la possibilità di andare a pesca a Tavolara, Cicci gestiva un ristorante a Marinella, e così le isole di Mortorio e Soffi erano le mete preferite delle nostre battute. Fino ai primi anni 80 le attenzioni di tutti i pescasub erano rivolte esclusivamente alla pesca in tana. Il mercato fu invaso dalla serie Sten della Mares, e in quel periodo si affermarono le fiocine in nylon con le robuste punte della Mustad, di buona qualità. Un corto Oleo, ed in particolare il Medisten di quegli anni, era in grado di fermare qualsiasi pesce.
Tra i ricordi di pesca con medisten e mustad, ne conservo uno in particolare: la cattura di una grossa cernia nella zona di Cala Spada, nei pressi di Golfo Aranci. In planata di ricognizione del fondo, vidi una scodata all'ingresso di un masso, e in principio pensai ad una grossa corvina. Feci una prima sommozzata, ma osservando la tana fino all'altra apertura non vidi nessun pesce, così riguadagnai la superficie. Convinto che il pesce non potesse essere uscito dalla tana scesi a controllare meglio, e in un lato vidi la corona di spine di una cernia e alcune inconfondibili macchie.

La cernia si era infangata quasi completamente: mirai il pescione nel punto che mi sembrava garantire la presa migliore e sparai, fulminandolo. Una volta fuori dalla tana, mi resi conto delle sue dimensioni: pesava poco più di 16 kg. Ci furono anche degli anni in cui nelle Bocche di Bonifacio le tane ospitavano grandi quantità di grossi saraghi e corvine a quote non proibitive: altri tempi.


LA PESCA IN TANA OGGI

A distanza di trent'anni, posso serenamente affermare che la pesca in tana è ancora una delle tecniche "classiche" del pescatore in apnea, e continuerà ad esserlo. I pesci sono sempre più rari, le quote sempre più impegnative: spesso solo chi ha maturato esperienze negli anni può dedicarsi alla pesca in tana con successo.

Nel bassofondo, inteso come fondale fino ai 15 metri di profondità, i pesci in tana ormai non esistono quasi più; solo nei mesi invernali di Gennaio e Febbraio può capitare raramente di riuscire ad effettuare catture significative sotto le pietre e dentro gli anfratti. Nei mesi più caldi, invece, le quote sono sempre più impegnative. La profondità in cui le prede si concentrano maggiormente in tana e che consentono pertanto di applicare questa tecnica con successo sono quelle della batimetrica che và dai 15 metri in giù, ma chi ha grandi capacità atletiche e tecniche si avventura ad ispezionare buchi, spacchi ed anfratti anche nell'abisso, a quote superiori ai trenta metri.


LE PREDE DELLA PESCA IN TANA

I pesci più pregiati da insidiare sono i saraghi, le corvine e le cernie, inoltre in tana si catturano anche capponi, gronghi, murene, mustelle, tordi e non rari anche i cefali.

Anche la corvina è una preda comune del

Più rare sono le catture delle orate, e per quanto sembri strano può capitare di catturare qualche raro dentice e la spigola.

UNA CATTURA RARA

Tra tante rarità da tana lo scorso anno nell'isola di Figarolo ho catturato una Ricciola di sette chilogrammi in un grosso spacco sotto la parete. Sicuramente si era appostata nell'ombra per cacciare. E' stata una ricciola più piccola, che stavo per sparare in caduta, a portarmi da questa più grossa, che al mio sopraggiungere stava abbandonando il buco. Quel giorno feci uno dei miei incontri con Pinna Bianca, il delfino del racconto in A.M., e fu una giornata indimenticabile.


DIFFERENZE TRA TERRRITORI

Nella Sardegna Settentrionale, le cernie, i saraghi e le corvine si possono trovare ancora a quote più basse nelle zone di grotto e nelle acque esposte frontalmente ai venti nord-occidentali, e cioè quelle zone che esposte ai venti e alle piogge rendono proibitiva la pesca nei mesi più freddi a causa del torbido.

Una realtà che ho avuto modo di verificare in tanti anni è che il pesce in tana è sempre meno presente per vari fattori legati al prelievo, compreso quello di noi pescapneisti.
Il pesce di tana soccombe sotto i palamiti e le reti da fonda della pesca professionale,vengono sempre più disturbati dai sub ARA e dalle assidue frequentazioni di noi pescatori.

Al contrario di quanto tanti sub sostengono, sono convinto che le secche principali si svuotino sopratutto dove è più assidua la frequentazione di sub ARA. Ho avuto modo di verificare negli anni che dove si immergono costantemente i Diving il deserto è assicurato, e di conseguenza i periodi migliori sono quelli del fine primavera ed inizio estate, prima che i diving si scatenino. Per sostenere la mia opinione, posso portare l'esempio di una zona nelle bocche di Bonifacio che conosco e tengo gelosamente segreta. Nel primo mese estivo dello scorso anno ho avvistato tantissimi saraghi, tanti da non riuscire a contarli o stimarli -parlo di saraghi di generose dimensioni, con molti esemplari prossimi al chilogrammo di peso- e contare diverse cernie nell'arco della stessa pescata.
Ebbene, durante la fine di giugno e per tutta la durata di Luglio ed Agosto i pesci sono spariti, per poi fare nuovamente la loro comparsa non appena i Diving hanno chiuso i battenti a fine stagione. Posso portare altri esempi relativi ad altre zone della Sardegna facilmente verificabili da tutti, come alcuni punti di Capo Ceraso, Figarolo, La Marmorata etc.
Di conseguenza, credo di poter affermare con serenità che la rarefazione del pesce è da attribuire a tanti sistemi di prelievo ben precisi quali la pesca professionale, le frequentazioni eccessive dei Diving e non ultimi gli abili pescasub, che riescono a catturare dove altri non vedono una pinna. La forma più vigliacca di prelievo in tana è quella effettuata con fucile e bombole, sicuramente uno dei grandi motivi della mancanza e rarefazione delle cernie. Il bracconaggio con l'ARA nella stagione calda, purtroppo, è ancora abbondantemente praticato.

Un sub ha appena estratto una corvina da un anfratto

CHI PRATICA LA PESCA IN TANA

A praticare con successo la pesca in tana sono sopratutto gli agonisti, mentre la grande massa di appassionati preferisce tralasciare questa tecnica per dedicarsi ad altre. Tanti dichiarano di non praticare la pesca in tana poiché manca il pesce e le tane sono vuote. Gli appassionati preferiscono le altre tecniche direi per comodo o per inesperienza, in quanto per praticarla con successo occorrono grandi doti fisiche, grande ritmo, istinto sviluppatissimo e capacità di operare a quote impegnative. In gara i campioni dell'agonismo concentrano le loro attenzioni soprattutto verso questa tecnica, che il più delle volte permette loro la conquista dei titoli ed il successo.

SICUREZZA
La pesca in tana è una disciplina che richiede grandi doti individuali, ma non per questo deve essere praticata da soli: pescare in coppia, al contrario, costituisce la primissima regola per effettuarla con successo. Si pratica con scelte ben precise, e tanti che non dispongono di gommone la effettuano con partenze da terra; chi dispone di un gommone, potrà fare scelte diverse come impostazione ed attrezzature.

A seconda dei periodi, il rischio è legato direttamente alla mancanza di conoscenze e ai limiti fisici. Il maggior rischio è sempre la sincope ipossica conseguente ad un'apnea prolungata: avvalersi della presenza di un compagno pronto ad intervenire aumenta grandemente la sicurezza. Il più delle volte, le conseguenze di una sincope si riducono enormemente con l'intervento di chi vigila ed è pronto ad estrarre immediatamente dall'acqua il compagno che subisce l'incidente.

Quando si forma la coppia, è importante alternarsi nei tuffi e scendere a turno.
Servono la massima attenzione e prudenza: quando uno scende spetta al compagno vigilare e controllare che tutto sia concluso positivamente, con o senza cattura del pesce. Mentre il primo si immerge, quello in superficie controlla e si prepara al tuffo e si immerge a sua volta solo dopo essersi assicurato dello stato di salute del compagno appena emerso. La sincope può verificarsi a tutte le quote, ma la maggior parte delle volte avviene negli ultimi metri di risalita, tanto che viene chiamata anche la sincope degli ultimi sette metri; non va dimenticato che la sincope può sopraggiungere anche dopo alcuni secondi rispetto alla riemersione. Di conseguenza, non bisogna mai immergersi senza l'"ok" ed il consenso del compagno.

Sempre ai fini della sicurezza, bisogna prestare grande attenzione quando si ispezionano gli anfratti e le tane, perché uno dei pericoli maggiori della pesca in tana è quello di incastrarsi sul fondo. E' indispensabile evitare tutti quegli accessori che, sporgendo dalla nostra figura, possono creare un appiglio e causare l'incidente: ad esempio, mulinelli posizionati in cintura, cavetti portapesci a forma di T, retine di qualunque genere, carichini per oleopneumatici ed arbalete legati al polso o fissati in cintura, aeratori vincolati alla maschera con anellini di gomma, piombi di zavorra autocostruiti e di forme strane e sporgenti.


Il mio consiglio è semplice e chiaro: raggiungere un perfetto affiatamento col compagno di pesca o DESISTERE.

Bisogna abituarsi a impostare la pescata parlandone a terra prima della partenza, sia che si debba pescare partendo da terra sia che si disponga di un gommone.
Tutti i dettagli, intesi come pianificazione della battuta, tragitti, orari etc.., devono essere discussi compiutamente, meglio se il giorno prima. E' importante concordare dei punti e degli orari di ritrovo conosciuti da entrambi per il caso in cui ci si perda di vista; in tal caso, si deve interrompere l'azione di pesca e ritrovare il compagno per continuare a pescare a stretto contatto. Non si deve mai pedagnare la boa ed allontanarsi in solitudine. Soprattutto nelle partenze da terra, è necessario non cambiare niente della pianificazione di propria iniziativa e all'insaputa del compagno.

Altra regola: mai proseguire o insistere da soli qualora un compagno avvisi stanchezza o malessere. La pesca in tana darà soddisfazione e successo solo quando si divide tutto col compagno, anche il pescato. Il pescato, se abbondante, và diviso in uguali parti o consumato insieme unendo le famiglie e gli amici. Qualora i pesci fossero pochi, saranno presi a turno da uno dei due pescatori. Adottando questi criteri, sicurezza, divertimento e soddisfazioni non mancheranno.

ATTREZZATURE

Mariano Satta con una coppiola di saraghi

Particolare attenzione meritano le attrezzature, che si differenziano nelle uscite con gommone e in quelle da terra. A differenza di quanto fatto con le tecniche dell'Agguato e dell'Aspetto, l'esposizione non tratterà distintamente la pesca in bassofondo ed in profondità. Spetterà a ciascuno di noi valutare i limiti in base all'esperienza, alle capacità, alle doti atletiche e al grado di allenamento. A seconda dei periodi le mute avranno un diverso spessore, ma solo i più abili potranno fare uso di mute lisce, mentre i più preferiranno quelle con fodera esterna, in modo da limitare per quanto possibile le abrasioni, i graffi ed i tagli che si possono verificare ispezionando le tane.
A differenza di altre tecniche, la pesca in tana è una disciplina molto dinamica, ed il continuo movimento permette di utilizzare mute di minore spessore anche nei mesi più freddi, a beneficio della libertà di movimento.

Nei mesi più caldi le quote si fanno più profonde, e la scelta cade su mute di minimo spessore, realizzate in neoprene di qualità con poco effetto "memoria" allo schiacciamento ed ottima elasticità.

I guanti ed i calzari sono sempre d'obbligo, infatti oltre proteggere la pelle garantiscono un beneficio anche da un punto di vista termico. La zavorra deve essere calibrata in base alle quote operative, la pesata deve essere posizionata in una sola cintura, che in caso di necessità deve essere sempre sganciata.

Non vanno usati né schienalini né gilet..

Per motivi di sicurezza, sconsiglio di usare cinture alla "Marsiglese", in quanto le fibbie non sempre assicurano la possibilità di sganciare rapidamente, soprattutto in certe situazioni.
La maschera deve essere preferibilmente a volume ridotto, e deve permettere una buona o ottima visuale.

Particolare attenzione meritano le pinne, che devono essere obbligatoriamente di qualità, permettere di guadagnare il fondo in tempi brevi e con poco dispendio di energie, risultare agili sul fondo e in grado di esprimere tutta la loro efficacia e bontà nelle fasi di risalita.
Durante gli ultimi metri di emersione è conveniente smettere di pinneggiare e lasciarsi portare su dalla spinta positiva della muta; il tubo andrà sempre sputato, come in tutte le discipline che si praticano a quote impegnative.

I tubi devono essere preferibilmente anatomici, mai fissati alle maschere e realizzati in materiale morbido.

I fucili che si usano in tana vanno scelti in base alle caratteristiche del fondale. Ad esempio, chi pesca nel grotto è obbligato ad armi cortissime, mentre nei fondali della Sardegna dove pesco solitamente le armi più adatte sono di buona lunghezza.
Tanti per la pesca in tana preferiscono ancora i corti oleopneumatici muniti di fiocina, altri dei corti arbalete muniti di tahitiane di diametro generoso. Chi usa gli arbalete deve essere consapevole del fatto che l'asta con l'aletta fissa si può incastrare fra i massi e finire perduta.
E' risaputo che la cernia, regina dei fondali, per essere catturata in tana richiede l'utilizzo di armi sufficientemente potenti ed agili. Il monopolio del passato dei fucili oleopneumatici è caduto, ed oggi si trovano in commercio degli arbalete che permettono di effettuare catture di ogni genere ed in qualunque anfratto o tana.

Come sempre le scelte sono personali e il mercato è sufficientemente ricco di armi di ogni tipo, in grado di soddisfare tutti.


SCELTA E VALUTAZIONE DELLE ATTREZZATURE

La valutazione delle attrezzature più adatte alle nostre caratteristiche è fondamentale. Chi parte da terra ha necessità di pinne reattive, che permettano il nuoto di superficie e le discese a fondo, di conseguenza vengono consigliate tutte quelle pinne che presentano una mescola media.

Al contrario, chi pesca con l'assistenza del gommone può scegliere, per le azioni a fondo, di usare le pinne di mescola più dura, poiché i lunghi spostamenti in superficie verranno fatti in gommone e non a nuoto.

Chi parte da terra, come chiunque pratichi la pesca in apnea, deve essere dotato di boa segna sub di generose dimensioni, infatti il pericolo maggiore durante il periodo estivo sono le imbarcazioni dei diportisti.

La boa deve essere munita sempre della bandiera rossa con diagonale bianca e per obbligo di legge deve essere visibile ad almeno 300 mt. di distanza. Qualunque boa segna sub senza bandiera potrebbe essere scambiata per un gavitello di ormeggio o di segnalazione delle reti da posta, e non a caso la legge punisce il sub con boa senza bandiera allo stesso modo in cui punisce chi non ha neanche la boa.
Chi si muove col gommone può scegliere tranquillamente qualunque tipo di galleggiante, mentre chi parte da terra troverà dei grossi vantaggi in alcuni modelli particolari o nelle plancette.
Attualmente il mercato offre delle boe specifiche dotate di tasche porta oggetti e generosi velcri che permettono di portare dietro altri fucili, aste di ricambio ed accessori vari.
Mi soffermo un attimo sull'utilizzo della torcia, accessorio utile ad un buon pescatore di tana.
I più abili ne fanno tranquillamente a meno, ma le loro sono capacità di avvistamento maturate in tantissimi anni, a beneficio di catture sicure. Infatti, è ormai risaputo che il più delle volte, alla vista della luce della torcia, i pesci abbandonano le tane precipitosamente.
La luce delle torce deve essere generosa, non deve essere concentrata e puntata direttamente sui pesci. Le tane vanno illuminate lasciando il pesce sempre nel bagliore e in penombra per evitare che questi scappino, abbandonino le tane o si spostino nei meandri più profondi.

Con la seconda parte dell'articolo, Mariano Satta completa la trattazione della Pesca in Tana, una tecnica che sicuramente ha ceduto terreno ad altre metodologie come l'aspetto o l'agguato, ma che riesce ancora a regalare grandi soddisfazioni anche al di fuori delle competizioni agonistiche.

TERRITORI

Un sub con un sarago, preda tipica della pesca in tana

Le zone più adatte alla pesca in tana sono quelle prevalentemente rocciose e ricche di pietre e massi, oppure quelle di grotto. A seconda della morfologia del fondo si scelgono armi di differenti misure; le più utilizzate sono gli oleopneumatici da 60 centimetri e gli arbalete da 60/75 centimetri, anche se c'è anche chi ne usa di più corte.

Chi parte da terra deve conoscere la zona e i punti che meritano una visita, poiché l'improvvisazione difficilmente porterà al successo della battuta: non tutti i fondali presentano tane.

Qualora si peschi con l'ausilio di un gommone, la scelta cade il più delle volte sulle secche o sulle franate sotto i promontori, gli isolotti e le pareti in genere; inoltre, offrono grandi soddisfazioni le pietre isolate. Queste ultime si trovano con successo ispezionando le zone con la tecnica del "paperino", e cioè trainati con il gommone grazie ad una lunga cima (il paperino non ha nulla a che vedere con la trainetta. Per informazioni sul paperino, clicca qui). Tanti esperti preferiscono "interpretare il fondo" e cercare le pietre isolate a forza di pinne, ma sono scelte personali che variano in funzione delle esperienze e dei mezzi di cui il pescatore dispone.

Chi parte da terra solitamente si porta sulla batimentrica più congeniale in base alla propria preparazione. In continuo movimento, avanzando sulla batimetrica si raggiungono le franate o le secche, dove si concentreranno maggiormente le azioni di caccia.
Chi si muove con il gommone avrà la possibilità di risparmiare al massimo le energie, evitando gli spostamenti a pinne in superficie e dando il massimo in punti precisi prestabiliti. Nei momenti finali della pescata ci si può dedicare ad ispezionare posti nuovi.

AZIONI DI PESCA

La corvina è un'altra preda del tanista - Foto credit: TOTEMSUB

Al contrario di quanto alcuni pensano, l'abilità del pescatore non sta solo nel riuscire ad individuare o scegliere una tana, ma soprattutto nel saper osservare il fondo. Infatti, quei pescatori che si buttano a capofitto ad ispezionare ogni anfratto del fondo difficilmente porteranno a casa qualche pesce.
A seconda delle quote, bisogna cogliere i segnali che indicano la probabile presenza di prede "a vista", e solo allora scegliere le tane ed ispezionare.

Le acque trasparenti dove sono solito pescare mi permettono di effettuare molte valutazioni senza dovermi immergere. Infatti, quando la visibilità è buona, è possibile ispezionare il fondo e rilevare la presenza di prede direttamente dalla superficie. Quando le quote e la visibilità non permettono questo tipo d'approccio, procederemo con ispezioni del fondo effettuate a mezz'acqua nel corso d'azioni dinamiche. Sarà quest'opera d'ispezione che ci porterà ad evitare un enorme dispendio d'energie con azioni a vuoto.

I segni principali da individuare, oltre ai pesci stessi, sono quei punti che offrono una maggiore concentrazione di pesci più piccoli, come le castagnole o i piccoli saraghi. Le attenzioni vanno rivolte a massi, pietre ed anfratti che offrono tane generose; spesso capita di avvistare prede di valore proprio sull'imboccatura di questi anfratti.

SCELTE
Quando si opera lungo le franate, la miglior cosa è portarsi in una posizione intermedia: in tal modo, durante l'ispezione potremo dominare un vasto campo d'osservazione tanto verso la parte più profonda della franata quanto verso terra. Differente comportamento va impostato nelle secche. Solitamente i massi che offrono catture sono quelli alla base di sommi e picchi; in particolare, quando le quote operative lo permettono, risultano spesso migliori quelli posti ai confini della secca.

I saraghi e le corvine si concentrano maggiormente in quei massi che permettono più ingressi, e scelgono in particolare anfratti e spaccature che si trovano in prossimità di piccole distese di posidonia. Una tecnica efficace consiste nel portarsi sul margine della secca per iniziare l'ispezione dalla superficie o a mezz'acqua, per poi spostarsi lentamente verso il centro.

Altro accorgimento che favorisce l'avvistamento delle prede è quello di iniziare l'ispezione dalle nostre quote più profonde; quando nel corso della battuta s'inizierà ad accusare un po' di fatica inizieremo ad abbassare progressivamente le quote d'esercizio, a beneficio di un'azione di successo e sicura.

Non ci dimentichiamo che una volta staccati dal fondo ed iniziata la fase di risalita dovremo sempre guardarci intorno per cogliere ulteriori segnali del fondale.

SENSAZIONI E CONSIGLI

Un apneista impegnato in un'azione in tana

Quando si pratica la pesca in tana bisogna concentrarsi sempre sul fondo, e questo continuo osservare può trarci in inganno. Infatti, dopo un pò che si pesca tenderemo a "sentire" sempre meno la profondità. E' necessario prestare la massima attenzione a restare sempre entro i propri limiti e a non azzardare mai azioni più profonde, anche quando si prova un gran benessere fisico. Le quote operative vanno guadagnate e conquistate gradatamente, e sempre con l'assistenza del compagno sulla verticale.

La scelta di dotarsi di un buon profondimetro ci consentirà di valutare le quote; chi ha la possibilità di indossare un computer d'apnea da polso, a fine pescata potrà disporre di una serie di dati più completa: tempi di permanenza, quote operative, temperatura dell'acqua. I dati raccolti andranno analizzati a fine pescata e vanno sempre condivisi col compagno, affinché nelle future immersioni si possa pianificare il percorso d'esplorazione con maggiore criterio. Mentre si pesca non bisogna dedicare eccessive attenzioni al computer, e consiglio a tutti quelli che ne fanno uso di servirsene per aumentare la sicurezza e non per avere dei parametri da superare. Molti apneisti dopo avere valutato un tuffo tentano di andare più in profondità superando i propri limiti, per poi farne sfoggio a fine pescata. A tal proposito, posso solo fare due semplici considerazioni: un pesce catturato in pochi metri d'acqua vale quanto uno preso in trenta, e nessun pesce vale la nostra vita.

STACCO DAL FONDO E RISALITA

In fase di risalita non si deve guardare su, verso la superficie. Al contrario, dopo avere staccato ed aver iniziato la pinneggiata, conviene mantenere lo sguardo verso il fondo per tentare di cogliere dei segnali che possano rivelare la presenza di prede. Solo dopo lo stacco si può dare un piccolo sguardo verso la superficie. Anche i pescasub più esperti evitano di guardare su, perché la vista del muro d'acqua che ci separa dalla superficie può darci la sensazione di avere esagerato e minare il nostro rilassamento. Al contrario di quando si osserva il fondo, guardare verso l'alto porta alcuni ad avvertire sensazioni sgradevoli, come quella di trovarsi dentro un pozzo -sensazione che si avverte maggiormente osservando il sole in controluce-, o ad avere la netta impressione che la distanza del percorso di ritorno sia diventata più lunga.

Di conseguenza: mai esagerare, pescare abbondantemente entro i propri limiti e mai farsi prendere dal panico. I meno esperti dovranno fare esperienza per gradi, e non daranno mai per scontato ciò che viene suggerito in teoria anche da quest'articolo. Meglio fare pratica ed andare a verificare le sensazioni descritte di persona, anche perché l'emotività soggettiva può influire molto sul modo in cui si provano.

Un pescatore alle prese con un grosso sarago

QUANDO SI PESCA IN PROFONDITA'

Qualora si operi in profondità, il tuffo và preparato attentamente, e le lunghe planate d'ispezione devono essere eseguite in massima rilassatezza, con movimento dolce e dinamico. La quota dell'ispezione deve essere scelta in base alla trasparenza dell'acqua, e deve preferibilmente coincidere con la profondità che ci permette di osservare il fondo dalla superficie. A volte capita di avvistare dei saraghi o delle corvine sull'imboccatura delle tane, in altri casi può capitare di vederli gironzolare intorno a dei massi o in prossimità di spacchi o, ancora, di vederli sospesi sul fondo, come 'incantati'.
Si deve tentare di capire se una o più prede si rifugiano nella tana: in questo caso, potremo riguadagnare la superficie per preparare il tuffo e tentare la cattura.
Dopo l'ispezione, può capitare che non si riesca a vedere il fondo dalla superficie. In queste circostanze, è meglio pedagnare la boa segna sub in prossimità del punto dell'avvistamento ed informare il compagno sulle migliori modalità operative. Mentre prepariamo il tuffo dovremo valutare le caratteristiche della tana -se la sconosciamo- per elaborare la tattica più appropriata: è necessario ragionare in superficie per evitare errori sul fondo. Il tuffo deve essere preparato minuziosamente, e la respirazione deve essere lenta: mai forzarla, mai iperventilare.


SCENDERE IN MODO CONSAPEVOLE

L'azione di caccia deve essere breve, ed in presenza di più anfratti o tane in uno spazio ristretto è meglio suddividere l'ispezione in più tuffi: mai esagerare per voler controllare più buchi in un solo tuffo, è più redditizio e sicuro ispezionare una tana con tempi di permanenza sul fondo più brevi e maggior ritmo.

Se s'individua una tana in cui stazionano più prede, bisogna agire con criterio. Per prima cosa prenderemo di mira gli esemplari più isolati e non spareremo mai al centro del gruppo. Il tiro deve essere preciso: dovremo tentare di fulminare il pesce per evitare che la sua reazione spinga gli altri esemplari alla fuga o sollevi nuvole di sospensione. Per i meno esperti è senz'altro consigliabile l'uso della fiocina, che offre maggiori possibilità di immobilizzare la preda. Mai svuotare completamente una tana: bisogna sempre lasciare qualche esemplare se si vuole che quella tana si ripopoli. Una tana svuotata del tutto, difficilmente in futuro ospiterà altri pesci.

E' importante abituarsi a sparare in tana con giudizio, per favorire future occasioni con tane più popolate e limitare il nostro impatto sulle abitudini delle prede.


LA CERNIA

La Cernia è senza ombra di dubbio la preda più ambita dai pescatori di tana. Qualora si avvisti e si decida la cattura bisogna essere consapevoli che in tana si spara solo e soltanto quando la cernia si presenta di muso, o quando ci offre la testa di profilo.Se la cernia è intanata di coda o comunque non si ha la possibilità di colpirla in punti vitali si deve rinunciare.

Una cernia staziona all'interno di una cavità

La Cernia ha la capacità, se ferita, di gonfiarsi e di 'arroccarsi', vale a dire incastrarsi nella tana grazie alla pressione esercitate sulle sue pareti. Quando ciò accade è meglio non insistere nel tentativo di stanarla agendo di forza sull'asta, ma si deve intraprendere un'operazione di "recupero" più articolata. Con una cernia ferita ed arroccata, la miglior cosa da fare è metterla in trazione col sagolone alla boa segna sub. Con un secondo fucile si può tentare il colpo risolutivo, ma solo e soltanto se si è in grado di fulminare il pesce o colpirlo in un buon punto. Se la cernia si arrocca è sempre meglio lasciarla in trazione per un po' di tempo ed aspettare che le sue forze vengano meno: non bisogna mai insistere nella trazione diretta del pesce sul fondo, anche quando si è convinti di riuscire.

Un accessorio importante per il recupero è il "raffio", un grosso uncino posto su un manico di lunghezza variabile che permette di agganciare il pesce sotto la bocca ed esercitare così un'efficace trazione; se si riesce ad agganciare la cernia sotto la bocca, il successo dell'estrazione è praticamente assicurato. Bisogna agganciarla sul muso, preferibilmente sotto la bocca, e poi tirare; è invece inutile tentare di agganciare la coda, perché con un tale punto di trazione lo stanamento risulterebbe impossibile.

Parlando di cernia, s'impongono due osservazioni importanti. In primo luogo, non spareremo mai ad esemplari sottopeso: non dimentichiamo mai che anche se la legge ci consente la cattura di un esemplare di cernia al giorno, questo serranide paga ancora l'eccessiva pressione di pesca degli anni passati e le conseguenze del bracconaggio. Il pescatore in apnea moderno è sensibile ai problemi del mare e rispetta la preda che a lungo è stata il simbolo stesso della nostra disciplina: imparare a capire quando non si deve premere il grilletto è un obbligo morale per tutti noi [per maggiori informazioni sulla cernia, clicca qui]. La seconda osservazione riguarda l'aspetto della sicurezza: mai e poi mai lavoreremo una cernia arroccata senza la presenza di un compagno in grado di operare alle nostre quote e pronto a prestare efficace assistenza. Purtroppo, moltissimi pescatori in apnea sono incappati in un incidente mortale proprio mentre tentavano di avere ragione di una cernia: l'acqua limpida ed un'esperienza insufficiente sono gli elementi che favoriscono queste disgrazie.


