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Tiziano Terzani

Italiana


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Tiziano Terzani nasce a Firenze nel 1938. Compiuti gli studi a Pisa, mette piede

per la prima volta in Asia nel 1965, quando viene inviato in Giappone dall'Olivetti per tenere alcuni corsi aziendali. La decisione di esplorare, in

tutte le

sue di-

mensioni, il continente asiatico si realizza nel 1971, quando, ormai



giornalista, si

stabilisce a Singapore con la moglie (la scrittrice tedesca Angela Staude) e i

due

figli piccoli e comincia a collaborare con il settimanale tedesco Der Spiegel

come corrispondente. Nel 1973 pubblica il suo primo volume: Pelle di leopardo,

dedicato alla guerra in Vietnam. Nel 1975, rimasto a Saigon insieme con pochi

altri giornalisti, assiste alla presa del potere da parte dei comunisti, e da

questa

esperienza straordinaria ricava Gai Pbong! La liberazione di Saigon, che viene

tradotto in varie lingue e selezionato in America come Book of th Month. Nel

1979, dopo quattro anni passati a Hong Kong, si trasferisce, sempre con la famiglia, a Pechino. Nel 1981 pubblica Holocaust in Kambodscha, frutto del

viaggio a

Phnom Penh compiuto subito dopo l'intervento vietnamita in Cambogia. Il lun-

go soggiorno in Cina si conclude nel 1984, quando Terzani viene arrestato per

attivit. controrivoluzionaria e successivamente espulso. L'intensa esperienza

cinese, e il suo drammatico epilogo, da origine a La porta proibita (1985),

pubbli-

cato contemporaneamente in Italia, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Le tap-

pe successive del vagabondaggio sono di nuovo Hong Kong, fino al 1985; Tokyo,

fino al 1990 e poi Bangkok. Nell'agosto del 1991, mentre si trova in Siberia con

una spedizione sovietico-cinese, apprende la notizia del golpe anti-Gorbacv e

decide di raggiungere Mosca. Il lungo viaggio diventer. poi Buonanotte, signor

Lenin (1992), che rappresenta una fondamentale testimonianza in presa diretta

del crollo dell'impero sovietico. Un posto particolare nella sua produzione

occu-

pa il libro successivo: Un indovino mi disse, che racconta di un anno (il 1993)

vis-

suto svolgendo la normale attivit. di corrispondente dall'Asia senza mai pren-

dere aerei. Nel 1998 pubblica In Asia, un libro a met. tra reportage e racconto

autobiografico, che traccia un profilo esaustivo degli eventi che hanno segnato

la storia asiatica degli ultimi trent'anni. Nel marzo 2002 interviene nel dibattito

se-guito all'attentato terroristico di New York dell'11 settembre 2001 pubblicando le Lettere contro la guerra.

Conclusasi la sua collaborazione trentennale con il settimanale Der Spiegel, vi-ve attualmente in India, per lo pi- ritirato in una localit. ai piedi dell'Himalaya.

Nelle edizioni TEA sono stati pubblicati: Buonanotte, signor Lenin, In Asia, Un indovino mi disse, Pelle di leopardo, La porta proibita e Lettere contro la guerra.

Tiziano Terzani

La porta proibita

TEA

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A Folco e Saskia

cui ho imposto

il mio amore per la Cina

Prefazione all'edizione 1998

fare la Cassandra non un ruolo piacevole e certo non consola, col passar del tempo, accorgersi d'aver avuto ragione a prevedere il peggio.Sono passati quattordici anni da quando questo libro, frutto di vari viaggi e di un lungo soggiorno da giornalista straniero in Cina, venne pubblicato, ma non mi da alcuna gioia constatare oggi che molto di quel che allora avevo, solo intuitivamente, temuto s' nel frattempo avverato e che molte delle conclusio-ni cui ero arrivato in teoria, da osservatore, si sono nel frattem-po verificate nella realt..

Dalla primavera del 1984, quando venni arrestato, rieduca-to e alla fine espulso, la Cina stata teatro di straordinari sconvolgimenti: il sistema dittatoriale maoista, fondato sull'e-gualitarismo, stato sostituito da uno, ugualmente dittatoria-le, ma fondato sulla logica capitalista; la vecchia ideologia del Servire il popolo stata rimpiazzata da quella di Arricchirsi glorioso. Alla liberalizzazione del sistema economico non seguita la liberalizzazione del sistema po-litico e il Partito Comunista, diventato sempre pi- un'orga-nizzazione nepotista e mafiosa, mantiene il monopolio del potere. Ogni richiesta di maggiore democrazia stata repres-sa. Nel 1989 la repressione stata durissima e plateale col massacro di alcune centinaia di giovani disarmati sulla piaz-za Tienanmen.

L'economia, nel frattempo, esplosa a un ritmo che ha im-pressionato ed entusiasmato il mondo occidentale, ma anche in un modo che ha ricreato le condizioni di diseguaglianza tipiche della Cina pre-rivoluzionaria e ha condotto il paese sull'orlo di un disastro ecologico, le cui avvisaglie si son viste con i recen-ti, spaventosi allagamenti.

Quel che della Cina appare positivo ai nuovi saggi inter-

nazionali - gli operatori economici e gli analisti delle societ.

finanziarie globali - non necessariamente positivo per i cinesi

delle campagne e dei villaggi dove, tutto sommato, vive ancora

la stragrande maggioranza della popolazione. Le grandi citt. ci-

nesi vantano oggi centinaia di nuovi grattacieli (molti vuoti ed

inutilizzati, come a Shanghai), i giornali scrivono deliziati dei

nuovi miliardari, ma il paese pi- che mai instabile, senza idee

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e senza un grande progetto per il futuro. Da Cassandra facile prevedere ulteriori disastri.

Ho accettato l'idea del mio editore, Mario Spagnol, di ripub-blicare questo libro non solo perch' colma un vuoto - quello dei reportage cinesi - lasciato nel volume In Asia, ma soprat-tutto perch' tutto quel che succede oggi - e succeder. domani - ha le sue radici in quegli anni in cui io e un altro piccolo, for-tunatissimo gruppo di giornalisti avemmo la possibilit. di vive-re fra i cinesi.

In quegli anni divenne per la prima volta chiaro quel che era stato il progetto maoista e come era fallito. In quegli anni avvenne la grande svolta; se ne capirono le ragioni, se ne vi-dero i grandi vantaggi, ma anche le prime, preoccupanti con-seguenze.

Arrivai a Pechino e fui colpito da come quella straordinaria citt., mutilata una volta dalle pretese urbanistiche dei comu-nisti, veniva distrutta una seconda volta dalle irrispettose esi-genze di una forma di modernit. che cominciava a essere im-portata dall'Occidente. Ne scrissi con disperazione, sperando che qualcuno fermasse quel delitto. Oggi posso solo constata-re che quell'opera di annientamento di Pechino, meraviglia del mondo, stata portata a compimento nell'indifferenza ge-nerale.

Scrissi della colonizzazione cinese del Tibet e della necessit. di salvare l'anima di quella vecchia, diversa cultura. Oggi, a Lhasa, la loro capitale, i tibetani sono una semplice minoranza etnica e in generale s'apprestano a diventare una razza in via d'estinzione.

Scrivevo che uno degli effetti della ri-privatizzazione del-l'agricoltura era l'erosione dello spirito collettivo e con ci. del-le... dighe il cui mantenimento aveva per secoli asservito i ci-nesi, ma ne aveva anche garantito la sopravvivenza. Oggi le co-muni popolari sono state smantellate, la terra restituita ai con-tadini, l'idea del nostro rimpiazzata da quella molto pi- na-turale, ma anche pi- disastrosa, del mio, ed ecco che le di-ghe cedono. Le alluvioni che colpiscono vaste zone e minaccia-no di sommergere grandi citt. come Wuhan, con milioni di abi-tanti, sono soltanto la punta di uno spaventoso iceberg rappre-sentato dall'incuria con cui ormai viene gestito tutto ci. che prima era comune e non privato.

In quegli anni descrivevo un paese confuso fra vecchio e

nuovo, sempre pi- insicuro delle sue radici culturali: una sorta di enorme zattera alla deriva appesantita dalla zavorra di un ca-davere, quello di Mao. ancora cos, anzi peggio, e Mao, mai sottoposto a un vero giudizio storico, sempre l a pesare sul-l'anima della Cina, nel suo mausoleo, circondato ora da un nu-mero crescente di negozietti di souvenir.

Il passato un'indispensabile guida per chi vuol visitare il presente o immaginarsi il futuro. In tutti i miei viaggi mi porto sempre dietro i libri di qualcuno che ha percorso quella strada prima di me. Non solo mi fanno compagnia, ma me ne servo come termine di paragone, come misura di quel che vedo. Allo stesso modo pu. essere utile questo libro di quattordici anni fa per chi voglia viaggiare Tisicamente, o anche solo di testa, nella Cina di oggi.

Io stesso ci sono tornato varie volte a confrontare e aggior-nare le mie impressioni di un tempo. Ci andai nel 1989, di nascosto, fingendomi turista, per non perdere le grandi mani-festazioni per la democrazia e il seguito del massacro. Ci tor-nai nel 1993, l'anno in cui non volavo per evitare un incidente aereo nel quale - secondo un indovino cinese - sarei dovuto morire. Allora attraversai il paese in treno da sud a nord, fer-mandomi nelle citt. meno visitate dai turisti. Ho rivisto la Ci-na nell'estate 1997, andando a vivere per due mesi a Hong Kong durante il passaggio della colonia inglese sotto la sovra-nit. di Pechino.

Ogni volta mi ha colpito il vedere come le vecchie contrad-dizioni della Cina - quelle classiche fra citt. e campagna, fra zone costiere e zone dell'interno - non sono state risolte, ma anzi aggravate, dalla nuova politica; ogni volta mi ha colpito il vedere come, mentre il paese in generale si sviluppa e si ar-ricchisce, parti enormi di popolazione si impoveriscono e perdono quella garanzia di minima sopravvivenza che avevano un tempo. La ristrutturazione economica, per esempio, ha messo pericolosamente in giro una enorme massa vagante di operai in cerca di lavoro a giornata. Si tratta di 120 milioni di persone che, fino a quando l'economia tira, contribuiscono alle finanze delle famiglie lasciate nelle campagne, ma il giorno in cui la ristrutturazione dovesse fallire potrebbero, per disperazione, di-ventare la miccia che appicca il fuoco agli agglomerati urbani in cui sono ora accampati.

Con la svolta voluta da Deng Xiaoping, la Cina, come tutti

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gli altri paesi dell'Asia, s' messa sulla via dello sviluppo indi-cata dall'Occidente. Come tutti gli altri paesi, anche la Cina ha accettato questa come l'unica forma di modernit. possibile e ha deciso che l'essere parte del mondo globale, propugnato innan-zitutto dagli Stati Uniti, l'unica alternativa politica. Eppure la modernit., come ogni forma di sviluppo, non pu. che essere frutto di una cultura, di una esperienza, di un proprio cammino e non pu. bastare importare dall'estero modelli e fabbriche, non pu. bastare mettere le proprie masse di operai sottopagati al servizio di capitali stranieri, interessati solo a produrre cose utili a se stessi, per sviluppare davvero un paese antico e diver-so come la Cina.

Le conseguenze sociali del perseguimento di una politica ora tutta puntata sul profitto e determinata solo dalle regole del mercato sta producendo in Cina gli stessi scompensi e gli stessi sconquassi sociali che si sono visti in altri paesi del Sud-Est asiatico. Per il momento, per., la Cina, pur avendo gi. le de-formazioni strutturali che hanno portato quei paesi alla crisi - la corruzione dilagante, la natura nepotistica del capitalismo, un sistema bancario instabile - sembra sfuggire alla ultime conse-guenze: la speranza generale - specie in Occidente - che la Cina si salvi e con ci. salvi tutti.

E se non succedesse? E se questo modello di modernit. non desse i risultati sperati? E se la globalizzazione, tanto vantata come panacea di tutti i mali, come unico antidoto contro guerre e conflitti, fallisse? La reazione nella Cina che - non va mai dimenticato - immensa e rappresenta sempre un quarto dell'umanit., potrebbe essere pericolosissima perch' sarebbe principalmente una reazione di rigetto, di rigetto di tutto quel che importato, che occidentale.

La fine del miracolo asiatico ha ammansito tutte le ti-gri , ma non affatto sicuro che lo stesso succederebbe con il drago cinese. Al contrario. La Cina una grande potenza, armata nuclearmente e non avrebbe altra via per ritrovare una sua coesione interna che quella dell'arroganza nazionalisti-ca. In questo senso la Cina rappresenta una mina vagante di cui impossibile non preoccuparsi.

Anche se il peggio fosse evitabile, gi. terribilmente triste vedere la Cina che rinuncia progressivamente alla sua diversit. per diventare sempre di pi- un paese come tutti gli altri. tri-ste per moltissimi cinesi ed triste per certi stranieri come me che, non avendo mai visto la Cina come un grande mercato, ma come una diversa esperienza di civilt., hanno speso anni a cer-care di capirla, finendo per averci una storia che stata anche una storia d'amore. t.t.

Orsigna, settembre 1998

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prefazione

diventai Deng Tiannuo nel 1968.

A quel tempo la Cina era nel mezzo della Rivoluzione Culturale e Mao a Pechino era la scintilla che accendeva la fantasia della giovent- occidentale ispirata dal suo messaggio antiauto-ritario.

Vista da lontano, la Cina appariva come il paese pi- creativo e Mao un genio impegnato nel pi- grande esperimento di inge-gneria sociale che l'umanit. avesse mai tentato: la ricerca di una societ. pi- giusta e pi- umana.

Da che mondo mondo le giovani generazioni si sono sem-pre lasciate affascinare dalle idee nuove e spesso hanno dimen-ticato di considerare le conseguenze che quelle causano nella pratica. La mia generazione non fu da meno e molti furono af-fascinati dalla grande illusione rappresentata da Mao e dalla sua Cina. Se il nostro era un mondo vecchio e imperfetto, se le spe-ranze del passato erano state frustrate, ecco una nuova occasio-ne. La Cina non sarebbe stata un'altra Unione Sovietica o un'altra Cuba. La Cina era qualcos'altro. E cos la Cina divenne un mito, appunto il mito dell'altro.

Io volli andare a vederlo coi miei occhi e mi preparai stu-diando la lingua, la storia, la politica cinese e dandomi un nome cinese, Deng Tiannuo, in modo da essere meno straniero quan-do mi fosse finalmente toccato di vivere fra cinesi. Mi ci vollero anni di attesa, perch' a quel tempo solo pochi fidati ed eletti venivano ammessi in paradiso . Dovetti aspet-tare che Mao morisse e che Deng aprisse le porte della Cina per far rotta con la famiglia verso Pechino.

Ci arrivai nel gennaio 1980 e mi fu subito chiaro che la real-t. era meno affascinante dei sogni. Andai a cercare quella spe-ciale forma di socialismo che si diceva fosse stata costruita in Cina, ma non trovai che le rovine di un esperimento fallito ma-lamente. Andai a cercare quella nuova cultura che doveva esser nata dalla rivoluzione e non trovai che i mozziconi di quella vecchia, splendida cultura che nel frattempo era stata sistema-ticamente distrutta.

Fra le varie porte che Deng aveva aperto c'erano anche quelle dei campi di

concentramento dei campi di rieducazione at-

traverso il lavoro in cui almeno venti milioni di intellettuali

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erano finiti a causa del loro disaccordo col regime. Incominciai cos a incontrare quelle che erano state le vittime della follia di Mao e ben presto capii che il sogno di Deng Tiannuo era stato l'incubo della Cina.

Leggere, a tavolino, nell'ovattata atmosfera della Columbia University a New York, gli slogan di Mao, tipo: Non tagliate le teste della gente perch' non sono come i cavoli che ricresco-no era stato di grande ispirazione; diverso era scoprire, sul posto, che un sacco di teste erano state tagliate, che un sacco di gente era stata torturata e che, alla fine della cosiddetta Ri-voluzione Culturale , la Cina era ridotta a un deserto affollato da gente impaurita e disorientata.

Al contrario di quella di Mao, la Cina di Deng Xiaoping si lasciava vedere da vicino. La gente parlava quasi liberamente e per un po' persino i muri raccontavano storie di ci. che era ve-ramente accaduto. Il muro della democrazia divenne una delle migliori fonti.

Fu un momento particolare, un'occasione unica che non si poteva perdere e cos viaggiai, viaggiai dovunque mi fu possi-bile, dall'angolo pi- occidentale della Cina, nella provincia del Xinjiang, alla punta pi- orientale, nella provincia dello Shan-dong, dalla Manciuria del Nord all'isola tropicale di Hainan nel Sud. Non sempre fu facile, perch' l'atteggiamento dei fun-zionari comunisti cinesi non era in fondo molto diverso da quello del mandarino dell'Ottocento che, incontrando per la pri-ma volta uno straniero che parlava cinese, si rivolse al proprio sguito e chiese: Chi il traditore che gli ha insegnato la no-stra lingua? Tentai di vivere in una normale casa cinese, in un quartiere cinese, ma mi fu assolutamente impossibile. Gli stranieri posso-no abitare solo entro il recinto del cosiddetto quartiere diplo-matico, le cui porte d'ingresso sono giorno e notte guardate da poliziotti armati e dove ogni movimento di chi entra e di chi esce viene registrato.

Cercai di conoscere dei cinesi, di avere rapporti con loro, ma anche questo si dimostr. complicato perch' ogni contatto non ufficiale fra uno straniero e un cittadino della Repubblica Po-polare Cinese un contatto illegale, anche se nessuno ricor-da la legge che sostiene questo.

Un anziano e colto signore, che avevo incontrato un paio di volte poco dopo essere arrivato a Pechino e da cui volevo prendere lezioni di calligrafa, mi fece sapere, attraverso un comune conoscente, che non dovevo pi- farmi vivo con lui. Era stato chiamato dalla polizia e gli era stato detto che poteva, si, con-tinuare a vedermi, ma a condizione che ogni volta scrivesse un rapportino su quanto s'era fatto e s'era detto. Per lui questa era un'umiliazione troppo grossa e cos non ci si vide pi-. Nella Cina di oggi un giornalista straniero che voglia incon-trare un qualsiasi funzionario o semplicemente vedere uno scrit-tore, un pittore, un professore universitario o un operaio di una fabbrica deve anzitutto presentare una domanda scritta a un ap-posito ufficio. Se il permesso viene accordato, l'incontro si svolge nella solita stanza dei ricevimenti che ogni ufficio, fab-brica, scuola, ospedale o caserma possiede, dove tutti stanno seduti su poltrone coi pizzi bianchi, alla presenza del segretario del partito locale, con qualcuno che prende nota delle domande e delle risposte. Questa procedura mi fece presto passare la voglia di incontrare la gente passando per la via ufficiale e cos mi misi alla ricerca di una mia via per conoscere la Cina. Cominciai a viaggiare in treno, ma non negli speciali scom-partimenti a sedili morbidi per stranieri, bens in quelli a sedili duri dove stanno i cinesi. Cominciai a girare in bici-cletta attraverso le province incontrando cos gente comune, ascoltando semplici contadini che raccontavano le storie dei lo-ro villaggi e delle loro famiglie. Essendo interessato ai vecchi giochi e passatempi di Pechino, mi misi ad allevare grilli e piccioni e a frequentare i piccoli mercati della capitale, dove in-contravo regolarmente dei vecchi che m'insegnavano quell'arte antica di fare concerti con gli animali.

Lentamente venni a conoscere una splendida, umana Cina, una Cina su cui non avevo molto sognato, ma una Cina molto pi- vera e particolare di quella che i funzionari del governo e la stampa del regime presentavano al mondo esterno. In questo modo feci anche le mie piccole scoperte: in Tibet, per esempio, mentre il resto del gruppo con cui ero costretto a viaggiare andava a visitare la solita fabbrica Bandiera Ros-sa, io, con una bicicletta presa in prestito, riuscii, da solo, a raggiungere il posto dove avvenivano i funerali del cielo, un'antichissima cerimonia che le guide cinesi dicono non esista pi- e in cui i corpi dei morti tibetani vengono tagliati a pezzi e dati in pasto agli avvoltoi.

Ma, cos facendo, lentamente mi allontanai dalla via che mi

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era stata assegnata e, come nella favola del castello magico in cui l'ospite sa che pu. fare tutto tranne che aprire una certa porta perch' altrimenti libererebbe gli spiriti malvagi, io non potei che aprire quella porta. E puntualmente gli spiriti malvagi mi saltarono addosso.

Dopo pi- di quattro anni in Cina, fui arrestato, interrogato e per un intero mese, come fossi un cinese, fui rieducato. Eppure, proprio perch' venni trattato come un cinese, mi fu data la straordinaria possibilit. di un ultimo, eccezionale viaggio: que-sta volta nel cuore di tenebra della Cina. Improvvisamente mi trovai come inghiottito nel ventre della balena e costretto a fare l'esperienza di quel potere poliziesco di cui avevo solo sentito parlare e che, nonostante gli enormi cambiamenti avvenuti di recente nel paese, resta il terrore di un miliardo di cinesi. Alla fine, accusato di un crimine che non avevo commesso, fui espulso.

Lu Xun, il grande scrittore della Cina prerivoluzionaria, l'a-veva gi. detto alcuni decenni fa: Quando vuoi affogare un ca-ne, accusalo d'avere la rabbia. La mia rabbia stata la pre-tesa di rompere il muro che mi separava dalla realt. del paese. Il mio crimine stato quello di aver scritto di una Cina non addomesticata. Il mio crimine stato l'aver cercato una via d'u-scita dal labirinto di proibizioni e tab- che avrebbero dovuto tenermi lontano dalla gente.

Il mo crimine stato l'aver provato a essere un uomo fra uomini, l'aver cercato di scrollarmi di dosso quell'insopportabi-le sensazione di essere sempre uno straniero fra cinesi.

Hong Kong, 1984

Liberi d volare, ma solo in gabbia

La Cina di Deng Xiaoping al centro del centro della Cina c' un cadavere che nessuno ha il coraggio di portar via. Avvolto nella bandiera rossa del par-tito, protetto in una bara di vetro, dentro un enorme mausoleo in mezzo alla piazza della Pace Celeste, il corpo imbalsamato di Mao rappresenta il legame simbolico della Cina di oggi col suo passato, ma anche il punto di riferimento per il suo futuro. Deng Xiaoping, l'uomo che ha preso il posto di Mao alla testa del paese, ha messo il cielo in terra e la terra in cielo, come dicono i cinesi per descrivere gli immensi mutamenti che sono avvenuti sotto di lui, ma si fermato dinanzi a questo im-ponente monumento di marmo e granito in cui sono stati mu-rati, a uso dei posteri, i princpi ideologici della Cina. Al contrario di Mao, Deng Xiaoping non scrive di poesia, la sua filosofia semplice buonsenso. Al contrario di Mao, non ha fatto mettere n' statue n' ritratti di s' in giro per il paese, ma nei sette anni in cui stato al potere ha dimostrato di essere uno dei pi- grandi rivoluzionari che la Cina abbia conosciuto perch' ha tirato gi- quel che Mao aveva messo in piedi, ha lodato quel che Mao aveva deprecato, ha cercato di ricostruire quel che Mao aveva distrutto.

Nella sua follia, per., Mao aveva avuto una logica: era con-vinto che la rivoluzione avesse sprigionato tali e tante energie da far s che i cinesi potessero avventurarsi su strade che nessun altro popolo aveva esplorato in cerca di giustizia e di felicit.. Per questo sbarr. la Cina a qualsiasi influenza ..tramer. e tent. di costruire una societ. completamente nuova, una societ. in cui ognuno, secondo le sue capacit., avrebbe dovuto dare il me-glio di s' per il bene comune. Il suo progetto fall e, con la Rivoluzione Culturale, Mao coinvolse il paese in una disastrosa guerra civile.

La situazione che Deng Xiaoping si trov. a ereditare era

drammatica: i contadini scontenti, le minoranze riottose lungo

le frontiere, gli intellettuali delusi, i giovani incolti, l'esercito

debole e il paese isolato sulla scena internazionale. Ci voleva

coraggio per raccogliere i cocci di questo disastro e fare i conti

con un'utopia che tutto sommato aveva ispirato e coinvolto milioni

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di persone, specie i giovani. Deng ebbe questo coraggio e, da vecchio con un'enorme fretta (Deng ha oggi ottant'anni), si mise al lavoro con le sue riforme.

Mao aveva dato pi- peso alla politica che all'economia, con-dannando con ci. la Cina al sottosviluppo. Deng rovesci. que-sta priorit. lanciando le sue Quattro Modernizzazioni . Con l'idea di costruire la sua nuova societ., Mao aveva perseguito, come altri rivoluzionari del suo tipo, da Stalin a Polpot, il piano, profondamente sacrilego, di creare un uomo nuovo. Deng, avendo visto i disastri cui questa idea aveva portato, restitu l'uomo alla natura, liberandone gli istinti. Mao aveva insistito sugli incentivi spirituali anzich' su quelli materiali, Deng parl. subito di migliorare il livello di vita del-la gente. Da quando Deng al potere non c' un aspetto della vita cinese che non sia stato toccato o cambiato dalla sua poli-tica, e la Cina di Deng Xiaoping si presenta ormai anche fisi-camente diversa da quella di Mao.

La Cina di oggi un paese come tanti altri in cui la gente parla, in cui i giovani portano abiti colorati, in cui gli amanti si abbracciano, in cui i bambini, alla domanda: cosa vuoi fare da grande? rispondono: il pilota, il dottore, il macchini-sta e non, come dicevano fino a poco tempo fa: quel che vorr. il partito.

Il panorama delle grandi citt. cinesi si arricchito con le sagome dei vasti blocchi di appartamenti e dei grattacieli vo-luti da Deng Xiaoping. Le campagne non si presentano pi- come un'unica distesa di un solo colore, ora che i campi sono divisi in tanti appezzamenti in cui ogni famiglia coltiva quel che vuole.

L'immagine propagandistica di Mao era un gruppo di conta-dini sorridenti seduti in circolo a studiare l'ultimo editoriale del Quotidiano del Popolo. Quella di Deng, ugualmente falsa, ma nondimeno significativa, apparsa recentemente in tutti i gior-nali cinesi: una famiglia contadina che sta in piedi, piena di or-goglio, accanto all'automobile giapponese appena comprata. Deng ha rovesciato, contraddetto, rimodellato tutto ci. che era stato tipico di Mao. Una sola cosa, per., non ha toccato: la cornice ideologica nella quale il paese si muove. Il marxi-smo-leninismo e il pensiero di Mao restano i princpi guida del paese e il Partito Comunista cinese resta il centro monopo-listico di tutto il potere. Per questo, pur apparentemente ardite, le riforme di Deng vengono ridimensionate o addirittura cancel-late ogni volta che esse minacciano i princpi. Per questo le li-bert. che sono state appena concesse vengono di nuovo elimi-nate ogni volta che viene messa in discussione l'indiscutibile legittimit. del partito a governare l'intero paese. Uno dei pi- decisivi passi di Mao verso la sua utopia fu la fondazione delle Comuni Popolari, nel 1958. Una delle mosse pi- coraggiose, e per questo pi- cariche di conseguenze, di Deng Xiaoping stata appunto quella di smantellare le Comuni liberando cos i contadini dalle restrizioni collettivistiche e dan-do il via alle enormi energie imprenditoriali finora represse di milioni di persone.

I risultati sono stati impressionanti: la produzione agricola aumentata a un ritmo doppio di quello degli ultimi vent'anni, la manodopera, in passato superflua, si riversata nelle varie attivit. private; mercatini privati sono sorti in ogni parte del paese e l'introduzione della moneta fra i contadini ha trasformato improvvisamente le campagne in un gigantesco mercato nero in beni di consumo. Mao ci ha liberato. Deng ci ha fatto ricchi , suona uno de-gli slogan pi- comuni che si vedono nelle campagne. Trent'anni fa stavamo con una vacca, ora stiamo in una ca-sa a due piani, scrivono i contadini sui muri delle loro nuove abitazioni appena finite.

Quanto durer. questo cosiddetto sistema della responsabilit.? Gli appezzamenti di terra, dati ai contadini in gestione priva-ta sulla base ai contratti annuali, sono gi. sfruttati al massimo. Per mantenere l'attuale tasso di crescita occorrono investimenti, ma i contadini non sono affatto disposti a mettere soldi nella terra che non appartiene loro. Deng per questo si trova di fronte a una semplice scelta: o lascia che le forze di mercato facciano il loro gioco e permette ai contadini di successo di ingrandire i 'oro appezzamenti a scapito dei loro vicini meno abili, o lascia che sia lo Stato a razionaiizzare l'agricoltura combinando piccoli appezzamenti in appezzamenti pi- grandi, ma dando cos il via a quel processo di collettivizzazione che fu introdotto negli anni '50 e la cui reintroduzione preoccupa i contadini pi- di ogni altra cosa.

Lo stesso vale per il settore privato dell'economia. Mao l'aveva abolito. Deng non solo lo ha riammesso, lo ha persino incoraggiato:

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ora ci sono in Cina ristoranti, alberghi e caff pri-vati, ci sono sarti, parrucchieri, medici, commercianti privati, ci sono imprese di costruzione e di trasporto private, ci sono scuo-le private. Tutte queste attivit. impiegano milioni e milioni di persone, specie giovani che sarebbero altrimenti disoccupati o sottoimpiegati. La logica interna a queste imprese crescere e svilupparsi, ma non ci sono finora leggi che ne stabiliscano i limiti e che ne garantiscano il diritto alla sopravvivenza. Il con-cetto di fondo, ripetuto costantemente dai dirigenti comunisti, che l'economia deve rimanere socialista mentre il settore priva-to deve muoversi nella cornice del piano nazionale. come un uccello, mi ha detto uno degli economisti di punta di Pechino, libero di volare, ma solo in gabbia.

Mao aveva una visione di come la Nuova Cina avrebbe do-vuto essere. Deng non ne ha alcuna e molte delle sue riforme sono esperimenti fatti per risolvere ora questo ora quel proble-ma, ma senza l'intenzione di accettarne tutte le conseguenze. Deng vede per esempio la necessit. di importare tecnologia oc-cidentale, ma non intende importare l'ideologia che l'ha prodot-ta. Per questo da la sua approvazione alla campagna contro l'inquinamento spirituale.

Per pacificare le minoranze e rifarsi un po' di rispettabilit. con l'opinione pubblica internazionale, Deng proclama la libert. di religione, ma vuole che questa libert. sia limitata a religioni come l'islam, il lamaismo, il cristianesimo, che coin-volgono un numero limitato di abitanti; non vuole affatto che questa ritrovata libert. provochi una rinascita e una rifioritura del buddismo e del taoismo, che sono le religioni tradizionali delle masse cinesi e per questo le pi- pericolose. Deng vuole sviluppare l'industria, ma non vuole dare tutto il potere decisionale ai manager e ai tecnici. L'ultima parola ha ancora da essere del segretario del partito.

Deng si rende perfettamente conto che non ci pu. essere mo-dernizzazione se non c' partecipazione degli intellettuali, ma non vuole dare loro la libert. di pensare e di esprimere le pro-prie opinioni. Ogni volta che costoro provano a mettere in di-scussione il potere e le sue decisioni, vengono immediatamente messi a tacere.

Deng affascinato, incuriosito dal capitalismo e dai suoi ov-vi successi e per questo da ordine di studiarlo, di sperimentarne i metodi, ma nelle due scuole di management, appena aperte a Shanghai e a Dairen, dove giovani cinesi dovrebbero imparare la scienza capitalistica, fra le materie di studio ci sono anche il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao. Quel che Deng Xiaoping vuole migliorare il sistema socialista, per renderlo pi- efficiente, quali che siano i mezzi, ma non vuole certo cam-biarlo n' tantomeno fare della Cina un paese capitalista. Questo ci. che l'Occidente, nell'entusiasmo d'aver risco-perto la Cina come un enorme mercato e anche come un poten-ziale alleato contro l'Unione Sovietica, tende a dimenticare: la Cina di Deng Xiaoping e vuol restare un paese comunista. Come tale, il sistema cinese ha alla lunga molta pi- affinit. col sistema sovietico che con quello europeo, americano o giap-ponese. Cos come la sinistra si fece incantare dal maoismo, la destra si fa oggi incantare dal denghismo. I cinesi restano i pi-grandi illusionisti del mondo. Solo l'illusione cambia. Mao mor il 9 settembre 1976. Un mese dopo, nel corso di un ben concepito e ben eseguito colpo di Stato da parte della vecchia guardia nel partito e nell'esercito, venne arrestata quel-la che i cinesi e per questo tutti gli altri ora chiamano la Ban-da dei Quattro. Un punto per. deve essere chiaro: la Banda dei Quattro come tale non mai esistita ed una pura inven-zione di Deng Xiaoping per poter addebitare tutti i crimini del-la Rivoluzione Culturale a un numero limitato di persone, ap-punto quattro, fra cui la vedova di Mao, invece che al vero col-pevole, cio il Partito Comunista cinese con i suoi milioni d membri.

Col colpo di Stato e con la successiva campagna di accuse contro i radicali maoisti, si ebbe l'impressione che in Cina si fosse all'alba di una nuova era. Il togliere i ritratti di Mao dagli edifci pubblici, l'annunciare che i criminali del passato sareb-bero stati processati e puniti, come le aperte discussioni sugli errori della Rivoluzione Culturale e la libert. di dire la sua al muro della democrazia fecero credere a moltissima gente, sia in Cina sia all'estero, che Deng Xiaoping volesse davvero voltare pagina e scrivere un capitolo completamente nuovo della storia cinese.

Alcuni arrivarono persino a pensare che il monopolio di potere e di verit.

detenuto dal partito comunista fosse

finto, e un giovane dissidente, Wei Jingsheng, ebbe il coraggio di invocare

pubblicamente la quinta modernizzazione , la democrazia, senza la quale -

diceva lui - le altre quat-

r non avrebbero mai potuto essere realizzate. Era stato Deng

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Xiaoping a far aprire il muro della democrazia, e fu lui a farlo chiudere e a mandare Wei Jingsheng in galera per quin-dici anni.

La Primavera di Pechino , come quel breve, ma intensissi-mo periodo di libert. fin per essere chiamato, termin. alla svelta, e quella produzione artistica e letteraria che era sboccia-ta fra il 1979 e il 1980 riaffond. presto nell'ottusit. dell'orto-dossia.

La privatizzazione dell'economia e la rottura del modello so-ciale di produzione collettiva in cui ognuno era il poliziotto del-l'altro, per., avevano definitivamente allentato i controlli sulla popolazione, e questo costrinse Deng Xiaoping a mettere in atto la quinta modernizzazione, non, per., quella voluta da Wei Jingsheng, bens la modernizzazione dell'apparato poliziesco del paese. Deng ha diviso il vecchio ministero della Pubblica Sicurezza in due corpi separati: uno incaricato come prima del-la popolazione locale; l'altro, con competenza sugli stranieri in Cina, dello spionaggio e del controspionaggio. Intere unit. del-l'Esercito di Liberazione Popolare sono state trasferite sotto il comando dei due nuovi corpi di polizia, cui sono stati ugual-mente messi a disposizione ingenti capitali.

Il modello ideologico e strutturale di questi nuovi organi quello del kob sovietico. I metodi usati sono gli stessi. Proprio perch' la Cina si ora aperta al mondo e proprio perch' sempre pi- cinesi vengono in contatto con stranieri e con idee straniere, i controlli politici e la repressione debbono essere pi- severi. Da qui l'aumentato potere degli organi di polizia e la recente ondata di esecuzioni in tutta la Cina.

Molte delle speranze del 1978-79 si sono dimostrate dunque delle illusioni. Eppure il regime di Deng Xiaoping resta popo-lare specie perch' la gente si rende conto che le uniche alterna-tive sono qualcosa di peggio: il ritorno all'ideologia radicale del maoismo, sotto forma di una dittatura militare poliziesca, o il semplice caos.

Questa la ragione per la quale la gente sta dietro a Deng, ed per questo che l'unica opposizione al suo regime viene dal-l'interno del regime stesso, vale a dire dai ranghi dell'esercito e del partito dai quali Deng non ancora riuscito a sradicare completamente i seguaci dei radicali.

I simpatizzanti del passato maoista in Cina sono ancora moltissimi e si trovano appunto nelle due strutture da cui il regime dipende. Al momento si camuffano, si tengono nascosti, ma aspettano solo l'occasione di rialzare la testa e rifare i conti con la loro storia. La guerra per bande che fu caratteristica della Rivoluzione Culturale non affatto finita. Le bande esistono ancora come vere e proprie societ. segrete, tenute assieme da vecchie realt. e vecchi compromessi.

Grazie al suo prestigio personale, Deng finora riuscito a tenere a bada queste forze oscure all'interno del suo regime. Se, una volta morto Deng, i suoi eredi designati, Zhao Ziyang alla testa del governo e Hu Yaobang alla testa del partito, riusciranno a fare lo stesso resta una domanda senza risposta. Il tempo ha in questo un ruolo importante e gioca a favore di Deng Xiaoping perch' pi- lui rimane e pi- aumentano le possibilit. di sopravvivenza dei suoi eredi. Se solo Deng potesse campare ancora cent'anni , si sente dire dalla gente preoccupa-ta della mortalit. di Deng. Quando quel giorno verr., Deng la-scer. ai suoi successori una Cina in migliori condizioni di quel-la che lui si trov. a ereditare. Solo che sar. una Cina senza pi-alcuna fede e senza ideali.

Con la sua folle utopia, Mao aveva, almeno all'inizio, ispi-rato la gente, alcuni li aveva fatti sognare. I giovani avevano davvero creduto di essere all'avanguardia di un movimento ri-voluzionario che avrebbe spazzato il mondo. Per la rivoluzio-ne si poteva morire, mi ha detto un giorno un trentenne ex Guardia Rossa, ma ora si potrebbe morire per un frigorifero? La vecchia Cina era un mondo a s' che si credeva il centro dell'universo. Tenendola chiusa e protetta da ogni influenza esterna, mentre al suo interno cercava di costruire una societ. nuova e completamente cinese, Mao Tsetung aveva continuato a perseguire questa finzione. Aprendone le porte sul mondo, Deng ha rotto l'incantesimo e ora la Cina deve penosamente accettare il fatto di essere quello che : semplicemente un paese sottosviluppato, anche se il pi- grande di tutti. La vecchia Cina morta, la nuova Cina di Mao non mai nata e quella di Deng, avendo rinunciato appunto a essere un universo a s', lotta ora per diventare, al massimo, una copia del resto del mondo. I cinesi si meriterebbero davvero di pi-.

Tutti e due in seguito epurati dallo stesso Deng Xiaoping che ha poi scelto come successore Jiang Zemin. (N.d.A.)

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Gi. strano, quando nelle grandi occasioni socialiste i cinesi mettono sulla piazza Tienanmen i quattro ritratti di Marx, En-gels, Lenin e Stalin, pensare a come questo grande paese con tutta una sua enorme storia e cultura sia dovuto ricorrere alle idee di questi quattro estraneissimi signori occidentali per cer-care la cura dei suoi mali. Ancor pi- triste vedere come i ci-nesi, che certo possiedono enormi energie culturali, non hanno l'occasione di utilizzarle.

Quella bara di vetro nel centro di Pechino non contiene sol-tanto i resti mortali di Mao e i cocci della sua utopia. Contiene anche un impegno simbolico a un'ideologia che ha portato la Cina alla Liberazione, ma l'ha anche ristretta nel suo sviluppo materiale e spirituale.

Oggi quella ideologia, il comunismo, ha esaurito la sua crea-tivit., ha perso la sua abilit. di ispirare e di commuovere e ha soltanto mantenuto la capacit. di tenere assieme il paese con la paura e la repressione.

Fino a quando quel cadavere rester. al centro del centro della Cina, i cinesi non avranno la libert. di decidere il loro destino, n' la fantasia di inventare il loro futuro.

La morte dei mille tagli. La distruzione di Pechino c'era una volta, in un paese lontano, una bellissima citt.. Ave-va ricchi palazzi, splendidi templi, coloratissimi archi di trion-fo, magnifici giardini e migliaia di armoniose case grigie, ognu-na costruita attorno a un tranquillo cortile, tutte allineate lungo lo schema regolare di strade e vicoli come su una scacchiera. Tutto attorno, per ventisei chilometri, aveva alte mura, impo-nenti. Le mura avevano magnifiche porte, a guardia delle quali stavano dei leoni di pietra. Era una citt. sacra, costruita sul bor-do di un deserto, secondo un progetto che era venuto direttamente dal Cielo. La citt. aveva un magico incantesimo. Possedeva un fascino cui era impossibile sfuggire. Pechino l'ultimo rifugio dello sconosciuto e del meraviglioso che esista al mondo, scriveva Pierre Loti nel. 1900. Una citt. che incute rispetto, la defin Arnold Toynbee nel 1930.

Nel 1949, quando i comunisti la presero, Pechino era ancora una citt. unica al mondo: un grande esempio di architettura, una citt. di struggente splendore che pareva fatta per vivere in eterno. Non pi- cos.

Pechino muore.

Le mura sono scomparse, le porte sono scomparse, gli archi sono scomparsi. Scomparsa la maggioranza dei templi, dei palazzi, dei giardini e ogni giorno che passa una fetta in pi-della secolare Pechino se ne va sotto i colpi inesorabili dei pic-coni e delle ruspe.

La citt. ha perso quel suo ordine interno che era fatto per rispecchiare la geometria dell'universo. Dove un tempo c'erano armonia e perfezione, ci sono confusione e caos.

Se Venezia affonda, tutto il mondo piange e protesta. Se

Pechino scompare, nessuno ci fa caso , dice Philippe Jonathan,

Un giovane urbanista francese che lavora all'Universit. Qing

Hua e che conduce per ora, quasi da solo, una campagna per

salvare Pechino . Le sorti di questa citt. dovrebbero inte-

ressare tutti, perch' la grandezza di Pechino non una questio-

ne soltanto cinese; appartiene alla cultura del genere umano.