COME SI ISPEZIONANO LE TANE

Nell'ispezionare le tane bisogna evitare di infilarsi dentro con il corpo, le tane si "conquistano" con l'esperienza maturata nel corso degli anni. Alcuni veterani e campioni, nell'ispezionare le tane si azzardano ad affacciarsi col busto dentro l'anfratto, ma sono consapevoli di ciò che fanno poiché hanno maturato grande esperienza ripetendo all'infinito gesti ed azioni, e conquistando l'interno delle tane centimetro su centimetro, negli anni. Per maturare certe esperienze serviranno moltissime ispezioni effettuate nel corso di un gran numero d'uscite.

Molti pescapneisti preferiscono esplorare la tana sdraiati sul fondo; i più esperti, oltre che con la posizione descritta, il più delle volte ispezionano a testa in giù o anche con le spalle verso il fondo.

Consiglio a tutti di non provare ad imitare le gesta dei campioni e dei veterani, ma a distinguere sempre con grande attenzione la differenza che intercorre tra un'azione a rischio ed una in sicurezza. Non dovete essere ansiosi di perfezionare la tecnica e migliorare le catture, al contrario dovete dare tempo al tempo e metabolizzare le conoscenze con gradualità: solo così potrete vantarvi di essere dei pescatori consapevoli.

PARLIAMO DI TECNICA: LA PESCA ALL'AGGUATO

Autore: Mariano Satta

 L'agguato può essere collocato tranquillamente tra le tecniche regine della pesca in apnea. Tra queste è una delle più affascinanti ma anche anche una delle più pericolose. Per chi non ha maturato esperienze in fatto di pesca il consiglio è uno solo: "desistere".
L'agguato è una tecnica che si raffina in tanto tempo e si pratica prevalentemente in condizioni di mare mosso, anche se può ritenersi efficace in qualunque situazione meteo. La pesca all'agguato è la tecnica di "caccia" principe: per quanto si operi sott'acqua, si fa riferimento alle azioni di caccia adottate in natura da tanti animali, ed in particolar modo dai felini. A differenza di altre tecniche necessita di moltissimi accorgimenti e può essere adottata con successo dalle quote più basse sino a quelle più profonde.

Mariano Satta, autore dell'articolo

Nel testo farò riferimento a tre tipi di agguato divisi per "livelli", affinché tutti possano avere una chiara visione e poterne fare un'adeguata valutazione: le quote operative fanno la differenza e serve conoscere sé stessi e riconoscere il proprio bagaglio d'esperienza:
AGGUATO DI SUPERFICIE - è quello praticato in poca acqua, dove i meno esperti hanno l'obbligo di raffinare la tecnica e maturare esperienza, si opera da 0 a massimo 5-6 metri;
AGGUATO NEL BASSOFONDO - inteso fino ai 15 metri. Necessita di esperienza e grandissima preparazione psico-fisica;

AGGUATO PROFONDO - Sconsigliato a tutti, è quello che si effettua oltre i quindici metri di profondità. A praticare questa tecnica sono pochissimi grandi campioni e pescatori espertissimi che vanno in acqua in tutto il periodo dell'anno con grande preparazione fisica, allenamento "vero" in mare e doti naturali. Sconsigliatissimo alla grande massa, è una tecnica riservata a pochi.

CENNI GENERALI

A differenza di tutte le altre tecniche, il peregrinare sul fondo in azione dinamica, comporta necessariamente una grandissima ed adeguata acquaticità, fattore che si raggiunge solo e soltanto quando l'organismo è al massimo della forma e si è raggiunto il massimo adattamento all'acqua. Queste condizioni fisiche sono riscontrabili solo quando nelle lunghe ore di pesca si raggiunge un totale benessere fisico. L'agguato è una tecnica di pesca che si effettua in movimento: si deve avanzare e scivolare rasentando il fondo in assoluto silenzio, tra scogli affioranti e sommersi, con l'obiettivo di avvicinare i pesci per sorprenderli nel loro girovagare o mentre si cibano.

Un sub striscia sul fondo all'agguato

IL FATTORE SORPRESA

Il fattore sorpresa è determinante ai fini delle catture, e la tecnica raffinata porta alla cattura dei pesci più smaliziati e di valore: l'agguato di superficie, di bassofondo e profondo permettono di insidiare qualunque preda, ed i primi due in particolare consentono anche la cattura della regina dei pesci smaliziati, l'Orata. L'agguato si pratica con successo solo dopo aver dedicato attenzione a tutti gli aspetti della battuta e richiede la capacità di applicare al meglio tutte le tecniche di pesca, che si mescolano in questa particolare azione, ed una grandissima abilità. L'istinto è fondamentale, e svilupparlo è il massimo per un pescatore: infatti, grazie all'istinto egli si mostrerà più abile nelle scelte che farà prima di qualunque azione dinamica. L'abilità del pescatore sta nello scegliere i punti dove mettere in pratica la tecnica, il più delle volte immaginando di incontrare un pesce o avvistandolo dalla superficie.

LE ATTREZZATURE

L' attrezzatura è simile a quella per la pesca all'aspetto, ma a differenza di questa le armi non devono essere eccessivamente lunghe. La scelta della misura deve essere adeguata allo stato di trasparenza dell'acqua: i diversi tratti di costa del territorio nazionale presentano caratteristiche anche molto diverse e legate a fattori come la tipologia del fondale, la presenza di fiumi e acquitrini, le correnti predominanti. Nell'acqua cristallina e trasparente della Sardegna dove pesco solitamente, preferisco gli arbalete da 90 centimetri; acque più torbide porteranno alla scelta di un fucile da 75-82 cm. Dotare i fucili di un mulinello non eccessivamente ingombrante è quasi sempre d'obbligo, ormai in commercio la scelta è vasta e si trovano mulinelli adatti a tutti. La maggior parte delle volte si spara d'istinto o d'imbracciata e non sempre i tiri sono perfetti, il mulinello serve per agevolare i recuperi di pesci colpiti male che finirebbero per strapparsi, oppure in quelle occasioni non troppo rare con prede di peso molto combattive. La muta deve permettere benessere termico, deve essere sufficientemente elastica di colore neutro o mimetizzato in base alle caratteristiche del fondale in cui si opera.

Foto: Mariano Satta

Le pinne devono essere reattive, nelle azioni dinamiche devono essere dolci senza produrre rumori, risultando però forti e potenti nella spinta verso l'alto, ossia efficienti al massimo dal momento dello stacco fino all'arrivo in superficie. Calma e rilassatezza devono accompagnare il pescatore in tutta l'azione di pesca, mentre le azioni di forza sono sempre da evitare. A differenza di altre tecniche, l'agguato richiede un enorme risparmio d'energia e l'abilità sta nel riuscire a muoversi bruciando il meno possibile. Si deve iniziare a risparmiare fin dalla superficie: i movimenti devono essere dolci e mai di forza nel guadagnare il fondo, è preferibile "volare" o lasciarsi cadere piuttosto che raggiungerlo pinneggiando. Sul fondo si deve avanzare con la massima discrezione e l'azione deve essere curata a beneficio della cattura e della sua ultima fase, vale a dire la risalita.

La massima attenzione si deve concentrare sulla zavorra, che varia a seconda delle quote operative. Per l'agguato di superficie e quello di bassofondo è quasi d'obbligo distribuire il peso sul corpo dividendolo sulla schiena e sulla vita. L'uso di cavigliere non è sempre necessario, ma sarà preferibile l'uso da parte di coloro che hanno una corporatura grossa o quando si usano pantaloni di maggior spessore. Le persone più agili ed esili ne possono tranquillamente fare a meno, ed evitare che le pinne vengano a contatto con il fondo, producendo dei rumori che allenterebbero i pesci. Nell'agguato profondo la miglior scelta è quella di dotarsi di una sola cintura sulla vita e con una pesatura calibrata.

NELL'AGGUATO DI SUPERFICIE...

...la zavorra deve permettere di scendere agevolmente dopo aver preparato perfettamente il tuffo. A tal proposito, si tenga bene in mente che non bisogna mai iperventilare o forzare la respirazione, perché è pericoloso per la nostra sicurezza. Il tuffo si prepara in massima rilassatezza, ed è necessario effettuare degli atti respiratori lenti: personalmente inspiro aria lentamente per una decina di secondi e la espiro in circa quindici, gli atti che effettuo variano da quattro ad un massimo di sei.

Mentre preparo il tuffo, sono solito passare in rassegna il corpo e memorizzo il tragitto che devo effettuare; difficilmente cambio qualcosa durante l'azione di caccia, preferisco desistere e ripetere l'operazione. E' piacevole immaginare cosa si può incontrare peregrinando sul fondo, a volte le catture assomigliano a sogni che si realizzano. Il piacere riguarda tutta l'azione, anche se è la cattura a costituire la massima gratificazione. Le azioni a vuoto ben eseguite portano ad aumentare il bagaglio d'esperienza, producono ugualmente soddisfazione e divertimento.

Come assetto è preferibile essere neutri o leggermente negativi immediatamente dalla superficie, e l'adozione dello schienalino o di un gilet permette di effettuare l'operazione con successo. Così zavorrati la profondità massima che si può raggiungere è di pochi metri, al massimo 5-7mt e superare questa soglia è pericolosissimo. Il più delle volte si parte strusciando gli scogli in superficie e su questo movimento si devono concentrare la scelta dello schienalino e della zavorra che devono essere perfettamente calibrati per non produrre vibrazioni. Infatti quando si agisce in poca profondità e in condizioni di mare calmo i pesci stanno in uno stato di allerta massimo e la produzione di qualunque vibrazione mette a discapito il successo di cattura. Se si opera in condizioni di risacca o mare mosso le vibrazioni verranno coperte dai marosi a garanzia di maggiore successo. Si deve risparmiare quanto è più possibile nei movimenti in fase di discesa, si utilizza la mano libera per avanzare sul fondo sfruttando gli scogli, le asperità o le alghe, le pinne servono per avanzare dolcemente e non sempre è necessario pinneggiare, si può avanzare agendo sulle caviglie. Le pinne hanno la funzione di spingere ed agire da timone nelle fasi di avanzamento, la pinneggiata vera e propria si effettuerà nel riguadagnare la superficie.

Foto: Mariano Satta

Tutti i segnali dell'organismo devono essere monitorati con attenzione ed ogni minimo sintomo di stanchezza, disagio o anossia deve portare a cessare l'azione, desistere e riguadagnare la superficie. Mi soffermo ancora a rimarcare il fatto che il tuffo si studia dalla superficie, e dalla superficie si sceglie il breve tragitto da seguire: in altre parole, è impensabile cambiare itinerario dopo essere scesi sul fondo, fattore che comporterebbe l'aumento di rischio ed esposizione a pericolo. Le azioni devono consistere in tragitti brevi sul fondo e le apnee devono essere corte. E' preferibile il ritmo e continue brevi azioni piuttosto che lunghe peregrinazioni a fondo. Uno dei segreti maggiori oltre la scelta del punto è il "ritmo" e la "costanza": le lunghe azioni non portano a niente se non a ridurre la sicurezza. Le lunghe apnee e le prestazioni esagerate portano l'organismo a stancarsi in tempi brevi a discapito dell'obiettivo principale che è divertirsi ed effettuare catture nell'arco di un'intera battuta.


L'AGGUATO NEL BASSOFONDO

A chi si spinge oltre i pochi metri dell'agguato di superficie, consiglio di fissare come quota massima di profondità la batimetrica dei 15 metri. Per quanto riguarda le attrezzature, è necessario variare l'assetto della zavorra e le pinne dovranno essere maggiormente reattive e performanti, in quanto dovremo riguadagnare la superficie da una profondità maggiore. Come nell'agguato di superficie, si dovrà guadagnare il fondo risparmiando al massimo le energie, per poi avanzare sfruttando maggiormente la mano libera ed effettuando sempre movimenti dolci con le gambe; per avanzare si agisce sulle pinne preferibilmente a livello delle sole caviglie, aspetto questo che impone la scelta di pinne di qualità. Il movimento dell'azione si concentrerà nelle fasi di risalita, ma si tratterà sempre di movimenti dolci e armoniosi, mai di scatti o azioni di forza. Chi utilizza lo schienalino dovrà ridurne il peso, che sarà molto minore rispetto allo schienale utilizzato nell'agguato di superficie.

Operando sotto i dieci metri, lo schienalino deve pesare al massimo un paio di chili per i più esili e poco più per i più corpulenti, mentre la gran parte della zavorra sarà distribuita in cintura; già a queste quote (10-15 mt) lo schienale si può anche evitare. Nelle azioni di agguato nel bassofondo lo schienalino non deve mai essere attaccato alla cintura: schienale e cintura devono risultare accessori indipendenti. Per questo tipo di azione, si considerino i vantaggi di un gilet rispetto agli schienalini tradizionali: a differenza di quest'ultimi, i gilet permettono di variare il peso anche in acqua e consentono di indossare la cintura sopra, evitando lacci, agganci automatici etc. In caso di pericolo la cintura deve essere sempre sganciata ed abbandonata.

Le armi devono essere agili e veloci, con un ottimo brandeggio: quest'ultima caratteristica è essenziale, perché ci troveremo spesso a dover ruotare il polso per puntare la preda, ed i fucili di massa consistente possono rendere più difficoltosa la manovra e precludere la cattura. Anche a queste quote si confermano più adatti gli agili e leggeri arbalete, anche se alcuni preferiscono gli oleopneumatici.


L'AGGUATO PROFONDO

Foto: Mariano Satta

E' in assoluto la tecnica di pesca in apnea più pericolosa. Le quote operative al di sotto dei quindici metri fanno sì che le azioni dinamiche comportino un pericoloso dispendio di energie e fiato a partire dalla superficie; le distanze si fanno enormemente più grandi e il debito d'ossigeno mette a repentaglio la sicurezza di tutti, anche dei più dotati, abili ed esperti.

Ad effettuare questa tecnica sono pochi veri esperti dotati di grande esperienza e grande allenamento: l'unico consiglio che si può rivolgere a tutti è quello di desistere dall'effettuarla. E' infatti molto difficile calcolare dalla superficie il dispendio delle energie o le situazioni che si possono presentare sul fondo. L' agguato profondo è identico a quello di superficie con riferimento alle prede, il pericolo vero sta nella differenza delle quote operative. E' preferibile concentrarsi su altre tecniche come la pesca in caduta, in acqua libera o in tana, è inutile mettere a repentaglio la propria vita soprattutto quando è dimostrato che i pesci da agguato profondo si catturano con grande successo anche con altre tecniche che offrono un parametro di sicurezza enormemente maggiore.

CONSIGLI
Consiglio a tutti, ma proprio a tutti di valutare la descrizione dell'Agguato profondo e desistere dall'effettuarlo. Saraghi e corvine si catturano ugualmente con altre tecniche, mentre per quanto riguarda le cernie i più abili riescono a colpirle in caduta con lunghi fucili, evitando che queste si arrocchino, oppure, se offrono la testa, si colpiscono in tana...negli altri casi, è meglio rimandare la cattura ad un'altra occasione. Date tempo al tempo: con certi pesci è meglio desistere e ritentare piuttosto che rischiare. Il dentice si cattura con maggiore successo con la tecnica dell'aspetto, che comporta l'assenza di movimenti dinamici sul fondo, così anche altri pesci di rango come i pelagici, le orate ed altre specie. Non fatevi ingannare da ciò che riescono a fare i campioni, fate delle giuste scelte in base alle vostre capacità. Ricordate che l'agguato di superficie e del bassofondo sono già tecniche per massimi ed abili esperti. Per diventare padroni della tecnica è necessario un lunghissimo tempo, e i movimenti vanno ripetuti e raffinati fino alla noia. L'agguato di Superficie, del Bassofondo e quello Profondo rimangono tra le tecniche più difficili ed impegnative in assoluto per tutti...

LA BOA SEGNASUB

In chiusura mi soffermo un attimo sulla boa segnasub: è preferibile usare un terminale in piombo, io uso due piombi sferici del peso di un etto ciascuno montati su un terminale di monofilo dotato di moschettone finale. Il terminale lo tengo in mano e lo abbandono sempre qualche metro prima di effettuare l'agguato. La scelta dei piombi di forma sferica è d'obbligo, infatti questi difficilmente andranno ad incastrarsi nel fondo. Così facendo la boa andrà sempre a coprire la zona di caccia, permettendo nelle azioni dinamiche di essere liberi ma adeguatamente e costantemente segnalati. Oltre essere un obbligo di legge, la boa segnasub permette di indicare sempre il raggio d'azione al compagno ed aumenta la nostra sicurezza. Qualora si dovesse sganciare la cintura per qualunque motivo, questa può essere facilmente recuperata pedagnando il punto e chiedendo l'aiuto del compagno che provvederà ad agganciarla al moschettone del terminale.

In questa situazione è sempre preferibile agganciare col moschettone la zavorra a fondo per poi recuperarla tranquillamente dalla superficie.

LA TECNICA DELL'ASPETTO

Autore: Mariano Satta

Mariano Satta con un grosso esemplare di pesce serra

L'aspetto è un'arte che si acquista con un allenamento paziente ed assiduo. La regola di base di questa tecnica sempre più praticata dagli appassionati è: "osservare e non muoversi".
Per ottenere buoni risultati, è necessario utilizzare un'attrezzatura neutra o mimetizzata al massimo, nascondere l'orologio od altri oggetti luccicanti ed imparare a mantenere l'immobilità. Non bisogna mai effettuare dei movimenti bruschi o spostamenti rapidi, pena l'allontanamento della potenziale preda. Qualora si avvisti il pesce, occorre avvicinarsi silenziosamente, senza fare alcun rumore e, appostandosi, suscitare la sua curiosità; riguardo l'appostamento, è fondamentale imparare a confondere la nostra sagoma con l'ambiente approfittando delle ombre o delle asperità che il fondale ci offre. Oltre ad evitare di far stagliare la nostra figura in modo netto rispetto al fondale, dovremo stare molto attenti a non produrre rumori.

CENNI
Personalmente, ho incominciato a dedicare le mie attenzioni alla tecnica dell'aspetto agli inizi degli anni ottanta, quando i pesci iniziavano ad essere più smaliziati e diffidenti. In quegli anni, nell'intero territorio nazionale - e in particolar modo in Sardegna- la maggior parte dei sub esperti andava a pescare di notte con l'ausilio di lampade a lunga autonomia (pratica proibita nel 1983). Tanti iniziavano a fare trainetta, e in generale erano molti i pescatori che si dedicavano ad una pesca di rapina piuttosto che alla pesca sportiva come la intendiamo oggi. L'agonismo in quegli anni salvò l'immagine del pescatore sportivo, perché al di fuori dei circuiti delle gare la pesca veniva praticata dai più in maniera indiscriminata. In quegli anni i fucili oleopneumatici la facevano ancora da padrone, ma pian piano, con l'importazione e l'inizio della produzione degli arbalete da parte delle nostre aziende, la tecnica dell'aspetto cominciò ad essere sempre più apprezzata. Da allora, le armi ad elastici, lunghe ed agili, hanno preso il sopravvento su quelle oleopneumatiche, tanto potenti quanto pesanti e rumorose.


La tecnica più usata era sempre stata la pesca in tana, ma la tecnica dell'aspetto iniziava a suscitare curiosità e fascino anche presso i più scettici. Il pesce aveva iniziato a cambiare abitudini ed essere sempre più diffidente, ed anche le prede tipiche della pesca in tana come i saraghi iniziarono a disdegnare pertugi ed anfratti, dove risultavano molto più vulnerabili. La pesca in tana si spostò verso quote più profonde, lasciando il bassofondo a diverse nuove tecniche, tra cui l'aspetto.

La pesca all'Aspetto si può collocare tra le regine delle tecniche e può essere praticata a tutte le quote, ma reputo necessario dividerla in due livelli, affinché i meno esperti abbiano la possibilità di valutare i limiti dove operare e capire quali specie insidiare.

PECULIARITA'
A differenza delle tecniche che richiedono azioni dinamiche, l'azione di pesca si deve praticare con un appostamento statico, esattamente come fanno tanti animali in natura. Con l'aspetto si vanno a sfruttare alcuni particolari punti deboli dei pesci, e cioè la loro grande curiosità ed il senso di proprietà e di controllo del territorio di alcuni predatori. I pesci, infatti, scelgono delle zone ben precise, e come tutti gli animali marcano territorio. In determinati periodi fissano i confini del territorio per l'alimentazione e l'accoppiamento. Mentre le tecniche dinamiche come l'agguato puntano sul fattore sorpresa, l'aspetto punta sul fattore curiosità: le microvibrazioni prodotte dal nostro corpo portano qualunque pesce ad allertarsi e controllare la loro provenienza qualora segnalino un'invasione nel loro territorio. La curiosità è innata in tutte le specie, non solo nei predatori, e non a caso è divenuta proverbiale.


SICUREZZA

Un sub aspetta la preda

La tecnica dell'aspetto è una tecnica individuale, ma non per questo deve essere attuata in solitudine. Il sistema di coppia è un elemento di garanzia e di successo, e per quanto si operi a quote più o meno profonde è d'obbligo poter contare sulla presenza di un compagno sopra la verticale. Il rischio per eccellenza è la sincope, ma se si osserva la regola della presenza costante di un compagno pronto ad intervenire questo rischio si abbatte enormemente, a patto che la presenza del compagno non venga interpretata come un "salvacondotto" per escursioni aldilà dei propri limiti. Prima di qualunque tuffo bisogna evitare sempre l'iperventilazione, che ci esporrebbe ad un maggiore rischio di sincope, e come per l'agguato è necessario preparare minuziosamente il tuffo in totale rilassatezza. Personalmente, anche per l'aspetto mi concentro sul punto su cui voglio effettuare l'appostamento, passo in rassegna il corpo ed effettuo una respirazione lenta, concentrata in atti respiratori controllati minuziosamente. Di solito effettuo un massimo di sei atti con una fase d'inspirazione di durata di poco superiore ai dieci secondi ed un'espirazione di circa venti. La respirazione va effettuata in massima rilassatezza anche in presenza di vento e corrente. Sempre ai fini della sicurezza, bisogna memorizzare prima del tuffo la situazione che decidiamo di affrontare, affinché vengano annullati l'aumento di tensione e di stress che potrebbero essere prodotti da un'azione effettuata senza alcun criterio.


DISTINZIONE PRELIMINARE

E' necessario distinguere la disciplina in due livelli, in base alle quote operative e le prede che si intendono insidiare:

aspetto nel bassofondo: si intende quello esercitato da 0 a 15 metri

aspetto profondo: è quello praticato oltre i 15 metri


L'ASPETTO NEL BASSOFONDO

La spigola, regina del bassofondo

L'aspetto nel bassofondo si pratica sia in superficie che a fondo, e la profondità massima d'esercizio può essere fissata in quindici metri. Nell'aspetto in bassofondo tante prede possono essere insidiate con successo anche evitando d'immergersi: anche se la maggior parte dei neofiti sono convinti che la cattura del pesce sia legata indissolubilmente alla profondità, questa convinzione può essere tranquillamente smentita da semplici appostamenti in emersione. La tecnica così praticata si rivolge alla regina del bassofondo, e cioè la spigola, che preferisce cacciare in poche spanne d'acqua e nei mesi più freddi fissa i confini del suo territorio in prossimità di sbocchi d'acqua dolce o in coste basse e preferibilmente frastagliate. Se si punta alla cattura della spigola, non sarà necessario operare in superficie, ma le catture si concentrano comunque in pochi metri di profondità.

Come la Spigola, anche altri pesci non predatori scelgono queste quote: Cefali, Saraghi Pizzuti, Maggiori e Fasciati e le Salpe. Prima di ogni tuffo si devono valutare tanti fattori e non sempre si riescono ad avvistare le prede in anticipo. Tanto con acqua limpida quanto in condizioni di visibilità precarie, a volte si dovranno sfruttare fattori diversi dall'avvistamento diretto, come ad esempio l'effettuare l'appostamento dove è presente una concentrazione di "mangianza", dove mulinella l'acqua oppure dove, semplicemente, il fondale si presenta adatto. Per questo motivo è indispensabile pianificare ogni tuffo; mentre si prepara l'immersione, si deve valutare il punto migliore per l'appostamento, che solitamente sarà quello che offre maggiore copertura alla nostra figura.
Si prestano maggiormente all'aspetto quei punti di fondale che presentano massi, pietre, scogli ed asperità, alghe e tutto ciò che può offrire un nascondiglio dove far sparire la nostra sagoma. Una volta raggiunto il fondo è preferibile assumere da nascosti una posizione un po' alta del busto, in modo che le pinne restino basse e maggiormente nascoste.

ATTREZZATURE
Per l'Aspetto in bassofondo, la scelta cade su attrezzature specifiche che devono assicurare libertà di movimenti e sopratutto benessere termico. I continui appostamenti e la mancanza di movimento portano i più freddolosi a soffrire, e per quanto l'organismo cerchi di adattarsi è meglio desistere qualora non si disponga di mute ed accessori adatti. Le mute preferite dai più solitamente sono quelle in "spaccato" e con "fodera esterna"; i più esperti usano preferibilmente le mute lisce, sia per il confort che producono in acqua che per l'assenza di cuciture. Infatti, le mute che non presentano cuciture a parità di spessore risultano più calde e confortevoli, ma necessitano di un uso molto attento, in quanto le abrasioni prodotte negli appostamenti le portano ad avere una vita più breve di quelle morbide e foderate esternamente. Ci sono mute in altri materiali, come quelle in S.C.S o spalmato internamente, che risultano confortevoli e più facili da indossare per i meno esperti. Essendo prive di fodera, necessitano di sostanze lubrificanti per essere calzate. Guanti e calzari sono d'obbligo: oltre a proteggere mani e piedi dalle abrasioni, ci aiutano a limitare la dispersione di calore alla base di intorpidimenti molto fastidiosi che possono anche interferire con l'azione di caccia.

La discesa deve essere silenziosa

Riguardo la maschera, è preferibile optare per un modello che presenti un buon rapporto tra volume interno e campo visivo: personalmente, prediligo una maschera a grande visuale, priva di telaio rigido e con volume ridottissimo. Il mercato offre modelli vari dalle caratteristiche più svariate, per questo sono certo che nessuno resterà senza un modello che gli si adatti alla perfezione. Il tubo deve essere morbido e anatomico: consiglio di posizionarlo possibilmente dietro la nuca e sotto il cinghiolo. Deve essere "libero" e mai fissato con anellini di gomma o altro al cinghiolo della maschera. Qualora si abbia l'abitudine di tenerlo in bocca, ci si ricordi almeno di "sputarlo" negli ultimi metri della risalita.

Particolare attenzione meritano le pinne, che devono risultare adatte tanto al nuoto di superficie che alla discesa. Devono permettere di "mantenere il punto" in presenza di corrente senza produrre sforzo nei momenti di preparazione al tuffo; devono essere potenti per permetterci di guadagnare il fondo agevolmente e devono essere reattive nelle fasi che seguono la cattura e la risalita, soprattutto nel momento dello stacco dal fondo.
Nella pesca all'aspetto nel bassofondo, la zavorra deve essere sempre calibrata in modo ottimale, e l'adozione di uno schienalino è una pratica sempre più diffusa fra gli appassionati. Come nell'agguato, lo schienalino deve essere preferibilmente modulare, affinché chi non ha ancora maturato esperienze possa variare il proprio assetto anche in acqua. Lo schienalino non deve essere mai vincolato alla cintura, e la pesata deve risultare sempre superiore nella cintura, che in caso di necessità va sempre sganciata senza esitazioni.