La distruzione continua. Proprio mentre il governo annuncia

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la sua determinazione a proteggere e a restaurare quel che resta della vecchia capitale cinese, il ministero della Cultura fa ab-battere uno dei pi- bei palazzi della citt. per costruire al suo posto dei dormitori per i suoi impiegati. Mentre un gruppo di architetti sta cercando di mettere a punto un progetto che per-metta di salvare uno dei pi- bei quartieri tradizionali di Pechi-no, quello attorno alla Torre del Tamburo, vecchie case e vec-chi negozi di quella zona, ancora con le loro facciate di legno intarsiato e le travi, sotto i tetti grigi, colorate, vengono in fretta e furia buttate gi- per far posto a orribili cubicoli nuovi fatti di mattoni e cemento. Mentre il vecchio osservatorio astronomico, costruito nel xm secolo e ancora con i suoi splendidi strumenti di bronzo fatti dai gesuiti europei nel Seicento, all'angolo sudo-rientale della citt. imperiale, viene restaurato per diventare un museo, proprio accanto gli sta crescendo un brutto, alto caser-mone di appartamenti che ostruisce la vista e fa apparire picco-lo e ridicolo quel vecchio monumento cos carico di storia. S, vero, avremmo dovuto costruire quella casa da qual-che altra parte, dice Liu Keli dell'ufficio per la Protezione dei Monumenti di Pechino. stato un errore. Errore. Errori. Dei dieci anni di Rivoluzione Culturale che hanno mandato milioni di giovani Guardie Rosse in giro per la Cina a spezzare, bruciare, distruggere tutto ci. che era vec-chio, ora si dice: Sono stati un errore . Il Grande Balzo in Avanti con cui Mao forz. la gente a gettare nelle fornaci qualsiasi oggetto di metallo, fosse un vecchio vaso o una statua antica, per farne delle pentole e dei tegami, ora viene ugual-mente considerato un errore. Fu un errore distruggere le mura di Pechino, un errore buttar gi- le porte della citt., gli archi di trionfo, i templi.

Dal 1949 una serie ininterrotta di errori ha fatto di questa citt., un tempo magnifica, un agglomerato senza fascino di ba-racche, un'accozzaglia di vecchie strutture lasciate a marcire e di brutte nuove costruzioni che dovrebbero essere moderne. La distruzione di Pechino il crimine pi- grave che i co-munisti hanno commesso, dice uno studioso americano di ori-gine cinese che dopo trent'anni di assenza tornato a visitare la sua citt. natale trovandola massacrata, sfigurata al punto di non riconoscerla .

Per pi- di duemila anni c'era stato un insediamento umano, l. dove nel 1409 Yung Lo, imperatore dei Ming, venne a co-struire la capitale del Nord (questo il significato di Pechi-no, in cinese Beijing) trasferendo la sua amministrazione da Nanchino (in cinese Nanjing, la capitale del Sud). Secondo la leggenda fu un misterioso monaco taoista a scendere dal Cie-lo.per dare all'imperatore un pacco di documenti che contene-vano l'intero progetto della citt. in ogni suo dettaglio. E dav-vero c'era qualcosa di divino in questo immaginare una capitale in mezzo alla monotona pianura del nord della Cina dove non c' un fiume o un lago o la protezione di una montagna. Con le sue mura circondate da mura e i suoi canali circon-dati da altri canali, Pechino fu la realizzazione in pietra di quello che era l'ordine cosmico del tempo. Ogni edificio era in una studiata posizione: l'Altare del Sole nella parte orientale della citt., quello della Luna nella parte occidentale, il Tempio del Celo a sud, bilanciato da quello della Terra a nord. Al cen-tro di tutto la Citt. Proibita, il Grande Interno, come veniva chiamato questo cuore della Cina, il centro del centro del mon-do, la sede dell'imperatore da cui emanava ogni forma di po-tere.

Per secoli gli abitanti di Pechino furono coscienti di vivere in un posto straordinario ed erano preoccupati solo di due cose. Una era il drago delle acque che si diceva vivesse nelle viscere della citt. e minacciava sempre di inondarla venendo fuori da un famoso pozzo vicino alla Porta di Hata. L'altro pericolo era-no gli invasori che, invidiosi delle ricchezze di Pechino e gelosi della sua bellezza, avrebbero sempre tentato di attaccarla e sac-cheggiarla. Contro il drago i pechinesi si difesero mettendo un'enorme tartaruga di pietra all'imboccatura del pozzo e di-cendole di non muoversi finch' non avesse sentito il suono del gong posto su ognuna delle porte della citt.. Quello era il segnale che qualcuno sarebbe venuto a darle il cambio. Ma i pechinesi tolsero il gong dalla Porta di Hata, lo sostituirono con una campana e la povera tartaruga rimase fedelmente di guardia per secoli e secoli, fin quando, poco tempo fa, tartaru-ga, pozzo e tutto il resto sono stati tolti di mezzo per allargare la strada che passava l vicino.

Contro il pericolo degli invasori gli abitanti di Pechino si raccomandarono a un particolare dio che, con uno speciale in-cantesimo, rese le mura della citt. indistruttibili dall'esterno.

I due sistemi hanno funzionato alla perfezione: Pechino ineffetti non mai

stata inondata e, nonostante vari invasori siano

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andati e venuti dalla citt., nonostante varie dinastie siano anda-te al potere e cadute, le mura col loro magico incantesimo re-sistettero a tutto e la capitale non sub mai gravi distruzioni. Quando, il 1 ottobre 1949, Mao Tsetung, in piedi sulla ter-razza della Porta della Pace Celeste, con le spalle alla Citt. Proibita, rivolto verso sud, annunci. la nascita della Repubblica Popolare Cinese, la Pechino che gli stava ai piedi non era molto diversa da quella degli anni imperiali.

Persino i giapponesi che l'avevano occupata avevano avuto un tale rispetto della sua struttura originale, della sua pianifica-zione divina, che non osarono toccare il centro storico di Pechino e andarono nella periferia occidentale a cominciare la co-struzione di una citt. satellite in cui pensavano di espandersi. I comunisti non agirono allo stesso modo. Per loro Pechino, simbolo della vecchia Cina, era la quintessenza di tutto ci. contro cui avevano combattuto e che volevano cambiare. La pian-ta della citt. rifletteva la societ. feudale, in quanto stava a di-mostrare il potere centrale, assoluto, dell'imperatore, dice il professore Ho Renzhi dell'Universit. di Pechino. Non c'erano dubbi: dovevamo trasformarla, dovevamo fare di Pechino la ca-pitale della Cina socialista. In questo i comunisti cinesi non hanno fallito. Cominciarono col tirar gi- i pai-Io, gli archi di trionfo in marmo e legno di-pinto, che erano stati costruiti nei secoli lungo le vie principali per onorare la castit. di certe vedove, la fedelt. di certi manda-rini o la rettitudine di alcuni generali. Cinquantacinque di questi pai-Io erano sopravvissuti all'introduzione delle automobili e dei tram a Pechino. Nel giro di alcune settimane scomparvero tutti. Le autorit. spiegarono che ostacolavano il traffico, ma molto pi- probabilmente furono distrutti perch' dopotutto erano li per ricordare vecchie virt- e vecchi valori che il nuovo regi-me non voleva pi- che la gente rispettasse.

1 comunisti, poi, cambiarono l'orientamento della citt. e so-stituirono il vecchio asse imperiale nord-sud con uno nuovo e pi- politico est-ovest, allargando e allungando la strada Chang An.

Un tempo ci si avvicinava a Pechino da sud, lungo una dirit-tura di pai-Io, ponti e porte che, come in un crescendo musica-le, preparavano il viaggiatore all'esplosione di splendore della  j Citt. Proibita con le sue mura rosso-violacee e i tetti gialli sotto il cielo azzurrissimo. Oggi chi arriva a Pechino, di solito in aereo, entra in citt. da est, lungo il piatto, monotono vialone della Lunga Pace segnato solo dalle case moderne del ghetto per stra-nieri, l'Hotel di Pechino e il vuoto gigantesco della piazza Tie-nanmen.

La vecchia Pechino non aveva piazze perch' a quei tempi la gente non aveva n' il bisogno n' il diritto di riunirsi in grandi masse, tantomeno poteva farlo per esprimere la propria opinio-ne. La piazza Tienanmen, fiancheggiata dall'architettura greco-staliniana del Grande Palazzo del Popolo e del Museo della Ri-voluzione, divenne invece il cuore della Nuova Cina. Qui si tennero le grandi celebrazioni del nuovo regime. Qui cominci. la Rivoluzione Culturale e qui la Cina con le sue adunate ocea-niche url. il suo appoggio al Vietnam, il suo odio per l'impe-rialismo americano, la sua opposizione al revisionismo. Da quando morto Mao, venuto col suo mausoleo a occupare il centro della piazza, rompendo cos ancor pi- ci. che restava del suo equilibrio, la Tienanmen usata soltanto da coloro che vengono a farci volare gli aquiloni e dai visitatori di altre citt. per farsi la fotoricordo sotto l'ultimo ritratto di Mao. Siccome durante il breve periodo della Primavera di Pechi-no alcuni avevano imparato a usare la piazza come un posto per tener comizi e render pubbliche le proprie lamentele, un nuovo regolamento stato affisso a ogni angolo: Senza l'ap-provazione del governo del popolo proibito sfilare, manifesta-re, tenere discorsi, affiggere o distribuire volantini o qualsiasi altro materiale di propaganda.

Nella vecchia Cina le mura della citt. erano una cosa di cui gli abitanti erano terribilmente orgogliosi, e la peggiore puni-zione che un imperatore poteva infliggere a una citt. dove era avvenuto un gravissimo crimine, come per esempio un par-ricidio, era la parziale o totale distruzione delle mura. Le mura di Pechino erano le pi- imponenti, le pi- maestose, 'e pi- leggendarie. Neppure la Spedizione Internazionale, che nel 1900 venne a Pechino per rompere l'assedio del quartiere delle Legazioni e punire la Cina per la rivolta dei Boxer, os. toccarle.

I comunisti non ebbero tali esitazioni. La distruzione comin-

ci. nel 1950. Per paura che la popolazione reagisse malamente

alla perdita della magica protezione delle mura, squadre di operai furono

portate di notte a compiere quell'impopolare opera di

abbattimento. Era come se mi avessero tagliato a pezzi, come

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se la pelle mi fosse stata portata via di dosso, scrisse il pi-noto degli architetti cinesi, Liang Sicheng, poi accusato di es-sere un elemento di destra, perseguitato e morto in disgrazia nel 1973.

L'idea di eliminare le mura scaten. un grande dibattito fra coloro che le volevano conservare come la collana al collo di Pechino e coloro che le volevano a ogni costo distruggere perch' erano come una catena ai piedi della capitale e come tale ne impedivano lo sviluppo.

Nel 1958 qualcuno propose di trasformare quel che restava ancora delle vecchie mura in una passeggiata sopraelevata, con bancarelle per souvenir e piccoli ristoranti. Sarebbe stato un luogo da cui godere la pi- spettacolare vista sulla citt., cos come lo era stato dal 1860, quando uno speciale editto imperia-le aveva permesso anche agli stranieri (ma non alle loro donne) di salire su questi maestosi bastioni per osservare la magnifica distesa di Pechino.

Niente da fare.

Gli ultimi tratti di mura e le ultime porte vennero abbattuti durante la Rivoluzione Culturale. Questa volta furono squadre | di intellettuali, prigionieri delle Guardie Rosse, a essere manda-te a distruggere quelle ultime tracce della Cina feudale che, come gli intellettuali, erano appunto accusate di continuare a rappresentare l'orribile passato.

Con ogni colpo mi pareva di suicidarmi culturalmente, racconta oggi un professore di storia, ma allora, se le Guardie Rosse mi avessero ordinato di andare a distruggere la Citt. Proibita, l'avrei fatto senza esitazione. A che serviva proteggere uno o due monumenti quando l'intero paese veniva distrutto? Alcuni fra gli alti dirigenti della Cina di allora avevano pen-sato di farla davvero finita con l'intera vecchia Pechino, e il maresciallo Peng Dehuai, eroe della guerra di Corea, poi vitti-ma della Rivoluzione Culturale e ora di nuovo grande eroe, aveva seriamente proposto di distruggere la Citt. Proibita in quanto simbolo pi- significativo del passato. Fortunatamente non l'ebbe vinta. Mao Tsetung e in particolare Chu Enlai si rendevano conto di dover proteggere alcuni monumenti del passato come oggetti dell'orgoglio nazionale.

I khmer rossi in Cambogia fecero lo stesso, distrussero sistematicamente templi e pagode, ma conservarono Angkorwatt.

Nel 1958 il governo ordin. un censimento di tutti i monu- ) menti di Pechino che avessero un qualche valore storico, reli-gioso, culturale o artistico: ne venne fatta una lista di ottomila. Fu deciso di conservarne settantotto. Gli altri potevano sparire. Durante la Rivoluzione Culturale anche quei settantotto furono attaccati e in parte distrutti.

Nel 1982 fu fatta una nuova inchiesta per vedere che cosa poteva essere ancora salvato e che cosa valeva la pena di rico-struire. Ai vecchi settantotto monumenti ne vennero aggiunti altri settanta. In alcuni casi si trattato di ricostruire di sana pianta, com' successo con la Porta De Shen nel nord della cit-t., che stata completamente rifatta in cemento dato che della splendida struttura originale in mattoni e legno era rimasto poco o nulla.

L. dove c'erano le mura di Pechino ora corre l'autostrada che gira intorno alla citt.. L. dove c'era la seconda cerchia di mura a sud di piazza Tienanmen, corre quello che la gente chiama il muro di Hua Guofeng, una lunga fila grigia di blocchi di appartamenti fatti costruire dal successore di Mao per dar casa ai quadri del partito.

Per mesi e mesi questi appartamenti sono rimasti vuoti perch' era scoppiata una grossa lotta di potere per la loro assegnazione con, ad esempio, alcuni figli di alti quadri che erano riu-sciti a farsi mettere in lista prima di quadri di medio livello. Quando infine gli appartamenti vennero distribuiti, tutti erano scontenti: la maggioranza delle finestre aveva gi. i vetri rotti, l'acqua non aveva abbastanza pressione da arrivare ai piani su-periori e gli ascensori non funzionavano.

Abbiamo costruito quegli appartamenti quando eravamo ancora sotto l'influsso della Banda dei Quattro, quando gli ope-rai decidevano tutto e architetti e ingegneri dovevano stare zit-ti , spiega il vicedirettore della Commissione per la pianifica-zione di Pechino.

Ora architetti e ingegneri possono dire la loro, ma quello che costruiscono non migliore.

Dato l'enorme aumento della popolazione nella capitale (Pe-

chino cresce di 360.000 abitanti all'anno), e il blocco dell'edi-

lizia durante la Rivoluzione Culturale, il governo, volendo ora

migliorare il livello di vita della gente, ha varato un vasto pro-

gramma edilizio. Dovunque, alti blocchi di prefabbricati cresco-

no alla svelta e alla svelta vanno in malora. Fatti con materiali

di cattiva qualit. e secondo progetti banalissimi, questi edifici

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crescono senza alcun coordinamento, senza alcuna cura del-l'ambiente, cos che d'improvviso migliaia di persone si trova-no sbattute nel labirinto di quartieri completamente nuovi che non hanno un mercato, una scuola, non un pezzo di giardino n', come varie lettere di protesta ai giornali locali rivelano, un po-sto dove parcheggiare le biciclette.

La citt. di Pechino non ha ancora un piano regolatore e non esistono regolamenti per le nuove costruzioni se non per l'altez-za, che non deve superare i quaranta metri. Il governo della cit-t. non ha alcun modo di controllare n' tanto meno di bloccare ci. che viene costruito arbitrariamente.

Ogni unit. un regno a s' e ogni segretario del partito un imperatore un comune modo di dire fra la gente. Un'unit. il gruppo di lavoro a cui ogni cittadino cinese deve appartenere. Una scuola un'unit.; una fabbrica, un ospedale, un 24224l1121y ufficio sono unit.. Un'unit., o meglio il segretario del partito dell'unit., ha un potere quasi assoluto sui suoi membri e completa giurisdizione sui beni assegnati all'unit. stessa. Ogni unit. gestisce la rispettiva propriet. come vuole. Abbiamo dovuto distruggere questo posto, non avevamo al-tra scelta, dice il dirigente responsabile dell'Istituto di Storia dell'Accademia clinica che alla fine del 1982 ha raso al suolo una delle ultime residenze principesche dai tanti cortili per rim-piazzarla con una pietosa costruzione moderna di dodici piani. Avevamo bisogno di spazio e non potevamo spostarci da nes-sun'altra parte. cos che pi- di met. della superficie della vecchia Pechino stata distrutta dal 1949 a oggi, e proprio le costruzioni pi-belle, pi- spaziose, artisticamente pi- significative sono state le prime a scomparire.

Quando, il 31 gennaio 1949, gli eserciti comunisti entrarono a Pechino, senza doversi battere perch' un generale del Kuo-mintang si arrese, risparmiando cos la citt. da inutili distruzio-ni, le residenze principesche, i templi e i palazzi abbandonati dalla vecchia classe dirigente, appena scappata a Taiwan, furo-no immediatamente confiscati e dati alle migliaia e migliaia di contadini-soldati che inondarono la capitale.

Gli edifci pi- belli di Pechino diventarono cos caserme. Tutte le propriet. di coloro che i comunisti classificarono come nemici del popolo vennero ugualmente confiscate e divenne-ro i centri di potere del nuovo regime Ogni unit., con i suoi dipendenti, si spost., armi e bagagli, nella casa, nel tempio o nel palazzo assegnatole nel corso della divisione delle spoglie e l mise radici. All'interno dei suoi re-cinti, ogni unit. cominci. a crescere e ad allargarsi senza alcun rispetto del posto che occupava e del suo valore storico o archi-tettonico.

Antiche strutture vennero abbattute per far posto a orribili dormitori; mobili rari vennero buttati via e dati alle fiamme per far posto a letti e tavoli; giardini di pietra vennero trasfor-mati in campi di palla a volo, lo sport preferito dai soldati. Dodici dei pi-bei palazzi principeschi di Pechino vennero riadat-tati per insediarvi alcuni uffici governativi, fra cui il ministero della Sanit., il Conservatorio di Musica, il ministero dell'Edu-cazione, una casa editrice e la sezione Cultura e Spettacoli del-l'esercito.

La residenza pi- bella e pi- famosa di Pechino, la casa del principe Kung, con i suoi vari cortili e padiglioni, laghetti, sale di ricevimento e giardini, fu spartita fra diverse unit.: la parte centrale affidata a una fabbrica di condizionatori d'aria. Questo palazzo, conosciuto da ogni cinese perch' avrebbe ispirato l'au-tore del romanzo // sogno della camera rossa, ora nella lista dei monumenti che la municipalit. di Pechino vuole proteggere, ma pi- facile dirlo che farlo. Intere parti del palazzo sono state ormai distrutte, altre sono cos danneggiate che difficile immaginare come potranno essere restaurate; quelle sopravvis-sute sono ancora occupate da unit. (per esempio un gruppo del-la polizia) che rifiutano di andarsene.

Le unit. dell'Esercito di Liberazione Popolare debbono evitare al massimo di danneggiare le vecchie strutture e i luoghi famosi , ha ordinato recentemente in una lettera a tutti i reggi-menti di Pechino il capo di stato maggiore.

Sono passati pi- di trent'anni dalla Liberazione, ma Pechino ha ancora l'aria di una citt. occupata militarmente, con l'escreto che controlla ancora alcune zone centrali della capitale, an-cora arroccato in alcuni dei pi- bei palazzi ora nascosti dietro Donimi muri di mattoni grigi.

Andare in giro per Pechino alla ricerca non tanto dei monu-

nenti del passato che non ci sono pi-, ma anche soltanto dei luoghi dove si

trovavano, un'esperienza che rattrista.

carte della citt. prima del '49 sono neibu (per uso interno

), in altre parole: segrete. I comunisti non vogliono

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che la gente si renda conto di quanto hanno distrutto , mi dice un amico intellettuale. Quelle che si comprano oggi liberamente nelle cartolerie sono guide per la circolazione, con gli itinerari dei vari autobus e della metropolitana, ma non riportano i nomi di tutti i vicoli n' tantomeno fanno riferimento ai monumenti e : ai luoghi storici della capitale.

Alcuni vecchi pechinesi sono ancora disposti a indicare la sede di un tempio o di un palazzo, ma i giovani, abituati a ve-dersi la strada sbarrata dai muri, non sanno, n' si chiedono pi-, che cosa ci sia o ci sia stato l. dietro. Sull'ingresso in rovina del Tempio Giallo, fuori della Porta Nord della citt., un cartello; avverte: Non vogliamo visitatori. Il Tempio Nero, poco lontano, ugualmente inaccessibile: questo perch' si trova nel] mezzo di una zona militare chiusa al pubblico.

Il vecchio cimitero cattolico di Chala, nella parte occidentale! della citt., dove nel xvn secolo fu sepolto Matteo Ricci assieme ad altri gesuiti europei, pu. essere visitato solo con un permesso speciale. ora al centro di un complesso di edifici nuovi massicci: la Scuola del Partito Comunista. A parte le pietr tombali di Ricci, Verbiest e l recuperate fra le rovine, riparate e messe in mostra per soddisfare la curiosit. di alcuni dignitari stranieri - i cinesi sanno che ci tengono a quelle cose! (il primo a esserci portato fu il senatore Vittorino Colombo) -,] le altre pietre giacciono in disordine su una vasta area dove sembra essere passato un terremoto e vengono usate come tavoli per mangiare dagli allievi della scuola. Le scritte sono in francese, italiano e latino, e con pazienza si possono leggere nomi di coloro che in passato furono sepolti qui perch' riposas-sero in pace.

A volte solo per caso che si viene a sapere quale unit. oc-i cupa il tal famoso, ma inaccessibile, posto.

Recentemente venti carri dei pompieri sono stati mandati] d'urgenza a spegnere un fuoco che stava divorando il Tempio delle Diecimila Et., a quattro chilometri dal centro e che in] passato era uno degli edifici religiosi meglio tenuti di Pechino perch' sulla via del Palazzo d'Estate e luogo di sosta per gli imperatori che, lasciata la Citt. Proibita, andavano in campa-gna. Una notiziola in un giornale della sera, riportando il fatto,] diceva che l'incendio - il secondo nello stesso posto in soli due mesi - era stato provocato da un gruppo di ragazzini che nei cortili del tempio s'erano messi a giocare con dei fuochi di artificio. Il tempio - concludeva il giornale - la sede della di-rezione della Propaganda Militare e alcune centinaia di soldati con le loro famiglie vi abitano dal 1949.

Pechino era una citt. con tantissimi templi. Forse anche troppi e, gi. prima della Liberazione, alcuni erano stati convertiti in scuole od ospedali. Altri, come il famosissimo Tempio dei La-ma, con la sua popolazione di stranissimi monaci, erano diven-tati il rifugio di banditi, disertori e malandrini che si dedicavano allo sfruttamento dei turisti stranieri i quali, negli anni '20 e '30, pur di vedere alcune delle figure pornografiche contenute nelle collezioni del tempio, pagavano laute somme per entrarvi e spesso somme ancora pi- laute per farsi poi liberare e poterne uscire.

I comunisti hanno trasformato i templi e li hanno resi uti-li. Fare di Pechino una citt. produttiva fu la parola d'ordi-ne. Pechino, per produrre, aveva bisogno di fabbriche. Le fab briche avevano bisogno di spazio e i templi, coi loro bei cortili vuoti, erano la soluzione ideale per lo sviluppo industriale della capitale.

La politica dely' (dello spingere via), come era appunto chiamata all'interno del partito, serviva a due scopi: da un lato contribuiva alla produzione, dall'altro alla distruzione della re-ligione.

La tattica era semplice e sempre la stessa: un'unit. si presen-tava in un tempio con pochi macchinari e molta cortesia. Fa-cendo le riverenze ai monaci e chiedendo continuamente scusa, l'unit. s'installava in un angolo del tempio cominciando a la-vorare. Dopo un po', sempre con estrema cortesia e rispetto, un quadro politico andava a spiegare ai monaci che, per il benes-sere della gente, la produzione era almeno cos importante quanto le loro preghiere e che per questo la fabbrica aveva bi-sogno di un po' pi- di spazio. Altri macchinari venivano intro-dotti. A distanza di qualche mese il ragionamento veniva ripe-tuto finch' il tempio non era pieno di macchine e di operai, e ai Monaci non restava che andarsene.

Fu cos che, piano piano, al di sopra dei bei tetti colorati dei templi, accanto alle torri campanarie, si alzarono decine, poi Centinaia, di ciminiere che cominciarono a vomitare zaffate nere di fumo in un cielo che era stato da sempre azzurrissimo.

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I templi, uno dopo l'altro, diventarono fabbriche. Durante il solo Grande Balzo in Avanti millequattrocento fabbriche fu-rono aperte nel centro della citt.. Ci sono ancora. Il Tempio del Grande Budda produce calchi per fornaci, il Tempio della Colta Saggezza produce filo elettrico, il Tempio del Dio del Fuoco, giustamente, produce lampadine, il Tempio della Nuvola Bian-ca, il pi- grande centro di studi taoisti in Cina, divent. in parte un magazzino e in parte fu assegnato a varie officine di ripara-zione.

Pechino, i cui cieli erano stati leggendari per la loro chiarez-za, divenne presto una delle citt. pi- sporche al mondo, mentre la propaganda cinese, ripresa e ripetuta a pappagallo da vari scrittori, giornalisti e intellettuali occidentali abbindolati da un soggiorno di due settimane, esaltava la grande abilit. delle autorit. comuniste nel controllo dell'inquinamento. Undicimila caldaie a carbone sputano ancora oggi dal centro di Pechino nuvolaglie di fumi soffocanti. L'inquinamento delle acque sia dell'aria ha raggiunto livelli preoccupanti, scritto la rivista ufficiale Salute.

Pechino, che in passato per il suo clima secco era considerata una delle citt.

pi- salubri del paese, provoca oggi quel che gli stranieri che ci abitano

chiamano i polmoni di Pechino , una

forma di bronchite cronica contro la quale in inverno milioni

di cinesi cercano di difendersi con mascherine di garza sulla boccaj e sul naso che danno alla popolazione della citt. l'aspetto di un esercito di medici e infermieri in marcia verso la sala operato-, ria.

Uno scienziato americano ha recentemente portato a Pechino! uno strumento per valutare la qualit. dell'aria dalla presenza di certe particelle che dovrebbero essere sotto il livello 30 per non rappresentare un pericolo. A Pechino, il livello registrato stato 120. Correre al mattino come fumare un pacchetto di siga-rette al giorno , dice un medico europeo.

Le autorit. locali si rendono conto del problema e continua- n. ad annunciare piani per spostare le fabbriche in periferia e imporre regolamenti pi- rigidi contro l'inquinamento.

Nel 1978 la municipalit. di Pechino promise solennemente

di fare della capitale una citt. pulita e nella quale una persona, dalla cima della Pagoda Bianca nel Parco del Lago del Nord, potr. avere una visione chiara e netta delle colline occi dentali. Questa era una delle vedute normali nella Pechino prima della Liberazione. Ora una cosa rarissima. Nei giorni senza vento una coltre di fumi giallastri aleggia su Pechino im-pedendo ogni vista. Le fabbriche sono ancora l. I regolamenti contro l'inquinamento non sono mai stati applicati. All'inizio del 1982 Pechino ha di nuovo annunciato un im-portante progetto per fare della capitale una citt. modernis-sima e un modello per il resto della Cina .

Il piano di ricerca eco-sistematica (sic!) il primo nella storia trimillenaria di Pechino , ha dichiarato il portavoce del-l'Accademia delle Scienze. Il piano inteso a studiare il da far-si. Lo studio, secondo le previsioni, durer. sino alla fine del 1985. Nel frattempo, i giornali di Pechino continuano a pubbli-care lettere di gente che si lamenta del fatto che gli alberi nei loro cortili non danno pi- frutta e che il fumo, il puzzo, il ru-more delle fabbriche del vicinato rendono la vita impossibile. Non tutti i templi, per., sono diventati delle fabbriche. Alcu-ni sono stati semplicemente distrutti per far posto a delle strade, com' successo al Tempio dell'Abbondante Tranquillit. e a quello del Budda Addormentato che stavano fuori Hatamen, o per far posto a nuovi - e, dal punto di vista comunista, pi- utili - edifici com' successo al Tempio della Pagoda della Legge, abbattuto per costruire lo Stadio dei Lavoratori, o al popolaris-simo Tempio della Fiorente Felicit., sacrificato per far posto a un supermercato. Le due grandi tartarughe di marmo che stava-no a guardia di questo tempio, amatissimo dai pechinesi, sono finite miseramente a pancia all'aria fra le rovine del vecchio Palazzo d'Estate.

Un paio di templi, invece, vennero lasciati intatti e aperti al culto appunto per dar credito alla finzione, ripetuta nel testo di ogni nuova costituzione (dal 1949 ce ne sono gi. state cinque), che il regime comunista riconosce e garantisce la libert. di religione . Fu cos che il Dong Yue Miao, il Tempio della Vet-ta Orientale, sopravvisse fino al 1959 con migliaia e migliaia di fedeli che ogni giorno si riversavano nelle sue centocinque stanze per andare a inginocchiarsi e pregare dinanzi agli altari di mille diverse divinit. che stavano l di casa.

Secondo la credenza, infatti, era l che le anime dei defunti

dovevano presentarsi al cospetto degli dei che presiedono alle

Prigioni dell'oltretomba per sapere a quale tipo di tormenti sa-

rebbero stati sottoposti per le malefatte commesse durante la

vita. Questo tempio, il pi- grande centro del culto taoista nel

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nord della Cina, era perci. importantissimo, e frequentatissimo dalla gente che vi si recava a pregare per i propri defunti e a raccomandarli perch' sottoterra venissero trattati con clemenza. Quando il tempio fu chiuso, l'unit. che vi si insedi. fu la te-muta Pubblica Sicurezza, che da l controlla la vita di ogni ci-nese. Almeno in questo caso i comunisti hanno rispettato lo spirito del posto, dice un amico intellettuale che vive l vici-no. Questo tempio aveva a che fare con prigioni prima e ha a che fare con prigioni adesso. Il tempio giusto dietro Qi Jia Yuan, il principale quartiere dove vivono gli stranieri e si dice che sia l il centro di ascolto di tutti i nostri telefoni e il centro di lettura di tutta la nostra posta. L'ingresso, un tempo grandioso e marcato da un bellis-simo pai-Io, ora seminascosto da una fila di baracche. Un giorno, facendo finta di essermi perso, ho cercato di entrare dentro il primo cortile, la cui vista bloccata dal solito muro su cui sta scritto servire il popolo, ma, fatti appena un paio di passi, due scorbutici giovanotti in abiti normali mi hanno, senza accettare l'invito a far due chiacchiere, riportato sulla strada. Le statue sono scomparse, alcuni degli edifici sono stati abbattuti e un brutto baraccone di mattoni rossi stato costruito giusto al centro del cortile principale.

Nella Pechino di oggi non esiste un solo vero tempio, un tempio come se ne vedono a decine a Hong Kong, a Macao o in qualsiasi paese del sud-est asiatico dove vivono dei cinesi; un posto dove la gente va e viene a piacere, dove non paga un biglietto d'ingresso; un posto dove pregare, mettere bacchette d'incenso agli dei, interrogare dei pezzi di bamb- per conoscere il proprio futuro; un posto dove chiacchierare o meditare. I tre templi che sono stati riaperti nelle Colline Occidentali, cos come il Tempio delle Cinque Pagode che stato riaperto dopo essere stato usato per quindici anni come allevamento di cani per la polizia, non sono posti religiosi, sono semplicemente luoghi di divertimento, mete per passeggiate domenicali. Non un caso infatti che l'ufficio della municipalit. di Pechino, che responsabile di questi templi, sia lo stesso che incaricato dei giardini pubblici e dello zoo.

Nel centro di Pechino, il Tempio di Confucio stato trasfor-mato in un museo. Al momento accanto alla solita mostra su uno dei fondatori del Partito Comunista ce n' una dei bronzi antichi recuperati dalla spazzatura: la gente, durante la Rivolu-zione Culturale, cercava di disfarsi cos delle proprie antichit. per non essere accusata di gusti borghesi.

Il Fa Yuan Si, il Tempio della Fonte della Legge, diventato la sede dell'Istituto Buddista e - come lo Huang Ji Si, il Mona-stero della Grande Misericordia - usato per ricevere (e im-pressionare) le delegazioni buddiste che vengono dall'estero. Il Yung He Gong, il Tempio dei Lama, come viene solitamente chiamato, serve invece come attrazione turistica per i normali gruppi di stranieri che giungono in autobus dotati di aria con-dizionata. I pochi, vecchi monaci, che si aggirano per i cortili nelle loro tuniche colorate a uso delle macchine fotografiche, sono stati importati dalla Mongolia. I giovani monaci, che stan-no di guardia alle varie sale e leggono riviste tipo Cinema Oggi o // mondo dello sport, hanno pi- l'aria di poliziotti travestiti che di novizi in apprendistato.

Questo tempio era famoso, fra l'altro, per le sue statue e i suoi dipinti erotici che i monaci usavano per meditare sulla vita umana e sublimarne gli istinti pi- naturali. Molti degli originali sono scomparsi, rubati, distrutti o venduti. Alle copie sono state messe delle copertine gialle per nascondere i divini genitali e le acrobatiche posizioni dei copulanti.

Ogni tanto in questo tempio si vede qualche turista di Hong Kong mettere una bacchetta d'incenso davanti a una statua. Un gesto, questo, che nessun cinese normale pu. permettersi, non foss'altro perch' il biglietto d'ingresso al Tempio dei Lama, co-me in altri templi, di cinquanta centesimi, cio l'equivalente di una mezza giornata di lavoro. L'incenso, poi, nella Cina di oggi non pi- un ingrediente delle funzioni religiose, e quel-l'odore una volta sacro non lo si associa pi-, come altrove nel mondo, con l'atmosfera di un tempio o di una chiesa, ma con i gabinetti degli alberghi dove l'incenso viene usato per combat-tere l'onnipresente puzza di cavolo.

All'inizio degli anni '60 i comunisti cinesi erano gi. riusciti a trasformare la vecchia Pechino in una citt. pi- consona a quel che loro immaginavano dovesse essere una capitale socialista. Il nuovo regime aveva i suoi simboli nei grandi palazzi che erano stati costruiti lungo il viale della Lunga Pace, gli operai Bevano il loro enorme stadio, i contadini il loro gigantesco Palazzo delle Esposizioni (l'ultima mostra che ci ho visto era di tappeti!), le minoranze etniche avevano il loro Centro Culturale e ' ferrovieri la loro nuova stazione.

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Ogni edificio era grandioso e la barzelletta che circolava fra la gente a quel tempo era: Credevo che ai comunisti non pia-cessero i templi... vero, non gli piacciono quelli degli altri, per questo costruiscono i loro. Quel che il nuovo regime non aveva a questo punto ancora toccato era l'anima della capitale.

Pechino era una citt. caratterizzata dal privato, una citt. in cui ogni famiglia viveva all'interno di un cortile circondato da mura che la separavano e proteggevano dal resto del mondo. L'una accanto all'altra, queste case su cortile (in cinese si-heyuan, vale a dire un cortile che unisce quattro costruzioni) erano allineate lungo le strade e i vicoli che, come una scac-chiera, costituivano il tessuto urbano della citt.. Le strade erano circa tremila, i vicoli, gli hutung, come dicono i pechinesi, era-no tanti quanti i peli di un bufalo.

Di queste case su cortile, un'invenzione tipica dell'archi-tettura della Cina del Nord dal xn secolo in poi, ce n'erano a decine di migliaia. All'esterno, una piccola porta rossa di legno, con fregi, fiancheggiata da due sculture in pietra che si apriva nel monotono grigio dei muri degli hutung. All'interno, dopo un piccolo muro proprio davanti all'ingresso, cos da sbarrare il passo agli spiriti malefici, che si muovono solo in linea retta, la delicata armonia di quattro costruzioni basse a un piano: la facciata dipinta in rosso e verde, il tetto di tegole grigie e curve, le finestre di carta bianca contro la geometria degli intagli di legno. Nel mezzo della corte, un albero. A un cortile ne seguiva un altro e un altro ancora, e cos via a seconda della ricchezza della famiglia.

// siheyuan era il nascondiglio del privato, il rifugio dell'in-' dividualismo che il nuovo regime doveva appunto espugnare per poter davvero controllare Pechino.

Nel 1966 Mao Tsetung scaten. le Guardie Rosse, e questo fu uno dei compiti che affid. loro. Questa casa troppo grande per voi. Una stanza pi- che sufficiente per la vostra famiglia. Le altre debbono servire il popolo , dicevano i giovani ribelli.

Lo slogan era sempre lo stesso. I risultati anche. Bande di giovani con bracciale rosso (solo i figli di operai, contadini e soldati avevano diritto a questa distinzione) invade-vano, seguite da masse e masse di gente, le case su cortile e inscenavano processi popolari contro i proprietari e i loro familiari. Le case vennero svuotate, i beni confiscati. Mobili L vecchi e antichi, quadri, vasi di porcellana, vestiti, gioielli, col-lezioni di libri e album di famiglia vennero caricati su camion e portati via. Il resto, gettato nei cortili, veniva fatto a pezzi e dato alle fiamme. Ogni casa divent. un campo di battaglia con gente picchiata a sangue, molti a morte.

I processi duravano a volte giorni e giorni e molta gente, te-mendo quel che sarebbe loro successo l'indomani, prefer di-struggere ci. che possedeva, vendere le proprie biblioteche a tanto il chilo come carta da pacchi, o suicidarsi. Quando questi processi finivano, famiglie arrivate da fuori Pechino e dai dor-mitori sovraffollati delle fabbriche venivano mandate a stare nelle case su cortile accanto ai vecchi proprietari diventati improvvisamente poveri e disperati come tutti. L. dove prima viveva una sola famiglia, se ne installarono cinque, a volte die-ci, che andavano a occupare ogni angolo, a tagliare gli alberi, a costruire piccole baracche da usare come cucine e ripostigli. Le Guardie Rosse svolsero il loro lavoro meticolosamente. Casa per casa, vicolo per vicolo, il nuovo regime entr. cos nel cuore della capitale.

Oggi non esiste una sola strada che abbia conservato quella modesta eleganza della vecchia Pechino, quella silenziosa bel-lezza fatta di lunghi muri grigi punteggiati qua e l. dal rosso smagliante di un portone, fatta di fronde di alberi tremolanti fra le curve dei tetti sotto i quali gente di infinita forza ha, per secoli e secoli, tenuto in vita una grande civilt.. Non esiste pi- un solo cortile con quella raffinata atmosfera in cui lo stu-dioso era solito invitare i suoi amici a godersi lo sbocciare dei crisantemi e a passare la notte scrivendo poesie alla luna.

I templi e i palazzi erano l'aspetto eccezionale di questa

citt. e la loro distruzione stata un'enorme perdita, dice

uno storico cinese, ma ci. che ha davvero ucciso Pechino

stata la distruzione del quotidiano, della 'casa su cortile'.

I vicoli, gli hutung, hanno ora un aspetto misero, sporco,

confuso. Le case su cortile, un tempo esempio di quieta ar-

monia, sono dei cadenti, caotici accampamenti, dei meandri di

baracche. La gente, accovacciata sui pochi metri di terra battuta rimasti liberi

nei cortili, cuoce, si lava, lavora e gioca con i

bambini in una confusione di biciclette, fornelli, cumuli di mattoni e carbone

su cui vengono stesi i panni ad asciugare. Sopra

e Pone scrostate, che nessuno pi- si prende la briga di ridipingere

te, molte case su cortile sono ancora scritti i vecchi slogan

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: Un cortile socialista la felicit.. Altre case hanno an-che slogan pi- recenti e pi- realistici: Metti il lucchetto alla bicicletta e sta' attento ai ladri .

Rendendosi conto dei problemi che nascono da questa forza-ta coabitazione di tanta gente diversa, il Quotidiano del Popolo ha recentemente dedicato un'intera pagina a una situazione modello da cui l'intero paese avrebbe da imparare. Il titolo del servizio era: Nove inquilini come una sola famiglia. L'arti-colo racconta la storia di trentanove persone appartenenti ap-punto a nove famiglie diverse che per anni sono riuscite a con-dividere in grande armonia uno spazio limitato, un'unica cucina con nove fornelli, e due rubinetti per l'acqua. Il tutto senza li-tigi e senza malumori. Il loro spazio vitale era molto poco, ma il loro spazio spirituale era larghissimo, concludeva l'organo del partito. In verit., i rapporti fra le varie famiglie in una corte sono difficilissimi. La Rivoluzione Culturale ha avuto luogo ne-gli anni '60, ma i vecchi abitanti delle case su cortile conti-nuano a considerare i nuovi arrivati come degli intrusi, e questi a considerare i vecchi proprietari come dei nemici di classe giustamente espropriati. Gli uni continuano a sospettare degli altri e la gente continua a parlare sottovoce anche in famiglia per evitare di essere ascoltata ed eventualmente denunciata dai vicini. Uno straniero ha regalato un pollo a un amico cinese ammalato, ma questi l'ha rifiutato, spiegando che gli altri nel suo cortile avrebbero sentito l'odore dell'arrosto. Avrebbero fatto troppe domande e lo avrebbero denunciato per le sue relazioni illegali. Dal tempo della Rivoluzione Culturale viviamo al di sotto di qualsiasi decenza, dice un vecchio intellettuale che sta ancora nella sua casa su cortile , ma adesso assieme a ventitr' fami-glie e a una fabbrichetta. Ogni mattina questo vecchio signore deve fare cinquanta metri di strada e mettersi in coda dinanzi al gabinetto di quartiere, mentre i cocci di quel che era stata la sua modesta ma funzionale stanza da bagno giacciono in un an-golo del cortile, distrutti dalle Guardie Rosse come simbolo di individualismo borghese . La storia dei gabinetti di Pechino un esempio tipico delle assurde politiche del passato. Un altro esempio che fa disperare. Quando le case su cortile furono originariamente costruite non avevano fognature (gran parte di Pechino ancor oggi ne priva), ma negli anni '30 e '40 molte famiglie si erano fatte i loro gabinetti. Moltissime anche dei veri e propri bagni con l'acqua riscaldata a legna. Tutti furono siste-maticamente distrutti fra il 1966 e il 1968 quando, con grande entusiasmo rivoluzionario, fu introdotta quella novit. che ancora oggi appesta le strade di Pechino: le latrine di quartiere, piccole baracche in mattoni grigi che spuntano ogni due o trecento metri nei vicoli; da una parte l'ingresso per le donne, dall'altra quello per gli uomini, dentro la solita, unica, sporca, fetida fossa senza neppure dei divisori individuali.

Nella Pechino di oggi, giusto dietro il pomposo viale della Lunga Pace, uno spettacolo normale al mattino vedere la gen-te che, davanti alle latrine, aspetta in fila il proprio turno, alcuni con in mano il vaso da notte da vuotare. I giornali di Pechino pubblicano spesso lettere di gente che si lamenta del fatto che la latrina nel loro quartiere non stata vuotata da mesi, che la puzza toglie l'appetito, che le lampadine rubate non sono state ancora rimpiazzate e che di notte molti cadono sul pavimento scivoloso. Da qualche tempo l'ufficio d'Igiene della municipa-lit. ha creato un'apposita unit. di settecentocinquanta persone. Fra i compiti che le sono stati affidati c' quello di fare atten-zione alla gente che ruba le porte, le finestre e i ganci al muro dalle latrine di quartiere.