Catturare un sarago all'aspetto non è semplice

Le armi più indicate sono i lunghi arbalete dotati di mulinello, anche se alcuni affezionati usano con soddisfazione gli oleopneumatici.
La principale caratteristica che i lunghi arbalete devono avere è quella di permettere dei tiri lunghi e precisi e non stancare il polso nelle fasi di puntamento o leggero brandeggio.
A differenza di quanto si pensi un abile Aspettista non tiene lo sguardo in avanti ma con movimenti dolci osserva tutto e si guarda intorno. I più abili, durante l'appostamento riescono ad osservare l'ambiente circostante anche a 360°, ma sono astuzie e tecnica che si sviluppano in molto tempo: anche se la caratteristica principale dell'aspetto è l'immobilismo, piccoli movimenti effettuati senza produrre vibrazioni possono risultare utili. Se ben fatti, movimenti del capo e piccole roteazioni del busto permettono ai più abili di aumentare il campo visivo senza spaventare le prede.


LE PREDE PIU' AMBITE

Per quanto si operi ad un massimo di quindici metri di profondità l'incontro con prede di pregio e qualità non è raro. L'aspetto nel bassofondo può portare alla cattura di pesci pelagici come le grosse Lecce sopratutto nel periodo autunnale, dei Dentici di peso che nel periodo invernale da solitari si avvicinano al bassofondo. In prossimità di foci e porti non è raro l'incontro con uno dei pesci più combattivi in assoluto e cioè il pesce Serra. Sempre nel bassofondo sono sempre meno rari i Barracuda che a volte si presentano in grossi branchi.

L'ASPETTO PROFONDO

Autore: Mariano Satta

Mariano Satta con una ricciola

Nella prima parte dell'articolo si è parlato di aspetto in generale, ed è stato trattato in maniera più approfondita l'aspetto nel bassofondo, ossia quello praticato fino a 15 metri. In questa parte conclusiva, Mariano Satta affronta il tema dell'aspetto profondo.


L'ASPETTO PROFONDO

Si differenzia dall'aspetto del bassofondo per le quote di esercizio, che nell'aspetto profondo sono superiori ai quindici metri. In genere i grandi campioni sono in grado di praticare questa tecnica anche oltre i trenta metri, ed un campione in particolare, Gabriele del Bene, ha documentato catture oltre i cinquanta metri. Come per l'agguato profondo il consiglio unico è DESISTERE qualora non si abbiano i requisiti necessari, vale a dire esperienza e tanto allenamento. Ad effettuare l'aspetto profondo in sicurezza sono pochi pescatori con grandi capacità atletiche ed un grosso bagaglio d'esperienza maturato in lunghi anni di attività. La difficoltà di questa tecnica risiede non solo nelle quote alle quali si deve operare, ma anche nella difficoltà delle prede che si vanno ad insidiare. Chi pratica l'aspetto profondo, infatti, ambisce in particolar modo alla cattura del Re dei fondali: sua maestà il Dentice. Nei mesi più caldi e con la presenza di sbalzi termici i dentici salgono dalle quote più profonde verso quote più accessibili al pescatore in apnea. L'habitat prescelto dal dentice è solitamente costituito da picchi e le secche isolate, e le quote di stazionamento dello sparide si aggirano sempre oltre i venti metri. Non è raro nel periodo più caldo -che parte da giugno- avvistare dei branchi con esemplari più o meno di mole. Solitamente, una volta raggiunto il fondo sono loro a farsi vedere, ma capita delle volte che si avvistino durante le ispezioni a mezz'acqua o nelle fasi di discesa. Altro fattore che porta tanti abili pescasub ad eseguire l'aspetto profondo è l'ambizione di cattura dei pelagici ed in particolar modo delle combattive ricciole. La ricciola e il dentice sono le prede più combattive ed ambite per un aspettista, anche se non sono rare le catture di altri pesci di minor valore come i saraghi pizzuti. Difficilmente un buon apettista profondo rivolgerà le sue attenzioni a prede di minor valore che garantirebbero un carniere valido ed ambito per i più.

SICUREZZA
Il problema della sicurezza si amplifica enormemente con l'aumentare delle quote, e nel caso dell'aspetto profondo la presenza di un compagno con capacità di assistenza e soccorso deve essere considerato un vero obbligo. Tanti pescano in profondità con la presenza del barcaiolo, ma solo l'avere un compagno in acqua che rimane sulla verticale a vigilare con la massima concentrazione costituisce una garanzia di sicurezza. L'aspetto viene eseguito con una preparazione del tuffo minuziosa, ed in presenza di fattori fisici o emotivi che minano la nostra piena operatività è meglio evitare questa tecnica e rimandare ad un altra occasione. Il benessere fisico e termico sono condizioni determinanti, e qualunque avvisaglia di stanchezza e malessere deve portare a DESISTERE. Sempre ai fini della sicurezza, se le condizioni meteo-marine sono sfavorevoli si rinuncia e i motivi della rinuncia vanno sempre condivisi con il compagno, che dovrà sempre acconsentire e mai spingere a trasgredire la scelta. La "consapevolezza" ci deve portare a capire che il corpo e la mente sono strettamente coordinati. E' importante imparare a rilassarci lasciando fuori pensieri, preoccupazioni e paure: prima di un'azione profonda bisogna liberarsi di ogni emotività, e la presenza di stress mentali e fisici sono campanelli che bisogna ascoltare. Ci si immerge solo e soltanto quando si è raggiunto un perfetto stato di rilassamento e ci si sente pronti.

Ecco un'acquisizione che deve entrare nel nostro bagaglio di esperienze: in mare siamo ospiti, e per quanta acquaticità e benessere possiamo raggiungere siamo pur sempre fuori dal nostro elemento naturale e lontano da tutte le sensazioni che produce. L'uomo è nato per respirare e l'apnea deve essere fatta in modo consapevole.

ATTREZZATURE

Un sub riemerge con un dentice, preda tipica dell'aspetto profondo

Le attrezzature devono essere di qualità, a partire dalle mute, che devono permettere di operare a quote profonde e devono essere scelte tra quelle più tecniche.

L'aspetto profondo si pratica nei mesi più caldi e ciò permette di indossare capi più leggeri, ossia di minor spessore. In piena estate molti usano le mute tecniche da 3 millimetri, ma a seconda delle zone la temperatura dell'acqua può suggerire di optare per una giacca di spessore superiore. Il benessere termico si avverte proteggendo maggiormente l'addome e le parti della vita dietro la schiena. La bontà dei materiali delle mute presenti sul mercato permette ai sub di orientarsi a piacimento tra i modelli di serie e le produzioni artigianali su misura.

Lo spessore minore delle mute permette di alleggerire al massimo la zavorra, e qualunque schienalino, anche di poco peso, risulta decisamente sconsigliabile. I piombi devono essere di piccola dimensione, preferibilmente di un chilogrammo ciascuno al massimo. Piombi di peso maggiore si sentono maggiormente e frenano in fase di risalita. La maschera deve essere leggera, tecnica e di volume ridotto. E' necessario dotarsi di un pugnale ed evitare sempre di indossare il cavetto portapesci alla cintura. Le quote operative obbligano ad un'accurata scelta delle alla pinne, che dovranno essere di ottima qualità, e il subacqueo utilizzerà sempre guanti e calzari.


AZIONE DI PESCA

Dopo avere effettuato una perfetta e silenziosa capovolta, ci si dirige verso il fondo. Durante la discesa, si superano la fase "positiva" [n.d.r. quella in cui si tende a galleggiare] e poi quella neutra ed infine si diventa negativi; a questo punto, la miglior cosa è lasciarsi andare in una planata verso la postazione prescelta, evitando al massimo i movimenti per risparmiare ossigeno.

La posta a fondo deve essere effettuata seguendo le indicazioni già offerte per l'aspetto nel bassofondo, e cioè sfruttando le asperità, mantenendo il busto un po' alto e le pinne basse, ma sempre nascondendo la sagoma. Ruotando il capo si osserva tutto intorno, e qualora non si avvisti niente ci si deve concentrare su alcuni fattori, in particolare l'atteggiamento della minutaglia. Infatti, quando un predone avverte l'invasione e si avvicina incuriosito, la mangianza allertata dalla sua presenza si aprirà offrendogli un varco: sarà quello il punto in cui sicuramente il predone si materializzerà. Dopo l'avvistamento della preda, l'immobilismo e il puntamento sono elementi decisivi per la cattura, e la concentrazione richiesta è massima. Riguardo il tiro, solitamente l'ideale è riuscire ad anticipare la virata che i predatori effettuano con uno scatto al termine dell'avvicinamento; il momento migliore per premere il grilletto è proprio quello in cui il pesce, una volta a tiro, accenna ad offrire il fianco. Se si scocca il tiro in questo momento, la maggior parte delle volte l'asta andrà a conficcarsi all'inizio della linea laterale, poco dietro alla branchia. Colpendo un predatore in quel punto si ottengono le maggiori chances di successo e con ogni probabilità riusciremo a mettere la preda a pagliolo. I predatori come il dentice o la ricciola, una volta colpiti, esprimono una reazione violentissima e fanno di tutto per strapparsi l'asta dal corpo. Per questo bisogna aver cura di mantenere la frizione del mulinello allentata al punto giusto, in modo che ci permetta di contrastare la reazione del pesce ed impedirgli di intanarsi o di ingarbugliare il sagolino sulle asperità del fondo, cosa che rischierebbe di compromettere la cattura.

Quando l'apneista riemerge, spetta al compagno controllare che tutto sia sotto controllo: il compagno che ha vigilato sul tuffo potrà rivolgere la propria attenzione al recupero del pesce solo dopo aver ricevuto un chiaro segnale di "ok". In caso di cattura di un grosso pelagico, spetterà al compagno doppiare il tiro, ma sempre dopo essersi assicurato dello stato di salute di chi ha effettuato la cattura e con la sua autorizzazione.


UNA NOTA IMPORTANTE

Il compagno che assiste deve concentrare tutte le attenzioni verso chi ha effettuato l'aspetto e mai dedicarsi al pesce. Deve sempre assicurarsi che aspettista riemerga in perfette condizioni e solo dopo questi accertamenti potrà pensare al pesce. Nessun pesce vale la nostra vita, e senza il rispetto di questa semplice regola si sminuisce il valore dell'assistenza, che diventerà pressoché inutile. Si consideri che la sincope può sopraggiungere anche dopo che sono trascorsi una ventina di secondi dalla riemersione, per cui è necessario assicurarsi delle perfette condizioni del compagno con molta attenzione.

Foto: Charlie Patriarca

LE ARMI

La scelta di un'arma sufficientemente lunga offre maggiori garanzie di successo, e un buon aspettista usa arbalete o oleopneumatici preferibilmente di misure pari o superiori ai 100 centimetri. Normalmente, quando ci si imbatte in un branco di dentici o di altre specie, le attenzioni cadono sugli esemplari di dimensioni maggiori. Durante un aspetto ben eseguito, solitamente gli esemplari più piccoli e meno astuti si presentano a tiro per primi. In questi casi, è necessario imparare a scegliere con criterio: qualora si disponga di fiato, si può puntare alla cattura degli esemplari più grossi che inizialmente restano nelle retrovie, ma se l'organismo risente della fatica ed il fiato scarseggia, si pone una scelta. Tanti preferiscono scoccare il tiro su un esemplare più piccolo piuttosto che riemergere e tentare un nuovo aspetto. La differenza con i campioni ed i veterani dell'aspetto si concentra soprattutto in queste scelte. Un buon aspettista che ha maturato esperienze sa riconoscere il comportamento del pesce e decidere se ritentare, premere il grilletto o semplicemente rinunciare sperando in una giornata più favorevole. Nelle mie catture ho sempre valutato il comportamento dei pesci, le condizioni meteo-marine ed il mio stato fisico. L'età si fa sentire e le quote si fanno sempre più basse a beneficio della sicurezza. Col passare degli anni è giusto che le quote diventino sempre meno impegnative, ma la garanzia di successo e cattura permane grazie ad esperienze ed istinto sviluppati in anni di attività. Posso affermare che la profondità non sempre è sinonimo di cattura.


ASPETTO A MEZZ'ACQUA E IN ACQUA LIBERA

In mare si presentano anche delle situazioni che definirei peculiari e che "completano" la tecnica dell'aspetto. Infatti, ci sono alcune specie che possono essere insidiate in acqua libera effettuando un "aspetto a mezz'acqua", senza nascondiglio alcuno. Alcune specie pelagiche si incuriosiscono e si avvicinano a controllare, a patto che si riesca a stazionare immobili a mezz'acqua. I giovani di ricciola e le palamite sono le prede che si insidiano prevalentemente con questa tecnica, ma può capitare di catturare anche Salpe, Cefali e non raramente le Spigole.

Mi è capitato più volte di catturare con successo specie differenti sfruttando le esperienze dell'aspetto e agendo direttamente in acqua libera. In tanti anni posso dire di essere riuscito a catturare di tutto con questa tecnica singolare, e non ultimi pesci importanti come le smaliziate orate, dei barracuda e dei pesci serra, che sono piuttosto rari in Sardegna.

ASTUZIE
Voglio adesso soffermarmi sul tema delle astuzie. In tanti sono convinti che produrre dei richiami sonori, ossia dei rumori, porti a catture certe. Tanti dichiarano che grattare il fondo, sbattere il calcio del fucile, fare dei suoni con la gola, produrre rumori con campanelli ed altri strumenti attiri le prede. Non voglio smentire nessuna di queste tesi, ma ho catturato di tutto senza produrre rumore alcuno e con serenità posso dire che il problema non è mai stato attirare le prede, ma semmai individuarle. Se la tecnica è corretta saranno semplicemente le nostre vibrazioni ad allertare il pesce: una volta effettuato l'appostamento la curiosità del pesce lo spingerà a controllare la fonte di queste vibrazioni. Dopo avere raggiunto il fondo, l'astuzia migliore consiste nell'immobilizzare il corpo ed osservare tutto intorno con movimenti lenti del capo. Saranno queste vibrazioni ad allertare il pesce; una volta che lo avremo individuato, poi, smetteremo di produrre il movimento del capo: facendo cessare le vibrazioni, alimenteremo ancor più la grande curiosità della preda, che terminerà l'avvicinamento portandosi a tiro. Altra astuzia efficace è l'affacciarsi dall'appostamento mostrando un po' della nostra sagoma e poi arretrare di nuovo, nascondendosi e immobilizzandosi. Se avrete fatto tutto correttamente, rimarrà da premere il grilletto. Qualunque pesce si può considerare catturato una volta messo in cavetto o a pagliolo. Infatti, per quanto un aspetto possa essere eseguito a regola d'arte e per quanto un pesce possa essere colpito alla perfezione.... resta sempre da effettuare il recupero: chi ha avuto modo di sparare un grosso predatore, ha potuto valutarne la possente reazione immediatamente dopo il tiro.

Un bel dentice - Foto © Apnea Magazine

DA DOVE ARRIVA IL PESCE
E' fondamentale non dare niente per scontato, una volta raggiunta la posta dobbiamo rivolgere le nostre attenzioni a tutto l'ambiente circostante. Non dimentichiamo di osservare anche verso l'alto, perché non è detto che il pesce si presenterà di fronte a noi come vorremmo o come immaginiamo:la preda può provenire da qualunque direzione, a favore di corrente o a corrente contraria. Solitamente è preferibile rivolgersi in direzione di una zona in cui c'è una maggiore concentrazione di mangianza o, se si effettua un aspetto alla base di un picco o di un grosso masso, ridurre il campo da osservare posizionandosi con questi alle spalle.

Tanti nei commenti o nei loro racconti danno per scontate alcune teorie, come quella che vorrebbe i pesci muoversi sempre e solo controcorrente; altri sostengono il contrario, e cioè che i pesci si muovono solo a favore di corrente. Il tutto può essere facilmente smentito, ed inoltre non sempre la corrente è presente. La verità è che i pesci possono presentarsi da qualunque direzione: di fronte, di lato, dal basso o dall'alto. Molto dipende dal luogo prescelto per l'appostamento.

Mi attengo ad esperienze dirette personali maturate in anni e confermate da tanti abilissimi pescasub. I più abili, piuttosto che attenersi a certe teorie, se effettuano l'appostamento in un campo libero osservano l'ambiente circostante a 360° ruotando la testa e portando il mento in prossimità delle spalle, a destra e a sinistra, per guardarsi anche dietro. In questo caso è preferibile assumere una posizione leggermente racchiusa, quasi in ginocchio. Il fucile va tenuto in una posizione arretrata in prossimità del busto. Nel momento in cui si individua la preda si assume la posizione di tiro facendo ruotare dolcemente il corpo, e dopo aver disteso l'arma in fase di puntamento ci si immobilizza per non produrre più vibrazioni: il pesce, se incuriosito, arriva e si rende vulnerabile. In queste situazioni la trasparenza e la visibilità sono determinanti.


I CAMPIONI

Non penso sia un caso che un campione come Stefano Bellani in gara catturi pesci come grosse lecce e i dentici. Tanti dicono che si tratta di fortuna, ma non è possibile che fortunato sia solo lui in mezzo a tanti agonisti..

Infatti Bellani in gara dimostra di avere tanto mestiere ed un grande bagaglio d'esperienza: per valutare quanto dico è sufficiente osservare i suoi carnieri, che parlano da soli. Sicuramente, a differenza di altri si guarda sempre intorno, e da campione sfrutta tutte quelle occasioni e tutti quei segnali che possono indicare la presenza di un predatore. Sempre citando dei campioni, è dimostrato che l'esperienza maturata nel tempo porta a catture certe, e chi pesca in zone desertiche come L'Argentario sa che i dentici soccombono il più delle volte solo e soltanto davanti ai nostri Max Fox, Marco Bardi e pochi altri, veri campioni dell'aspetto in tutti i sensi. Idem in altre zone del territorio nazionale.

L'ASPETTO DI SUPERFICIE E LA "COULEE"

I miei quasi 48 anni mi hanno dato un pò di esperienza in più ma mi hanno tolto un pò della forma fisica che avevo una decina d'anni fa. L' approccio col mare é cambiato, quello coi pesci anche, ma sono soprattutto le tecniche di pesca che utilizzo ad avere subito una svolta. Il vecchio sistema che usavo, il cosiddetto "aspetto", é stato soppiantato da due nuove tecniche che mi permettono di consumare meno aria e di mantenere un approccio visivo (o quasi...) con la preda prescelta: si tratta del cosiddetto "aspetto di superficie" e quello che i francesi chiamano "coulee". 

I risultati ottenuti mi fanno capire che entrambi i sistemi funzionano bene, ma meritano da parte mia un'ulteriore messa a punto poiché attualmente ho ottenuto un risultato positivo soltanto nel 50% dei casi anche se c'è da dire che, rispetto alla mia tecnica precedente, così facendo non mi stanco più e riesco a percorrere durante le mie battute di pesca lunghe distanze in tempi brevi. 

Queste poche righe daranno forse al lettore uno spunto dal quale partire per poi approfondire la ricerca in modo personale, poiché entrambe queste tecniche si affidano ad una gestione psicologica del comportamento animale delle varie specie.

L'aspetto di superficie é, per me, la tecnica attualmente più difficile. La utilizzo con banchi di pesci come spigole, orate, muggini e ricciole, vicino a riva, e con qualche grosso pescione in acque profonde. Si può fare in maniera attiva, cioè provocando delle reazioni nelle prede grazie a piccoli movimenti effettuati dal pescatore per "indirizzare il pesce" nella zona di caccia voluta e in maniera passiva facendo credere alle prede che si ha paura di loro o che comunque si "rifugge" la loro vicinanza. 

Un esempio pratico é data dalla ricciola nella foto, tirata quest'estate e che , pur bene arpionata, mi ha fatto fare un po' di"sci d'acqua"... 

Mi trovavo al largo al calar della sera, su un fondale profondo, e mentre notavo un certo nervosismo dei pescetti sul fondale, mi sono guardato cautamente intorno e l'ho vista. Si muoveva a mezz'acqua circondata da una corte di pescetti come una regina con le sue cortigiane. Visto che già due anni prima, nello stesso posto, un'altra ricciola, dopo avermi stupito, mi aveva lasciato con un palmo di naso, ho deciso di cambiare tattica, rifuggendo il predatore. 

Mantenendo il mio battito cardiaco e le mie emozioni sotto controllo e senza in alcun modo cambiare la velocità e l'intensità della pinneggiata, ho cominciato prudentemente a variare la mia direzione iniziale come se volessi allontanarmi da un possibile incontro. La ricciola, in quel momento, era distante una ventina  di metri ( o forse più ) dalla mia posizione, e si trovava a quattro o cinque metri dalla superficie. Il mio cauto allontanamento l'aveva incuriosita e, tutto d'un tratto, me la ritrovai a tre o quattro metri da me.

Quando il mio sguardo incontrò furtivamente il suo era già troppo tardi, capii che aveva capito l'inganno e mentre si apprestava a dare un possente coda e a sparire nel blu, iniziai una mezza capovolta, al rallentatore, facendo partire nello stesso istante il colpo. Sicuramente un giorno fortunato, in cui tutti i tasselli dell'azione di pesca avevano trovato la giusta posizione nel quadro complessivo: un secondo in più o in meno durante le singole fasi avrebbe determinato la brusca fuga del pescione. Persino un battito in più del mio cuore di troppo avrebbe risvegliato la sua diffidenza. Dopo una gestione della preda di qualche minuto, issandola sulla barca, mi ritrovai a contemplare tanta bellezza: non solo il pescione ma anche la maniera con la quale l'avevo pescato.

Se la pesca in apnea é dunque un'arte, la "coulee" (come la chiamano i francesi) é una delle sue più belle espressioni. La discesa su un'orata di belle dimensioni, su di un fondale dagli 11 ai 18 metri, é una sensazione molto interessante. 

Spesso ne trovo una grossa da sola od in compagnia di una più piccola, in mezzo alle alghe, posata su un piccolo spiazzo sabbioso ma vicina alle alghe stesse con le quali spera di confondersi. La foto rappresenta il frutto di un giorno fortunato, inizio inverno 2003-2004, effettuata nelle vicinanze di una secca che raggiungo a nuoto. L'altro pesce della foto é un Pesce San Pietro cacciato con la stessa tecnica.

Per questo tipo di caccia adotto una piombatura specifica, che vario di giorno in giorno per variare il mio galleggiamento in funzione del grado di salinità dell'acqua: la sagola della boa, più corta di 3 o 4 metri della profondità del fondale, é collegata ad un piombo che inserisco appena sotto la muta. Questo sovrappeso deve essere tale da lasciarmi percorrere i primi metri della discesa senza pinneggiare, e staccarsi da solo prima del mio arrivo sul fondo consentendomi di ridurre la velocità di caduta. 

Effettuo l'approccio con l'orata o le orate sempre dal di dietro, mantenendo un angolo di discesa di 25-30 gradi poiché, per conformazione della specie, la loro vista in quest'angolo é molto ridotta. Durante la discesa in caduta cerco di non guardare mai la preda, preferisco chiudere di tanto in tanto gli occhi o fissare un'altro pesce come se fossi interessato da lui e non dall'orata che desidero catturare. 

Man mano che scendo, l'orata si inclina in avanti per cercare di nascondersi e di vedermi, in questa posizione allarga le pettorali che formano una croce col corpo. In questo momento la pesca é ancora più difficile: bisogna cercare di decelerare la caduta senza modificare la direzione né fare alcun rumore. 

A tal fine, di solito, tendo a piegare le ginocchia per aumentare la resistenza delle pale nell'acqua. Un ultima consiglio: quando crediamo che il pesce sia già nella padella non bisogna ancora tirare ma aspettare un momento in più. Il tiro deve essere scoccato solo quando l'asta tocca quasi la pelle del pesce od almeno così ci deve sembrare, per non ferirlo inutilmente. Di solito lascio partire la freccia sul dorso, subito dietro agli occhi, fulminando la preda

Maggiori prede

L'Orata

CHI E'

L'orata appartiene alla famiglia degli sparidi ed è quindi un parente prossimo non solo del dentice, ma anche dei saraghi dei quali riprende la robusta mascella e la dentatura studiata per sbriciolare valve di molluschi e piccoli crostacei. Il suo nome scientifico (Sparus auratus) e tutti gli appellativi che gli vengono dati comunemente, orata, aurata, dorata rendono omaggio alla sua caratteristica più evidente e cioè alla fascia dorata, leggermente curva, che si estende nello spazio compreso tra i due occhi.

Riguardo agli elementi che ci permettono di distinguerla dal dentice abbiamo già parlato; per non confonderla con il sarago, oltre alla già menzionata fascia color oro, ci basterà ricordare che la sua sagoma appare leggermente più allungata e che sul suo corpo non compaiono le linee nere verticali, proprie del sarago maggiore. Le dimensioni dell'orata variano da 800 grammi a 3 chili degli esemplari più comuni per arrivare agli 8 - 10 chilogrammi delle prede record che, tuttavia, giungono raramente di fronte al subacqueo.  

DOVE VIVE

L'orata come il muggine, vive una parte della sua vita nelle acque semisalse delle lagune e delle foci dei fiumi. Da queste si allontana solo nel periodo che precede la riproduzione, poco prima dell'autunno. Una volta avventuratasi in mare non si allontana, tuttavia, dalla costa che gli garantisce un abbondante rifornimento di quei piccoli molluschi di cui va tanto ghiotta. Questa sua golosità ci facilita notevolmente nella ricerca; basterà infatti ispezionare attentamente lo specchio d'acqua in cui è affondato un allevamento di mitili per sorprendere qualche membro della famiglia, intento a sgranocchiare con le potentissime mascelle il guscio delle cozze.

Il suo incontro è meno frequente nelle acque limpide che circondano le piccole isole e in tutti quei fondali dove lo scoglio sostituisce totalmente la spiaggia e il fango. Le sue preferenze vanno alle acque continentali, intorbidite dalla vicinanza della foce di un fiume o dagli scarichi di un agglomerato urbano. E' proprio in queste acque , infatti, che prosperano le colonie di mitili, zampe di capra, ostriche ed altri molluschi di cui si ciba abitualmente. La troveremo perciò, anche nei pressi delle calate dei porti, sia all'esterno che all'interno delle dighe frangiflutti.

COME SI COMPORTA

Se il dentice si merita l'appellativo di re, indubbiamente all'orata calca benissimo quello di regina per il suo aspetto, caratterizzato dalle lamine d'oro che gli risplendono sulla fronte e sulle guance. Anche il suo comportamento si rivela pieno di sussiego e di una dignità che, anche nella fuga, non gli fa mai compiere dei movimenti bruschi e scomposti.

In questa capacità di bastare a se stessa riesce a fare a meno della compagnia dei suoi simili con i quali si ricongiunge soltanto nel periodo della riproduzione e durante le scorribande negli allevamenti di cozze. Per il resto dell'anno preferisce girare da sola o al massimo insieme ad una compagna delle stesse dimensioni.

Di fronte all'uomo si rivela sempre diffidente e preferisce allontanarsi in fretta dal suo raggio d'azione, senza farsi tentare da un approccio di qualsiasi genere. Proprio per questo motivo la cattura diviene particolarmente difficile. Inutilmente cercheremo di incuriosirla con appostamenti studiati ad arte e con ogni genere di spostamenti atti a risvegliare la sua curiosità; imperturbabile prenderà la via del largo senza degnarci di uno sguardo.

Tutta questa eccezionale diffidenza a nulla vale, però, al momento del pranzo. Infatti mentre è intenta a sbriciolare il guscio di qualche mollusco produce un rumore di discreta intensità, tale da ridurre a zero le sue capacità percettive, permettendo al subacqueo di avvicinarsi di nascosto fino a pochi passi.

La tattica di avvicinamento a sorpresa, sarà resa possibile anche dal fatto che l'animale si lascia frequentemente sorprendere mentre bruca a testa in giù tra le alghette che ricoprono lo scoglio. In tale posizione gli sarà più difficile vederci di quanto non lo sia per noi lo scorgere l'argenteo scintillio della sua coda. Se verremo a trovarci in questa fortunata circostanza evitiamo di portarci troppo allo scoperto, perché la nostra preda non tarderebbe ad accorgersi della nostra presenza. 

Torniamo invece indietro di quanto ci basta per essere nuovamente celati dietro la parete di roccia; guadagniamo poi lentamente qualche metro, sempre tenendoci aderenti allo scoglio. Quando ci sembrerà di aver raggiunto il punto esatto dove l'avevamo scorta precedentemente, scostiamoci piano piano dalla parete che nasconde i nostri movimenti e, se la nostra vittima sarà ancora lì, non esitiamo a sparare, perché, rimessasi dalla sorpresa, l'orata schizzerà verso il largo come un fulmine.