Prima che le condizioni di vita a Pechino migliorino, ci vorr. molto tempo: la popolazione della capitale aumentata enor-memente dal 1949 a oggi; con l'eccezione di alcune case sem-plificate (vale a dire senza bagni n' cucine) fatte durante la Rivoluzione Culturale, negli ultimi due decenni non s' costrui-to nulla; solo dal 1980 il governo si preoccupato di costruire appartamenti per gli abitanti della capitale. Nel 1949 la popo-lazione di Pechino era di 1,2 milioni. Oggi di 9,2 milioni. Quando i comunisti presero il potere, ogni abitante aveva in media 11,2 metri quadrati di superficie abitabile a sua disposi-zione. Oggi ne ha solo 3,5. Invece di appartamenti in cui siste-mare la gente, i comunisti preferirono costruire enormi, impo-nenti palazzi di rappresentanza ed edifici pubblici in cui instal-lare la loro amministrazione.

Dovunque si vada, in Cina, si resta colpiti dallo squilibrio fra 'e spaziosissime, inutilizzate strutture pubbliche e i minuscoli spazi destinati all'uso privato.

Il Centro dell'Esposizione Industriale, il Palazzo dell'Agri-

coltura e il Museo di Storia Militare, per esempio, risultano

semplicemente sprecati, vuoti come sono per la maggior parte

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del tempo. I vari ministeri e uffici della municipalit. hanno enormi sale adibite a conferenze, altre riservate al ping-pong, mentre gli impiegati vivono sempre come sardine in qualche! dormitorio lontano.

Tutti quei capitali e sforzi che avrebbero dovuto essere inve-stiti per costruire e per restaurare Pechino vennero invece sprecati... sotto Pechino.

La storia dei tunnel della capitale, come quella dei tunnel in tutte le altre citt. della Cina, un'altra prova di quella follia] politica che pu. portare un popolo alla miseria. Lo slogan di Mao era: Scavate in profondit.. Nascondete grano dovunque.I Preparatevi contro le calamit. e contro la guerra . I lavori cominciarono nel 1969. Non c'erano macchine e cos si lavorava con le mani. Ognuno era volontario, racconta Dai Jinshen, dil rigente dell'ufficio Tunnel e Difesa Antiaerea di Pechino. Non ranti per soli stranieri dove si paga in valuta. I ristoranti 1 delle masse , come si chiamano gli altri, servono per riempirsi | lo stomaco e basta.

Le condizioni igieniche di questi ultimi luoghi in cui i turismi mettono raramente il naso, fanno rizzare i capelli e stringere lo stomaco. I pavimenti sono un piastriccio di resti e scaracchi. I tavoli sono coperti da appiccicose tovaglie di plastica che ven-gono ogni tanto strofinate con uno straccio sporco e unto. Ognuno deve mangiare in fretta, assillato dalla fila di coloro che stanno in piedi a contargli i bocconi finch' si alza e lascia I libero il posto. Molti, per non aspettare, mangiano accovacciati per terra con una ciotola in mano, attenti ai mendicanti che stanno pronti a rovesciare in un sacchetto di plastica i resti di tutte le zuppe.

Non ci sono molti mendicanti in giro per Pechino (la gente dice che attorno alla capitale la polizia ha steso una sorta di cordone sanitario che impedisce loro di entrare in citt.), ma non si pu. non notarli in posti come la stazione ferroviaria di Yunding Men o nelle strade sovraffollate a sud di Chien Men, oppure, di notte, a raspare nei cumuli di spazzatura nei vicoli bui.

Le notti di Pechino sono ormai senza tentazioni. La citt. va a letto pi- o meno al calar del sole. I ristoranti chiudono di regola alle otto, ma in molti la gente viene buttata fuori fin dalle sette e mezzo, quando i camerieri cominciano a gettare secchiate d'acqua per terra e fra le gambe dei clienti. Le feste da ballo private che i giovani avevano avuto il permesso di organizzare fra il 1978 e il 1980 sono state di nuovo messe al bando per-ch' disturbano la normale vita delle masse e perch' la musica che veniva suonata ora considerata pornografica . I cinema e i teatri di Pechino non sono tanti (sessantanove per l'intera citt.) e in genere la scelta limitata ai soliti cinque o sei film. I biglietti vanno comprati almeno un giorno prima e spesso attraverso la propria unit. di lavoro. A coloro che non vanno a letto presto, la citt. non ha niente da offrire a parte la misera luce al neon dei lampioni sotto i quali gruppetti di gente si ritrova per giocare a carte o a scacchi.

Nella vecchia Pechino, persino negli anni peggiori della guerra civile e dell'aggressione giapponese, c'era sempre qual-che posto in cui cercare di sfuggire alla disperazione e distrarsi. Il quartiere Tian Qiao (il Ponte del Cielo), a est del Tempio del Cielo, era pieno di teatri, case da t', fumerie d'oppio, osterie alberghetti e dormitori per manovali, tiratori di risci. e indicanti. appunto al Tian Qiao che il protagonista del romanzo di Lao She, L'uomo del risci., va, quando disperato Per la morte della moglie, malato e senza pi- la forza di lavorare; - E l si perde fra le bancarelle dei cibi, i gruppi di acrobati, musicanti e cantastorie con la sensazione di essere umano fra 'a spazzatura umana come lui.

Ora il Tian Qiao, completamente risanato, un quartiere co-

tutti gli altri senza pi- alcuna traccia del suo passato tranne

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un teatro che porta ancora il nome di un tempo, ma che pi- o] meno adibito a rappresentazioni folcloristiche per turisti. Fino alla Rivoluzione Culturale, a Pechino c'erano ancora delle case da t' dove, specie d'inverno, per pochi centesimi,! uno si poteva sedere davanti a una bella tazza fumante, a un ! piatto di semi di girasole salati e ascoltare per ore le gesta di antichi eroi raccontate a memoria dai cantastorie. Queste case] da t' furono tutte chiuse, e solo da poco un paio hanno ripreso;] la loro affascinante attivit.. Una si trova proprio dove un tempo! c'era il prato delle esecuzioni, un'altra dentro la Torre del Tarn-] buro nel nord della citt..

Anche l'Opera di Pechino, la forma pi- popolare di divertimento nella Cina del Nord e che era stata praticamente abolita; durante la Rivoluzione Culturale, ha ripreso, ma non pi- quel-I la di un tempo, n' deve tornare a esserlo. L'Opera di Pechino,] col suo vasto repertorio (qualcosa come duemila pezzi), stata per quasi un millennio la principale catena di trasmissione della] cultura popolare cinese. Era dinanzi ai palcoscenici delle troupe! itineranti alle fiere dei templi o sui mercati che la gente imparava la propria storia, la propria letteratura, imparava la poesia.] Ovviamente, questa forma di arte rifletteva il vecchio sistema] feudale e, come tale, incideva sul modo in cui la gente poi] guardava alla vita. Per questo i comunisti trovarono necessario, dopo il 1949, assumerne il controllo.

Innanzitutto, ne ridussero il repertorio a una dozzina di opere. Tutti i pezzi in cui i proprietari terrieri e i magistrati del] vecchio regime avevano, sulla scena, ruoli positivi, non potevano ovviamente essere rappresentati proprio quando, nella realt., i proprietari terrieri e i loro simili erano portati a migliaia da-] vanti ai tribunali del popolo, accusati di ogni sorta di delitti e nella maggior parte dei casi spediti al Creatore con una pallottola nella nuca. L'attacco finale all'Opera di Pechino si ebbe] con la Rivoluzione Culturale, quando i suoi attori vennero mes-si in prigione o mandati in campi di rieducazione attraverso il] lavoro.

Nel corso degli ultimi tre anni, l'Opera di Pechino, come! molte altre cose, stata riscoperta, ma, con la scusa che cos com'era non poteva pi- piacere ai giovani d'oggi, l'opera sta-] ta modernizzata e, con questo, assassinata , come dice una studiosa straniera di questa vecchia forma d'arte cinese. Le storie tradizionali sono state adattate alla linea politica del momento. Spiriti e fantasmi sono stati eliminati perch' non sono reali ma solo un prodotto della superstizione. Imperatori e mandarini sulla scena ora possono avere solo una moglie, per-ch' appunto la bigamia illegale, e un giovane che nella sua parte originale doveva cantare: Ho gi. vent'anni e non ancora una moglie mia, ora canta: Ho gi. trent'anni e... dato che questa l'et. in cui, secondo il partito, consigliabile prender moglie.

Pechino era una citt. di sarti, barbieri, falegnami e artigiani di ogni genere, famosi per la loro abilit. e la loro prontezza. Non pi- cos. Un cinese normale deve aspettare una media di sette mesi per farsi confezionare un vestito e // Quotidiano di Pechi-no cosi come il Pechino Sera hanno pubblicato decine di lettere di lettori che, dopo aver fatto grandi sacrifici e lunghe code, si sono ritrovati con calzoni in cui non riescono a entrare e giac-che due volte pi- grandi del necessario.

Alle cinque del mattino, sulla via Wang Fu Jin, davanti alla sartoria Lan Tian, che ha fama di essere un po' meglio delle altre, c' gi. la coda dei giovani che aspettano di prendere un numero che permetta loro di entrare nel negozio quando questo apre, alle nove del mattino. La sartoria serve soltanto venticin-que clienti al giorno. La sola sartoria che pretende ancora di aver una certa cura della propria clientela Hung Du, la Capi-tale Rossa, nella vecchia via delle Legazioni, l. dove un tempo sorgeva l'albergo dei Wagon Lits. I clienti sono soltanto stra-nieri, alti quadri del partito e membri di delegazioni ufficiali cinesi che l, con un buono della propria unit., vanno a ritirare il vestito con cui presentarsi all'estero (in passato questi vestiti dovevano essere restituiti al ritorno in Cina. Ora possono essere tenuti, ed questo uno dei tanti vantaggi del farsi includere in una delegazione ufficiale).

Hung Du era la sartoria che riforniva Mao delle sue famose giacche con le maniche che gli arrivavano fino a mezza mano. Era lui che le voleva cos , dice oggi il sarto che era addetto ai bisogni del Presidente.

Un tempo Pechino aveva migliaia di negozi. Dopo la Libe-

razione, per ragioni ideologiche, alcuni vennero eliminati, altri

ridotti di numero. L'obiettivo era sempre quello di trasformare

"il sistema esistente in un sistema socialista. Prima del 1949, per

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esempio, c'erano a Pechino pi- di trecento librerie specializzate in libri di seconda mano e d'antiquariato. Non ne rimasta che una. E la vecchia via Liu Li Chang, dove per secoli uno accanto all'altro c'erano stati decine di negozietti frequentati da studio-si, collezionisti e artisti, dove si potevano trovare un vecchio manoscritto e un vecchio dipinto su rotolo, i migliori pennelli e la miglior carta per dipingere, la via Liu Li Chang nel 1981 stata rasa al suolo e al suo posto sta sorgendo una sona di vecchia Pechino stile hollywoodiano a uso dei turisti. Nel 1949 c'erano a Pechino 72.303 botteghe che impiegava-no il,15.000 persone. Ora, nonostante l'aumento della popolazio-ne, i negozi sono meno di 10.000 e hanno soltanto 120.000 dipendenti. Nel vecchio centro commerciale della citt. c'erano intere strade e vicoli specializzati in un prodotto o in un'attivit. I che appunto davano il nome al luogo: c'era un vicolo per la 1 giada, uno per le rificolone, uno per i fiori di seta, uno per le pellicce, uno per i cappelli e uno per le casse da morto. I vicoli jj esistono ancora, alcuni hanno anche mantenuto i vecchi nomi, ! ma i negozi sono tutti scomparsi.

Le piccole botteghe in cui ogni mattina un uomo con l'intera famiglia si alzava pensando a come sbarcare il lunario, a come i eseguire un certo lavoro e far quadrare i conti, sono state ammalgamate in alcune grandi aziende di Stato dove ognuno fa im-1 personalmente e senza interesse la propria parte di lavoro collettivo. Oggigiorno, se un cinese ha bisogno di farsi accomodare una sedia o un tavolo, non trova in tutta Pechino un solo falegname. Se poi quel cinese volesse da solo costruirsi un tavolo, l'impresa ugualmente impossibile. In una citt. di nove milioni di abi- i tanti un individuo non pu. comprare un pezzo di legno, o di | ferro, un tubo di plastica o una striscia di gomma. Se intende acquistare un pezzo di vetro, gli conviene partire con una lettera di presentazione della propria unit. che spiega perch' ne ha bisogno e quanto ne vuole.

Questa una delle ragioni per cui nelle case di Pechino i tetti!

gocciolano, le finestre restano rotte e riparate alla meglio con

pezzi di cartone e sacchetti di plastica e per cui anche i nuovi I

appartamenti si rovinano rapidamente. Chi volesse tenerli a posto, d'altra

parte, non ne avrebbe i mezzi. Gli appartamenti co- i

munque sono di propriet. dello Stato. I mattoni non si posso-

no comprare, allora li rubo, m'ha detto un giorno un uomo

che con acqua e terra (anche il cemento non pu. essere acqui-stato dai singoli) stava costruendo un ripostiglio fuori della por-ta di casa per metterci il cavolo a svernare.

La mobilia pi- comune, un letto o un armadio, viene venduta solo a chi si sposa, e anche per questo l'interessato costretto ad andare in un negozio speciale e presentare un certificato di matrimonio. per tale ragione che i contadini, avendo facile accesso al legname, fanno dai due ai trecento chilometri per ve-nire fino a Pechino portando in bilico sulle loro biciclette pol-trone e sof. ricoperti di orribile, ma qui ambitissima, plastica, da vendere agli abitanti della capitale.

A volte c.pita che improvvisamente un negozio metta in vendita qualcosa che mancato sul mercato per mesi. La gente si precipita e il tutto scompare in poco tempo. Per questo abi-tudine dei pechinesi uscire con tutti i risparmi nel portafogli, nel caso capitasse loro di imbattersi nell'occasione agognata da tempo.

I grandi magazzini che impressionano sempre cos favore-volmente i visitatori stranieri con la loro abbondanza di prodot-ti, hanno ogni sorta di oggetti di normale consumo quotidiano: dal sapone alle pentole, alle borse di plastica, ai golf, ai pantaloni blu o verdi, ma per comprare alcuni generi alimentari, co-me il riso, la carne e l'olio, che sono ancora razionati, occorre la tessera, bisogna fare la coda e poi ci si deve accontentare di quel che c.pita. Non sempre ci. che esposto in vetrina in vendita.

Gli ortolani nei pressi dell'ambasciata sovietica hanno per anni messo in mostra verdura fresca e a buon mercato tanto per far credere ai revisionisti che quella fosse la situazione delle provviste in tutta la citt..

Due mesi fa un gruppo di clienti che avevano visto nella ve-trina di una macelleria, nel quartiere dell'Est, degli insoliti pez-zi di bella carne magra si precipitarono dentro. No, no. Questa non in vendita, si sentirono dire, serve solo per l'ispezio-ne. Alcuni tornarono nel pomeriggio dopo che il comitato, mandato a ispezionare la qualit. della merc', era passato, e questa volta venne detto loro: No, no. Questa carne non in vendita. riservata per la porta di dietro. A quel punto, seccati, scrissero una lettera al Quotidiano del Popolo.

La porta di dietro l'espressione comune per descrivere il

modo in cui un normale cittadino riesce a ottenere cose per lui

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altrimenti impossibili. Passare per la porta di dietro vuol dire avere un amico in un'unit. o conoscere un quadro o un figlio | di quadro che disposto a dare una mano, a fare un favore... ovviamente in cambio di una ricompensa. Nella Cina di oggi c' una porta di dietro per tutto: per farsi visitare da un buon dottore, per frequentare una buona scuola, per avere un buon lavoro o anche per ottenere un passaporto. Questa forma di cor-ruzione, ormai dilagante in tutto il paese, dovuta in parte al- ; l'incredibile aumento della popolazione dal 1949 a oggi e in parte all'incapacit. delle autorit. di mettersi al passo. Solo la met. dei bambini di Pechino possono frequentare un asilo. Le scuole sono sovraffollate e devono fare dei turni. Gli ospedali sono cos pieni che alcuni pazienti sono costretti ad aspettare settimane per avere un letto ed essere operati. Da qui la necessit. di trovare un modo diverso per ottenere ci. di cui si ha bisogno.

Negli ospedali di Pechino ci sono solo 32.000 posti-letto per l'intera popolazione, mentre ce ne sono 10.000 in alcune clini-che speciali riservate esclusivamente ai quadri del partito e del-l'esercito. A Pechino un ammalato che debba essere portato d'urgenza all'ospedale viaggia disteso su un carretto di legno tirato da un uomo in bicicletta, perch' le poche ambulanze della citt. sono esclusivamente a disposizione degli alti dirigenti. Molte di queste situazioni possono essere spiegate con il fat-to che la Cina ancora un paese povero, ma altre deficienze sono semplicemente il frutto di assurde considerazioni ideologi-che. Certe professioni, come i facchini o i conduttori di risci., per esempio, furono abolite perch' umilianti e perch' sim-boli della vecchia societ..

Pechino oggi ha un grande numero di giovani disoccupati, ma le decine di migliaia di viaggiatori che ogni giorno arriva-no da ogni parte della Cina alla stazione centrale di Pechino non trovano un cane ad aiutarli coi bagagli: i facchini non esi-stono pi- perch', appunto, non sta bene che un uomo porti i bagagli di un altro. Gli autobus pubblici sono sempre stivati e i litigi, a volte violenti, fra i passeggeri nervosi sono all'ordine del giorno.

Nel 1957 a Pechino c'erano 11.000 risci. che, con poca spe-sa, portavano due o tre persone da qualsiasi parte della citt.. Durante la Rivoluzione Culturale sono stati aboliti come re-sti della borghesia. Nell'ottobre del 1980 i risci. furono - dapprima con un certo imbarazzo - reintrodotti nella vita della citt., ma il numero tenuto volutamente basso (al momento ce ne sono 750).

Di tutte queste riforme introdotte da Deng Xiaoping, quella che ha avuto pi- conseguenze stata la riapertura dei mercatini privati, dove ora i contadini delle Comuni attorno a Pechino vengono a vendere i prodotti dei loro orti privati, facilitando cos la distribuzione di verdura e uova fra la gente della capi-tale. Gli impiegati degli uffici pubblici hanno preso ora l'abitu-dine di usare i quindici minuti di pausa mattutina, prima dedi-cati alla ginnastica nei cortili, per saltare sulle biciclette e cor-rere a questi mercati per far rifornimenti di cipolle e cavoli. Anche questa una forma di ginnastica , dice la gente. Pechino era come un immenso forziere nel quale per secoli da ogni angolo dell'impero erano state portate grandi opere d'arte, splendidi e stravaganti regali. La Citt. Proibita era un immenso museo. Musei erano i palazzi dei principi e dei mandarini, pic-coli musei erano le tante case in cui viveva la gente normale. Quando i Nazionalisti fuggirono a Taiwan, Chiang Kaishek dette ordine che le grandi collezioni della Citt. Proibita fossero portate via e messe nel Museo Nazionale di Taipei dove si tro-vano tuttora, peraltro ben conservate. Per la Cina una perdi-ta simile a quella che sarebbe la perdita del Louvre per la cul-tura europea, dice uno storico dell'arte straniero. Il resto dei tesori che si trovava nei palazzi, nei templi, nelle case della gente stato distrutto durante le varie campagne politiche degli ultimi vent'anni. Tutto ci. che era in qualche modo di natura religiosa ha sofferto ancor pi- del resto.

Ora che alcuni templi, mezzo distrutti e spogliati di ogni sta-tua, quadro e campana, vengono restaurati e riaperti al pubbli-co, uno dei pi- grandi problemi dove trovare gli oggetti con cui arredarli di nuovo.

Le diciotto statue degli eremiti ora nel Guang Ji Si, il tempio

che durante la Rivoluzione Culturale venne usato come prigio-

ne per tutti i bonzi dell'area di Pechino, vengono da un tempio

di campagna che stato completamente distrutto. Le statue di

Budda provengono da un monastero dei sobborghi. In una teca

di vetro esposta una disgustosa accozzaglia di Budda e Buddi plastica, regali

di delegazioni straniere venute recentemente

[PAGINA 26] in visita a Pechino. La grande, bella statua di bronzo di Sakyamuni, ora al centro del Fa Yuan Si, viene da un tempio di campagna che i contadini protessero dalla furia distruttiva delle Guardie Rosse, ma il Budda cos alto che per farlo entrare sotto il tetto del padiglione principale si dovuto scavare nel pavimento una fossa in cui affondare il piedistallo. Il bel Budda sdraiato, lungo sette metri, stato trovato in un garage dove era finito dopo che il tempio in cui si trovava fin dall'epoca della dinastia Ming era stato distrutto per far posto a una strada. Sfor-tunatamente, per farlo entrare nel garage il braccio che gli reg-geva la testa gli era stato segato.

Nelle case della gente non rimasto nulla, assolutamente niente, dei vecchi tempi: non una tavola, una seggiola, un vaso, un quadro, un orologio, nemmeno la pi- piccola collezione di vecchi libri. Quel che rimasto lo vendono a voi stranieri, m'ha detto pi- volte un uomo i cui beni sono stati confiscati o distrutti dalle Guardie Rosse.

Il cosiddetto Negozio del Teatro, a pochi passi dall'Hotel di Pechino, un altro negozio sulla via Wang Fu Jin e uno al Tempio del Cielo sono gli unici autorizzati a vendere mobili antichi agli stranieri, e spesso c.pita che i vecchi pechinesi ri-conoscano fra le cose esposte alcuni dei pezzi sottratti loro dal-le Guardie Rosse. Nei sobborghi della capitale ci sono enormi capannoni dove la roba confiscata durante la Rivoluzione Cul-turale stata immagazzinata e viene ora esposta e venduta in blocco ai grandi antiquati di Londra e New York. Alcune famiglie, riabilitate dopo il ritorno di Deng Xiaoping al potere, si son viste restituire alcune delle cose che erano state loro confiscate, ma oggigiorno nessuno sa pi- cosa farsene, di quelle anticaglie. La gente non ha pi- abbastanza spazio per tenerle, i giovani hanno perso il gusto di simili cose, e l'unica soluzione vendere, ma non privatamente. Ci. proibito, e la gente costretta a dare quel che ha allo Stato per un centesimo del prezzo al quale lo Stato poi rivende quelle stesse cose agli stranieri nei negozi autorizzati.

Il fatto che la Cina oggi abbia un enorme bisogno di valuta straniera fa s che anche certi piccoli piaceri cui la gente era abituata diventino sempre pi- un lusso, come usare una teiera in terracotta di Yixing o un portapennelli in ceramica dello Hu-nan.

Fino ad alcuni anni fa questi e altri simili prodotti dell'arti-gianato tradizionale cinese erano in vendita un po' dappertutto a prezzi bassissimi. Ora gli stessi prodotti sono riservati all'e-sportazione e un pechinese non riesce pi- a trovarli sul mercato. Fra i piccoli piaceri della Pechino di un tempo c'era quello di allevare degli animali. Cani, piccioni, grilli e usignoli erano il grande passatempo di giovani e vecchi. Anche questo non piacque al regime maoista.

I primi a scomparire furono i cani. L'ordine venne nel 1950. Peter Lum, moglie di un diplomatico inglese allora a Pechino, descrive il massacro nel libro di memorie dal titolo Peking 1950-1953: Li stivavano in carrette, simili a quelle per la spazzatura, e li portavano via per strangolarli o bastonarli a morte. Le carrette lasciavano lungo la strada delle strisce di sangue. Dentro si sentiva un gran tramestio e un gran latrare . II massacro dei cani cre. grandi malumori fra la gente di Pe-chino, e le autorit. comuniste per calmare gli animi dissero che le loro direttive erano state applicate troppo alla lettera. Ma lo sterminio continu. e presto in tutta la citt. non ci furono pi-cani. La ragione ufficiale del tempo era che i cani avevano la rabbia e per questo erano pericolosi. Nel 1956, per contro, il ministero della Sanit. spieg. a un gruppo di giornalisti occidentali in visita che gli animali erano stati eliminati perch' gli americani in Corea avevano iniziato la guerra batteriologica e i cani erano i portatori di terribili malattie. Secondo i pechinesi, la ragione del massacro era che la polizia segreta, a quel tempo occupatissima di notte a scovare ed eliminare spie, proprietari terrieri, capitalisti e controrivoluzionari, non voleva essere di-sturbata dall'abbaiare dei cani.

Un'altra spiegazione, che ancor oggi molta gente ripete, che Mao, allorch' fugg una volta di prigione, fu ripreso a cau-sa di un muro che non riusc a scavalcare e di un cane che gli ringhiava alle calcagna. Abbatter. tutti i muri e tutti i cani, se mai diventer. imperatore della Cina, s'era detto allora il gio-vane Mao. E, appena diventato capo della Cina, mantenne la promessa: ordin. di distruggere le mura di Pechino e di elimi-nare tutti i cani.

Gli stranieri, nel ghetto in cui sono costretti a vivere, hanno

continuato a tenere cani, ma non senza problemi. All'inizio del-

lo scorso anno, per esempio, l'ambasciatore di un paese est-eu-

ropeo fu chiamato dalla polizia per rispondere di un elenco di

crimini che il suo cane aveva commesso durante le sue sortite

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all'esterno del quartiere diplomatico. La polizia aveva gi. deci-so la sentenza: il cane doveva essere ucciso. Ci vollero ore e ore di trattative perch' il cane avesse salva la vita, ma l'amba-sciatore dovette, a nome del cane, confessare le sue malefatte e chiedere clemenza, facendo osservare, fra l'altro, che quello era, nel calendario cinese, proprio l'anno del cane. Durante il breve periodo di liberalizzazione seguito all'arre-sto della Banda dei Quattro, fra le tante piccole libert. che la gente cominci. a riavere o a riprendersi, ci fu anche quella di tenere gli animali: qua e l. ricomparvero i cani e fu una piace-vole sorpresa, andando a passeggiare la domenica fra le rovine del vecchio Palazzo d'Estate, risentire certi suoni da tempo di-menticati. Anche questo, per., fu di breve durata. All'inizio del 1982 la municipalit. di Pechino ha riesumato i vecchi regolamenti sui cani, e bande di poliziotti muniti di ba-stoni speciali che emettono terribili scariche elettriche hanno cominciato ad aggirarsi per Pechino uccidendo tutti i cani che trovavano. Ai proprietari non resta che scuoiare le povere bestie e mettere la pelle a seccare sui muri per farne guanti per l'in-verno.

Dopo i cani, stata la volta dei pesci rossi, dei gatti, degli uccelli e di tutti gli altri animali accusati di essere dei mangia a ufo incompatibili con la nuova moralit..

Pechino era un tempo una citt. di studiosi, artigiani, intellettua-li, artisti e funzionari di governo, rampolli di una giovane classe borghese.

L'arrivo degli eserciti di Mao Tsetung nella capitale segn., come simili vittorie comuniste in altri paesi, l'inizio di un pro-fondissimo sconvolgimento, l'inizio di quella rivoluzione socia-le che fa ora di Pechino una citt. di contadini, di operai, di sol-dati e di quadri del partito. La societ. stata letteralmente mes-sa sottosopra: la vecchia classe dirigente stata spogliata delle propriet., delle case, dei privilegi, e nuova gente - persone di tipo completamente diverso - ha preso in mano l'apparato di potere. Per trent'anni Pechino stata in mano di costoro. Alla direzione dello Zoo e dei Trasporti, alla testa della Societ. del gas, dell'ufficio per lo Sviluppo Industriale e alla direzione del-la Maternit., ci sono stati - e ci sono ancora - uomini la cui principale qualit. quella di essersi uniti per tempo alla rivoluzione (almeno prima del 1949) e di godere perci. della piena fiducia del partito.

Questo fatto ha prodotto grossi mutamenti nella vita cittadi-na. La stessa lingua di Pechino cambiata col cambiare della classe al potere: tutte le vecchie espressioni sono scomparse e sono state sostituite da modi di dire pi- semplici, molti derivati dalla terminologia militare usata dai guerriglieri comunisti du-rante la guerra civile.

Abitudini nate dalla pratica della clandestinit. e dall'osses-sione comunista riguardo i problemi della sicurezza sono entra-te nel modo di essere di Pechino nel 1949 e ancora sussistono. Quando uno risponde al telefono, per esempio, si guarda bene dal dire il proprio nome, o il nome della propria unit., o anche soltanto il proprio numero di telefono. Colui che chiama si comporta esattamente allo stesso modo, cos che una normale telefonata, oggi, si svolge pi- o meno in questo modo:

Weeei... (pronto).

Weeei... weeeei.

Wei... wei.

con chi parlo?

con chi parlo io?

di quale unit. sei?

Di quale unit. sei tu!

La cosa pu. andare per le lunghe prima che uno dei due si decida ad abbassare la guardia e a rivelare la propria identit. o quella della propria unit..

Il semplice elenco del telefono stato per molto tempo se-greto, e solo due anni fa, fra le riforme di Deng, c' stata anche quella di rendere pubblici la maggior parte dei numeri per fa-cilitare almeno un po' le comunicazioni. Il primo elenco dal 1949 ora in circolazione.

Quando i comunisti presero Pechino, c'erano pi- di 29.000 telefoni nella capitale. La media era di 2,1 apparecchi per ogni 100 abitanti. Oggi ne esistono 1 15.000 ma, dato l'aumento della Popolazione, la media di 1,3 apparecchi per ogni 100 persone. Nel 1949, pi- della met. dei telefoni di Pechino erano priva-ti- Ora tutti i telefoni appartengono a un'unit. o sono telefoni Pubblici. Per ragioni di sicurezza e, ovviamente, per impedire che i telefoni fossero usati come mezzi di comunicazione dai Ornici del nuovo regime, i comunisti, appena preso il potere, si affrettarono a tagliare tutti i telefoni privati e a rendere da Wei..

Wei..

Wei..

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allora impossibile la loro acquisizione. L'installazione di un nuovo telefono, ammesso che si riesca a ottenere il permesso di averne uno, costa oggi l'equivalente di un anno di stipendio. Il canone mensile costa un terzo del salario. La questione co-munque puramente teorica perch' nessun privato che non sia un alto funzionario del partito pu. avere un telefono in casa. La gente normale pu. usare i telefoni pubblici... ovviamente se funzionano.

Recentemente, il Giornale della Giovent- ha raccontato la storia di un uomo che, avendo urgenza di telefonare, ha fatto il giro di tutti i telefoni del suo quartiere e, avendoli trovati tutti rotti, ha scritto una protesta pubblica accompagnandola con una paroda della favola tanto cara a Mao del Vecchio folle che rimuove le montagne: Non vuol dire se io non riesco a fare questa telefo-nata. Quando muoio ci prover. mio figlio. Se lui muore ci pro-veranno i suoi figli. Dopo di loro i loro figli e cos via... I telefoni pubblici sono nelle guardiole dei comitati di stra-da cos che ogni conversazione viene ascoltata e, in caso di sospetto o di necessit., pu. venir riferita immediatamente da parte di coloro che la gente chiama i poliziotti dai piedi pic-coli .

Anche questa figura venne introdotta dai comunisti col loro arrivo a Pechino nel 1949. Oggi essa domina la vita quotidiana di ogni famiglia. Ciascun quartiere diviso in settori. Ogni set-tore ha un comitato di strada i cui membri sono di solito delle vecchie pensionate, per lo pi- nate ai tempi in cui era an-cora di moda fasciare i piedi alle bambine in modo che rima-nessero dei piccoli moncherini ritenuti attraentissimi. Molte di queste donne entrarono a Pechino al seguito dell'Esercito di Liberazione da cui erano state appunto liberate e molte di loro sono ancora oggi i poliziotti dai piedi piccoli. Le funzioni dei comitati di strada sono varie e cambiano a seconda dellla pressione e dei controlli politici che dall'alto vengono esercitati sulla gente. Anche in tempi normali i comitati di strada son< incaricati di controllare e denunciare le gravidanze illecite, (una coppia non pu. avere pi- di un figlio) la presenza di visitato! nelle famiglie del vicinato e di tenere gli occhi aperti su quel che le varie famiglie combinano. Spesso questi poliziotti dai piedi piccoli non sanno n' leggere n' scrivere, ma la loro ap-provazione il primo indispensabile passo per ottenere un cam-bio di residenza o mandare un figlio all'asilo di quartiere.

i

I poliziotti dai piedi piccoli possono in ogni momento en-trare in casa di qualcuno, dare un'occhiata a quel che bolle in pentola e, con la scusa di controllare se la famiglia rispetta le ultime direttive, per esempio sulla campagna contro i topi, an-dare a guardare sotto il letto per vedere se ci si nasconde qual-cuno o qualcosa. Attraverso l'unit. in cui lavora e attraverso il comitato di quartiere in cui vive, ogni cinese costantemente sotto il controllo di un'organizzazione, l'ufficio della Pubblica Sicurezza che presiede a ogni aspetto della vita della gente e che stabilisce i margini entro i quali uno si pu. muovere. Se da questi margini si scosta, intervengono altre forme di controllo. Negli alberghi cinesi, per esempio, non c' un portiere, ma all'ingresso di ciascuno c' un banco appunto della Pubblica Sicurezza. L, un cinese che voglia entrare per far visita a uno straniero, o anche a un parente che viene dall'estero, deve mostrare la propria carta di identit. e far registrare il proprio nome, il nome dell'unit. a cui appartiene, il nome della persona che va a trovare e la ragione della visita. Immediatamente l'uf-ficio della Pubblica Sicurezza della sua unit. di lavoro viene avvertito della faccenda: si fanno i necessari riscontri e le do-vute considerazioni. L'interessato pu. essere chiamato per dare ulteriori spiegazioni. Quella visita, comunque, viene registrata nel dossier personale che esiste su ogni cinese e di cui ogni ci-nese conosce l'esistenza senza che l'interessato abbia modo di vederlo o di discutere ci. che ci viene scritto. La non osservan-za di una qualsiasi di queste regole mette la gente nei guai e a volte la spedisce di filato nei campi di rieducazione. L'accesso a gran parte dei luoghi di Pechino, cos familiari agli stranieri anche di passaggio dalla capitale, in verit. proi-bito ai normali cinesi: fra quelli, gli alberghi, i ristoranti e i mi-gliori negozi.

Prima era vietato l'accesso ai cani e ai cinesi. Ora vietato solo ai cinesi , urlava tempo fa un amico americano di origine cinese quando siamo andati nel Palazzo del Digiuno oggi diventato, a uso dei turisti, il Negozio di Marco Polo, nel parco del Tempio del Cielo, e lui, vestito con i pantaloni blu e la giac-ca da operaio, stato scambiato per un locale e messo alla por-ta in malo modo.

Il palazzo era quello usato nei tempi antichi dall'imperatore

Pfr prepararsi, digiunando, alla grande, annuale cerimonia propiziatoria dal cui successo dipendevano i raccolti di tutta la Cina.

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Ora quella splendida costruzione stata trasformata in un emporio di tappeti, cloisonn', mobili e oggetti d'artigianato,, ma i normali cinesi non possono che spiaccicare i loro nasi cu-riosi contro i vetri delle grandi porte su cui una scritta in cinese dice: Riservato agli ospiti stranieri .

La vita dei dirigenti comunisti molto diversa da quella della gente comune e le diversit. cominciarono subito, nel 1949. Le migliori residenze di Pechino vennero assegnate ai generali e ai commissari politici, grandi tratti delle Colline Occiden-tali vennero chiusi al pubblico e riservati alla costruzione di lussuose e appartatissime residenze per i capoccia del partito. Accanto alla vecchia Citt. Proibita, solo un terzo della quale ora aperto come Museo (gli altri due terzi restano proibiti, inaccessibili), i comunisti hanno costruito una nuova Citt. Proi-bita, Zhong Nan Hai, circondata e protetta dallo stesso muro imperiale color sangue di bue che per secoli tenne invisibile e inavvicinabile il Figlio del Cielo.

L, Mao Tserung, Chu Enlai, Liu Shaoci e gli altri grandi ca-| pi comunisti hanno vissuto e lavorato, controllandosi e sospettandosi a vicenda (un giorno qualcuno mi ha raccontato che!

Chu Enlai, quando andava a trovare i suoi colleghi, si portava ' sempre dietro una borraccia, con la sua acqua, per timore di es-sere avvelenato), imbastendo colpi e controcolpi di Stato fino all'ultimo nel 1976, quando la vedova di Mao e i suoi accoliti furono arrestati ed epurati.

I dirigenti comunisti cinesi vivono isolati dalla gente. Si fan-! no di rado vedere in pubblico e vanno dalle loro residenze ai i loro uffici nel Palazzo del Popolo e nel quartier generale del partito usando una rete segreta di tunnel sotterranei. Lin Piao s'era barricato in una sua residenza nei quartieri occidentali, protetto da un muro alto dieci metri. Chiang Ching aveva casa in quello che era stato il palazzo del principe Tuan, < capo della rivolta dei Boxer contro gli stranieri nella Pechino - del 1900.

In caso di necessit., la moglie di Mao poteva lasciare la pr.pria residenza senza essere vista e viaggiare attraverso un tun-nel fino a un aeroporto militare a dieci chilometri dalla citt.. Kang Sheng, capo della polizia segreta e uomo di fiducia di'] Mao, si era preso una bella casa su cortile vicino alla Torre della Campana e si era fatto costruire nel giardino un rifugio antiatomico che poi usava anche come stanza per gli interroga-tori dei nemici del regime. Oggi una delle eccitanti attrazioni dei turisti che godono di poter mangiare l. dove quel raffinato signore decideva il destino delle sue vittime e la destinazione delle loro eventuali collezioni di antiquariato (Kang Sheng era un avido collezionista ed era solito prendersi i pezzi pi- bel-li fra le cose confiscate alla gente).

Dopo la sua morte, Kang Sheng stato epurato ed estromesso dal partito, come se l'esserne membro fosse un titolo in grado di passare all'anima. La sua casa, il Giardino dei Bamb-, stata trasformata in un albergo e un ristorante di lusso riser-vati agli ospiti stranieri.

All'inizio della Repubblica Popolare c'era un notevole risen-timento per i privilegi che i nuovi dirigenti si concedevano, poi venne cos tanto spiegato che tali privilegi erano solo una mi-nima ricompensa per gli enormi sacrifici fatti durante la guerra di liberazione e per la rivoluzione, che presto la gente smise di fare domande e accert. come ovvie tutte le ineguaglianze. Ora un fatto scontato che grosse macchine nere con le ten-dine chiuse portino per la citt., senza che si facciano vedere, i quadri del partito esattamente come ai vecchi tempi le portan-tine, con le stesse tendine chiuse, menavano in giro i mandarini dell'impero.

un dato di fatto che nel centro di Pechino, dove la maggior parte della gente vive ancora nella miseria, ci sono delle resi-denze diverse, protette da filo spinato, con- tetti ben tenuti da cui spuntano dei camini, segno di un riscaldamento centrale. Le porte sono chiuse. Porta aperta significa cortile del popolo, porta chiusa vuol dire casa di dirigente, dice, scherzando, la gente di Pechino.

I quadri alti del partito hanno tutto quello che per la gente

comune semplicemente un sogno. I loro cuochi vanno in ne-

gozi speciali a comprare carne e pesce fresco e, all'uscita della

Porta orientale della Citt. Proibita, c' persine uno speciale or-

tolano di Stato che vende, esclusivamente per i capi, frutta e

verdura trattata con concimi naturali e non chimici. I capi hanno speciali

ospedali dove vengono curati con medicine che il

comune cinese non pu. permettersi e hanno macchine a loro

dlsposizione. Sui treni hanno diritto ai migliori sedili, al teatro

a Quelli nelle prime file, al cinema a quelli posteriori. La stoffa

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con cui sono fatti i loro vestiti della miglior qualit., cos co-me lo l'educazione dei loro figli che fin da piccoli frequenta-no scuole speciali.

La Cina ancora un paese povero. Se dovessimo vivere come tutti gli altri, non saremmo in grado di svolgere bene il nostro lavoro , mi spieg. un giorno un alto funzionario del go-verno cui facevo, tanto per controllare le mie informazioni, la; lista di tutti i suoi privilegi. Questo certo vero, cos come i vero che la societ. di oggi non quella che i comunisti si erano! prefissi quando, trent'anni fa, conquistarono il potere. E questo! un aspetto della tragedia cinese.

I comunisti avevano il diritto morale di vincere la guerra civile contro Chiang Kaishek. i nazionalisti erano corrotti, ineffi- cienti e avevano perso completamente l'appoggio popolare. Per! pi- di un secolo la Cina era stata una civilt. in decadimento molti pensavano una civilt. morente -, una civilt. non pi- ini grado di resistere agli attacchi o anche semplicemente alla pacifica concorrenza del resto del mondo. La Cina era diventata!

il grande malato dell'Asia, e le Potenze del tempo erano l] pronte a spartirsene le spoglie, a dividersene i resti. I comunisti si videro come i salvatori della Cina e si presena tarano come l'unica forza capace di resistere all'aggressione! straniera. Essi promisero la rinascita della Cina, ed per questo! che decine di migliaia di giovani cinesi si sacrificarono per la causa comunista e tantissimi intellettuali, pur non comunisti, si unirono alla rivoluzione.

Ora, trentacinque anni dopo, la Nuova Cina ben lontana dall'essere quel che i comunisti avevano sperato e promesso! Essi hanno, s, arrestato il declino della Cina e immesso il paese sulla via dello sviluppo, ma quel che hanno ottenuto costato carissimo alla gente, mentre gli errori da loro commessi hann<j| causato enormi miserie e un'enorme confusione.

La loro ideologia li ha portati a considerare tutto il passatoi come negativo e come responsabile dei malanni e del sottosvi luppo della Cina. Per questo, da eliminare. Non si sono resi conto che distruggere pi- semplice che costruire. E cos ha no fallito. La tentazione di dare la colpa di questo fallimento adi altri , ovviamente, grande.

Il 18 ottobre 1982 si svolse nella Citt. Proibita una cerimonia per commemorare il 122 anniversario del sacco del PalazzdB d'Estate (Yuan Min Yuan) da parte delle truppe inglesi e francesi alla fine della seconda Guerra dell'Oppio. L'imperiali-smo vuole distruggere la civilt. cinese, e questo Yuan Min Yuan solo un esempio, disse nel discorso d'occasione Lian Guan, membro del governo centrale, annunciando un grandioso, ma insensatissimo piano per la ricostruzione del palazzo. I po-steri cos ricorderanno chi lo distrusse , aggiunse Liao Mosha, vicepresidente del governo municipale.