Nel tiro, anticipiamola abbondantemente basandoci sul procedimento rettilineo della sua corsa. Il nuoto dell'orata si svolge, infatti, in linea retta, con movimento uniforme e con rare "virate" che compie per lo più con svolte ad angolo retto.

Come il dentice, anche l'orata è decisamente restia ad intanarsi, quando si rendesse conto della pericolosità di tale manovra. Quando, pressata dal subacqueo, si rifugia sotto un sasso esce immediatamente dall'imboccatura opposta senza darci neanche per un istante l'illusione di averla in pugno. Talvolta può accadere, però, che trovandosi a pascolare in mezzo a una tribù di saraghi si faccia tentare come loro dallo spacco cieco o dalla tana senza uscita. Sarà la nostra grande occasione!

In tale circostanza l'orata perde tutta la spavalda sicurezza, rimane come annichilita ad osservarci mentre ci affacciamo all'apertura e finisce immancabilmente per venir trafitta a colpo sicuro.   Tutte le volte che avremo la possibilità di prendere accuratamente la mira cerchiamo di colpirla nella parte superiore del corpo, dove la massa muscolare è più sviluppata e presta in tal modo maggiore resistenza all'arpione.

Il bersaglio migliore è però quello rappresentato dal punto d'unione della parte terminale della branchia con la linea laterale che le attraversa tutto il corpo orizzontalmente. Proprio in questo punto convergono, infatti, tutti i centri nervosi e il tiro, una volta piazzato in quello spazio ristretto, annienterà la reazione del pesce che altrimenti, dibattendosi violentemente potrebbe staccarsi dall'arpione per fuggire a morire sul fondo.

Il Sarago

CHI E'

In questa famiglia le specie che riguardano più direttamente il subacqueo, perché distribuite distribuite ovunque lungo le nostre coste, sono essenzialmente tre: il sarago maggiore (Diplodus sargus) , il sarago fasciato (Diplodus vulgaris) ed il sarago pinzuto o pizzuto (Puntazzopuntazzo).               

Il sarago maggiore , che è quello che più interessa i subacquei sia per la sua distribuzione sia per le sue ragguardevoli dimensioni, presenta, come tutti gli altri saraghi, un corpo compresso di forma ellittica, provvisto sul troncone della coda di una vistosa macchia nera. Tutto il corpo è di colorazione argentea interrotta da 7/8 fasce verticali di colore bruno. Visto dall'alto il dorso presenta un colore bruno - verdastro che unito alle altre caratteristiche lo rende facilmente identificabile.           

 Le dimensioni del sarago maggiore rappresentano indubbiamente l'aspetto più interessante di questa specie che raggiunge (sia pure in casi rarissimi) i due chili di peso ed i 40 cm. di lunghezza; gli esemplari che più frequentemente incontriamo hanno comunque dimensioni che variano tra i 200 grammi ed il chilo e mezzo.                   

Il sarago fasciato si differenzia dagli altri appartenenti alla stessa famiglia per la maggiore estensione della fascia nera disposta alla base della coda e per la presenza, subito dietro la testa, di un'appariscente banda nera che si estende dalla nuca alle pinne pettorali.  

 Anche la colorazione di questo sarago differisce da quella dei suoi cugini prossimi in quanto la sua colorazione argentea assume delle sfumature dorate inconfondibili. 

Le sue dimensioni sono notevolmente ridotte rispetto a quelle del sarago maggiore e del sarago pizzuto; raramente raggiunge infatti i 25 - 30 cm. di lunghezza ed il chilo di peso.         

Il sarago pizzuto che ai meno esperti potrà sembrare del tutto simile al sarago maggiore possiede anch'esso una colorazione argentea - verdastra interrotta da 7/9 fasce verticali di colore più scuro.

 Lo si distingue dal maggiore per la differente forma della testa che appare più appuntita ed affusolata, priva inoltre della massiccia dentatura del suo parente prossimo che risulta in tutto più compatto, anche nella solidità delle carni. Il sarago pinzuto ha dimensioni che si aggirano tra i 12 ed i 40 cm. ed un peso che può raggiungere il chilo e mezzo.

  DOVE VIVE

Il sarago si raccoglie sempre in numerose tribù che eleggono a loro dimora un tratto di cista molto accidentato, spesso reso tale da frane abbastanza recenti dove i massi, disposti disordinatamente l'uno sull'altro, concorrono a formare la struttura tipica dei meandri dove sono soliti rifugiarsi non appena vengano disturbati. 

Al subacqueo non sarà difficile individuare la presenza del sarago proprio grazie al fondale preferito da questi pesci, fondale che trova spesso riscontro anche nella parte aerea della costa che presenterà una chiara tendenza all'instabilità con franate di grossi massi che, iniziando fuor d'acqua, proseguono sotto la superficie. 

Ed è proprio là sotto, dove i massi accatastati segnano il limite della prateria delle posidonie, che vedremo volteggiare miriadi di saraghi di tutte le dimensioni, perennemente alla ricerca di cibo tra le piccole alghe che cospargono la roccia. 

Questo ambiente così affascinante per il turbinio di vita che costantemente gli gravita attorno, risulta tuttavia assai ostico al cacciatore che incontra spesso ostacoli insormontabili nei ristretti spazi vuoti lasciati dal sovrapporsi dei sassi, dove le nostre prede correranno velocissime a rifugiarsi non appena accenneremo ad immergerci. 

In assenza di questo particolare fondale le colonie di saraghi si riuniscono nelle spaccature verticali ed orizzontali della roccia o sotto sassi isolati che presentino delle tane con imboccature strette, appena sufficienti a lasciarli passare di taglio. Anche questo tipo di fondale è individuabile dall'esterno attraverso l'aspetto della costa che presenterà profonde spaccature verticali, in genere presenti anche sott'acqua.

 In questo secondo tipo di fondale la cattura del sarago risulta assai più facile dal momento che l'intera colonia, una volta intanata, commetterà l'imprudenza di sottovalutare il cacciatore e si lascerà sorprendere più volte a passare e ripassare dinanzi all'imboccatura della tana consentendoci di mirare con calma ed assoluta sicurezza.   

Il difficile consisterà quindi nel localizzare queste tane che solitamente sono le meno appariscenti proprio per la strettezza della loro imboccatura che garantisce gli inquilini contro le incursioni di qualche grosso pesce, ma non contro il fucile.

Nella fase di perlustrazione dovremo dunque prestare attenzione a tutte quelle spaccature, dotate di una certa profondità, che posseggano bordi piuttosto netti; ma sarà proprio lui, il sarago, a guidarci nella sua dimora. Basterà non perderlo di vista quando, impaurito, si allontanerà velocissimo dandoci quasi l'impressione di averlo definitivamente perduto.

Sarà allora proprio che lo vedremo rallentare, girare bruscamente, ed infilarsi in una stretta spaccatura che probabilmente non avremo notato. 

E' lì che lo troveremo, insieme ai suoi compagni, sicuro di aver scampato il pericolo ed ignaro di esserselo portato invece proprio in casa.          

Oltre che su questi due fondali, potremo avere la fortuna di incontrare il sarago maggiore nelle grandi estensioni di poseidonie. 

Queste ultime, crescendo su piani diversi, tendono talvolta a formare delle balze in cui, a causa dell'erosione esercitata dal movimento delle onde sul terriccio non trattenuto dalle radici delle piante, si formano delle rientranze.

 In queste piccole cavità, parzialmente occultate dai lunghi nastri delle poseidonie, amano rifugiarsi i saraghi più sprovveduti che una volta celatisi alla meno peggio, resteranno immobili, fidandosi soltanto delle proprie capacità mimetiche, ben lontane del resto da quelle della diabolica ombrina.  

COME SI COMPORTA

Indubbiamente la parola psicologia riferita ad un pesce può destare non poca perplessità, specialmente in chi ha degli abitanti del mare soltanto una conoscenza superficiale. Con questo non vogliamo certamente sostenere che i pesci siano dotati delle capacità logiche e razionali che l'uomo rivendica come linea di demarcazione che lo separa dal mondo degli animali. Certo è che più di una volta ci capita di rimanere sconcertati di fronte al comportamento assunto da una nostra preda, comportamento che senza dubbio scaturisce da un'intelligenza superiore a quella che normalmente riconosciamo. Quante volte ci è capitato di armarci di martello per fare ostriche o di macchina fotografica e di imbatterci in esemplari stranamente fiduciosi? Un caso certamente!  E quante volte dopo aver padellato un muggine ce lo vediamo tornare incontro quasi incuriosito dall'asta che ancora non siamo riusciti a riagguantare, per poi fuggire velocemente non appena avremo ricaricato il fucile?

Per non parlare poi dell'incredibile capacità che molti pesci hanno di calcolare il tiro utile del fucile, rimanendo sempre di poco al di là della distanza di sicurezza e costringendo così il subacqueo a lunghissime pinnate come un asino dietro alla carota. Comunque sia tutte le specie che popolano il mare possiedono nel loro comportamento alcune caratteristiche costanti ed in queste "abitudini" sta il loro tallone di Achille.

Il sarago maggiore, come tutti sappiamo, è un pesce che si caccia prevalentemente in tana ed è proprio questo suo ambiente che risulta più vulnerabile. La ricerca di questo nascondiglio è facilitata dal fatto che normalmente l'intero gruppo sceglie come zona di pascolo un'area piuttosto vicina allo spacco dove è solito rifugiarsi e basterà quindi seguire il branco, cercando di non spaventarlo, fino a quando non si intani. Non è sempre detto però che tutta la colonia si trovi allo scoperto ed allora dovremo rassegnarci ad esplorare tana per tana fino a quando non saremo riusciti a trovare quella giusta.           

Durante la fase perlustrativa cerchiamo di non snobbare gli esemplari più piccoli che talvolta possono essere dei ritardatari che si riuniscono precipitosamente al resto del gruppo intanatosi di corsa non appena percepita la presenza dell'uomo. Affacciandoci alla piccola fessura dove li abbiamo visti sparire ci può attendere la gradita sorpresa di trovarci faccia a faccia con i fratelli maggiori. Le tane dei saraghi, come accennato precedentemente, si dividono in tane cieche e tane "a franata" dotate di innumerevoli uscite tutte in comunicazione tra di loro. Il comportamento del sarago cambia a seconda che si trovi in prossimità di questi due tipi di fondo. Pescando in prossimità di un fondale composto di massi gli uni sovrapposti sugli altri, noteremo nel pesce una insolita sicurezza, quasi una ostentata indifferenza alla presenza del sub.        

Non appena accenneremo alla capriola, però, vedremo le nostre prede raggiungere con due secche pinnate l'ingresso più vicino che si rivelerà l'inizio di infernali labirinti dove, per raggiungere il sarago, bisognerebbe tramutarsi in anguille.  L'unica tattica che potrà dare dei frutti in delle circostanze del genere sarà quella di cercare di sorprendere il padrone di casa in una delle aperture attigue.  Dopo un avvicinamento lento e circospetto, in modo da non impaurire eccessivamente la preda, aspetteremo che si sia intanata, poi ci immergeremo puntando non all'apertura dove essa è scomparsa, ma alla più vicina, confidando che sia quella giusta. Se ci andrà bene riusciremo ad anticipare il sarago nel suo tentativo di far perdere le tracce nei meandri della franata ed allora avremo a disposizione una frazione di secondo prima che il pesce, ripresosi dalla sorpresa, ci sfugga nuovamente tra i sassi. Lontano da questo tipo di fondale il sarago diventa molto più vulnerabile e la sua spavalda sicurezza svanisce lasciando il posto ad una irrequietezza che si trasforma spesso in fuga precipitosa quasi nel tentativo di impedire al sub di individuare la sua tana.  In ciò non ha tutti i torti in quanto quasi tutte le sue dimore che non siano dotate degli inviolabili meandri della franata presentano sempre qualche punto debole. 

Se dall'entrata principale non sarà possibile scorgere la nostra preda non dovremo darci per vinti, prima o poi scopriremo un'altra apertura o anche una piccola fessura che ci farà intravedere l'argenteo scintillio delle squame. Il suo comportamento, una volta scoperto, ci apparirà tranquillo, di una temerarietà che rasenta l'incoscienza con il suo passare e ripassare nel raggio della pila. La cattura del primo esemplare richiederà dunque solo un attimo di attenzione al momento di premere il grilletto, attenzione che potrà essere ricambiata talvolta dalle famose "coppiole" che potremo effettuare attendendo che due saraghi, nel loro continuo girovagare nella tana, vengano a trovarsi sulla stessa linea rispetto all'angolazione di tiro. 

Dopo il primo sparo, però, il fiducioso comportamento del branco cambierà immediatamente. Resisi conto della vulnerabilità del rifugio i pesci cercheranno scampo allontanandosi quanto più possibile dal lato dal quale sono minacciati, facendo inoltre il possibile per porre tra la loro pelle ed il fucile del cacciatore l'ostacolo di un sasso o di qualche spunzone di roccia, disponendosi, inoltre, di taglio nel tentativo di offrire un bersaglio il più ridotto possibile.

A questo punto dovremo trovare un altro ingresso che ci permetta di eludere questi ostacoli, cosa che non sempre sarà possibile dal momento che i saraghi cercheranno di rifugiarsi in una zona non raggiungibile dalle varie aperture della tana. 

In quest'ultimo caso non ci resterà che accontentarci di ciò che saremo riusciti a catturare con i primi tiri e lasceremo in pace i superstiti augurandoci di ritrovarli alla prossima  battuta. Come ho premesso la caccia al sarago si esercita la maggior parte delle volte in tana, tuttavia può anche capitare di incontrare qualche elemento particolarmente fiducioso d forse più semplicemente curioso al punto di farsi pizzicare fuori tana.

 In tale circostanza noteremo subito nel sarago un atteggiamento del tutto particolare: invece di fuggire velocemente insieme ai suoi compagni preferirà cercare di appiattirsi il più possibile tra le alghe dove stava pascolando e rimarrà del tutto immobile ad esclusione delle pinne pettorali che agiterà in un tremito continuo. A tal punto sarà bene effettuare una capriola silenziosissima a piombo sull'animale (il sarago, infatti, al contrario di altri pesci, scappa sempre quando si tenta, in una circostanza del genere, l'avvicinamento laterale) rimanendo perfettamente immobile al momento della discesa. Per far ciò dovremo essere piombati in maniera tale da raggiungere l'assetto negativo già dopo i primi due metri che passeremo di slancio con la capriola. 

Nella fase di avvicinamento la nostra preda comincerà a dare chiari segni di nervosismo ed è probabilissimo che da un momento all'altro si dia ad una fuga precipitosa. La nostra abilità consisterà nel trovare il momento per lo spero proprio un attimo prima che ciò avvenga e nel riuscire a colpire un bersaglio estremamente ridotto dal momento che ci si presenterà inevitabilmente di taglio. La cattura del sarago pizzuto risulta più difficile di quella del sarago maggiore per il semplice fatto che difficilmente cerca di sottrarsi all'arpione intanandosi, ma preferisce allontanarsi velocemente a mezz'acqua oppure nascondersi sotto un sasso per schizzare fuori da un'altra apertura non appena il sub abbia fatto capolino dall'ingresso principale.  Il pizzuto, inoltre, non ha la tendenza come il suo cugino prossimo a riunirsi in branchi numerosi, ma preferisce vivere da solo o al massimo in coppi con un suo simile, il che rende la sua cattura un fatto sporadico.  

Il suo comportamento è sempre sospettoso e circospetto e riusciremo a sorprenderlo solo mentre è occupato a brucare da una roccia o durante una permanenza troppo prolungata sotto un sasso dove passerà nel tentativo di far perdere le sue tracce.

Il sarago è uno dei pesci più diffusi nei nostri mari. Appartiene all'ordine dei perciformi, al sottordine dei percoidei, alla famiglia degli sparidi, e al genere diplodus che è rappresentato da cinque specie:

 

ASPETTO: il sarago maggiore ha un corpo ovale, abbastanza alto e molto compresso lateralmente. Il muso, tozzo e robusto, è dotato di un ampia bocca con labbra sottili e fornita di otto denti incisivi ben sviluppati sia sulla mandibola che sulla mascella e più file di grandi molari che con gli anni assumono un colorito giallo scuro. Ha degli occhi abbastanza grandi e una sola pinna dorsale costituita da 11-12 spine anteriori e da 12-15 raggi molli. Il profilo della pinna caudale è a forma di V. 

Il corpo è di colorazione grigio-argentea che si schiarisce sulla zona ventrale ed è più scura nella zona compresa tra gli occhi e il muso. La livrea è caratterizzata dalla presenza di 8-9 sottili striature verticali alternativamente scure e più chiare che tendono a scomparire negli esemplari adulti. Il bordo posteriore della pinna caudale e delle pinne impari è orlato di scuro. 

Taglia massima: 40-45 centimetri. Peso massimo: 2-2,5 kg. Profondità abituale: 10-20 m.

Si distingue dalle altre specie di saraghi per le seguenti caratteristiche: a) opercolo bordato da una membrana nera; b) pinne ventrali scure con bordo anteriore bianco; c) macchia scura del peduncolo caudale arrotondata o a forma di sella, ma che non raggiunge il bordo inferiore (l'anello è completo nel sarago pizzuto).

HABITAT: il sarago maggiore vive nelle acque costiere a quote difficilmente al di sotto dei 50 metri di profondità. Frequenta soprattutto i fondali rocciosi ricchi di tane e di vegetazione ma è presente anche nelle praterie di posidonia e sui fondali sabbiosi vicini a quelli rocciosi. Sopporta bene le variazioni di salinità sicché, soprattutto in età giovanile, può spingersi nelle lagune costiere.

COMPORTAMENTO: gli appartenenti a questa specie hanno in genere un comportamento gregario, che si evidenzia soprattutto negli esemplari giovani i quali nuotano spesso in piccoli branchi. Gli adulti generalmente sono solitari, anche se possono temporaneamente riunirsi numerosi all'interno delle tane o girovagare in gruppi di 3-4 grossi esemplari. Per quanto riguarda l'alimentazione, mentre i giovani sono onnivori e quindi non disdegnano di mangiare le alghe sugli scogli, gli adulti invece hanno un'alimentazione più specializzata preferendo cibo di natura animale come vermi, molluschi, crostacei ed echinodermi, che essi cacciano assiduamente sia tra le rocce sia sui fondali sabbiosi. In particolare sono ghiotti di ricci di mare. La deposizione delle uova avviene tra marzo e giugno nel mediterraneo occidentale e tra gennaio e marzo nel mediterraneo orientale. In questa specie, come nelle altre 4, sono frequenti i casi di ermafroditismo. Infatti una piccola percentuale degli individui, dopo una prima fase della loro esistenza come maschio, con l'età diventano femmina.

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ASPETTO: il sarago fasciato (denominato anche "testa nera") ha un corpo ovale, alto e compresso lateralmente. E' dotato di una bocca piccola ma forte, leggermente protrattile e fornita di otto denti incisivi sulla mandibola e di otto sulla mascella ai quali si accompagnano dei molari laterali disposti su più file per schiacciare i molluschi di cui si nutre. Ha degli occhi abbastanza grandi e una sola pinna dorsale costituita da 11-12 spine anteriori e da 13-16 raggi molli posteriori. Il profilo della pinna caudale è a forma di V. Le scaglie sono abbastanza grosse rispetto alle sue dimensioni. 

Il corpo è di colorazione grigio-argentea con riflessi bruno-verdastri che si schiarisce sulla zona ventrale. Questa specie si caratterizza per la presenza di una banda nerastra a livello nucale, dall'inizio della pinna dorsale fino all'inserzione delle pettorali, oltre ad un fascia scura sul peduncolo caudale. I fianchi presentano delle sottili bande orizzontali con riflessi dorati. La coda soprattutto negli adulti è orlata di scuro.

Taglia massima: 35-40 centimetri. Peso max: 0,7-0,8 kg. Profondità abituale: 0-30 m.

Si distingue dalle altre specie di saraghi per le seguenti caratteristiche: a) ampia fascia nera sulla nuca; b) testa che presenta dei riflessi bluastri con bande frontali scure. 

HABITAT: il sarago fasciato vive nelle acque costiere a quote difficilmente al di sotto dei 130 metri di profondità. Predilige le oasi di roccia, gli agglomerati isolati sulla sabbia, i massetti ai piedi delle franate o delle secche, i tavolati fessurati e percorsi da spaccature orizzontali e verticali. Lo si trova spesso in movimento tra una tana e l'altra soprattutto nelle zone di maggior corrente. Sopporta bene le variazioni di salinità e perciò si spinge frequentemente nelle lagune costiere.

COMPORTAMENTO: è una specie carnivora e si nutre di anelli, molluschi e piccoli crostacei, che caccia attivamente sia sui fondali rocciosi che sulle rocce. Depone le uova in autunno, generalmente in ottobre. Ha un comportamento gregario: si sposta in branchi non molto grandi, guidati da uno o due esemplari di maggiori dimensioni, e spesso si aggrega anche alle altre specie di sarago sia in tana sia in vicinanza di oasi rocciose su fondi sabbiosi.

ASPETTO: il sarago pizzuto ha un corpo ovale, abbastanza alto e compresso lateralmente. Il muso è appuntito dotato di una piccola bocca con labbra sottili, dotata di 8 forti denti incisivi orientati verso l'esterno, sia sulla mandibola che sulla mascella, cui fanno seguito dei piccoli molari disposti su una o due file. Ha degli occhi abbastanza grandi e una sola pinna dorsale costituita da 11 spine anteriori (delle quali la prima è molto piccola) e da 12-15 raggi molli. La pinna anale ha solo 3 raggi ossei a cui seguono 11-13 raggi molli. Il profilo della pinna caudale è a forma di V. 

Il corpo è di colorazione grigio-argentea che si schiarisce sulla zona ventrale. La livrea è caratterizzata da una serie di striature verticali scure (presenti almeno sui due terzi dell'altezza del corpo) che tendono a scomparire con l'età, da una macchia nera a forma di sella sul peduncolo caudale. Il bordo posteriore delle pinne e della coda sono di solito orlate di scuro. 

Taglia massima: 50-55 centimetri. Peso massimo: 2,5 kg. Profondità abituale: 10-50 m.

Si distingue dalle altre specie di saraghi per le seguenti caratteristiche: a) muso appuntito; b) macchia scura a forma di anello attorno al peduncolo caudale (a forma di sella nel sarago maggiore). 

HABITAT: vive generalmente nelle acque costiere scendendo raramente al di sotto dei 50 metri anche se può spingersi fino a profondità di 150 metri. Predilige i fondali rocciosi ricchi di vegetazione ma lo si incontra anche sulle praterie di posidonia. Sopporta bene le variazioni di salinità e perciò si spinge frequentemente nelle lagune costiere.

COMPORTAMENTO: ha un comportamento gregario che si evidenzia soprattutto in età giovanile quando costituisce piccoli branchi mentre gli esemplari adulti sono in genere più solitari. Non si intana mai ad eccezione di qualche veloce passaggio nelle tane passanti. E' una specie onnivora. Si nutre di vermi, molluschi e crostacei, e spesso e volentieri si ciba di alghe. La deposizione delle uova avviene ad inizio autunno

ASPETTO: il sarago faraone ha un corpo ovale, abbastanza alto e compresso lateralmente. Presenta una bocca con spesse labbra, dotata di 10-12 denti incisivi ben sviluppati sulla mascella e di otto sulla mandibola, nonché di 2-3 file di forti denti molariformi che usa per triturare e frantumare i gusci dei molluschi di cui si nutre. Ha degli occhi grandi e una sola pinna dorsale costituita da 8-9 spine anteriori (delle quali la prima è molto piccola) e da 13-16 raggi molli. La pinna anale ha solo 3 raggi ossei a cui seguono 11-13 raggi molli. Il profilo della pinna caudale è a forma di V.

Il corpo è di colorazione grigio-argentea con riflessi dorati. La livrea è caratterizzata da 5 larghe bande verticali bruno-dorate che arrivano fino al ventre. Macchie più scure sono presenti sul muso, tra e sotto gli occhi. Sul punto di attacco superiore della pinna pettorale è presente una piccola macchia nera. Le pinne grigiastre sono orlate di scuro. Nel periodo riproduttivo presenta una macchia dorata sotto l'occhio. E' la specie di sarago che raggiunge le maggiori dimensioni.

Taglia massima: 55-60 centimetri. Peso massimo: 5 kg. Profondità abituale: 25-50 m.

Si distingue dalle altre specie di saraghi per le seguenti caratteristiche: a) larghe bande verticali brune; b) grosse labbra prominenti soprattutto nei giovani. 

HABITAT: vive nelle acque costiere, sia su fondali rocciosi ricchi di alghe e di tane, sia su tratti fangosi e sabbiosi. Anche se si può incontrare in poca acqua, generalmente preferisce rimanere tra i 25 e i 50 metri, ma può anche scendere fino a 300 metri.

COMPORTAMENTO: di solito è molto solitario e molto raramente si incontrano gruppetti di 2 o 3 esemplari. Per quanto riguarda l'alimentazione, mentre i giovani sono onnivori e quindi non disdegnano di mangiare le alghe sugli scogli, gli adulti invece hanno un'alimentazione più specializzata preferendo cibo di natura animale come vermi, molluschi, crostacei ed echinodermi, che essi cacciano assiduamente sia tra le rocce sia sui fondali sabbiosi. E' molto raro nei nostri mari. Lo si trova in sud Italia, soprattutto in Sicilia, Sardegna e isole minori.

ASPETTO: il sarago sparaglione ha un corpo ovale, abbastanza alto e compresso lateralmente. La bocca, con labbra sottili, è dotata di 8 denti incisivi ben sviluppati, sia sulla mandibola che sulla mascella, cui fanno seguito dei piccoli molari disposti su più file. Ha degli occhi abbastanza sviluppati e una sola pinna dorsale costituita da 11 spine anteriori e da 11-13 raggi molli. Il profilo della pinna caudale è a forma di V. 

Il corpo è di colorazione grigio-argentea, con riflessi dorati, che si schiarisce sulla zona ventrale. La zona del muso e quella compresa tra gli occhi sono più scure. La livrea è caratterizzata da una macchia nera a forma di sella alla base del peduncolo caudale, dalla presenza di una piccola macchia nera sul punto di attacco superiore della pinna pettorale e dal colore giallo vivo delle pinne pelviche e della parte anteriore della pinna anale. E' il più piccolo dei saraghi presenti nei nostri mari.

Taglia massima: 15-24 centimetri. Peso massimo: 0,4 kg. Profondità abituale: 0-15 m.

Si distingue dalle altre specie di saraghi per le seguenti caratteristiche: a) pinne ventrali e parte iniziale di quella anale si solito gialle; b) macchia scura del peduncolo caudale a forma di anello. 

HABITAT: vive nelle acque costiere fino a 90 metri di profondità, soprattutto nelle praterie di posidonia anche se non disdegna i fondali rocciosi ricchi di vegetazione e le limitrofe zone sabbiose. Sopporta bene le variazioni di salinità sicché, soprattutto in età giovanile, può spingersi nelle lagune costiere.

COMPORTAMENTO: ha un comportamento gregario che si evidenzia soprattutto in età giovanile quando costituisce piccoli branchi mentre gli esemplari adulti sono in genere più solitari. Mentre gli adulti hanno un'alimentazione prevalentemente carnivora, preferendo vermi, molluschi, crostacei ed echinodermi, al contrario i giovani sono onnivori.

Il Dentice

CHI E'

Il dentice - Dentex dentex- più di ogni altro abitante del mare si avvicina alla forma del pesce stilizzato. Il corpo risulta infatti oblungo, schiacciato, dotato di un profilo leggermente obliquo, perfettamente proporzionato in tutte le sue parti, In pratica la sagoma del dentice è la prima a venirci in mente tutte le volte che ci viene chiesto di disegnare un pesce.

La sua struttura fisica è studiata in funzione delle esigenze di predatore e gli consente, con le poderose masse muscolari, di disporre di un'accelerazione bruciante.

Il colore del corpo è cangiante e passa da un celeste rosato - grigio sul dorso, ad un argento vivissimo sui fianchi. Parallelamente alla curva dorsale del corpo corre una linea longitudinale, intorno alla quale risultano delle piccole macchie di un azzurro intenso.

Il principiante lo potrà distinguere dall'orata, che è il suo parente più prossimo, per il profilo del muso, più arrotondato e massiccio, in quest'ultima, e per l'assenza della vistosa chiazzatura scura che, insieme alla pennellata dorata all'altezza degli occhi, costituisce il particolare più evidente per distinguere a colpo d'occhio i due pesci.

I dentici che incontriamo abitualmente variano tra gli ottocento grammi e gli otto chili, ma possono raggiungere in casi eccezionali anche il metro di lunghezza ed i 15 chili di peso.

DOVE VIVE

Per la sua indole di predone il dentice è costantemente alla ricerca di cibo e durante la caccia compie frequenti e vasti spostamenti che però, prima o poi. lo riconducono in zone ben precise è ben sicuro di incontrare branchi di acciughe o di castagnole che contribuiscono ad impinguarne il desco quotidiano.

La sua presenza è, quindi, strettamente legata agli spostamenti di questi branchi che dipendono da forme inferiori quali plancton ecc.

L'ambiente che preferisce è quello in cui vengono convogliate dalle correnti grandi quantità di questi microrganismi che a loro volta richiameranno nuvole di pesci minuti.

Le secche, le punte, gli altopiani sottomarini che sprofondano improvvisamente nel blue saranno dunque la sua dimora preferita e lo concentreranno in folti branchi di decine e decine di esemplari che si affezionano al fondale fino a divenirvi stanziali.

Più che vicino alla costa lo dovremo, quindi, andare a scovare più a largo, dove vedremo emergere degli scoglietti o dove, con l'aiuto della carta nautica riusciremo ad individuare il cappello di una secca. Una valida alternativa potrà essere quella di calarci in acqua nei pressi di una punta che si spinga profondamente in mare, evidenziandosi dal resto della costa. Spesso il proseguimento subacqueo di questa si dimostrerà ricco di vita e di conseguenza atto ad ospitare la nostra ambitissima preda.

Da questi fondali, dove si riunisce in branchi, il singolo esemplare si allontana talvolta per una battuta di caccia solitaria sottocosta ed allora lo ritroviamo, solo o con un compagno, presso le calate dei porti o nelle acque basse di qualche insenatura che interrompe il monotono profilo della costa. Non ama però, anche in queste sue escursioni allontanarsi troppo dall'azzurro del profondo e preferisce perciò evitare le coste degradanti ed i fondali arenosi.

COME SI COMPORTA

La difficoltà della cattura del dentice sta tutta nell'innata ed istintiva diffidenza che questo animale prova verso l'uomo, una diffidenza che non è soltanto il frutto di esperienza, ma quasi di una sensazione epidermica di pericolo che coinvolge tutti gli appartenenti a questa specie, anche i più giovani che magari si trovano davanti all'uomo per la prima volta. Di fronte al subacqueo sanno di essere inferiori e si comportano, quindi, evitando il contatto diretto, senza tuttavia scomporsi mai; la loro non è una fuga, ma una ritirata strategica.

Questo loro "mantener le distanze" ha qualche cosa di misterioso, tanto appare sfacciata la spavalda sicurezza con cui calcolano l'esatta portata del fucile, come se ne conoscessero perfettamente le caratteristiche tecniche. Proprio questa loro imperturbabile calma ci manda su tutte le furie. Inutilmente ci immergeremo con tutte le possibili precauzioni; quando ci sembrerà di averlo ormai in pugno gli basteranno due pinnate per riportarsi alla distanza di sicurezza alla quale continuerà a nuotare tranquillamente. Se accenneremo ad aumentare l'andatura subito vi si adeguerà al contrario se rallenteremo, pinneggerà più lentamente, sempre frapponendo fra il nostro fucile e la sua coda quei cinque maledettissimi metri che ridicolizzano la potenza dell'arma che abbiamo in pugno.

Questo infruttuoso inseguimento andrà avanti finché lui vorrà, fino a quando non si sarà stancato di giocare con il suo temibile avversario ed allora gli basterà forzare leggermente per abbandonarci, ansanti e trafelati, a nutrite scariche di improperi.

Tutta la sua sicurezza, tuttavia, non è mai temerarietà: si basa infatti su di una capacità ricettiva eccezionale che gli permette di individuare il subacqueo in movimento prima ancora di essere avvistato e sull'incredibile dote di riuscire a calcolare con precisione millimetrica la misura della distanza di sicurezza.

Di fronte a tali prerogative il cacciatore deve abbandonare la tattica dell'attacco diretto, magari a sorpresa, che darebbe ben scarsi frutti, per cercare di invogliare il pesce stesso ad avvicinarsi o, quanto meno, a ridurre le distanze.

Nella caccia a questo re dell'azzurro ci potremo trovare a fronteggiare situazioni diverse riconducibili a 4 casi tipici:

1) La nostra preda fa parte di un branco più o meno numeroso che nuota in acqua libera a pochi metri da un fondale di roccia (su una secca od una franata che guarda il mare aperto).

In tal caso risulterà estremamente diffidente e rifiuterà qualsiasi approccio diretto del subacqueo. L'unica tattica da adottare sarà quella dell'aspetto che darà qualche frutto solo se perfettamente eseguita.

Per cominciare sarà bene evitare nel modo più assoluto di portarsi sulla verticale dei pesci, dal momento che questi animali non sopportano la presenza dell'uomo sulle loro teste, perchè in tale angolazione perdono gran parte della capacità di valutare i movimenti dell'intruso e quindi divengono più insofferenti alla sua presenza.

Dovremo pertanto iniziare la sommozzata ad una certa distanza dal branco in assoluto silenzio, eliminando lo sciacquio delle pinne ed ogni altro movimento brusco che si trasmetterebbe inesorabilmente attraverso l'acqua. Attenzione anche alle già menzionate bollicine d'aria che fuoriescono dal boccaglio e che producono, anche se noi non lo percepiamo un gorgoglio che il dentice intende chiaramente. Una volta raggiunto il fondo strisciamo silenziosamente verso i branco ed appostiamoci dietro la sporgenza più vicina, facendo si che il nostro corpo resti coperto dallo scoglio ad eccezione di una pinna o di una mano che avranno la duplice funzione di rassicurare il pesce sulla nostra ubicazione e di incuriosirlo sulla attività che stiamo svolgendo. Può darsi che, dopo qualche attimo il dentice, non resistendo più, si avvicini e commetta l'imprudenza di affacciarsi a vedere che cosa stiamo combinando. Non appena soddisfatta la sua curiosità si girerà tranquillamente e ritornerà di dove è venuto concedendoci, in tal modo, solo qualche breve attimo per il tiro.

Se al primo tentativo l'aspetto fallisce, non scoraggiamoci: strisciamo nuovamente sul fondo per emergere sempre ad una certa distanza dal branco, ripercorrendo la via che abbiamo fatto in fase di avvicinamento.

Una volta emersi, se vedremo i dentici aggirarsi ancora nel punto dove li abbiamo individuati, potremo tentare un altro agguato, altrimenti ci consoleremo pensando che la tattica adottata era l'unica che poteva dare qualche frutto in frangenti del genere.

2) Il dentice è isolato e, trovandosi su di un terreno misto di alghe o posidonie, tenta la carta del mimetismo; adagiandosi sul fondo modifica leggermente il suo aspetto facendo apparire sul corpo una serie di linee verticali che, a parer suo dovrebbero confonderlo tra le piante. Questo comportamento, decisamente ingenuo e come tale proprio degli esemplari più piccoli è quello che ci assicura le maggiori probabilità di successo. Anche in questa circostanza evitiamo l'avvicinamento a piombo e optiamo per un percorso più lungo ma più sicuro. Nuotando sul fondo preoccupiamoci di non puntare immediatamente incontro alla nostra preda, ma cerchiamo di consolidare nell'animale l'illusione di essere perfettamente invisibile.

Una volta arrivati alla minima distanza spariamo senza esitazione, perché da un momento all'altro la nostra vittima potrebbe schizzar via velocissima.

3) Può accadere, anche se di rado, di incontrare un dentice in acqua bassa nei pressi di una caletta o di una piccola rada con fondale di sabbia e posidonie. In tale circostanza la cattura sembrerà cosa fatta, tanto ci veniamo a trovare in una posizione di forza rispetto al pesce che, oltre a non disporre della sua arma migliore, cioè la fuga nel profondo, si vede tagliare anche la strada che porta verso il lago. Tuttavia sarà bene non farsi troppe illusioni. Infatti il dentice si rende perfettamente conto di trovarsi in una situazione pericolosa e reagisce sempre di conseguenza sfruttando al massimo le risorse donategli da madre natura. Dopo essersi accorto della nostra presenza lo vedremo esitare come per meglio valutare la situazione, poi, se le dimensioni della cala risulteranno tali da non permettergli di evitare di incrociare la nostra rotta, aspetterà che ci avviciniamo ancora di qualche metro per schizzarci incontro ad una velocità che solo lui riesce a sviluppare in un così breve spazio. Ci sfreccerà ad uno o due metri di distanza senza che noi possiamo minimamente calcolare l'anticipo per il tiro. Dovremo affidarci ad una reazione istintiva e sparargli mentre è ancora di punta, anche se il bersaglio risulterà molto più ridotto, perchè il tiro di fianco ci sarà negato dall'impossibilità di spostare il fucile alla velocità a cui ci passerà davanti il pesce.

4) Ancora più raramente ci capiterà di incontrare un dentice che si intani. Può accadere, tuttavia, che la nostra preda, trovandosi in una situazione simile a quella sopra ricordata, non potendo allontanarsi verso il mare aperto, si rifugi al riparo di un sasso. Anche allora, pur avendo molte chances di chiudere vittoriosi la partita, aspettiamo a cantare vittoria. Infatti il dentice, per la sua abitudine di disporre di ampi spazi e di libertà di movimenti, si sente a disagio in tana e una volta che vi si è rifugiato rimane sempre all'erta, pronto a schizzar fuori non appena ci affacceremo all'apertura.

Ricordiamoci che il pesce si intanerà solo se sicuro di poter disporre per la fuga di più di una uscita tra cui sceglierà generalmente quella che guarda verso il mare aperto. Affacciamoci quindi da quel lato con il dito sul grilletto e spariamo con la massima rapidità possibile, perchè la nostra preda non è un sarago e non starà certamente ferma ad aspettarci  

La Cernia

CHI E'

La cernia appartiene alla famiglia (dei percidi) ed è perciò una parente prossima della corvina e, cosa che pare impossibile, della spigola.

Dal resto della famiglia si differenzia nettamente per le sue dimensioni che ai 4 chili dell'ombrina ed ai 7 o 9 della spigola contrappongono i 35 o 40 chili degli esemplari più grossi. Le cernie dei nostri mari appartengono a due specie distinte: la prima, quella della cernia propriamente detta (Epinephelus guaza), appare più sfilata rispetto alla sorella, possiede una colorazione leggermente più scura (marrone carico sul dorso e sui fianchi dove appaiono delle marezzature giallastre che si fondono in giallo sul ventre) e si distingue infine per la diversa forma degli opercoli che sono provvisti di tre spine parzialmente ricoperte da una membrana, al posto delle quali l'altra specie possiede una cresta longitudinale, posta all'altezza degli occhi.

Gli esemplari che vi appartengono possono raggiungere un metro e 40 di lunghezza ed i 35, 40 chilogrammi di peso.

La seconda specie, comunemente indicata col nome di addotto, dotto o cernia di fondo (Polyprion americanum), è più tozza della prima; il suo ventre risulta più pronunciato, mentre la sua mandibola inferiore appare nettamente più lunga della superiore.

La sua livrea, più chiara di quella dell'Epinephelus guaza, ha sfumature grigio bruno, interrotte qua e là da una chiazzatura irregolare bianca.

Altra sua caratteristica è quella di possedere, proprio sopra gli occhi, una specie di scalino che interrompe il profilo filante proprio della sua parente prossima.

Ambedue sono carnivore, conosciute per la fame insaziabile che le porta a rimpinzarsi fino a scoppiare di piccoli pesci che aspirano servendosi della capacità di spalancare le fauci a dismisura, risucchiando acqua che immediatamente defluisce attraverso le branchie.

Per togliere ogni possibilità di scampo alle proprie vittime dispongono inoltre di una bocca totalmente tappezzata di microscopici denti rivolti verso l'interno in modo da precludere la fuga del malcapitato che sia stato afferrato dalle possenti fauci. A fare le spese della loro voracità sono soprattutto i polpi che sono la preda preferita di questi bestioni e non di rado ci capiterà di vedercelo vomitare in barca da una cernia appena issata a bordo.  

Diffidiamo perciò sia della sua bocca che delle sue branchie, armate anch'esse dei minutissimi denti, ed evitiamo di mettere le mani in questi due orifizi, perché potrebbe risultare difficile e dolorosissima l'operazione inversa, estrarle cioè dalle fauci dell'animale.

L'unica presa veramente sicura su cui potremo contare sarà quella esercitata, con il pollice e l'indice, nelle larghe orbite del pesce.

In tal modo, oltre a disporre di un valido punto di forza, produrremo sull'animale anche un parziale effetto paralizzante che ci garantirà, nella fase di recupero da spiacevoli sorprese.

DOVE VIVE

La cernia vive gran parte dell'anno a profondità proibite al subacqueo (c'è chi dice che il dotto si spinga fino a 1000 metri di profondità, per risalire nel periodo estivo a quote più accessibili al cacciatore. In questi loro spostamenti tendono però a ritornare quasi sempre nelle stesse tane e capita spesso di incontrare, anno dopo anno, nuove inquiline disposte a rimpiazzare le vittime delle stagioni precedenti. Il loro attaccamento a delle dimore fisse super dunque la manifesta insicurezza della tana, cosa che raramente succede col sarago che, dopo il sacrificio di qualche esemplare, preferisce abbandonare il rifugio pericoloso per qualche altro sito più sicuro.

Individuare da fuor d'acqua la zona adatta all'incontro con la cernia è cosa difficile ma al tempo stesso importantissima dal momento che questo pesce si concentra spesso in tratti di costa ben precisi disdegnando categoricamente il litorale circostante e in tal caso una ricerca "a tappeto" si rivelerebbe lunga e troppo faticosa.

Facciamo mente locale: la cernia per stabilirsi su un dato fondale ha assolutamente bisogno di poter disporre di un rifugio che potrà esistere solo in presenza di questi requisiti che cercheremo in ordine decrescente di interesse.

Relitti di imbarcazioni in ferro affondate in profondità comprese tra i 20 ed i 100 metri su fondo roccioso o anche sabbioso qualora la carcassa della nave sia di notevoli dimensioni. In tale circostanza la caccia risulta difficile per l'impossibilità di seguire l'animale negli innumerevoli recessi che la nave sommersa offre al pesce

2) Non meno importanti le secche in cui abbondino grossi massi sovrapposti, alternati a zone di sabbia o posidonia. L'importante è che tali sassoni non si siano murati l'un l'altro col passare del tempo, eliminando le spaccature. L'individuazione di questo tipo di fondale si potrà fare attraverso carte nautiche particolareggiate che segnalino il cappello della secca. Questo si può considerare il luogo d'elezione della cernia che vi trova abbondante nutrimento e vi si stabilisce talvolta in numerose colonie.

Profondità permettendo, risulta anche il più indicato per la caccia data la relativa semplicità delle tane che, se non altro, risultano staccate l'una dall'altra, impedendo la fuga del pesce attraverso inespugnabili labirinti.

3) Lungo la costa la cerni cernia ha imparato a rifugiarsi sempre più nelle ospitali franate che concedono asilo, come abbiamo visto, anche ai saraghi e ad altre specie di pesci di tana decisi a sfuggire alle insidie dell'uomo. Come già accennato, non sarà difficile individuare questo tipo particolare di fondale che generalmente presenta le stesse caratteristiche anche nella parte emersa. Condizione indispensabile alla presenza del serranide sarà che il fondo prospiciente alla franata affondi decisamente nel blu, perché la cernia difficilmente abita zone costiere leggermente degradanti mentre preferisce stabilirsi su quella piattaforma che raggiunge con brevi spostamenti dopo il periodo invernale. La franata crea non pochi problemi al cacciatore e, come per i saraghi, può risultare anche per la cernia un rifugio a prova di bomba.

E' proprio qui, infatti, che si verificano patetici incontri tra il subacqueo, ormai di casa, e lo smaliziato animale. Accadono cose folli! Cernie che assurgono a livello di fidanzate, tanti sono stati numerosi e ricorrenti gli incontri col medesimo pesce che ormai possiede un nome e una collocazione precisa nei sogni dello sventurato che si consuma in inutili immersioni e vani appostamenti.

4) Più raramente la cernia si lascia tentare dalle spaccature.

Sa per esperienza, infatti, che questo rifugio generalmente ha il punto debole nella pianta rettilinea che consente all'uomo di raggiungere con il fucile anche gli angoli più lontani. Con ciò questa tana può creare non poche difficoltà a chi si appresta ad estrarre l'animale che, negli spacchi che vanno a restringersi, ottiene un buon gioco incuneandosi profondamente tra le pareti di roccia per poi far forza con le branchie, rendendo vani tutti gli sforzi del subacqueo.

La cernia durante la sua permanenza in acque meno profonde sceglie tra queste tane quella che più si adatta alle sue caratteristiche e la elegge a sua dimora permanente.

Dopodichè si assicura che nel suo territorio di caccia esistano altri rifugi che non garantiscono la sicurezza della prima, le concedano una protezione minima tutte le volte che viene sorpresa troppo lontana da casa.

Ovviamente con queste tane il subacqueo va a nozze e tutte le volte che si immerge prega in cuor suo di trovarne una. E' abbastanza facile rendersi conto ancor prima di immergersi se ci siamo imbattuti in una dimora fissa o in una provvisoria, basta far attenzione al comportamento della nostra preda: se resta a sonnecchiare sul fondo senza dare l'impressione di preoccuparsi minimamente della nostra presenza, oppure si avvia lentamente verso l'anfratto con aria quasi svogliata, allora è segno che ci aspetta una bella faticata.

Se invece, appena resasi conto della nostra presenza, schizza via veloce, per sparire a razzo nella fenditura, possiamo immergerci sicuri di aver a che fare con una tana scelta come rifugio provvisorio.

Tutte le volte che la cernia non si farà sorprendere fuori dalla tana ce la dovremo andare a cercare a casa sua ed allora entrerà in ballo quella dote, acquisibile solo con l'esperienza, che permetterà di scegliere tra le innumerevoli tane quelle che più si adattano ad ospitarla, risparmiandoci la fatica di tante immersioni a vuoto.

Diffidiamo comunque come regola generale delle aperture troppo facili con ingressi larghi ed appariscenti, generalmente sono le prime ad essere scartate proprio per questo motivo che le espone alla curiosità del cacciatore, rendendole inoltre facilmente accessibili.

Una volta "rotto il ghiaccio" tutto ci sembrerà più semplice e a colpo d'occhio riusciremo a limitare il numero delle tane da visitare, scartando quelle che risultano chiaramente poco adatte ad ospitare il serranide.

Abituiamoci comunque a fissare bene in mente, ogni volta che incontreremo una cernia , le caratteristiche della sua dimora; ciò ci aiuterà, servendoci ad esempio, nelle battute su altri fondali e ci permetterà al tempo stesso di rintracciare con facilità il sasso da cui avremo estratto, magari l'anno prima, una bella cernia.

Non sarà male, infatti, data l'abitudine di questo pesce a rioccupare le "case sfitte", andarci a dare un'occhiata di tanto in tanto; potremmo avere la gradita sorpresa di fare conoscenza con la nuova inquilina.

COME SI COMPORTA

Riassumere in poche pagine il vastissimo numero do situazioni in cui si può venire a trovare un subacqueo durante la caccia a questo ricercatissimo pesce è impresa veramente difficile; converrà, pertanto, esaminare alcuni casi "tipo", limitandoci a dare qualche consiglio che potrà tornare utile in ogni circostanza.

Innanzitutto dovremo scegliere la tattica di ricerca che potrà essere quella dell'esplorazione tana per tana o quella della ricognizione veloce effettuata dalla superficie.

La scelta dell'una o dell'altra deve essere fatta considerando le caratteristiche del fondale: se ci troviamo a pescare in una zona sconosciuta, sopra un fondo sconvolto da un sovrapporsi di sassoni che creano un po' ovunque anfratti adatti ad ospitare e la cernia, e se le nostre condizioni fisiche non sono tali da sopportare il massacrante alternarsi delle discese e delle risalite necessarie all'esplorazione capillare, allora è meglio optare per la ricognizione in superficie che si basa sull'avvistamento della cernia fuori tana. In tal modo potremo coprire una superficie abbastanza vasta ed avere, di conseguenza, maggiori probabilità di incontrare la nostra preda.

Al contrario, se effettueremo la battuta su di un fondale già conosciuto, o se la zona da perlustrare non è tanto vasta perché limitata al cappello di una secca o ad un numero limitato di sassi isolati, può risultare più fruttuosa la ricerca effettuata tana per tana.

Al cacciatore che si trova di fronte una cernia fuori tana si possono presentare due diverse situazioni:

A) La cernia si trova accanto alla sua dimora fissa ed ostenta una sicurezza quasi sfacciata, sonnecchia sopra il sasso o affacciata allo spacco in cui intende rifugiarsi oppure si lascia andare, con una pigrizia tutta sua, ad una sorta di levitazione che la porta a galleggiare ad uno o due metri dal fondo in posizione verticale.

Così stando le cose possiamo cercare di sfruttare la sua sicurezza per portare direttamente un attacco fuori tana. A seconda delle caratteristiche del fondale e della posizione dell'animale scegliamo tra la discesa "a piombo" e l'avvicinamento compiuto strisciando sul fondo. Ambedue daranno tuttavia scarsi risultati sia per la poca curiosità che dimostra il pesce nei nostri confronti, sia per la sua timidezza che la porta ad arroccarsi nel rifugio al minimo accenno di pericolo.

La sua pigrizia è però un valido alleato e ci permetterà di arrivarle a quattro, cinque metri di distanza piuttosto comodamente senza che accenni minimamente ad alcuna reazione. Tuttavia quando crederemo di averla ormai in pugno e staremo per premere il grilletto....zac! Una codata brusca e via dentro la tana. Abituiamoci, perciò, tutte le volte che ci troveremo in circostanze siffatte a non forzare troppo nel cercare di ridurre le distanze, il tiro fuori tana non potrà comunque essere effettuato a meno di tre metri e tanto vale quindi tentare il tutto per tutto e sparare non appena la cernia darà i primi cenni di nervosismo.

B) La cernia si trova lontana dalla dimora fissa e al contrario della situazione precedente si sente insicura e cerca di frapporre al più presto possibile tra lei ed il subacqueo una bella parete di roccia. Se la distanza che la separa dalla tana è inferiore ai trenta o quaranta metri parte ad andatura sostenuta e si asserraglia nel rifugio; se tale distanza è maggiore, probabilmente si accontenterà di una soluzione di compromesso e preferirà ritirarsi in un anfratto, magari meno sicuro, ma più vicino e in questo caso, schizza via velocissima per rifugiarvisi non appena scorto il subacqueo.

In circostanze siffatte, data l'estrema diffidenza dell'animale, l'attacco fuori tana è del tutto impossibile, ci dovremo limitare , quindi, ad aspettare che il pesce si sia intanato per scendere con tutta calma ad esplorare la zona dove l'abbiamo visto scomparire.

Una volta che la cernia si sia asserragliata in casa sua si presentano al subacqueo un numero illimitato di soluzioni atte a risolvere i problemi che sorgeranno dalla diversa posizione assunta dal pesce rispetto all'imboccatura principale,, quella cioè, da cui generalmente dovremo recuperare l'animale, e dalle sempre nuove esigenze legate alle caratteristiche della tana. Cerchiamo comunque di far capo a tre tane "tipo" a cui si possano ricondurre i vari casi particolari:

1) Tana formata dal sovrapporsi di due o tre sassoni o dalla non perfetta aderenza di un masso sul fondo. Questa tana può essere dotata di due aperture principali che possono consentire entrambe l'uscita dell'animale, o da un solo ingresso più alcune piccole feritoie da cui è possibile scorgere il pesce, ma non estrarlo. In entrambi i casi sarà sempre meglio, nella prima immersione, accertarsi della pianta esatta del rifugio, evitando di farci prendere dalla foga di sparare all'animale da un'angolazione da cui può risultare impossibile il recupero. Perlustriamo, quindi, palmo a palmo l'intero perimetro del sasso, tralasciando l'imboccatura nella quale è scomparsa la nostra preda.

Se il rifugio presenta una seconda uscita, la cernia sarà certamente affacciata lì, pronta a schizzare dalla parte opposta al minimo segno di pericolo. Avviciniamoci lentamente senza produrre il minimo rumore e, quando saremo subito dopo l'imboccatura, affacciamoci improvvisamente, facendo attenzione ad infilare la testa, la pila e la punta del fucile contemporaneamente per non concedere alla cernia il tempo sufficiente a girarsi ed a scomparire nuovamente dall'altro lato. Se non riusciremo in questa tattica, le cose si possono complicare.

Ammettiamo, infatti, che, per la disposizione particolare della tana, non sia possibile scorgere da una imboccatura l'ingresso opposto: la cernia potrà ripetere all'infinito il giochetto di andare avanti ed indietro e noi, non disponendo di un compagno che ci dia manforte potremo perdere l'intera giornata senza riuscire a cavare un ragno dal buco.

Se saremo più fortunati e riusciremo a scorgere anche una piccola porzione del corpo del pesce, ci basterà sparare da una imboccatura per bloccare il pesce e favorire, quindi, il recupero dell'altro lato.

Anche di fronte alla tana con un ingresso principale e una o più aperture più piccole è sempre di rigore un'esplorazione accurata. Può infatti darsi che ci convenga vibrare il primo colpo da uno spacco secondario, anche se da tale parte non è possibile estrarre il pesce, perché tale manovra ci può consentire di sparare frontalmente all'animale, permettendoci in un secondo tempo di spostarne il corpo a nostro piacimento onde colpirlo meglio dall'imboccatura principale.

La grossa importanza di questi accessi minori sta proprio nella possibilità che ci offrono di esercitare sulla cernia una leva diversa da quella semplice trazione che possiamo compiere sull'animale arpionato dall'unica via di uscita disponibile.

Sempre da questi pertugi potremo abbreviare l'agonia dell'animale colpendolo più volte sulla testa, avendo avuto l'accortezza di usare un arpione privo di alette o una punta direttamente avvitata sull'asta. Potremo così affrettare il recupero che talvolta risulta impossibile prima della morte dell'animale e risparmiarci in tal modo i reiterati ed inutili tentativi di estrarre il pesce ancora vivo.

2) Una seconda tana "tipo" è quella ricavata da una spaccatura che si apre direttamente su di una parete rocciosa. Generalmente è priva di una seconda uscita e molto spesso anche di altre aperture più piccole.

Prima di sparare in una spaccatura siffatta dovremo studiare con attenzione sia la disposizione del pesce che le caratteristiche del rifugio che di solito contrappone alla sezione iniziale, piuttosto ampia, una seconda parte che va sempre più stringendosi fino a permettere a mala pena il passaggio del pesce. Neanche a farlo apposta la cernia vi si andrà ad incastrare subito ed un tiro troppo affrettato potrà pregiudicarci completamente un recupero che già di per se stesso si presenta molto difficile.

Prendiamo, quindi, tempo e studiamo attentamente il percorso che dovremo far ripercorrere alla cernia per tirarla fuori, tenendo presente che, una volta incastrata in tal modo, può esercitare, aprendo le branchie a mo' di alette di arpione, una resistenza incredibile, tale da avere ragione di qualsiasi trazione che venga effettuata cercando di estrarla dalla parte posteriore.

3) La caccia spietata, effettuata spesso con l'autorespiratore, cui è fatta cenno la cernia ha provocato un progressivo slittamento di questa specie dalle tane "classiche", precedentemente trattate, a rifugi più sicuri, e non di rado inespugnabili, quali le franate.

Queste ultime, con il loro disordinato sovrapporsi di sassi di tutte le dimensioni rendono, il più delle volte, impossibile rintracciare l'animale che, intanatosi, riesce a porre tra sè e gli occhi del subacqueo l'impenetrabile scudo di qualche sasso posto di traverso all'imboccatura principale.