La distruzione del palazzo, di cui non sono rimaste neppure le fondamenta, certo fu un esempio terribile della vendetta stra-niera in Cina. Solo che non si pu. parlare di quel palazzo senza ricordare che fu in gran parte costruito da europei, fra cui il gesuita italiano Giuseppe Castiglione; non si pu. dimenticare che il palazzo fu bruciato e saccheggiato perch' i cinesi aveva-no torturato e ucciso alcuni emissari andati a parlamentare con la bandiera bianca, un fatto, questo, che i cinesi tendono a met-tere da parte e che stato lasciato fuori anche da un recente film sull'argomento in cui gli stranieri fanno la stessa parte dei tedeschi nei film americani del dopoguerra. Comunque, concludere che questa vicenda prova la volont. degli stranieri di distruggere la civilt. cinese pura idiozia. La distruzione della vecchia Pechino con le sue mura, i suoi templi, i suoi palazzi, i suoi giardini, le sue case una tragedia che i cinesi si sono imposti con le proprie mani, senza alcun aiuto dei sospettati stranieri.

Nel 1949 Pechino era ancora uno splendido guscio in cui un'indebolita, corrotta, morente societ. aspettava d'essere mu-tata e fatta rinascere. I comunisti, con l'idea di realizzare tali mutamenti, decisero di distruggere tutto quel che era vecchio e promisero di fare della vecchia Pechino una nuova capitale, simbolo della loro Nuova Cina socialista.

Dopo trentacinque anni di disordini, sofferenze e sacrifici, la Pechino che uno si vede attorno un banale agglomerato di strade, edifici, piazze che difficilmente si pu. definire una citt.. Trentacinque anni di politiche contraddittorie hanno fatto di Pe-chino una capitale che non n' cinese, n' socialista... a meno che socialismo debba per forza voler dire monotonia, desolazio-ne, mancanza di fantasia e di vitalit., e polvere nelle vetrine. Questo successo solo perch' i comunisti hanno scoraggiato ogni pensiero indipendente, perch' hanno messo da parte gli 'ntellettuali, perch' non hanno fatto uso degli esperti e han-no lasciato che i rossi prendessero tutte le decisioni.

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Ancora negli anni '50 in alcuni circoli intellettuali si disciw leva di come Pechino avrebbe dovuto essere mutata pur mante-nendo la sua anima antica. Un uomo come Liang Sichen, pre.   side della facolt. di architettura dell'Universit. Qing Hua, propose uno stile architettonico nazionale che combinava la tra. dizione cinese con le esperienze moderne. Per questo fu critica-to, epurato e il suo progetto condannato.

Ogni unit. fece allora quel che voleva, ogni dibattito fu sof.| focato e presto nessuno ebbe pi- il coraggio di parlare, pi- nes-suno ebbe il coraggio di fare delle critiche, di suggerire qualco-sa di diverso da quel che il partito voleva. Migliaia di intellet-tuali furono accusati di essere elementi di destra e vennero deportati lontano da Pechino, nel corso delle varie campagne politiche, fatte appunto per eliminare la loro influenza dalla so-ciet..

I comunisti, che avevano abbattuto le mura di Pechino per liberare la citt. dai suoi ceppi feudali, finirono per costruire una ben pi- schiavizzante muraglia nella testa della gente: un muro di paura e di pregiudizi ideologici.

Dietro la Pechino di oggi non c' alcun disegno, non c' al-| cuno schema, alcun pensiero. Si pu. vagare per ore e ore attra-verso la citt. senza mai vedere un solo edificio, una sola costru-zione degli ultimi tre decenni che colpisca come una dichiara-zione architettonica, come un esempio, uno solo, di ci. che la Nuova Cina ha saputo dare.

II solo, interessante esempio di qualcosa di nuovo e originale l'albergo delle Colline Profumate ideato da I.M. Pei, l'archi-tetto americano di origine cinese che ha con questo dato la sola lezione di architettura che la Cina abbia sentito, in decenni, sul modo di combinare il tradizionale col moderno. Dopo due anni di sforzi e di fatiche, Pei lasci. Pechino alla fine dell'ottobre 1982 consegnando il proprio baby alla burocrazia cinese, che in due anni ha gi. trasformato l'albergo in un altro accam-pamento per figli di quadri: sporco e malandato. L'acqua nella vasca dell'ingresso stagnante e piena di foglie secche, un cor-done di plastica impedisce ai camerieri di sedersi sulle poltrone, gli enormi cesti di bamb- nella hall sono ingialliti solo perch' qualcuno ha dimenticato di annaffiarli, alcuni vetri delle fine-stre sono gi. rotti e tenuti assieme con lo scotch. I capi della Cina di oggi, se vogliono in qualche modo moder-nizzare il paese, hanno bisogno degli intellettuali. Per questo, i pochi che sono sopravvissuti vengono ora corteggiati con offer-te di privilegi, appartamenti e anche la tessera del partito. Non un caso che sul viale Chang An, dinanzi all'Osserva-torio Astronomico, sia appena cresciuto un enorme edificio di cemento che ospiter. l'Accademia delle Scienze Sociali. Quello esattamente il posto dove un tempo sorgeva il Palazzo degli Esami imperiali e dove in centinaia di celle i candidati al man-darinato, per secoli, venivano chiusi a scrivere pagine e pagine di nozioni imparate a memoria per accedere poi al potere. Pro-prio l., dove un tempo stava l'istituzione che ha tramandato una cultura e ha tenuto la Cina immobile per duemila anni, c' ora il centro cinese per una scienza moderna, il pensatoio che dovrebbe fornire al paese idee e progetti per il futuro. Per quel che riguarda Pechino, ormai troppo tardi. In cerca di rapidi rimedi per risolvere il problema delle mi-sere condizioni in cui vivono i nove e pi- milioni di abitanti, le autorit. locali, pur senza possedere ancora un piano generale, hanno dato il via a un massiccio sforzo edilizio. Enormi blocchi crescono qua e l. rosicchiando sempre pi- quel poco che ri-masto della vecchia citt.. Pechino, cos, continua a morire. Una vecchia profezia dice che la citt. al margine del deserto un giorno o l'altro sar. di nuovo ingoiata dalle dune. Quando le splendide e terribili tempeste di sabbia colpiscono la citt. e il sole diventa, tutto d'un tratto, una palla straordinariamente blu nel cielo giallo, e la sabbia copre ogni cosa, entra in ogni porta, in ogni finestra, in ogni bocca, davvero sembra che gli antichi demoni del deserto siano venuti a riprendersi la loro preziosa citt..

Ma le tempeste di sabbia durano solo alcune ore. Le ruspe e le picche lavorano invece ogni giorno e, senza sosta, spingono sempre pi- la vecchia Pechino gi- nell'abisso senza fondo dell'oblio.

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Il deh alto e l'imperatore lontano

Xnjang: la provincia

ai confini con l'Unione Sovietica

piatto. Arido. Pauroso.

Sotto un cielo senza nuvole, nella calura allucinante, la diste-sa di sabbia e sassi va al di l. dell'orizzonte e della fantasia umana. A momenti grigia come la cenere spenta, a volte marrone, ora violetta, ora nera come fuliggine o rosa-rossastra come boccioli di pesco, qui inimmaginabili.

Un uomo potrebbe camminare per giorni e giorni nella stessa direzione senza incontrare nient'altro che la propria morte, in un assoluto paesaggio lunare di polvere dai mutevoli colori, mossa da un continuo vento caldo e impietoso.

Gli Uighur lo chiamano il Taklamakan, che nella loro lingua significa ci entri dentro e non ne esci mai , i mongoli lo chia-mano semplicemente Gobi, il deserto. Milioni di anni fa era il fondo di un mare, ora un immenso corridoio che taglia il Xin-jiang, la provincia pi- a occidente della Cina. Per secoli la storia passata da questo deserto. Grandi battaglie sono state combattute, regni sono stati vinti e persi su questa distesa di sabbia. Da qui passarono le carovane di uomini e cammelli venuti lungo la Via della Seta a scambiare merci fra l'Occi-dente e l'Impero Celeste; da qui pass. sulla via d'Oriente il cri-stianesimo con i primi missionari nestoriani; da qui pass. l'islam con i conquistatori turchi; da qui passarono il monaco cinese Xuan Zang, alla volta dell'India in cerca delle sacre scritture bud-diste, e Marco Polo in cerca delle favolose ricchezze del Cathay. Da qui passerebbero, in caso di guerra fra i due giganti co-munisti, i carri armati sovietici diretti al cuore della Cina e alle installazioni nucleari cinesi di Lop Nor, nascoste appunto nel-l'angolo sudorientale del deserto.

Per il momento quei carri non verranno o, almeno, i cinesi non sembrano aspettarseli. Le canne delle pesanti mitraglie1"2 antiaeree, che sbucano qua e l. fra le dune di argilla, sono in-guainate in pesanti teloni; le trincee, scavate in fretta e fur'a alla fine del 1978 lungo le strade che dalla frontiera sovietica conducono alla capitale provinciale Urumqi, sono deserte e sono state riconquistate dalle erbacce.

Nel febbraio del 1979, quando le truppe di Pechino invasero il Vietnam, la Cina non escluse la possibilit. che i sovietici ini-ziassero, come gesto di solidariet. verso i loro alleati di Hanoi, un'operazione appunto nel Xinjiang; citt. come Altay, Ining e Tacheng, lungo la frontiera con i'urss, furono evacuate, mi-gliaia e migliaia di persone vennero trasferite nell'interno della provincia. Finita la guerra in Vietnam, i cinesi hanno fatto rien-trare la gente alle loro case. La tensione scomparsa e l'atmo-sfera in generale distesa. In nessun modo si ha l'impressione di essere su un possibile fronte di battaglia.

Alcuni anni fa il visitatore veniva qui bombardato con dosi di dura propaganda antisovietica e con rappresentazioni teatrali in cui i protagonisti erano le eroiche genti del Xinjiang che catturavano spie sovietiche. Allora, gli ospiti del principale albergo della citt., l'Hotel Kunlun, venivano svegliati al matti-no da gruppi di ragazzi e ragazze della milizia popolare che nel cortile si addestravano al tiro a segno, sparando pallottole vere. A quel tempo le autorit. locali volevano dare al mondo esterno l'impressione che il Xinjiang non temeva un'aggressione sovie-tica e che era prontissimo a fronteggiarla.

Ora sembrano invece pi- preoccupate di non spaventare i turisti e di indurli a rimanere qui il pi- possibile. Dal 1972 non abbiamo pi- avuto veri problemi con i sovietici , dice Abdulla Rahim, dell'ufficio Affari Esteri del governo provinciale, che, pur di dare l'impressione di normalit. e ordine, nega persine che ci siano stati quegli scontri di frontiera, alcuni anche con moni e feriti, che sono stati gi. ammessi ufficialmente sia da Mosca sia da Pechino.

Cina e Unione Sovietica sono impegnate nella normalizzazzione dei loro rapporti,

e il Xinjiang, che avrebbe potuto essere

"campo di battaglia dei due eserciti comunisti, potrebbe invece

diventare il terreno di una rinnovata, seppur cauta, cooperazio-

ne; I segni della distensione ci sono: ai sei posti di frontiera,

Pnrna assolutamente chiusi lungo i 1935 chilometri di confine

,e il Xinjiang ha in comune con l'Unione Sovietica, i postini cinesi e quelli

russi si incontrano tutti i giorni, tranne la domeniCa per scambiarsi sacchi di

posta, mentre ufficiali delle due

3rt.' si riuniscono pi- o meno regolarmente per discutere e or-

2are j| rimpatrio di vacche e capre sconfinate da una

nell'altra,

guerra radio fra il Xinjiang e il Turkestan sovietico finita

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, cos come la propaganda interna che i due paesi facevano per mettere le loro popolazioni in guardia contro i nemici . Gli altoparlanti che ogni mattina svegliano con il loro fracasso gli 800.000 abitanti di Urumqi non ossessionano pi- la gente con avvertimenti di vigilanza, ma con esortazioni a studiare le vicende di altri paesi e imparare da loro. ... Quando siete in Malesia non mancate di visitare... dice la voce di un'an-nunciatrice che risuona melliflua sulle strade e le piazze di fan-go che cominciano ad animarsi di gente, cammelli, muli e capre. L'ironia di un tale assurdo invito in un paese come la Cina, da cui la gente non ha diritto di uscire, specie in veste di turista, persa, perch' la radio trasmette in cinese, una lingua j che qui la stragrande maggioranza non parla, considerandola straniera.

Per secoli il Xinjiang stato abitato da popolazioni non cinesi, e la maggioranza degli abitanti ancora costituita dai loro ] discendenti. Passeggiare nel bazar di Urumqi, chiuso durante la Rivoluzione Culturale e ora riaperto, come visitare un museo dell'umanit.: a eccezione di quella nera, sembra che tutte le razze ci siano rappresentate.

Fra le zaffate di odori e fumi degli shih-kebab preparati sul! carbone da barbuti e tarchiati musulmani, si incontrano i Kazak, coi loro nasi aquilini, i cappelli di pelliccia, gli stivali di cuoio, le gabbane nere; si incontrano donne uighur dalle bianche facce di luna, nei loro vestiti coloratissimi, con le loro brutte calze marrone e gli orecchini d'oro con al centro una pietra rossa; si incontrano dei ragazzi uzbeki, biondi, con dei grandi occhi ; verdissimi; si incontrano i mongoli, dagli zigomi prominenti e ' rubizzi, e l'occasionale russo bianco scappato dalla Russia al-] l'epoca della rivoluzione del 1917, che rimasto controvoglia, ma senza altra alternativa, qui, dopo la rivoluzione cinese del 1949.

Di tutta questa gente che la storia ha portato nel Xinjiang, gli 1 Han (come vengono chiamati i cinesi), venuti qui gi. nel secolo avanti Cristo a impiantare una guarnigione, sono considerati gli ultimi arrivati e, come tali, sono anche i meno amati.

Il visitatore occidentale che si aggira nelle stradine secondarie di Urumqi viene guardato e avvicinato come fosse una sorta di parente lontano. La gente, qui, ha molti caratteri dei popoli ' mediterranei e si diverte a far notare, fra ammiccamenti e risa* te, la somiglianz. delle facce, del naso lungo, nel mio caso anche dei baffi, che distinguono loro e noi occidentali dagli Han-cinesi.

Per la Cina, il controllo del Xinjiang, in quanto naturale pas-saggio, aperto a chiunque volesse invaderla, sempre stato im-portantissimo, e ogni dinastia ha sempre fatto di tutto per tenere le mani su questa lontana, ma vitale, provincia. Se il Xinjiang perso, la Mongolia indifendibile e, con questo, Pechino vulnerabile, hanno detto i cinesi per secoli. A parte il suo va-lore strategico, il Xinjiang stato per gli Han quel che il Far West fu per gli americani: una nuova frontiera da esplorare e da estendere, una regione selvaggia da sviluppare e sfruttare. Cos ancor oggi. Con una superficie grande quanto l'Italia, la Francia e la Germania messe assieme, con i suoi immensi, e per lo pi- ancora intoccati, giacimenti di petrolio, carbone, uranio e rame, il Xinjiang (in cinese vuol dire Nuovi Dominii)

una terra vergine e sottopopolata: la superficie del Xinjiang un sesto dell'intera superficie cinese, ma la gente che ci vive solo un centesimo dell'intera popolazione del paese. Attraverso i secoli, il controllo cinese sul Xinjiang stato contestato da una serie di invasori, e nel secolo scorso sia la Russia zarista sia le potenze occidentali cercarono di tagliare i legami di Pechino con questa provincia. Qualcuno ebbe suc-cesso: la Russia zarista, per esempio, riusc tramite trattati ineguali a prendersi alcune fette di territorio allora cinese. Il metodo fu sempre lo stesso: sfruttare il profondo risentimento dei Kazak, degli Uighur e delle altre minoranze contro la domi-nazione straniera della dinastia Qing e istigare tali popola-zioni a dichiararsi indipendenti.

In generale, i cinesi tennero testa a simili manovre, ma an-cora oggi sono estremamente sensibili alle accuse di non avere alcun diritto sul Xinjiang, di essere qui solo come dei coloniz-zatori e di reprimere i locali umiliandone la cultura e l'identit..

Il museo provinciale di Urumqi, dove alcune giovanissime

custodi uighur siedono in silenzio mentre una guida cinese pro-

pina le rituali spiegazioni, sembra organizzato e aperto esclusi-

vamente per ribattere a quelle accuse. Nelle due sale principali

del museo, sul cui ingresso spicca la solita citazione di Mao a

caratteri bianchi su velluto rosso ( Usare il passato per servire

I presente), non c' un solo oggetto che si riferisca alla storia

delle dodici minoranze etniche che vivono nel Xinjiang. Tutto

ci. che esposto nelle varie collezioni l per dimostrare che

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per oltre duemila anni gli Han sono stati presenti in questa re-gione: i broccati di seta della dinastia Han, le figurine di uomini e animali in terracotta di tre colori della dinastia Tang, le stele di pietra con iscrizioni che ricordano le gesta di generali e im-peratori cinesi. Al visitatore cui fosse eventualmente sfuggito il senso di tutta la faccenda viene poi data una brochure nelli quale si spiega che tutto quel materiale, naturalmente trovate negli scavi fatti dopo la Liberazione, dimostra come il Xin-jiang, fin dai tempi pi- antichi, sia stato una parte inalienabile della nostra grande madrepatria.

Lo stesso messaggio viene trasmesso a chi visita le suggesti-

ve rovine di Kaoshang, 180 chilometri a sud-est di Urumqi, vi-

cino a Turfan, la grande depressione nel deserto, 155 metri al di

sotto del livello del mare, dove le estati sono cos calde che si

pu. cuocere un uovo lasciandolo su una pietra, e gli inverni

cos rigidi da farne il posto pi- freddo della Cina. In mezzo

al nulla, in un paesaggio di creta rossastra che pare vecchio

quanto il tempo, sorgono i resti di bastioni, torri, templi e case

che i cinesi costruirono con paglia e fango gi. nel i secolo

avanti Cristo per stanziare le loro truppe a quel tempo impegnate a stabilire e ad allargare i confini dell'impero Han. Secondo

un'altra versione, furono dei mercanti greci, gi. al tempo di Alessandro Magno, a fondare in questa pianura una citt. chia-mata Efeso, e il recente ritrovamento di alcune vecchie monete greche darebbe credibilit. a questa storia.

I cinesi abbandonarono Kaoshang nel xiv secolo, e fu solo agli inizi del Novecento che le rovine affondate nella sabbia furono scoperte dagli archeologi tedeschi von Le Coq e Gruenwedel. Oggi, la visita a tali rovine si conclude con la gui-da cinese che, sotto un sole accecante, dice: La lunga storia di Kaoshang dimostra che il Xinjiang fin dai tempi antichi stato parte inalienabile della Cina.

II fatto per. che, nonostante la loro presenza militare nel territorio risalga a duemila anni fa, i cinesi non hanno mai avu-to un completo controllo sulla regione, specialmente nei tempi in cui le loro dinastie erano deboli.

Il cielo alto e l'imperatore lontano, era solita dire la gente del posto. E le ribellioni anti-Han da parte di coloro che volevano fare del Xinjiang una unit. politica a s', indipen-dente^da Pechino, erano frequenti. L'ultima fu nel 1945 quando, con l'aiuto dei sovietici che cercavano a loro volta di fare dei Xinjiang uno Stato satellite tipo la Mongolia, le minoranze lo-cali fondarono una cosiddetta Repubblica del Turkestan Orien-tale.

Dal crollo della dinastia Qing nel 1911, il Xinjiang era vis-suto pi- o meno in una sorta di protettorato russo, e l'economia dell'intera regione era molto pi- integrata con l'economia so-vietica che con quella del resto della Cina. Per fare un favore ai cinesi e agli americani, Stalin, a Yalta, accett. che l'appena nata repubblica indipendente fosse smantellata e che il Xinjiang fosse ufficialmente riconosciuto come parte della Cina di Chiang Kaishek nel 1946. Ci., ovviamente, non bast. a elimi-nare il movimento indipendentista, che continu. a mostrare se-gni della propria vitalit. anche dopo che i comunisti presero il potere nella regione.

I comunisti cinesi conoscevano bene i problemi del Xinjiang per averci lavorato per anni nella clandestinit., sia a contatto con le minoranze sia con gli Han (il fratello di Mao fu appunto assassinato nel Xinjiang per ordine dell'allora signore della guerra locale legato al Kuomintang), e seppero reprimere in fretta e con fermezza ogni minimo atto di ribellione. Oggi, nessuno contesta pi- la sovranit. cinese sul Xinjiang. Un milione di soldati di Pechino sono appostati lungo le sue frontiere, e la sua societ. passata attraverso le stesse forche caudine e gli stessi drammatici rimpasti e trasformazioni che ha subito il resto del paese.

Ancor pi- che nel resto della Cina, qui si vedono ancora le citazioni di Mao sui muri delle strade, e le statue bianche di gesso del Grande Timoniere sono ancora all'ingresso di al-cune fabbriche, scuole, teatri e uffici pubblici della provincia. Chiaramente qui, pi- che altrove, sono il simbolo di Quella colla ideologica che tiene assieme questo immenso paese fatto di tante etnie diverse.

I sentimenti anticinesi fra i non-Han esistono ancora, e a vol-te neppure tanto latenti; ma Pechino ha la situazione completa-mente sotto controllo ed per questo che il Xinjiang diventato una delle mete per le masse dei turisti che vengono in Cina Le minoranze sono ben contente di averci qui , dice Chang Shengping, un funzionario cinese a Urumqi. Abbiamo Portato ferrovie, strade, fabbriche e sviluppo. E questo vero. Nel 1949, il Xinjiang non aveva che 3000 chilometri di strade per lo pi- appena tracciate, ora ne ha 24.000 chilometri perlopi-

[PAGINA 35] asfaltate. Tutte le maggiori citt. sono collegate fra di lo-ro. Prima della Liberazione il treno di Pechino arrivava solo fi-no a Lanzhou, la capitale della provincia limitrofa del Gansu. Ora la linea arriva fino a Urumqi e ci sono piani per estenderla fino al Tibet. I campi petroliferi di Karamai sono stati riorga-nizzati ed estesi; sono state aperte alcune fabbriche tessili e chi-miche.