Di fronte a questo rifugio il cacciatore ha, quindi legate e può sperare solo nell'ingenuità della preda. Può accadere, infatti, che questa sentendosi sicura nella miriade di labirinti creati dai massi, commetta l'imprudenza di andare ad affacciarsi ad una imboccatura poco distante. Per non lasciarci sfuggire tale occasione non sarà male, appena vedremo scomparire la cernia nell'ingresso della sua dimora, correre ad affacciarsi alla prima apertura che ci vien fatto di notare nelle vicinanze. Nel far ciò evitiamo sempre di farci precedere dalla pila o dalla punta del fucile, perchè il nostro arrivo deve essere improvviso come del resto il tiro, alla rapidità del quale sono legate le poche speranze che abbiamo di catturarla.

Se la prima immersione non da esito positivo non arrendiamoci e, uno per uno, andiamo a curiosare da tutti i buchi che si aprono nel raggio di 10 - 15 metri.

Può darsi, infatti, che la cernia abbia cercato di sviare le nostre ricerche imboccando una apertura lontana dal punto dove normalmente corre a rifugiarsi.

Se la caccia alla regina dello scoglio dovesse concludersi a questo punto, cioè con l'avvistamento e col momento dello sparo, ben poco avremmo da raccontare al ritorno di una fruttuosa battuta e il valore della nostra preda si ridurrebbe, dimensioni a parte, alla cattura di un sarago o di una ombrina.

In realtà non è così. le difficoltà cominciano proprio un attimo dopo che abbiamo premuto il grilletto. quando cioè la cernia ferita, rispondendo alla ferree regole dell'istinto, cerca disperatamente di sottrarsi alla cattura piantandosi tra roccia e roccia con tutte le sue forze.

E' proprio la difficoltà del recupero, quindi, che innalza la cernia da preda banalissima a "tesi di laurea" del subacqueo.

La fase di recupero deve iniziare ancora prima di sparare al pesce. Come ho già accennato dovremo studiare attentamente l'apertura da cui effettuare il tiro e molto spesso anche l'angolazione di questo, dal momento che questo fattore si dimostrerà di fondamentale importanza tutte le volte che potremo disporre di una sola imboccatura da cui effettuare il tiro. Fatti i nostri calcoli premiamo il grilletto e, non appena avveriamo ala furiosa reazione dell'animale, mettiamo subito in trazione la angola cedendo al pesce meno terreno possibile.

Per meglio riuscire nella manovra cerchiamo di incastrare il fucile tra le rocce, sempre tenendo in tensione la cima.

Così potremo tornare in superficie senza che la cernia, libera nei suoi movimenti, riesca ad arroccarsi saldamente tra una parete e l'altra.

A questo punto comincia il recupero vero e proprio. Se la tana è abbastanza larga, magari con un fondo cosparso di sabbia o ghiaino che assicuri una scarsa tenuta, possiamo provare ad estrarre direttamente il pesce: piazziamoci con i piedi uno da una parte ed uno dall'altra rispetto all'imboccatura della tana e, afferrata saldamente la sagola, esercitiamo una trazione continua alternata con strappi più violenti; se la cernia non avrà a disposizione un solido punto d'appoggio comincerà a cedere lentamente ed al massimo dopo un paio di immersioni sarà nostra.

Di solito, però, la tana presenta una strozzatura in cui si è solidamente conficcato l'animale mettendo a frutto l'eccezionale qualità di dilatare le branchie e, al tempo stesso, di inarcare le spine dorsali, disponendo così di ben tre punti di forza che potranno essere vanificati solo se riusciremo ad estrarre l'animale dalla parte del muso.

Normalmente ciò non risulta possibile per il fatto che la cernia, ben conoscendo questo suo punto debole, evita di farsi sorprendere o per lo meno di rimanere con il muso rivolto all'uscita. Potremo comunque compiere qualche tentativo per rigirarla: sparargli di nuovo da un'altra apertura e cercare di spostarla tirandola dall'altro lato, oppure cercare di sospingerla in quel tratto di tana dove lo spacco accenna ad allargarsi e dove la potremo comodamente far girare su se stessa soprattutto se disporremo del preziosissimo raffio.

Naturalmente non è che il pesce faccia di tutto per favorire queste manovre e potrà, quindi, rendersi necessario colpire ancora qualche volta l'animale in un punto vitale per affrettarne la morte e di conseguenza il recupero, ricordando di montare sul fucile di riserva un arpione senza alette in modo da poter facilmente recuperare l'asta ogni volta.

Quando dovremo, invece, risparargli per disporre di un altro punto di trazione, facciamo bene attenzione che l'asta del secondo fucile non venga ad impicciare l'operazione di recupero, ponendosi perpendicolarmente alla direzione d'uscita.

Se la situazione si presenterà più complessa per l'assenza di altre aperture da cui arrivare alla cernia o per l'impossibilità materiale di rigirarla dovremo ricorrere agli estremi rimedi. Uniamo direttamente la sagola dell'asta o il raffio al sagolone e dopo esserci accertati che la cima non entri a contatto con la roccia (in tal caso si trancerebbe immediatamente) fissiamo il sagolone alla barca.

Nel caso che l'angolazione dell'apertura della tana sia tale da rendere inevitabile lo sfregamento della sagola con la roccia, cerchiamo di porre tra il nylon e quest'ultima un corpo qualsiasi quale un remo, un pezzo di legno, una pinna, uno straccio, qualcosa insomma che ne eviti lo sfilacciamento.

Poi se avremo la fortuna di avere in barca un compagno che sappia far funzionare il motore, rimanendo in acqua, impartiamogli indicazioni precise sulla direzione da tenere e sullo sforzo che il motore dovrà esercitare (è sempre meglio partire lentamente e dare gas via, via).

Se invece dovremo arrangiarci da soli, contare su un'altra soluzione consistente nel fissare ben teso il sagolone ad uno scalmo della barca, lasciando alla spinta di galleggiamento e al rollio dell'imbarcazione il compito di sradicare la cernia dal suo rifugio.

Oltre a questi citati si potranno scovare di volta in volta altri espedienti che ci consentano di portare a termine felicemente molti recuperi che a prima vista sembrerebbero impossibili, e il bello di questa caccia consisterà proprio in questo, nel riuscire cioè a trovare la soluzione atta a risolvere situazioni sempre nuove de imprevedibili.

Il Cefalo

 CHI E'

Nel Mediterraneo si possono incontrare cinque specie di muggini, tutte molto simili tra loro al punto da apparire  del tutto uguali all'occhio del profano. Il Mugil cephalus, comunemente conosciuto come Cefalo si riconosce abbastanza agevolmente dagli altri componenti della famiglia per la sua colorazione molto intensa che, argentea sul ventre, assume un colore grigio blue metallico sulla schiena. 

In questa specie il dorso risulta più scuro che nelle altre, tanto da sembrare quasi nero, visto dalla superficie. La caratteristica più appariscente del cefalo resta, però, la membrana adiposa che ricopre come un velo tutto l'occhio del pesce. 

Le sue dimensioni gli riservano il posto del fratello maggiore, può infatti raggiungere i 70 cm. di lunghezza ed i 4 Kg.  di peso. Il Cefalo Calamita (Mugil capito) si distingue per la mancanza della palpebra carnosa sugli occhi e per la forma del muso, molto depresso e largo.   Il suo colore è meno scuro del cefalo e le sue dimensioni leggermente più ridotte, non supera infatti, i 40 cm. ed i 3 Kg. di peso.

Il Muggine dorato (Mugil auratus) prende il nome dalla macchia color oro che risalta vivacemente sugli opercoli; per il resto presenta le caratteristiche proprie del muggine: dorso grigio scuro e ventre argentato. Le sue dimensioni raramente raggiungono i 40 cm. ed i 2 Kg. di peso.

Il Muggine o Cefalo Musino (Mugil saliens) è caratterizzato dalla forma assottigliata del muso e da una bocca piuttosto piccola; è dotato inoltre di numerose, piccole macchie dorate sugli opercoli. Possiede delle linee longitudinali azzurrastre sui fianchi. 

Normalmente, come il muggine dorato, non supera i 2 Kg. di peso.

Il Muggine chelone o Cefalo Pietra (Mugil chelo) ha un labbro superiore piuttosto pronunciato con tre serie di papille. I fianchi, dello stesso colore delle altre specie, sono attraversati in senso longitudinale da linee di colore giallastro.

DOVE VIVE

La vita del muggine non si svolge soltanto in acqua salata.

Questo pesce può adattarsi infatti a vivere negli stagni e nei fiumi dove trascorre normalmente il periodo giovanile della sua esistenza. Il suo habitat di elezione è dunque quello delle foci dei fiumi dove si riunisce in gruppi numerosissimi alla ricerca dei microrganismi mescolati tra i granghi che la massa d'acqua dolce trascina con sè e tra le alghe in decomposizione che ricoprono i fondali in prossimità delle foci.

Via via che le sue dimensioni crescono il muggine apprezza sempre più le acque salmastre ed è in tal modo più facile incontrarlo anche lontano dai corsi d'acqua, sui bassi fondali dove trova il suo nutrimento. Il periodo migliore per cacciarlo lungo le coste rocciose è quello che segue le grandi mareggiate, quando l'onda lunga si infrange ancora sugli scogli in miriadi di bollicine.

Lo troveremo proprio in mezzo a queste ultime alla ricerca di cibo tra il materiale in sospensione e nell'acqua resa torba dall'incessante turbinio dei marosi. Il suo tipo di alimentazione lo porta tuttavia, ad eccezione del Muggine dorato che preferisce le acque limpide, a fruire di tutte le occasioni in cui può trovare depositi marcescenti.

Per una strana ironia apprezza dunque tutte quelle forme di inquinamento prodotto dall'uomo sotto forma di scarichi cloacali e affondamento di sostanze organiche in decomposizione, rintracciabili nei pressi di tutti gli insediamenti umani, quali porti, città costiere ecc.

  COME SI COMPORTA

Il muggine per la sua eccezionale capacità riproduttiva, e di conseguenza per la notevole frequenza con cui lo si incontra lungo le nostre coste è una delle prede classiche della fase di iniziazione di ogni subacqueo.

La sua disponibilità non tragga però in inganno!

La sua cattura non è per niente un fatto scontato e richiede talvolta un lungo inseguimento ed una precisione di tiro assoluta.

Il muggine è un pesce gregario e pertanto lo incontreremo sempre in branchi che saranno tanto più numerosi quanto più piccoli saranno i singoli componenti.

Una volta raggiunta una certa mole il muggine disdegna, infatti, la compagnia numerosa e preferisce girovagare con un altro o al massimo due suoi compagni.

La sua caccia si svolgerà quasi sempre in acque basse nei luoghi che questo pesce elegge a sua zona abituale di pascolo.

 Non di rado la nostra preda cercherà addirittura scampo in meno di un palmo d'acqua riuscendo abilmente a portarci in secca per poi dileguarsi velocemente appena resosi conto delle nostre difficoltà.

La tattica di avvicinamento può variare a seconda che ci si trovi davanti ad un branco numeroso o a pochi esemplari sparsi.

Come regola generale ricordiamoci di non inseguire mai il pesce che in tal caso si allontanerà velocemente. 

Il sistema migliore sarà, invece, quello di nuotare parallelamente alla preda rimanendo ovviamente dalla parte del mare e stringendola impercettibilmente verso terra.

Se riusciremo in questa manovra senza pinnare scompostamente vedremo il muggine girare bruscamente su se stesso e ritornare sui suoi passi, o meglio sulle sue pinnate.

A questo punto dovremo virare anche noi sempre evitando i movimenti bruschi, cercando di non farci anticipare troppo dal pesce che in tal caso riuscirà facilmente a guadagnare il largo. 

Può darsi che in questo giochetto le cose vadano per le lunghe e che si sia costretti a zigzagare più volte rimanendo sempre alla stessa distanza dal muggine. Però se avremo eseguito bene la manovra lo vedremo ad un tratto puntare direttamente verso il largo, incurante che la sua traiettoria passi pericolosamente vicino al nostro arpione. 

A questo punto dovremo fare affidamento sulla nostra mira e su una adeguata scelta di tempo. Questo sistema di avvicinamento da quasi sempre buoni frutti anche se sembra impossibile che un pesce veloce come il muggine, a cui basterebbero poche pinnate per allontanarsi indisturbato. si faccia incastrare da un giochetto così ingenuo.

Talvolta ci capiterà di incontrare il muggine in numerosissime mandrie snodantisi in interminabili cordoni che passano e ripassano senza posa sul fondo. In questa seconda circostanza arrivare a tiro sembra una cosa fatta, ma una volta avvicinatici a questo fiume di pesci lo vedremo dividersi proprio nel punto dove contavamo di incrociarlo e allontanarsi per riprendere un po' più in là, per niente intimorito, il suo pellegrinaggio.

A nulla varranno le nostre pinnate furiose; anche quando li vedremo scomparire sotto un sasso sarà solo per pochi istanti. Immediatamente riappariranno dalla parte opposta proseguendo imperturbabili il cammino.

Se vorremmo riportare qualche successo in frangenti del genere dovremo cercare di prendere d'anticipo il pesce sfruttando l'unico punto debole che la nostra preda presenta.

Il muggine quando si raduna in questi branchi numerosi risente in modo particolare della sua natura gregaria e ogni esemplare, una volta entrato a far parte della "catena", è sempre restio ad abbandonare i compagni che lo precedono.

Questo atteggiamento lo rende indeciso di fronte all'incalzare del subacqueo e così lo vedremo talvolta staccarsi dalla scia, per poi ricongiungersi, di nuovo precipitosamente, al resto del branco. 

Noi dovremo puntare proprio su queste indecisioni delle nostre prede, indecisioni che ci permetteranno di diminuire la distanza di tiro entro limiti ragionevoli, perchè proprio nel tentativo di ricongiungersi con i suoi compagni, il muggine dimentica spesso ogni prudenza fino ad entrare in coscientemente nel raggio d'azione del fucile.

A volte la lunga fila dei muggini nel suo snodarsi sul fondo incontra dei massi cavi e, come per gioco, vi scivola sotto per uscire lentamente dall'imboccatura opposta. E' il momento per tentare la cattura di un membro del gruppo. 

Dopo una veloce immersione dovremo piazzarci dalla parte opposta a quella dove avremo visto scomparire i primi esemplari. 

Ad uno ad uno li vedremo ricomparire proprio dalla parte da cui li siamo aspettando e se non faremo in tempo a sparare ai primi potremo sempre contare su gli altri che, seguendo l'istinto, continueranno ad uscire dalla stessa imboccatura.

Raramente il muggine entra in una tana per rimanerci; ciò può accadere qualche volta quando lo si incontra isolato od in un numero molto ridotto di esemplari; quando ciò avviene la cattura è assicurata. 

Basterà accostarci alla tana da un'altra apertura per trovarcelo di fronte immobile, quasi meravigliato per la nostra improvvisa apparizione.

Il tiro al muggine è in ogni circostanza molto difficile; oltre ad una perfetta scelta di tempo richiede infatti una precisione assoluta dal momento che la nostra preda ci presenta sempre un bersaglio eccezionalmente ridotto soprattutto se consideriamo che, nella su sagoma affusolata, solo la parte superiore del dorso, quella dotata della colorazione più scura per intenderci, garantisce una tenuta accettabile, mentre sia la parte ventrale, sia lo spazio giugulare raramente resistono alla vivacissima reazione del pesce arpionato.  

Cefalo

Nome scientifico:

Mugil cephalus (Linneo, 1758)
Nomi dialettali:

muggine-carida-musao-volpina-baldighèra-matterello-capuozzo - cefalu - mulettu.

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Il cefalo è un pesce dal corpo fusiforme di taglia media con una notevole uniformità d'aspetto; la colorazione del dorso è grigio scuro, talvolta volgente all'azzurro o al verde, con strisce longitudinali della stessa tinta che decorrono molto spesso sullo sfondo argenteo dei fianchi.

Sul corpo allungato ci sono numerose squame; gli occhi sono ricoperti da una membrana adiposa; le pinne pettorali hanno alla loro base una macchia più scura.
Il cefalo è una specie dalle abitudini gregarie, tollera variazioni di temperatura e di salinità; si nutre in prevalenza di detrito organico, alghe e piccoli invertebrati. La riproduzione avviene in estate.

Può arrivare a misurare 60 cm di lunghezza ed oltrepassare i 4 Kg di peso, ma di regola vengono pescati individui di 30 cm. Si distingue dalle altre specie di cefali (il dodregano o cefalo dorato Liza aurata; il botolo o calamita Liza ramada; la verzelata Liza sapiens e la bosega Chelon labrosus) per la presenza di un tessuto adiposo attorno alla palpebra.
Dove vive (Cefalo)

Il cefalo è molto comune in tutto il Mediterraneo, nel Mar Nero, lungo le coste atlantiche, africane ed europee.

E' un tipico abitante delle acque marine costiere; vive bene anche in acque poco ossigenate ed inquinate; predilige fondali molli e ricchi di vegetazione, ma lo si trova anche in mare aperto.

I giovani stazionano in primavera anche nelle lagune e si spostano verso il mare nel periodo riproduttivo che in genere si estende da luglio ad ottobre.
I cefali in genere sono pesci litorali, che vanno in cerca di cibo in piccoli o grandi gruppi in prossimità degli sbocchi dei corsi d'acqua e penetrano anche nelle acque salmastre e dolci (lagune e fiumi) e nei porti.

Come si pesca (Cefalo)

Il cefalo viene pescato con reti da traino pelagico dette volanti, con reti da posta e con reti a circuizione.

Nelle valli da pesca è catturato con i lavorieri, cioè trappole fisse che sfruttano le periodiche migrazioni dei pesci tra mare e laguna, per ragioni termiche, riproduttive e per la ricerca del cibo; è pescato particolarmente in Toscana, Sardegna e Veneto.

Come si consuma (Cefalo)

Il cefalo è considerato un pesce semigrasso dalla carne abbastanza digeribile.
Si trova fresco e congelato; il sapore delle sue carni dipende dall'ambiente in cui vive. Rispetto ad altri cefali assume una importanza economica maggiore; si presta ad essere cucinato arrosto sulla brace.

Da suoi ovari, salati ed essiccati si ricava la "bottarga".

La Spigola

CHI E'

La spigola appartiene alla famiglia dei Percidi ed è quindi, anche se la cosa può sembrare impossibile, una parente prossima della cernia della quale riprende sia la posizione degli occhi, che risultano piuttosto centrali sul muso e consentono all'animale una visione bioculare, sia il tipico snodo della mascella.

All'appellativo scientifico di Dicentrarchus labrax si contrappongono una grande quantità di nomi comuni, quasi a voler sottolineare quanto questo pesce sia ricercato per la squisitezza delle sue carni: in alta Italia viene comunemente chiamato Branzino, in Toscana è conosciuto come Ragno, al Sud come pesce Lupo, Lupo, Spinottu ecc.

La spigola in acqua è indubbiamente uno dei pesci più belli: il dorso, sovrastato da due pinne dorsali, è di un colore grigio piombo che si stempera in riflessi verdastri fino a divenire argenteo sui fianchi dove le singole squame brillano indipendentemente le une dalle altre come una miriade di strass.

L'aria aggressiva rivela appieno la sua indole di predatore insaziabile, abituato a cacciare e a non essere insidiato da nessun altro animale se non dall'uomo.

Le sue dimensioni unite alla squisitezza delle sue carni ne fanno una preda ambitissima da tutti i subacquei.

Gli esemplari che si incontrano comunemente si aggirano, infatti, quasi sempre sui due chili di peso, ma possono raggiungere, in casi eccezionali anche gli 80 cm. di lunghezza ed i 10 chili.

DOVE VIVE

La spigola è un pesce onnipresente. La ritroviamo infatti lungo tutte le coste italiane in qualsiasi tipo di fondale, scoglio, sabbia, vicino alle foci dei fiumi dove ama confondersi con i muggini, lungo le calate dei porti e in tutte le cale dove possa procurarsi del cibo a spese dei branchi di piccoli cefali.

 Però, come molti pesci il Ragno sceglie delle zone di caccia ben precise dove potremo incontrarlo nove volte su dieci anche dopo aver catturato nello stesso luogo diversi esemplari.

Generalmente il suo habitat preferito è rappresentato dalle piccole calette che interrompono i lunghi tratti di costa rocciosa.

 In queste piccole rientranze dove, per pochi metri, lo scoglio lascia il posto a minuscole spiagge di sassi, la Spigola ama appostarsi per catturare i pescetti che generalmente incrociano lungo il bagnasciuga.

In questa sua caccia "all'aspetto" approfitterà delle acque intorbidite dalla risacca e molte volte la troveremo, completamente immobile, tra i frammenti di posidonie che il moto ondoso tiene in sospensione a mezz'acqua.

Come il muggine, anche la spigola è attratta dall'acqua dolce.

 Pertanto la incontreremo sia nella prossimità delle foci dei fiumi, dove si riunisce in grandi quantità nel periodo della riproduzione, sia nei pressi delle piccole sorgenti e delle infiltrazioni di acqua dolce che sgorgano direttamente in mare.

Cacciando lungo la costa dovremo quindi cercare di individuare anche il corso dei torrenti e gli scoli d'acqua provenienti dalle confluenze dei vari rilievi.

Il ragno è un pesce che non disdegna di avvicinarsi agli insediamenti umani e spesso lo si ritrova ad incrociare nelle limpide acque di qualche piccolo porticciolo di pescatori, dove si abbassa, lui, grande predatore, al ruolo di spazzino dei rifiuti gettati dai pescherecci.

Mi ricordo di averne viste a decine a nuotare tranquillamente tra i natanti alla fonda nella rada di Calvi, in Corsica, del tutto consapevoli della protezione accordatagli dalle severe leggi francesi.

COME SI COMPORTA

Come tutti i predatori la spigola non ama eccessivamente la compagnia e preferisce effettuare le sue battute da sola o al massimo con una compagna delle stesse dimensioni.

Si riunisce in branchi soltanto durante la stagione della riproduzione e nella fase iniziale della sua esistenza in cui deve ancora sottostare agli appetiti dei predoni più grandi e cerca di conseguenza scampo nella moltitudine del gruppo.

Anche in tale circostanza non si rivela però un pesce gregario e mantiene un comportamento prettamente individualistico fatto di reazioni assolutamente imprevedibili che rendono talvolta inutile anche la tattica di avvicinamento più smaliziata.

Indubbiamente è un pesce dotato di una sensibilità eccezionale.

Sembra la corda di un arco sempre in tensione e pronta a scattare non appena i suoi esercitatissimi sensi le trasmettano le vibrazioni di una preda vicina o la presenza di qualche pericolo.

 Da parte nostra dovremo evitare quindi ogni comportamento che possa far scattare questo meccanismo di autodifesa che la porterà inevitabilmente ad una fuga precipitosa.

Con lei non varrà l'elemento sorpresa nè l'attacco diretto e frontale; sarà più redditizio abituarla alla nostra presenza mantenendoci per qualche attimo ad una certa distanza, per poi costringerla pian piano verso terra, sempre rimanendo tra lei ed il mare aperto.

Il comportamento della nostra preda di fronte ad una simile tattica potrà essere vario e molto spesso contraddittorio:

a) Fuga rapidissima e immediata. In tal caso avremo le stesse chances di raggiungerla di un ciclista che gareggi alla ventiquattr'ore di Le Mans con una Ferrari 12 cilindri.

b) Atteggiamento diametralmente opposto: la spigola, chiaramente incuriosita, si dirige lentamente verso di noi. Dovremo fermarci con calma, cercando di assumere il più possibile un'aria inoffensiva, tenendo il fucile aderente al corpo ed evitando che la punta dell'arpione sporga in maniera manifesta.

Arrivata ad un certo punto la vedremo esitare, quindi virare lentamente, soddisfatta della sua esplorazione.

In quella breve frazione dovremo distendere il braccio e sparare senza esitazione.

O la va o la spacca!

c) La spigola senza manifestare particolare apprensione per le manovre del subacqueo continua imperterrita per la sua strada , nuotando al pelo dell'acqua (reazione tipica degli esemplari più grossi).

Pinneggiando il più dolcemente possibile cerchiamo di mantenerci su di una linea quasi parallela a quella seguita dal pesce accontentandoci di guadagnare terreno un poco per voltare per non innervosirla.

Probabilmente dopo qualche metro, nel tentativo di guadagnare il largo, commetterà la stessa imprudenza del muggine e ci passerà a tiro.

Altrimenti si dirigerà risolutamente verso terra cercando di fare perdere le sue tracce incrociando tra gli scogli affioranti in poca acqua.

 Non appena la vedremo sparire dietro uno di questi, calcolando il suo tragitto, con due rapide pinnate possiamo tentare di prenderla al varco prima che ci semini, dribblandoci tra i sassi.

d) Talvolta, impensierito dalla nostra presenza, il ragno adotterà la tattica di portarsi sul fondo e di dar vita ad una specie di slalom tra gli scogli, senza però forzare troppo l'andatura e dandoci così l'opportunità di seguirla. Non facciamoci ingannare dall'apparente semplicità di questo pedinamento.

 La nostra preda è molto astuta e approfitterà dei brevi attimi in cui è invisibile ai nostri occhi per cambiare più volte direzione passando da un sasso all'altro senza che ce ne possiamo accorgere, filandosela da una parte mentre noi continueremo imperterriti a cercarla dall'altra.

Spesso, però, l'attento pedinamento darà i suoi frutti e si concluderà con l'intanamento della spigola che, trovato un rifugio di suo gradimento vi si infilerà senza esitazione.

Cerchiamo di portarci immediatamente sulla verticale della tana per assicurarci che non si sia trattato di una manovra intesa a far perdere le tracce attraverso un'uscita secondaria.

Una volta sicuri che la spigola si trovi ancora là sotto affacciamoci, dito sul grilletto, dalla parte opposta da cui l'avremo vista entrare.

Lei ci starà aspettando, immobile, quasi rassegnata una volta tanto a recitare la parte della vittima e non quella del predone.

Per gustarci completamente la caccia di questo eccezionale animale dovremo, però, andarlo a cercare nel suo elemento naturale e cioè in mezzo alla furia scatenata degli elementi.

 La troveremo nel mare in tempesta, sia intenta a cavalcare le onde, apparendo e scomparendo tra miriadi di bollicine, tanto presa da questo suo affascinante gioco da non accorgersi quasi della nostra presenza, sia impegnata nel tentativo di mimetizzarsi tra il materiale in sospensione, sollevato dalle onde, mentre attende al varco qualche vittima sprovveduta.

In entrambi i casi ci apparirà appannata nei suoi riflessi, quasi frastornata dal fragore dei marosi e dalla scarsa limpidezza dell'acqua che ci nasconderà alla sua vista sino agli ultimi metri, quando ormai le sue possibilità di fuga saranno notevolmente ridotte.

Da parte nostra dovremo fare molta attenzione a non essere trascinati dall'onda; il che può essere molto pericoloso pescando con il mare assai agitato.

Ricordiamoci che i marosi non si susseguono mai con una intensità costante, ma normalmente hanno un periodo di tre lunghe e tre brevi; il che significa che non sarà prudente arrischiarsi troppo vicino alla riva, basando i nostri calcoli su una delle tre brevi, dal momento che corriamo il pericolo di essere sorpresi dalla frequenza di intensità maggiore.

 Con un po' di esercizio dovremo comunque imparare a valutare l'intensità del cavallone che sta per arrivare dalla forza del risucchio che esso produce un attimo prima di arrivarci addosso.

 Quando lo sentiremo arrivare evitiamo di farci sorprendere in superficie, perchè è proprio un questa zona che la furia dell'acqua si fa irresistibile.

Tuffiamoci prontamente cercando di raggiungere una quota di sicurezza e, nel caso che ciò non sia possibile per lo scarso fondale, aggrappiamoci saldamente sul fondo e sfruttiamo il risucchio prodotto dall'onda che segue per allontanarci prima di essere investiti dal prossimo maroso.

La spigola (Dicentrarchus Labrax) è una delle prede più assiduamente cacciate dai pescatori in apnea. Infatti, la prelibatezza delle sue carni sode e bianche, la difficoltà di trovare sul mercato esemplari freschi e non di allevamento (che sicuramente sono meno prelibati), nonché i prezzi di vendita decisamente elevati, sono tutti fattori che rendono questo pesce una preda molto attraente, senza poi dimenticare che la spigola (anche nota con il nome di "Branzino") attira l'attenzione del pescatore per la sua bellezza e per la sua eleganza  che la rendono, a parere di molti, il "prototipo" del Pesce. Secondo una recente classificazione essa appartiene all'Ordine dei Perciformi, Sottordine dei Percoidei, Famiglia dei Moronidi, mentre in passato si riteneva che appartenesse alla famiglia dei Serranidi al pari della cernia.

ASPETTO:  la spigola ha un corpo slanciato e allungato, con due pinne dorsali ben distinte, la prima delle quali è dotata di raggi spinati, e una pinna caudale ampia e bilobata capace di una elevatissima accelerazione iniziale e di una grande velocità. Gli opercoli sono grandi con due spine piatte, mentre i pre-opercoli sono caratterizzati da una serie di piccole spine rivolte in avanti e localizzate sul lato inferiore. La testa e gli occhi sono di dimensioni contenute rispetto al corpo e le scaglie sono piccole e fitte. La bocca è fornita di numerosi denti appuntiti. 

Il corpo ha una colorazione grigio-argentea abbastanza scura che schiarisce progressivamente sino al bianco dell'addome. La spigola, in relazione al periodo dell'anno e ai luoghi che frequenta, può presentare delle livree abbastanza diverse che vanno dal verde al blu, al grigio, al piombo. Normalmente l'angolo superiore dell'opercolo presenta una macchia scura dai contorni sfumati. Negli esemplari giovani il corpo è punteggiato da numerose macchiette scure che tendono a scomparire con la crescita. La presenza di questa livrea giovanile non è però certa, perchè secondo alcuni studiosi oltre alla spigola comune (Dicentrarchus Labrax) esisterebbe un'altra specie di spigola, meno numerosa e più rara, chiamata appunto Dicentrarchus Punctatus che si distinguerebbe dalla prima per la presenza di una "punteggiatura" sulla livrea e soprattutto per il muso più affusolato e pronunciato.

Taglia massima: 100 cm. Peso max: 10-12 kg. Profondità abituale: 0-30 metri.

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HABITAT: La spigola predilige le acque costiere dove la si può incontrare intenta a cacciare anche in pochissimi centimetri d'acqua, soprattutto durante le mareggiate e nel periodo invernale. In particolare, preferisce cacciare quando l'acqua è torbida e i piccoli pesci di cui si nutre sono frastornati dalla risacca. Frequenta quasi tutti gli ambienti offerti dalle acque poco profonde: praterie di posidonia, pareti rocciose, distese di sabbia (nella quale può nascondersi sotterrandosi parzialmente), fondali rocciosi e ciottolose. I giovani esemplari preferiscono le acque salmastre mentre gli esemplari adulti, pur vivendo prevalentemente in mare, non disdegnano di risalire le foci dei fiumi e di spingersi nelle lagune salmastre per le loro scorrerie alimentari, aiutati dal fatto di ben sopportare le variazioni di salinità e di temperatura, nonché la scarsa ossigenazione delle acque e l'inquinamento.

COMPORTAMENTO: la spigola è una specie estremamente vorace e goloso, sempre in caccia e pronta ad attaccare le numerose prede di cui si nutre: piccoli pesci (acciughe, latterini, ghiozzi, sardine e cefali), gamberetti, granchi, molluschi, cefalopodi ed anellidi. In particolare, predilige la tecnica dei veloci agguati alle prede in difficoltà nella risacca ma non disdegna l'opportunità di un facile pranzo in acqua calma, magari attaccando in acque salmastre prede poco "ortodosse" quali ratti, anguille e bisce!

La riproduzione avviene da gennaio a marzo. Gli adulti si riuniscono in gruppi compatti nei quali numerosi maschi fecondano una sola femmina che deposita delle uova galleggianti che si schiudono dopo pochi giorni. Gli avannotti conducono vita planctonica fino alla bella stagione, quando migrano verso le lagune e le foci dei fiumi, per poi uscirne dopo 1-2 anni in folti gruppi più o meno della stessa taglia. Col passare del tempo e raggiunta la maturità sessuale, tendono ad isolarsi dai loro simili stabilendosi in zone determinate che eleggono a loro territorio di caccia.

La Ricciola e La Leccia

CHI E'

La ricciola (Seriola dumerilii) Conosciuta comunemente anche come leccia, è senza dubbio la più bella preda che possa arricchire il carniere di un subacqueo.

Le sue caratteristiche fisiche sono quelle del pesce abituato a vivere in acque aperte dove compie misteriose e lunghe migrazioni: corpo di una forma ovale allungata molto filante, muso conico leggermente compresso e perfettamente inserito nella linea sfuggente della figura, pinne dorsali appena accennate e riunite da una sottile membrana, coda grande a forma di mezza luna, separata dal resto del corpo da un intervallo piuttosto pronunciato. La pelle è liscia, tanto da sembrare priva di squame, di un colore grigio argenteo, sfumato sul dorso in una tinta azzurrognola più scura.  

E' dotata di una possente muscolatura che, agendo sulla coda con un angolo di leva notevolmente lungo, gli permette di spostarsi velocemente pur compiendo movimenti di una studiata lentezza.

La ricciola viene spesso scambiata per la sua strettissima parente, la leccia, propriamente detta (Lichia amia). Le differenze tra le due specie sono effettivamente poco marcate e come tali sfuggono all'occhio non abituato: il corpo delle leccia risulta più compresso di quello della sorella soprattutto al centro della figura che, nella parte ventrale, non appare lineare, ma compie un leggero angolo verso il basso.

e sue pinne ventrali e dorsali sono, inoltre, più lunghe e sottolineano la lieve struttura romboidale del corpo.

Ambedue queste specie, le cui carni sono molto apprezzate, raggiungono dimensioni eccezionali per i nostri mari e non è raro incontrare qualche esemplare che supera il metro di lunghezza e i 30 chili di peso, mentre sono documentate catture che passano i 40.

DOVE VIVE

La vita della ricciola è uno dei tanti segreti che il mare custodisce ancora gelosamente.

Non si sa dove trascorra i lunghi mesi invernali, quali siano le sue periodiche migrazioni e quali regole condizionino la sua esistenza di pesce gregario fino ad una certa età e di colosso solitario da una certa mole in su.

Sappiamo soltanto che verso maggio - giugno ricompare lungo le coste per il periodo degli accoppiamenti, raggiungendo profondità accessibili al subacqueo.

Il fatto certo è che d'estate la sua presenza è condizionata dalla disponibilità dei pesci di cui si nutre abitualmente ed è pertanto legata all'ambiente di questi ultimi.

Come i branchi di acciughe e di aguglie preferisce, quindi, il mare aperto e in modo particolare le secche rocciose che si spingono sino a pochi metri dalla superficie.

E' su questi cappelli di roccia, infatti, che le correnti marine si infrangono, provocando quel rimescolio tanto gradito al plancton che rappresenta il primo anello della catena plancton - aggioga - ricciola. Per la sua caratteristica di pesce di passo la ricciola è portata a ricomparire sempre negli stessi luoghi che abbandona però se disturbata troppo spesso dalla presenza umana. Perciò se avremo avuto la fortuna di incontrare un esemplare nei pressi di una punta o nelle limpide acque di una secca, non dimentichiamo il posto e facciamoci una capatina di tanto in tanto. Prima o poi potremo azzeccare la giornata giusta.  

Le ore in cui il suo incontro è più frequente sono quelle che seguono e precedono rispettivamente il sorgere ed il calare del sole.

Per avere più probabilità di fare la sua gradita conoscenza dovremo, dunque, diventare mattinieri oppure calarci in acqua nel tardo pomeriggio.

COME SI COMPORTA

 Per la maggior parte della vita la ricciola è pesce gregario.

Si riunisce in branchi che vanno dai quattro - cinque individui ai trenta - quaranta ed anche più. In questi gruppi non esiste il criterio di uniformità che regola la vita dei muggini, delle salpe e delle ombrine, imbrancate tutte secondo la stessa misura; gli individui più grossi convivono tranquillamente con le leccette di 5 - 6 chili sulle quali esercitano una funzione di guida, prendendo le decisioni che tutto il branco segue alla lettera, fidandosi della maggiore esperienza degli anziani.

Anche per la ricciola arriva, però un'età in cui misteriose leggi hanno il sopravvento sull'istinto gregario.

E' così che gli animali più grossi si separano dai compagni in piccoli gruppetti di due o tre, per condurre un'esistenza solitaria che piano piano li porta a vivere completamente soli ai margini dei grandi branchi.

E' l'incarnazione stessa del pesce completamente libero, padrone dell'ambiente in cui vive ed in cui si sposta continuamente, avvalendosi delle sue eccezionali capacità di nuotatore instancabile.

Anche nei confronti dell'uomo immerso rivela appieno questa sua totale indipendenza e sicurezza di se. Non riusciremo mai ad avvicinare una ricciola se non sarà lei a voler ridurre le distanze. A maggior ragione perciò, risulterà infruttuoso l'inseguimento, durante il quale si comporterà come il dentice, tenendosi sempre ad una distanza di sicurezza, continuando a pinneggiare con una calma esasperante.

Se l'elenco delle sue caratteristiche si fermasse qui sarebbe imprendibile e la sua cattura resterebbe un sogno irrealizzabile. Fortunatamente per noi, ha un grosso punto debole: la curiosità.

Una curiosità morbosa, non sospettosa e vigile come quella del dentice, ma totale ed incondizionata, piena di una ingenuità che non sospetteremmo mai in dei bestioni di quella mole.

Ci capiterà di trovarcele a mezzo metro di distanza quando meno ce l'aspettiamo, durante l'esplorazione del fondo o mentre usciamo da una tana dopo avere sparato ad un saraghetto di tre etti....

Nella caccia dovremo sfruttare questo suo irrefrenabile impulso a ficcare il naso negli affari altrui senza curarsi delle eventuali conseguenze, sia che ci troviamo in acqua libera, lontani cioè dal riparo occasionale che ci potrebbe offrire un sassone o uno spuntone di roccia , sia che, invece, si operi su un bel fondale accidentato, adatto all'appostamento.

Nel primo caso evitiamo di avvicinarci direttamente al pesce che si insospettirebbe immediatamente; immergiamoci invece ad una ventina di metri di distanza, sempre facendo attenzione a compiere movimenti lentissimi e controllati.

Dopo una capriola perfetta lasciamoci andare "a piombo" fino alla profondità di sei sette metri . Una volta raggiunta questa quota fermiamoci e diamoci da fare per incuriosire la nostra preda.

A questo proposito esistono una infinità di teorie che si dimostrano più o meno valide a seconda delle diverse reazioni dell'animale. C'è chi comincia a liberare attraverso il boccaglio una serie di piccole bollicine d'aria distanziate tra loro di uno o due secondi, chi preferisce puntare sul righiamo prodotto dal lampeggiare della parabola della pila colpita dai raggi del sole, chi infine si limita a restare del tutto immobile evitando di rimanere in posizione frontale rispetto alla ricciola, senza però perderla di vista con la coda dell'occhio. Non si può dire quali tra questi sistemi dia i frutti migliori, una volta andrà bene uno, una volta andrà bene un altro; tutto dipenderà dalla maggiore o minore disponibilità del pesce verso il nostro comportamento.

Nel caso che ci si trovi ad operare su di un fondale accidentato, irto di sassoni o di pareti di roccia che si innalzano ripide dal profondo fino a pochi metri dalla superficie, dovremo ricorrere alla tattica, usata per il dentice, di nasconderci parzialmente alla vista dell'animale.

Per aumentare ancor più il suo interesse nei nostri confronti potremo fingerci occupati in qualche misteriosa operazione come a razzolare sullo scoglio, a mo' di triglia sempre dimostrando la massima indifferenza nei confronti del bestione che, incuriosito, si farà sotto per vedere che diavolo stiamo combinando.

Se la ricciola non si farà stuzzicare dal nostro armeggio non ci resterà altra via di uscita che l'attacco diretto. Anche allora evitiamo l'immersione troppo vicina all'animale e cominciamo l'avvicinamento a qualche metro di distanza, tenendoci su di una rotta parallela a quella del pesce. Non dobbiamo dare l'impressione di seguirla, quanto di nuotare insieme a lei come se volessimo unirci al branco.

Così facendo potremo azzardarci a grattare qualche metro fino a giungere a distanza utile per il tiro.

Dal momento che la ricciola non possiede nè i riflessi nè lo scatto bruciante del dentice, sarà possibile concludere la fase di avvicinamento con un brusco scatto in avanti che ci farà guadagnare l'ultimo prezioso mezzo metro. La reazione del pesce consisterà in una progressiva accelerazione, abbastanza lenta però, da permettere al subacqueo di prendere la mira e di sparare prima che il breve vantaggio acquisito sfumi sotto le sue possenti pinnate.

Riguardo al tiro un'ultima cosa: attenzione a non sottovalutare la distanza che ci separa dalla preda.

La mole del pesce ce lo farà sembrare molto più vicino di quanto realmente non sia e spesso avremo la delusione di veder l'asta arrestarsi poco prima di raggiungere il prestigioso bersaglio.

L'aver colpito la ricciola non vuol dire, tuttavia, aver vinto la partita; la vera lotta con l'animale comincia proprio non appena il ferro è penetrato nelle carni dell'animale. La sua reazione è violentissima e si esplica nel tentativo di raggiungere il fondo per strusciare la schiena sulle asperità degli scogli e strapparsi in tal modo l'arpione di dosso.

In tale circostanza l'utilità del fucile sagolato al pallone viene fuori in modo evidente. Difficilmente sarebbe possibile trattenere con le nostre forze, provate inoltre da un una lunga apnea, l'impeto di venti chili di muscoli scatenati nella lotta per la sopravvivenza.

Con questo prezioso accessorio potremo, invece, abbandonare il fucile per risalire in superficie, da dove ci sarà più facile seguire gli spostamenti della nostra preda che si dibatte disperatamente sul fondo.

Mentre riprendiamo fiato cerchiamo di consentirgli di portare a buon fine i tentativi di liberarsi, recuperando il sagolone quel tanto che basta per impedirgli di entrata in contatto con la roccia.  Non appena ne saremo in grado, immergiamoci di nuovo e raggiungiamo, scivolando lungo il sagolone la preda ferita. Nel caso che non abbiamo a disposizione un altro fucile con cui impartirgli il colpo di grazia, assicuriamoci che l'asta sia passata da parte a parte e che l'arpione offra una buona resistenza sul corpo dell'animale. In ogni caso evitiamo con cura di recuperare il pesce dalla superficie tirando il sagolone, perchè così facendo sommeremmo le nostre forze a quelle della ricciola, facendole gravare ambedue sull'arpione, già vicino al limite di rottura.

Il recupero dovrà avvenire solo dopo che il pesce avrà esaurito gran parte delle sue energie ed anche in tal caso sarà preferibile immergerci ed andare ad agguantare direttamente l'asta, per ridurre al minimo le probabilità che la leccia si disarpioni proprio all'ultimo momento.

La buona riuscita del recupero dipende, però, in maniera preponderante dal punto in cui avremo piazzato il tiro. A questo proposito, ricordiamoci che la parte di maggior tenuta è quella immediatamente seguente alle branchie, poco al di sopra delle pinne pettorali.

La Corvina

La Corvina (Sciaena umbra), insieme alla Cernia e al sarago, è una delle prede tipiche della pesca in tana, ambiente dove vive in prevalenza. La si può trovare già a pochi metri di profondità a fin oltre le profondità comunemente raggiungibili nella pesca subacquea (oltre i 30 metri). La sua diffusione è estesa in tutto il mediterraneo e cercando nei posti giusti, trovarla non è difficile. E' un bel pesce, dotato di un forte fascino e di una livrea bruna con riflessi bronzei; il suo profilo è inconfondibile e la si identifica senza errore anche in lontananza e anche in un branco misto davanti alla tana. La Corvina predilige i fondali rocciosi con profonde spaccature, buie e poco illuminate. Abita anche le ampie caverne e le tane profonde ai piedi delle scogliere sommerse. Non disdegna comunque altri tipi di fondale come le praterie di poseidonia, le franate e le dighe esterne dei porti. Presenta un corpo ovale abbastanza compresso, coperto di squame ctenoidi, capo robusto, opercoli dentellati, occhi grandi, muso grosso, rotondo con labbra carnose bianche, che molte volte risaltano nel buio della tana eletta ad abitazione. Il colore è grigio scuro con riflessi bronzei sul dorso e giallo argentei sul ventre. Le pinne sono quasi completamente scure. Si nutre principalmente di piccoli crostacei e di molluschi, non disdegnando anche le alghe. Vive in branchi della stessa specie che possono variare in numero e dimensione, non disdegnando anche la presenza di altre specie, come il sarago e la cernia, nella stessa tana. La corvina ha una particolare ramificazione della vescica natatoria che le fa emettere un particolare suono, quando contrae i muscoli addominali, udibile anche sott'acqua da un orecchio esperto. Si riproduce in tarda primavera - estate e le uova sono pelagiche. La corvina può raggiungere i 70 cm. di lunghezza e il peso di 7-8 kg anche se difficilmente si incontrano esemplari sui 50 cm e i 3-4 kg.

La corvina come abbiamo detto vive a stretto contatto con la roccia e i diversi ambienti condizionano sia il comportamento che la tecnica di pesca
Là, dove le acque marine sono molto pulite e ricche di nutrimento, come le isole, le corvine molto spesso trovano il loro habitat nelle fenditure, verticali ed orizzontali, dei grossi massi monolitici spesso condivise con i saraghi e qualche improbabile cernia. L'avvistamento può avvenire già a distanza che stazione davanti alla tana; avvicinandoci il branco si dividerà e mentre la maggior parte delle corvine entrerà nella fenditura, alcuni esemplari rimarranno di "sentinella" sull'ingresso. A quel punto conviene immergersi con compostezza per cercare il primo tiro fuori dalla tana; sia che centriamo la preda o la manchiamo, il resto del branco si precipiterà nella fenditura. La seconda discesa sarà indirizzata ad esaminare la fenditura ed individuare la miglior tattica. Prima di illuminare la fenditura con la torcia, accertiamoci che tale manovra sia veramente indispensabile, dopo di che spariamo con decisione senza esitare oltre, perché le corvine sono famose per la loro capacità di evitare il tiro ed è quindi importante non lasciargli il tempo di prepararsi allo scatto. In questo ambiente, quando ci si trova in prossimità di grossi massi che presentino delle fenditure, visibili facilmente anche dalla superficie, conviene fermarsi a controllarle, anche senza aver visto i pesci fuori, in quanto i pesci potrebbero già aver avvertito la nostra presenza ed aver già guadagnato l'interno della fenditura. In presenza di franate, la corvina adotta una tattica di difesa comune ad altre specie: entra nel primo buco disponibile, proseguendo per i corridoi naturali fino a raggiungere una tana più profonda, la maggior parte delle volte irraggiungibile dal sub. In queste condizioni, l'unico tentativo da fare è quello di anticipare l'immaginario percorso della corvina, affacciandosi ad una tana opposta a quella di entrata e non sarà raro veder materializzare le corvine dal nulla e tentare così il tiro. La stessa tattica è applicabile sulle dighe frangiflutti, spesso abitate da belle corvine di taglia, specie nelle fasce più fonde

Sui fondali ricoperti di poseidonia o misti, la corvina sviluppa un senso mimetico più spiccato che in tana; in queste masse vegetali la corvina riesce a dileguarsi alla perfezione e solo in rare occasioni si riesce ad identificare la sua posizione e a scoccare il tiro. Quindi in presenza di questo ambiente è essenziale adottare una tecnica specifica. Non è raro che il branco stazioni proprio sopra la prateria di poseidonia ed avvicinandoci con cautela, potremo tentare un tiro, anche se al limite della portata del fucile. In seguito al nostro avvicinamento, il branco entrerà nella poseidonia, mimetizzandosi il più possibile con l'ambiente circostante. Come prima cosa cerchiamo di calcolare la direzione approssimativa presa dal branco entrato nella poseidonia, poi procediamo in questo modo: ispezioniamo accuratamente il bordo esterno della distesa algosa, naturalmente facendo un'immersione per andare ad osservare attentamente là dove la vegetazione si interrompe. Praticamente appoggiati sul fondo scruteremo in senso orizzontale, alla ricerca delle nostre prede; ripeteremo poi l'osservazione dalla parte opposta a quella di entrata del branco. Potremo tentare anche di agitare le alghe dal di sopra con movimenti ampi delle pinne per poi andare a controllare i bordi della poseidonia, con la speranza che i pesci si siano spostati in quella direzione. Una volta individuata la posizione del pesce, il tiro sarà scoccato il più vicino possibile, per "bruciare" lo scatto della corvina che, comunque, in questo ambiente è meno probabile dato che la corvina si affida parecchio al suo mimetismo per sfuggire alle "attenzioni" del pescatore.

In ambienti misti, bisognerà immaginare quale tana sia stata scelta dal branco per nascondersi, soprattutto se la ricerca nella poseidonia si dovesse rivelare infruttuosa. Si comincia da quelle direttamente collegate con la prateria per poi passare a quelle che la circondano. Per la pesca alla corvina è consigliabile un oleopneumatico da 70 cm, magari con variatore di potenza, visto che spesso si deve tirare in acqua libera e subito dopo, nell'ambiente ristretto della tana. La torcia è d'obbligo pescando in tana, visto la preferenza della corvina per le tane buie, dove la luce naturale stenta ad illuminare. 

LA PESCA DEL POLPO

Il polpo (vedi scheda) è una delle prede più facili da insidiare in quanto molto difficilmente scappa di fronte all'uomo ed é possibile avvicinarlo fino a quasi toccarlo. La ragione della sua immobilità è legata al fatto che il suo mimetismo abbinato all'immobilità lo rendono molto difficile da individuare. Infatti, la difficoltà maggiore nella pesca di questo cefalopode è rappresentata dall'impegno richiesto per individuarlo. Può anche capitare di trovarlo in movimento o mentre nuota fuori tana (il polpo più grosso che ho catturato pesava 6,7 kg e l'ho individuato mentre nuotava a mezz'acqua) ma questo tipo di fortuna capita poco spesso; pertanto è opportuno adottare delle opportune tecniche di individuazione per portarlo a tiro. Perciò, prima di trattare della fase del tiro e del recupero, è indispensabile trattare delle modalità di individuazione del polpo in tana e fuori tana.

L'INDIVIDUAZIONE DEL POLPO IN TANA: la circostanza più favorevole per individuare il polpo è quella in cui il fondale offre scarsi rifugi (ad esempio, distese di sabbia, fango o piattaforme rocciose). In questi caso, la tecnica di individuazione consiste nell'ispezionare i pochi massi che interrompono la monotonia del fondale, soprattutto se si tratta di massi piccoli che poggiano sulla sabbia: il cefalopode avrà scavato la sua tana nella sabbia lungo il bordo del masso oppure avrà occupato l'eventuale rifugio offerto dallo spazio tra la base del masso e la sabbia. Buoni risultati si ottengono anche controllando eventuali barattoli vuoti, copertoni, e altri rifiuti gettati in mare da quei naviganti che non rispettano il mare. 

Nel caso in cui il tratto di fondale da esaminare presenti numerosi rifugi, allora l'azione di ricerca si complica alquanto, anche se, al contempo, aumentano in proporzione le possibilità di effettuare numerose catture. 

In questi casi, se siamo su una batimetrica bassa, la prima possibilità è quella di riuscire a vedere il polpo dalla superficie. Ciò è possibile in quanto il polpo ha la tendenza a rimanere affacciato alla tana. Pertanto, in acqua bassa è possibile riuscire ad individuarlo percorrendo con lo sguardo i bordi delle rocce e delle spaccature. In particolare, si dovrà porre attenzione a due particolari per riuscire a scorgerlo nonostante il suo mimetismo: gli occhi e la posizione che assume. Per gli occhi il discorso è ovvio: il polpo prende il colore dell'ambiente circostante ma non può fare nulla per mimetizzare gli occhi che sono di colore giallo. Quanto invece alla posizione il discorso è leggermente più complicato. Abbiamo visto che il polpo sta affacciato alla tana chiudendo il buco in perfetto allineamento con il sasso in cui si trova. Tuttavia, pur non sporgendo dalla tana e rimanendo mimetizzato, per colore e forma della livrea, con l'ambiente circostante, può venire tradito dalla circostanza che, nel far ciò, assume una posizione caratteristica di osservazione (sempre identica) con l'addome, e quindi gli occhi, al centro e i tentacoli disposti lungo i lati a formare due leggere linee curve (che assomigliano a delle onde) poste al di sotto della figura rotondeggiante dell'addome. Quindi, con un pò di esperienza si riesce a distinguere al volo questa "silhouette" e ad individuarlo con minore difficoltà.

Nel caso in cui invece ci troviamo su un fondale superiore ai 3-4 metri sarà difficile, anche con acqua molto limpida, riuscire a vederlo direttamente dall'alto. Sarà meglio, pertanto, cercare di individuare i classici e famosissimi indizi della loro presenza, cioè i residui del pasto: gusci di conchiglie varie, pezzetti di granchio e sassolini colorati posti a semicerchio davanti alla tana. Bisogna sottolineare, però, che mentre in passato questi erano segni della sicura presenza di un polpo dentro la tana, attualmente, avendo anche i polpi imparato ad essere meno prevedibili, questi segni devono essere presi come importanti indizi della loro presenza nelle vicinanze e non proprio all'interno di quella particolare tana. Pertanto, trovati questi indizi sarà opportuno attuare una meticolosa ricerca nei paraggi per poter scovare il rifugio in cui si è nascosta la nostra preda.

L'INDIVIDUAZIONE DEL POLPO FUORI TANA: prescindendo dai casi fortuiti in cui, come già accennato, si vede il polpo che nuota o che si sposta sul fondo, l'individuazione del polpo fuori dalla tana è legata all'osservazione del comportamento di alcune specie di pesci quali le perchie, gli sciarrani e le donzelle che sono solite seguire questi cefalopodi nei loro tragitti fuori tana. Pertanto, se si vede un codazzo di pescetti che senza nessuna ragione apparente si comportano in modo nervoso oppure punta un particolare masso, allora possiamo stare sicuri che sotto quel masso o nelle vicinanze si nasconde un polpo. Il motivo di questo "pedinamento" subacqueo non è chiaro ma si presume che questi pesci, in particolare gli sciarrani e le perchie, si comportino in questo modo per ottenere del cibo dagli avanzi del pasto del polpo. Per esperienza personale, posso affermare che quanto più numerosi e grossi sono questi pesci tanto più grandi saranno le dimensioni della nostra preda.

IL TIRO E IL RECUPERO: venendo alla fase della cattura, giova dire che, se il polpo è stato individuato fuori tana e non è di grandissime dimensioni (dai 2-3 Kg in su), spesso è possibile catturarlo semplicemente agguantandolo con le mani oppure infilzandolo con l'asta o la fiocina senza necessità di sparare (evitando in tal modo di rovinare l'asta). Riserveremo pertanto il tiro col fucile solo alle prede intanate o di dimensioni ragguardevoli. Siccome il polpo rimane immobile e difficilmente di intana precipitosamente, avremo tutto il tempo di mirare con calma. Il tiro andrà indirizzato in mezzo agli occhi, sia che si utilizzi la fiocina sia che si utilizzi l'arpione. E' preferibile, però utilizzare la fiocina per una serie di ragioni: si evita di rovinare l'asta, si evita l'incastramento della freccia nella tana (soprattutto se profonda e fessurata) ed è più facile togliere il polpo dall'asta per riporlo nel cavetto. E' consigliato pertanto un fucile sui 40-50 centimetri armato di fiocina che ci consentirà di effettuare agevolmente dei tiri anche in tane anguste o sotto rocce ravvicinate. 

Il recupero, tranne il caso di esemplari di grosse dimensioni, non è difficilissimo ma richiede comunque un certo impegno dato che il polpo si barrica subito all'interno della tana opponendo una strenua resistenza alla cattura. Prima di tentare l'estrazione dalla tana è opportuno sincerarsi che l'asta tenga bene, altrimenti si rischia di tirare e rimanere con l'asta in mano, permettendo peraltro al polpo di intanarsi ancora di più. Pertanto, subito dopo il tiro, conviene spingere l'asta verso l'intero per consentire all'arpione o ai denti della fiocina di fare presa e poi cominciare a tirare facendo leva di lato e poi tirando di colpo. Se si è molto veloci è possibile sfruttare, subito dopo il tiro, il momento di smarrimento dell'animale per tirarlo fuori dalla tana senza dargli il tempo di arroccarsi facendo presa con le sue ventose.

PRELIEVO ETICO E RAGIONATO: abbiamo visto come la cattura del polpo non comporti difficoltà immani, ed è proprio per questo motivo che vorrei focalizzare l'attenzione sulla necessità per i pescatori in apnea di non attuare un prelievo indiscriminato degli individui appartenenti a questa specie. Ovviamente, la necessità di non tenere dei comportamenti da predoni vale per tutte le specie cacciabili, ma ci tengo ad evidenziare alcuni comportamenti che stanno provocando una drastica diminuzione della popolazione di questi intelligenti cefalopodi e che debbono essere condannati fermamente.

Innanzitutto, è opportuno evitare di sparare alle femmine che stanno covando la nidiata perchè, in tal modo, si condanna centinaia di migliaia di uova (riconoscibili perchè pendono a grappolo dalla volta della tana) a morte certa solo  per catturare un

esemplare che, date le sue condizioni di deperimento, ha scarso valore culinario e venatorio.

In secondo luogo, è assolutamente necessario evitare la cattura di esemplari di piccole dimensioni che non hanno ancora avuto la possibilità di riprodursi: accade spesso nel periodo estivo di assistere a delle scene, che definirei raccapriccianti, nelle quali il protagonista negativo è il sub della domenica che porta a riva 40-50 esemplari del peso di 10-20 grammi e si gloria della sua bravura come pescatore subacqueo!!!

Un altro comportamento disdicevole e da condannare consiste nell'utilizzo di prodotti chimici per agevolare la cattura del polpo. Senza voler entrare nei dettagli di questo infamante espediente, si può affermare senza tema di smentita che è senza dubbio un comportamento antiecologico (perchè si utilizzano delle sostanze altamente inquinanti per l'ecosistema marino) che denota anche un'elevata "vigliaccheria" da parte chi lo pone in essere!

LA PESCA DEL POLPO (OCTOPUS VULGARIS)

Il polpo (Octopus Vulgaris)

Il polpo (e non "polipo", che è un animale completamente diverso) è un mollusco cefalopode molto intelligente: pensate che possiede un rapporto tra peso del cervello e peso corporeo fra i più alti tra le creature marine ed inoltre ha neuroni.....sparsi un po' in tutto il corpo.
Si nutre di molluschi, sia bivalvi che cefalopodi, crostacei e piccoli pesci, che cattura con impeccabili agguati sul fondo, utilizzando i suoi tentacoli muniti di doppio ordine di ventose per ghermirli. La sua bocca è dotata di un possente becco corneo, con cui riesce ad aprire il guscio dei molluschi bivalvi di cui è ghiotto. Spesso è proprio questa sua abitudine alimentare a tradire il suo nascondiglio, poiché il polpo sovente lascia i gusci delle sue prede proprio davanti alla tana.

Generalmente il polpo si "costruisce" un nascondiglio in grado di proteggerlo dall'attacco dei molti pesci che gradiscono le sue carni gustose, in primis murene, gronghi, cernie e dentici.La tana può essere un buco o una spaccatura presente nella roccia, oppure può essere scavata direttamente nel fango o nella sabbia, di solito sotto ad un sasso.

Questo mollusco è poi solito sigillare l'imboccatura del suo rifugio con una serie di sassi e ciottoli accatastati: normalmente, quando non è in caccia, se ne sta affacciato all'ingresso, pronto a ritrarsi nella tana al minimo cenno di pericolo, trascinandosi dietro con i tentacoli qualche ciottolo in modo da proteggersi dai denti dei predatori.

Questo suo movimento è stato imitato dagli aspettisti, poiché è in grado di stimolare incredibilmente la curiosità di predatori come il dentice. In caso di attacco da parte di un predatore, il polpo è addirittura disposto a sacrificare uno o due tentacoli pur di salvarsi la vita, con un comportamento simile a quello di alcune lucertole, che lasciano all'aggressore la propria coda per poi fuggire. Come per i rettili la coda perduta è destinata a ricrescere, così avviene per il polpo: i tentacoli strappati ricresceranno.

Altre volte troveremo il cefalopode completamente nascosto, murato all'interno della tana, tanto che anche solo per poterlo vedere saremo costretti a togliere qualcuno dei ciottoli che ostruiscono l'imboccatura a formare una sorta di "muro a secco" eseguito con rara maestria.
Questa singolare abilità del polpo nel "maneggiare" i ciottoli per proteggersi dai predatori è a volte veramente sorprendente: mi è stato raccontato dal presidente del mio circolo, veterano della pesca subacquea e acuto osservatore del mondo sommerso, che una volta si imbatté in un grosso polpo impegnato in "battaglia" contro alcuni denticiotti che tentavano di azzannarlo.

Il cefalopode, sorpreso in un tratto di fondale pianeggiante, privo perciò di nascondigli in cui ripararsi, aveva "impugnato" alcuni ciottoli coi suoi tentacoli, brandendoli a mo' di scudo e proteggendosi così dai denti aguzzi dei suoi aggressori.

Quando l'avvicinamento di Dore (questo il nomignolo con cui da sempre è conosciuto Silvano Paganucci), che aveva assistito attonito alla scena, mise in fuga il branco di denticiotti ed il polpo fu in salvo, egli non se la sentì proprio di sparare ad un così valoroso combattente e lo lasciò andare per la sua strada.

Questo aneddoto vuole solo essere d'aiuto nella comprensione dell'intelligenza del simpatico cefalopode, anche se intelligenza non sempre vuol dire difficoltà di cattura, anzi: nella fattispecie è vero il contrario.

Una polpessa (octopus macropus) Foto: M. Barlettani

In effetti, l'unica difficoltà che presenta la cattura del polpo sta nella sua individuazione, resa complicata dalle doti mimetiche di questo cefalopode e dalla sua tendenza a nascondersi in tane ben occultate. Accennavo al fatto che talvolta la sua presenza è denunciata dagli avanzi del suo pasto, costituiti da gusci di bivalvi che, essendo all'interno di un colore bianco candido, sono facilmente individuabili anche da lontano. Ma non sempre è così semplice. Spesso, quando magari il polpo si è insediato da poco nella nuova tana, non vi sono tracce evidenti e i sassi accatastati quasi sempre sono individuabili solo dall'occhio più esperto ed acuto. Nei casi in cui, invece, la tana sia stata scavata nel fango o nella sabbia del fondale, il materiale di scavo si depositerà davanti all'imboccatura, formando una chiazza chiara, bianca o grigia, che dovrà insospettirci permettendoci di individuare la tana.

Mi è sovente capitato di individuare il polpo intento nelle operazioni di scavo, proprio a causa della densa nuvola di sospensione sollevata dal suo lavoro, avvistabile anche da una certa distanza.

In considerazione delle abitudini del polpo fin qui esaminate, possiamo definire, grosso modo, il tipo di fondale in cui è più probabile incontrarlo.

Generalmente, il polpo predilige le zone di confine tra roccia (o grotto) e fango o sabbia, possibilmente quelle in cui vi è presenza di piccoli sassi e ciottoli necessari alla realizzazione della sua tana.

In posti del genere il cefalopode ha l'opportunità di reperire sia molluschi bivalvi, con scorribande nel fango o nella sabbia, sia crostacei, piccoli pesci e cefalopodi, che può predare con agguati nella scogliera. Tra le sue prede più comuni troviamo la polpessa (octopus macropus), che non è la femmina del polpo ma un diverso cefalopode dalle abitudini notturne, avente dimensioni decisamente inferiori e caratterizzato da una livrea rossiccia punteggiata di bianco.


La profondità a cui è più facile trovarlo è molto variabile in relazione al tipo di fondale e al periodo, e va dalle poche spanne d'acqua all'abisso.

Il polpo è molto intelligente

Frequentando zone di pesca diverse, ho notato che non esiste un periodo ben preciso in cui questi cefalopodi si concentrano in gran numero, o meglio, tale periodo, coincidente con quello della riproduzione, varia molto da zona a zona. Ad esempio, nella zona dell'Argentario, quella che frequento più assiduamente, è da Aprile a Luglio che si hanno maggiori possibilità di catturare esemplari di mole, generalmente di peso compreso fra i 3 ed i 6/7 kg.

Quello che di norma - salvo le debite eccezioni - non cambia mai sono le zone, limitate, in cui i polpi si concentrano, che anno dopo anno sono sempre le stesse.

Ho potuto constatare che molto spesso le tane più grandi e più belle sono periodicamente abitate dal polpo, segno inequivocabile che, come avviene per tutte le specie di pesci di tana, anche il nostro cefalopode sceglie il suo rifugio secondo ben precisi parametri.

Per quanto riguarda la pesca del polpo, abbiamo detto che la difficoltà maggiore sta nell'individuare la preda ma, specialmente nel caso di cefalopodi di grandi dimensioni, potrebbero sorgere problemi anche nella successiva fase di stanamento. Per evitare problemi, consiglio di curare molto la fase di mira, visto che avremo a disposizione tutto il tempo necessario, al fine di colpire il polpo in testa, all'altezza dei grandi occhi, preferibilmente con asta dotata di fiocina a 5 punte. Una volta colpito, è necessario afferrare immediatamente il cefalopode per i tentacoli, approfittando dell'attimo di smarrimento che segue la fucilata e che precede la reazione dell'animale. In quel preciso istante, con un poderoso strattone riusciremo ad estrarre agevolmente il polpo dalla sua tana.
Ma se, al contrario, non sapremo approfittare di quell'attimo di incertezza e non avremo fulminato istantaneamente il polpo, ci dovremo preparare ad un estenuante tira e molla. In questi casi, un valido trucco consiste nello spingere con forza il cefalopode all'interno del suo nascondiglio agendo sull'asta del fucile e nel lasciare riposare la situazione per 20 - 30 minuti.


Potremo, nel frattempo, continuare a pescare nelle vicinanze. Al nostro ritorno, nella stragrande maggioranza dei casi, troveremo il polpo direttamente fuori dalla tana, intento ad abbandonare lentamente un rifugio sentito non più sicuro.

Sconsiglio vivamente di infilare le mani all'interno della tana al fine di cercare di estrarre di forza il polpo: è una fatica inutile, specie con gli esemplari più grossi, ed inoltre è anche molto pericoloso. Fino a qualche anno fa avevo anch'io questa pessima abitudine, ma da quando un grosso esemplare, di circa 6 kg., mi ha pizzicato col possente becco un dito della mano destra, procurandomi una ferita che mi è stata ricucita con 4 punti di sutura, le mani all'interno delle tane di polpo non le infilo più. Fu un'esperienza che al solo ricordo mi fa sentire i sudori freddi!

Ero trattenuto sul fondo contro la mia volontà e solo con un violentissimo strattone, che causò la lacerazione del dito azzannato nonostante indossassi i guanti di neoprene, riuscii a liberarmi ed a riguadagnare la superficie.

In conclusione, il polpo rappresenta sicuramente una preda molto valida per i principianti, cui consente di sviluppare un certo occhio ed una attenzione ai particolari del fondale che suggeriscono la presenza di potenziali prede. E, cosa da non sottovalutare, è molto più gustoso dei tordi e delle salpe che, normalmente, costituiscono le prede del neofita, tanto che il polpo viene difficilmente snobbato, specie se di mole, anche dai pescatori più esperti.

Mormora

Nome scientifico: Lithognathus mormyrus (Linneo, 1758)

Nomi dialettali:
morma mormiro
marmuro
mormorino
murmure goscele gosciola.


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La mormora è un pesce dal corpo ovale slanciato, compresso lateralmente e con profilo del capo rettilineo.

Come la maggior parte degli Sparidi ha dorso alto e il muso è allungato; la bocca è bassa, orizzontale con labbra spesse, ma è relativamente piccola; i denti molariformi e appuntiti sono disposti in più file.

La coda ha due lobi nettamente incisi.

La colorazione del dorso è grigio-bruno chiaro, mentre i fianchi ed il ventre sono argentei; sui fianchi si notano particolari fasce verticali bruno-scure, 6 marcate e 6 più sottili alternate; la parte superiore del muso è scura.

La mormora può raggiungere una lunghezza di 35 cm, eccezionalmente anche 45 cm; la taglia più frequente si aggira attorno 20-25 cm.

E' un pesce in genere gregario, soprattutto da giovane, che si riproduce in estate, fra giugno e luglio; raggiunge la maturità dopo due anni (individui di 14 cm) ed è una specie ermafrodita proterandrica, (prima è maschio poi diventa femmina).

Questo fenomeno è comune a molti Sparidi.

La mormora si nutre di invertebrati bentonici che cerca fra i sedimenti, quali molluschi, crostacei e policheti.


Dove vive (Mormora)

La mormora vive su fondi sabbiosi o sabbioso-fangosi, lungo le coste rocciose e presso le praterie marine, da pochi metri fino a 80 m di profondità; è comune in Mediterraneo e Atlantico.
Nei mari italiani si trova principalmente in Alto e Medio Adriatico e nel Medio Tirreno, dove viene catturata soprattutto nei mesi estivi ed autunnali.

I giovani conducono vita di gruppo, mentre gli adulti si possono trovare anche isolati. Occasionalmente penetra anche nelle lagune salmastre.


Come si pesca (Mormora)

La mormora viene catturata con reti da posta, reti da traino pelagico e di fondo, sciabiche, nasse e lenze a mano.

La cattura avviene soprattutto in estate ed autunno.

Come si consuma (Mormora)

La mormora è un pesce bianco e commercializzata fresca o congelata e ha carni di buon pregio.
Si consiglia di cucinarla alla griglia.

La mormora (Lithognatus mormyrus) è un bel pesce che pur non raggiungendo grandi dimensioni rientra volentieri nel carniere del pescatore in apnea in quanto ha delle carni molto saporite. Appartiene all'Ordine dei Perciformi, Sottordine dei Percoidei, Famiglia degli Sparidi, ed è quindi imparentata con i saraghi, le orate ed i dentici.

ASPETTO: La mormora ha un corpo allungato e compresso (la sua lunghezza è pari a 3-4 volte la sua altezza), ha il muso imponente ed in netta pendenza con una bocca piccola, disposta quasi orizzontalmente e caratterizzata da labbra spesse. Ha una forte dentatura caratterizzata da più file di denti: incisivi nella parte anteriore della bocca e molariformi in quella posteriore. Gli appartenenti a questa specie presentano una sola pinna dorsale sorretta anteriormente da 11-12 spine ossee e, posteriormente, da 11-12 raggi molli. Presenta una robusta coda che evidenzia le  sue caratteristiche di buon nuotatore con una pinna caudale bilobata ed omocerca. La pinna anale è piccola e bassa e termina alla stessa altezza di quella dorsale. Le pinne pettorali sono piccole e lanceolate e poco adatte agli scatti improvvisi.

La mormora presenta una livrea inconfondibile: il corpo grigio-argenteo è segnato da 12-14 bande scure verticali (brune o grigie) che, partendo dal dorso, si spingono fino alla metà inferiore dei fianchi. Il muso e la regione oculare sono più scuri. Anche la pinna dorsale e caudale sono generalmente più scure mentre le rimanenti sono più chiare e presentano dei riflessi giallognoli o dorati che le conferiscono un aspetto regale.

Per quanto riguarda le dimensioni, può raggiungere i 55 centimetri di lunghezza anche se generalmente è difficile incontrare esemplari che superano i 30 centimetri e il peso di 800 grammi.

Taglia max: 45-55 cm. Peso max: 0.8-1,2 Kg. Profondità abituale: 1-30 m

HABITAT: La mormora è un pesce che si trova principalmente nelle zone di confine tra sabbia, roccia e posidonia, più o meno miste a fango, a profondità di solito inferiori ai 20 metri. Grazie alla sua robustezza può spingersi anche nelle lagune salmastre e negli estuari dei fiumi.

COMPORTAMENTO: E' un pesce che vive in branchi anche molto numerosi soprattutto con mare calmo: non è raro incontrare all'alba o al tramonto branchi di centinaia e centinaia di individui. Personalmente ho assistito a scene mozzafiato con branchi di migliaia e migliaia di esemplari di tutte le taglie. Nel caso di mare mosso è più probabile incontrare individui solitari anche di grosse dimensioni che in preda alla frenesia alimentare sono più facilmente avvicinabili.

E' un pesce carnivoro e si nutre di vermi, crostacei e piccoli molluschi che cattura scavando nella sabbia con la sua robusta bocca protrattile. A volte, soprattutto dopo forti mareggiate, mangia anche le alghe che sono presenti in abbondanza nel suo habitat naturale. 

Si riproduce nel periodo giugno-luglio sui fondali sabbiosi deponendo uova galleggianti. La maturità sessuale è conseguita al secondo anno di vita, quando gli esemplari raggiungono una lunghezza di circa 14 centimetri. Di solito gli esemplari più giovani sono di sesso maschile mentre quelli più adulti sono di sesso maschile (Ermafrodismo proterandrico), anche se questa non è una regola assoluta in quanto alcuni esemplari sono già femmine alla nascita.

Pesce Pettine

Nome scientifico: Xyrichthys novacula (Linneo, 1758)

Nomi dialettali:
pesce patene
spetacaturu
landrosa surice

Chi è - Dove vive       Come si pesca   Consumo

Il pesce pettine è un Labride dal corpo molto schiacciato sui fianchi e con profilo della testa quasi verticale; la bocca è piccola, situata in basso e con due 2 denti acuti in ciascuna mascella, i denti inferiori sporgono anche quando il pesce ha la bocca chiusa.
La superficie del corpo è scivolosa: la livrea femminile è di color roseo, rossastro o giallastro, leggermente più scuro sul dorso, mentre le guance e l'opercolo sono striati trasversalmente di blu; quella maschile è verde-grigia; gli esemplari piccoli sono rosa.
Il pesce pettine è una specie ermafrodita proteroginica (inizialmente è femmina, successivamente a circa 17 cm di lunghezza avviene l'inversione sessuale); si riproduce in estate e vive circa 5 anni.

Solo in rari casi raggiunge i 25 cm di lunghezza, è più frequente attorno ai 15 cm.
Si nutre di molluschi (principalmente bivalvi e gasteropodi), echinodermi e di crostacei.
Quando si sente in pericolo si infossa rapidamente nella sabbia con il capo in avanti, scavando una buca profonda fino a 20 cm; passa in quel modo quasi tutto l'inverno.
Dove vive (Pesce Pettine)

Il pesce pettine è abbastanza comune alle Isole Eolie, lungo la costa calabra (dove è chiamato "surice") e siciliana; si trova solitamente su fondali sabbiosi e fangosi o coperti di vegetazione, a 15-35 m di profondità.

In inverno scende a profondità maggiori.

È distribuito, oltre che in Mediterraneo, in Atlantico orientale ed occidentale; abita le coste atlantiche africane e penetra nelle acque dell'Egeo.

Come si pesca (Pesce Pettine)

Il pesce pettine si cattura con tremagli, sciabiche e abbocca facilmente anche alle lenze.
Quando il pescatore tenta di staccarlo dalla lenza può voltarsi di scatto per mordergli le mani e i sui denti sono così affilati che, per quanto piccoli, possono causare anche qualche fastidio.

Come si consuma (Pesce Pettine)

Il pesce pettine è una specie particolarmente apprezzata in Calabria, ha una carne bianca, compatta, di ottimo sapore.

Un modo in cui se ne suggerisce la cottura è fritto.

Passera di Mare

Nome scientifico: Platichthys flesus

(Linneo,1758)

Nomi dialettali:

passara

passarin

passerello

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La passera è un pesce piatto dal corpo ovale piuttosto compresso e dalla pelle liscia e viscida; di solito gli occhi si trovano sul lato destro del capo, ma a volte anche sul sinistro.
E' riconoscibile per la presenza di tubercoli ossei alla base delle pinne dorsali e anali, sopra la pinna pettorale e sulla linea laterale.

La colorazione è bruno olivastra sul lato oculare, con macchie pallide color giallo arancio disposte irregolarmente; il lato cieco è bianco giallognolo, spesso con macchie brunastre.
La passera si nutre di molluschi, anellidi e crostacei, che caccia restando appiattita e seminascosta nel fondo sabbioso, pronta a scattare al passaggio di una preda; è attiva soprattutto di notte.

Si riproduce in primavera e ogni anno produce da 400.000 a 2.000.000 di uova; uova e avannotti sono pelagici, come quelli della platessa.

La passera è mediterranea, la platessa (Pleuronectes platessa) è la sottospecie atlantica e differisce da questa per l'assenza dei tubercoli alla base delle pinne dorsali e anali.
La passera misura fino a 40 cm di lunghezza, ma è comune da 20 a 25 cm.
Dove vive (Passera di mare)

La passera vive soprattutto in Adriatico settentrionale, Mar Nero e Mar d'Azof; è comune a basse profondità, tra 0-55 m, su fondi sabbiosi o fangosi.

È una specie eurialina che entra regolarmente nelle acque dolci ed è comune alle foci dei fiumi e a volte li risale per lunghi tratti.

Viene pescata principalmente durante il periodo riproduttivo, in inverno.

Come si consuma (Passera di mare)

La passera viene commercializzata fresca e congelata, sia intera che in filetti.
Ha carni delicate, di buona qualità, meno gustose di quelle della platessa.

Ombrina Nome scientifico: Ombrina cirrosa (Linneo, 1758)


Nomi dialettali:
corbel corbo
ombrelo corbello
corbetto umbrene
ombrina umbra
crivello coracina
lumbrina imperiali.

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L'ombrina è un pesce dal corpo allungato e compresso lateralmente; il profilo del dorso è arcuato e la testa è arrotondata, con un vistoso barbiglio sotto la mandibola. Possiede due pinne dorsali, quella anteriore di forma triangolare; le pinne pettorali sono poco più corte di quelle ventrali e la coda ha margine leggermente convesso. La colorazione è grigio argentea con numerose strisce irregolari oblique di color giallo oro con orlature bruno cangianti, più chiara sui fianchi; il margine degli opercoli è nero; le pinne sono di color giallo-ocra. Può raggiungere 1 metro di lunghezza, ma è più frequente trovare esemplari di 25-35 cm.

L'ombrina ha la tendenza a vita di gruppo durante il primo periodo della sua vita, poi diventa solitaria o si sposta in coppie di sesso diverso e della stessa taglia. Si ciba essenzialmente di sardine e acciughe, ma anche di crostacei, vermi e molluschi, specialmente il cannolicchio. Il periodo della riproduzione avviene all'inizio dell'estate, è compreso fra maggio e giugno.

Questo Scienide è diventato un pesce abbastanza raro a causa della pesca sportiva. Una specie simile è l'ombrina gialla (Umbrina ronchus), più rara in Mediterraneo occidentale e nei mari italiani, di color grigio-argenteo e con pinne gialle.


Dove vive (Ombrina)

L'ombrina è comune in Mediterraneo, Mar Nero e Nell'Oceano Atlantico; è un pesce sedentario che vive su fondali sabbiosi, fangosi e ricchi di alghe in vicinanza della costa, da pochi metri fino ad una ventina; la zona preferita è quella di fondale vicino alla foce dei fiumi, in acque salmastre. I piccoli si tengono a lungo in stretto contatto con la riva, a basse profondità fino al momento in cui iniziano a vagare spostandosi anche sui fondali al largo della costa. È una delle poche specie mediterranee penetrata nel Canale di Suez.

Come si pesca (Ombrina)

Vari sono i metodi di cattura di questa specie: reti a strascico e attrezzi da posta, quali nasse e tramagli. negli ultimi anni è iniziato l'allevamento dell'ombrina, specie che si adatta bene alla cattività ed ha un accrescimento rapido; attualmente in Italia se ne allevano poche decine di migliaia di esemplari, ma è un allevamento che avrà ampi sviluppi e permetterà di avere una disponibilità di prodotto per tutti i mesi dell'anno.

Come si consuma (Ombrina)

L'ombrina è un pesce pregiato e molto ricercato dai consumatori per la sue carni eccellenti, delicate che si gustano bollite, ai ferri o soprattutto in guazzetto, con aglio, prezzemolo e pomodoro.

Soaso o Rombo Liscio

Nome scientifico: Scophtalmus rhombus (Linneo, 1758)

Nomi dialettali:

sfazo soazo
rombo minore rombetto
romme rummo liscio
pettine sfazo soarzo

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Il rombo liscio è un pesce piatto dal corpo largo, romboidale e asimmetrico, dalla pelle liscia, che giace sul fondo appoggiato sul fianco destro; gli occhi sono entrambi sul lato sinistro del capo.

Presenta una bocca ampia, munita di denti piccoli e acuti disposti in varie serie; i primi raggi della pinna dorsale sono ramificati e liberi dalla membrana. La colorazione è mimetica e varia a seconda del fondo su cui il pesce si sposta; sul dorso scuro possiede delle piccole macchiette chiare e scure; ciò gli permette di mimetizzarsi per sfuggire ai predatori.
Il rombo liscio si nutre di pesci, calamari e crostacei.

Si riproduce da febbraio a marzo; le uova e gli avannotti (giovani) sono pelagici e, come in tutti i pesci piatti, possiedono dapprima un occhio su ciascun lato, poi crescendo un occhio si sposta sopra il capo avvicinandosi all'altro. Raggiunge i 70 cm di lunghezza e i 7 Kg di peso, ma è comune intorno ai 300-500 grammi.


Dove vive (Soaso o Rombo Liscio)

Il rombo liscio è comune in Mediterraneo, Mar Nero e nell'Oceano Atlantico.

È abbastanza comune lungo le coste italiane, soprattutto nell'Adriatico; vive su fondali sabbiosi e ghiaiosi, meno frequente su quelli fangosi, a profondità comprese tra 10 e 70 m. Spesso lo si può trovare nelle lagune, perché è una specie eurialina, in grado cioè di sopportare i cambiamenti di salinità delle acque. Ha un'elevata capacità mimetica: per gran parte del tempo rimane parzialmente infossato nella sabbia.

Come si pesca (Soaso o Rombo Liscio)

Il rombo liscio viene pescato essenzialmente con le reti a strascico, con i tremagli e con il palangaro. È in fase di sperimentazione l'allevamento per il rombo liscio, mentre il rombo chiodato ha già in Europa una produzione a livello industriale.

Come si consuma (Soaso o Rombo Liscio)

Il rombo liscio è un pesce piatto molto pregiato, dalle carni magre e di ottima qualità; la carne è soda e dal sapore delicato, ma commercialmente è ritenuto meno pregiato del rombo chiodato. Ciò dipende più che dal sapore, dalle minori dimensioni del rombo liscio. Viene venduto fresco, intero o a filetti e si presta ad ogni tipo di cottura: al forno, alla griglia o arrosto.

Come si pesca (Soaso o Rombo Liscio)

Il rombo liscio viene pescato essenzialmente con le reti a strascico, con i tremagli e con il palangaro. È in fase di sperimentazione l'allevamento per il rombo liscio, mentre il rombo chiodato ha già in Europa una produzione a livello industriale.

Come si consuma (Soaso o Rombo Liscio)

Il rombo liscio è un pesce piatto molto pregiato, dalle carni magre e di ottima qualità; la carne è soda e dal sapore delicato, ma commercialmente è ritenuto meno pregiato del rombo chiodato. Ciò dipende più che dal sapore, dalle minori dimensioni del rombo liscio. Viene venduto fresco, intero o a filetti e si presta ad ogni tipo di cottura: al forno, alla griglia o arrosto.

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Boga o Boba


Bosega


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Cantaro o Tanuta


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Ghiozzo paganello


Grongo


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Lanzardo


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Musdea o mostella


Mazzola o Gallinella


Melù o Potassolo

Murena


Nasello


Occhiata


Ombrina


Orata


Pagello o Fragolino


Pagro comune o mediterraneo


Palamita o Tonnetto


Palombo


Palombo stellato


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Pesce Spada


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Potassolo o Melù


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Rombo Chiodato


Rombo Giallo


Rombo Liscio o Soaso


Rombo Quattrocchi


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