L'obiezione pi- comune che questo progresso non ha gio-vato ai due grandi gruppi etnici locali: gli uighur, che sostan-zialmente continuano a vivere da contadini attorno alle oasi del deserto, e i kazak, che continuano la loro esistenza seminomade di allevatori di bestiame sulle montagne.

Dei 200.000 addetti all'industria nella citt. di Urumqi, lai stragrande maggioranza costituita appunto da Han-cinesi. Nel-) la fabbrica ai piedi della montagna Yaomo (La vetta del dia-volo), sui 2100 operai che producono meno di mille trattori, marca Oriente rosso all'anno, solo il 13 per cento sono non-cinesi.

Nonostante il cinese medio guardi alla gente delle minoranze i come a dei barbari (allo stesso modo in cui dopotutto un ci-; nese guarda a chiunque non sia cinese), la politica di Pechino nei confronti delle minoranze non apertamente discriminato-ria. In particolare, quando i rapporti fra Pechino e Mosca diven-; larono ostili, i cinesi si resero conto che qualsiasi tipo di scon-tento fra la gente di qui avrebbe potuto essere sfruttato dai so-vietici a fini sovversivi e che solo dal confronto delle condizio- : ni offerte loro dalle due parti della frontiera le minoranze avrebbero deciso a chi essere pi- fedeli. Uighur, Kazak, Mon-goli, Kirgissi vivono a cavallo fra la Cina e l'Unione Sovietica e spesso membri di una stessa famiglia vivono nei due Stati. L'amministrazione della provincia del Xinjiang, come quella'j del Tibet e della Mongolia, gode, per costituzione, di una mag-giore autonomia rispetto alle altre province cinesi, e le possibi-lit. di carriera per gli indigeni sono numerose. A parte l'eser-j cito e la polizia, dove pochissimi di loro vengono reclutati e dove pi- o meno impossibile per loro diventare ufficiali, ele-menti delle minoranze etniche sono rappresentati nelle scuole e negli uffici governativi. Fra i 2380 studenti dell'Universit. di Urumqi, 1360 vengono dalle minoranze e il 43 per cento degli insegnanti sono ugualmente non-Han.

Gli studenti delle minoranze, in verit., sono favoriti rispet-' 73 to ai cinesi , spiega il vicerettore Anwar Hanbaba, egli stesso uno uighur. Per entrare all'universit. uno studente cinese ha bisogno di avere almeno 260 punti nell'esame di ammissione; a uno studente delle minoranze, invece, ne bastano 90. Questo favoritismo si spiega col fatto che la lingua in cui si insegna all'universit. il cinese e che gli studenti che vengono dalle scuole delle minoranze lo conoscono male.

Uighur, Kazak e le altre minoranze sono stati lasciati liberi di mantenere la loro cultura e le loro abitudini, ma con questo sono anche stati lasciati fuori della vita del resto del paese, che e rimane cinese. il dilemma di ogni minoranza in tutte le nazioni: accettare l'assimilazione e con questo progredire con gli altri, perdendo per. la propria identit.; oppure resistere con-tro l'assimilazione, restare isolati e perdere il passo con lo svi-luppo.

Dovunque si vada in Xinjiang oggi, non si incontra che gente venuta da ogni parte della Cina. Il conducente dell'autobus che fa la spola fra Urumqi e Turfan un ex soldato dell'Esercito di Liberazione, originario di Canton; il caposezione tintoria della fabbrica tessile Primo Luglio , appena fuori della capitale pro-vinciale, viene da Hangzhou; la guida della locale sezione del-l'agenzia cinese del Turismo un'ex Guardia Rossa finita qui negli anni '60 a fare la rivoluzione e poi rimasta; molti degli insegnanti di lingue straniere dell'universit. sono di Shanghai, mandati qui in castigo al tempo dei vari movimenti contro gli intellettuali e gli elementi di destra.

Il mio nome signora Sung, ma mi pu. chiamare Marga-

reth , mi dice con perfetto accento una professoressa di inglese

cui per la prima volta da vent'anni stato permesso di incon-

trarsi con uno straniero. Margareth viene da una cattiva

(questo in Cina vuoi dire ricca e borgnese) famiglia di Shang-

hai. Il padre era direttore di una societ. petrolifera americana e

'e, fin da piccola, era stata a scuola presso i missionari, dove

aveva imparato l'inglese. Nel 1956, per il semplice fatto che

conoscevo una lingua straniera, la gente mi guardava con so-

spetto e cos decisi di cambiare aria. Margareth si offr come

volontaria per andare a lavorare nelle zone vergini cui il gover-

no aveva deciso di dar accesso. Fin in uno degli angoli pi- re-

noti del Xinjiang, vicino ad Aitai, al confine sovietico. Per un

Po' siccome era colta, la fecero lavorare come amministratrice

di una Comune, poi, con la Rivoluzione Culturale, quando le

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sue origini vennero di nuovo esaminate e di nuovo indicate co-me motivo di sospetto, Margareth venne messa a vendere ver-dure al locale mercato. C' rimasta per dodici anni, finch' un giorno non sent dire,che all'Universit. di Urumqi erano ripresi i corsi di lingue straniere e che cercavano insegnanti.

Nonostante il governo di Pechino, per evitare grane con le

minoranze, non abbia mai imposto loro restrizioni sul numero

dei figli che possono avere, mentre per i cinesi, anche qui, il

figlio unico tassativo, il rapporto numerico fra minoranze e

Han muta costantemente a favore di questi ultimi a causa degli

ex soldati inviati qui a occupare nuove terre e a causa della forzata migrazione di masse di giovani dalle citt. dell'interno ver-

so le province.

Dal 1949 migliaia di soldati congedati dall'Esercito di Libe-

razione sono venuti a stabilirsi in varie fattorie di Stato im-

piantate strategicamente lungo i confini con L'urss, mentre mi-

gliaia e migliaia di giovani diplomati e laureati delle grandi citt. dell'est sono arrivati con masse di funzionari del partito ca-

duti vittime delle varie epurazioni e delle varie cacce alle stre-ghe.

Il risultato stato questo: nel 1949 la popolazione del Xin-jiang era di 4,9 milioni. Gli Han erano solo 300.000. Ora la popolazione di oltre 11 milioni, di cui cinque sono han. Prima della Liberazione gli Uighur, i Kazak, gli Uzbechi e altri erano la maggioranza del Xinjiang, ora stanno diventando sempre pi-quel che i cinesi chiamano minoranze etniche. Per la Cina, con i suoi ammassi di gente in ristrette aree so-vrappopolate lungo i due grandi fiumi del paese, il Fiume Az-zurro (lo Yangtze Kiang) e il Fiume Giallo (lo Huang He), la politica di migrazione interna dall'est verso le zone di confine logica e naturale. Come tale non verr. abbandonata. Nonostante alcuni, specie fra i giovani delle citt. inviati qui per forza negli anni '60, cerchino di tornare ai loro luoghi di origine (recentemente si sono registrati episodi drammatici al-lorch', per esempio, un gruppo di ragazzi originari di Shanghai hanno preso in ostaggio i funzionari del partito per farsi dare il permesso di tornare a casa), la maggioranza degli Han che ven-gono nel Xinjiang si adattano bene alle condizioni locali e mi-gliaia di persone, tecnici e operai, continuano a trasferirsi qui ogni anno per ordine del partito.

Gli incentivi sono allettanti: un insegnante che a Shanghai guadagna circa 65 yuan (cinquantamila lire) al mese, a Urumqi

ne riceve 79. Un operaio di seconda categoria, per esempio (le categorie salariali degli operai sono otto), passa da 35 yuan al niese a 50. Un funzionario del partito di diciottesima classe (per costoro le classi sono venticinque) percepisce 125 yuan a Urumqi invece dei 95 che prenderebbe, per esempio, a Pechino. i simili, naturalmente, tendono a stare coi simili e la comu-nit. degli Han vive ovviamente separata dalle minoranze. Ci-nesi che sono da pi- di vent'anni in Xinjiang e anche quadri politici che ogni giorno hanno a che fare con le minoranze non parlano la lingua locale, e non un caso che la prima grammatica di uighur per cinesi sia stata stampata solo quattro anni fa.

Tutto contribuisce a separare gli uni dagli altri, anche il cibo. Le minoranze sono musulmane e non mangiano il maiale, che invece una delle carni preferite dai cinesi. Per uno uighur sa-crilego persine toccare qualcosa che stato anche solo sfiorato dal maiale. Ed cos che nelle fabbriche di Urumqi devono esi-stere due mense: una che cucina solo per gli Han e una solo per gli Uighur.

Nonostante i matrimoni misti siano teoricamente possibili, in verit. sono assai rari. La politica del governo quella di sco-raggiarli , spiega Liu Jiaxiang, funzionario dell'amministrazio-ne locale, perch', se un ragazzo cinese sposa una ragazza del-le minoranze, pu. far sembrare che gli Han vengano a portar via le donne degli altri e ci. pu. creare risentimenti inutili. Quel che cinesi e minoranze condividono sono le condizioni primitive della vita, persine in una citt. come Urumqi, dove la maggioranza della gente abita ancora in case di fango, con pa-vimenti in terra battuta, senz'acqua, senza gabinetti e dove le strade sono ancora prive di asfalto e ci si muove nella fanghi-glia assieme a polli, capre e asinelli usati ancora per tirare i carretti di legno che funzionano da taxi.

Fuori delle grandi citt., Han e Uighur vivono completamente

separati, in ragione del loro lavoro. Nella Comune Popolare

Vento dell'est, nel Bai Yang Gu (la Valle dei Pioppi Bian-

chi), nella catena del Tian Shan (le Montagne del Cielo) che

costeggia il lato nord del deserto con le sue vette coperte da

nevi eterne, tutti i 7600 abitanti sono kazak. Nell'intero Xin-

jiang ce ne sono 700.000 e, come i loro antenati, i Kazak di

ggi vivono allo stato seminomade e allevano bestiame. Nella

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Comune Cinque stelle , nella depressione di Turfan, vivono 35.000 persone. Sono tutti uighur e contadini.

Due volte i comunisti cinesi hanno avuto problemi abbastanza seri con queste minoranze: la prima fu quando Pechino cerc.

di dare ai Kazak una residenza fissa e di togliere loro parte del-la terra da pascolo per fame dei campi di grano. Il risultato fu che, nel 1962, 60.000 Kazak varcarono la frontiera e se ne an-darono in Unione Sovietica. La seconda volta fu durante la Ri-voluzione Culturale, quando le Guardie Rosse chiusero tutte le moschee di Urumqi e dovettero per questo combattere sangui-nose battaglie per le strade della citt. contro bande di musulma-ni locali.

L'episodio del 1962 provoc. una svolta nella storia recente del Xinjiang. Accusando i sovietici di aver istigato i Kazak a

scappare e temendo soprattutto che la vecchia influenza soviel

tica sulla regione tornasse a farsi sentire, i cinesi chiusero i cin-

que consolati che l'Unione Sovietica aveva nella regione, cac-

ciarono tutti gli esperti e consiglieri sovietici che lavoravano in

essa e chiusero il confine. Poi pensarono a un piano a lunga

scadenza inteso a tagliare completamente i legami che le minoranze della Cina avevano o avrebbero potuto avere con i loro

simili fuori del paese.

Il primo passo fu l'abolizione della scrittura araba e di quella cirillica dalle lingue delle minoranze e la loro sostituzione con la stessa romanizzazione con cui ora viene trascritto il cinese. La nuova scrittura adesso insegnata nelle scuole, le citazioni di Mao sui muri sono scritte in questa maniera, cos come lo sono i giornali ufficiali, mentre i biglietti che la gente appiccica alle fermate dell'autobus per proporre lo scambio di un posto di lavoro o per mettere una bicicletta in vendita sono scritti ancora con i vecchi caratteri.

Allo stesso modo scritta la sola copia del Corano che sia

sopravvissuta alla Rivoluzione Culturale e che ora conservata

come una preziosissima reliquia nella moschea Nanliang

L'abbiamo salvata nascondendola, racconta l'Imam mostrandomi una collezione di antichi cartoncini in bella scrittura

e con fregi colorati, tenuti assieme da vecchi lacci e messi in una scatola di legno chiusa da un grosso lucchetto.

La moschea Nanliang si trova su quella che, prima della

berazione, si chiamava La via degli stranieri perch' l c'

no il consolato inglese e quello sovietico. Quella era la st principale di Urumqi e ogni trecento metri svettava il minareto

di una moschea. Ora la strada stata ribattezzata via dell'U-nit.. I vecchi edifici, malconci e cadenti, sono ancora al loro posto e i pinnacoli rotti delle torri, da cui i muezzin chiamava-no i fedeli alla preghiera, spuntano ancora dai tetti malridotti. La maggior parte per. non serve pi- al vecchio scopo. Una del-le moschee stata trasformata in magazzino, una diventata una scuola, un'altra un deposito di materiale da costruzione e in un'altra ancora stato trasferito un rudimentale gabinetto dentistico.

Fino al 1966 le minoranze nel Xinjiang avevano praticato pi-o meno liberamente la propria religione. A questo, la Rivolu-zione Culturale mise fine. Le Guardie Rosse occuparono le mo-schee, bruciarono tutte le copie del Corano che trovarono e di-strussero minuziosamente le vecchie scritte arabiche che erano sulle porte e nelle nicchie. Continuavano a picchiarci come se volessero farci uscire la fede da dentro , racconta un Uighur di sessantasette anni che ora fra i custodi della moschea Nan-liang.

Dal 1980, questa, assieme a un'altra mezza dozzina di mo-schee, stata riaperta e ogni giorno cinquecento persone ven-gono a inginocchiarsi sui tappeti consunti e a pregare nella luce tenue che filtra attraverso le finestre rotte e le crepe del tetto da cui, quando piove, passa ancora l'acqua.

Quanti di voi sono stati alla Mecca? chiedo a un gruppo di vecchi. Le loro facce incorniciate da lunghe barbe bianchis-sime si fanno tristi. Nessuno, rispondono.

Alcuni giovani restano dopo le preghiere e aiutano a fare, a mano, delle copie del Corano in arabo, una lingua che appunto non sanno e che cercano cos di imparare. Lo studio dell'arabo che le autorit. cinesi hanno eliminato come lingua ufficiale diventato, per molti giovani uighur, un modo per mantenere la propria identit. e anche un modo per sfidare i cinesi. Per la stessa ragione la gente del Xinjiang si ostina a tenere gli oro-logi sull'ora locale e non su quella di Pechino, che stata resa ufficialmente d'obbligo per tutto il paese. Nessuno finisce pi-nei guai per questo.

Al giorno d'oggi, ragazze uighur nel Teatro del Popolo di Urumqi intonano canti nazionali nella loro lingua e non sono Pi- costrette a cantare in cinese la solita: Siamo decisi a libe-rare i nostri fratelli e sorelle di Taiwan. Una guida non ha pi-

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paura a mostrare un esemplare, in arabo, copiato a mano, della Storia di Turlan e degli Uighur, un libro che non si trova pi- da tempo nelle librerie cinesi. Durante gli anni del maoismo pi-radicale, persine un libretto di vecchi proverbi uighur fu messo al bando come propaganda straniera.

Con la politica di liberalizzazione che ha riaperto i bazar e le moschee, che ha permesso ai Kazak di allevare di nuovo quanto bestiame vogliono e agli Uighur di coltivare la loro terra come pare a loro, i rapporti fra minoranze e Han sono indubbiamente migliorati, anche se non completamente distesi.

I cinesi si sentono pi- tranquilli sulla questione della lealt.

delle minoranze e sembrano preoccuparsi molto meno del peri- i

colo di movimenti sovversivi ispirati dai sovietici. Se questa situazione di fondo continua, nel Xinjiang esistono tutte le condizioni di ricchezza e

di stabilit. per un vero boom economico, e per quel balzo nella modernit. che Deng Xiaoping ha promesso a tutto il paese.

Gli aiuti sovietici messi a disposizione del Xinjiang nei primi

anni successivi alla Liberazione avevano dato alla regione una ;

spinta in questa direzione, ma l'improvvisa rottura dei rapporti

fra Pechino e Mosca e il ritiro dei tecnici sovietici e degli aiuti ;

nel 1960 segnarono una battuta d'arresto. Le tracce di quella

cooperazione sovietica sono ancora visibili dovunque: dodici

fabbriche tessili, sedici piccole e medie acciaierie, cento miniere di carbone del Xinjiang furono aperte con l'aiuto sovietico, ,

Persino le vecchie limousine nere con cui vanno in giro i funzionari del partito sono ancora quelle portate qui pi- di vent'an-

ni fa dai sovietici.

Nel quadro del trattato di amicizia, alleanza e mutuo soccor-

so, Pechino e Mosca si erano messe d'accordo per lo sfrutta-

mento congiunto delle risorse petrolifere e dei metalli non ferrosi del Xinjiang; si erano inoltre impegnate a migliorare il sistema stradale fra i

due paesi e a estendere la ferrovia in modo che la linea Pechino-Lanzhou-Urumqi fosse collegata con quel-la del Turkestan sovietico e, da l, con Mosca.

La rottura cino-sovietica fece accantonare tutti questi progetti. I sovietici avevano gi. costruito le loro rotaie fino all'imboc-

co del ponte di Aktogay che segna il confine, i cinesi dalla loro ;

parte si erano fermati molto prima. Non volevamo dar loro la

corda con cui strangolarci , dicono i cinesi coscienti del peri-

colo rappresentato da un'eccessiva dipendenza economica e di

comunicazioni da Mosca e coscienti del fatto che il Xinjiang sarebbe naturalmente slittato nella sfera d'influenza dell'Unione Sovietica.

Invece, da allora il Xinjiang ha dovuto contare esclusivamen-te sui suoi rapporti col resto della Cina. E questi sono stati na-turalmente difficili.

Nonostante le comunicazioni fossero migliori di quando, ai tempi dell'impero, i cammelli che portavano a Pechino i famo-sissimi meloni di Hami partivano, secondo la leggenda, con due semplici giare piene di terra di Hami in cui i meloni erano ap-pena stati seminati (dato che, a crescere e a maturare, i frutti impiegavano giusto il tempo dell'intero viaggio), ancor oggi per coprire quella distanza di tremila chilometri in treno o in camion si impiegano giorni e giorni.

La fabbrica di trattori di Urumqi, non pi- rifornita dall'Unio-ne Sovietica, dovette aspettare che i motori arrivassero in treno dalla Manciuria, distante tremila chilometri, e ci furono ritardi di settimane e mesi prima che la fabbrica decidesse di costruire sul posto i propri motori.

La situazione trasporti non molto migliorata negli ultimi vent'anni, e da una riapertura della frontiera, come pure da una ripresa dei rapporti economici di scambio, il Xinjiang non avrebbe che da guadagnare. Le sei strade asfaltate, che i cinesi hanno interrotto proprio prima di raggiungere il confine, aspettano solo di essere collegate con i tronconi dalla parte so-vietica.

Cos come avvenuto in altre parti della Cina, alcune fabbri-che costruite negli anni della grande cooperazione con Mosca sono diventate vecchie e non pi- economiche. Si tratta ora di decidere se buttar via tutto e comprare intere fabbriche nuove in Occidente o in Giappone o se invece non sia pi- conveniente comprare dall'Unione Sovietica, a prezzi pi- modesti, dei mac-chinari pi- avanzati, che possano essere combinati con alcuni di quelli vecchi cos da procedere a una lenta modernizzazione.

Una cosa certa, m'ha detto a Pechino un diplomatico so-

vietico, quasi prevedesse come andr. a finire. Un dado giappo-

nese non si appaia a una vite sovietica.

E forse per questo che il russo una delle lingue che vengo-

n di nuovo insegnate all'Universit. di Urumqi, e il motivo per cui ogni anno pi- di cento studenti si iscrivono ai corsi.

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// regno dei topi

La Manciuria: base industriale della Cina

terra. Sempre terra. Terra grigia, monotona, gelata a perdita d'occhio. Per giorni e giorni il treno, nel suo ansimante viaggio attraverso questa distesa selvaggia, scavalca enormi fiumi di ghiaccio che luccicano come specchi sotto il sole freddo, attra-versa grandi foreste grigie e trasparenti, senza una sola foglia, sfiora gruppi di case di fango, raggruppate attorno a fabbriche solit.rie che vomitano boccate nere di fumo nel bianco latte del cielo invernale.

La prateria senza fine e il treno sembra condannato a non raggiungere mai quel lontano, piattissimo orizzonte dal quale soffia instancabile il vento gelido che frusta e paralizza questa terra inospitale chiamata un tempo Manciuria.

I cinesi oggi la chiamano Tong Bei, il Nord-Est, la regione pi- ricca del paese, la base industriale della Repubblica Popolare.Un terzo dei macchinari della Cina sono prodotti qui, met. del legname, met. del suo carbone, met. del suo petrolio ven-gono da qui. I carri armati della Cina, i suoi cannoni, i suoi aeroplani sono fatti in fabbriche nascoste da qualche parte nella desolata vastit. di questa pianura.

Se un nemico volesse mutilare la Cina, non avrebbe che da

colpire qui, perch' questa regione , dal punto di vista economico, la pi- importante e, dal punto di vista strategico, la pi-

vulnerabile.

II Tong Bei confina per quattromila chilometri con la Siberia sovietica, ed lungo questa frontiera che Mosca ha alcune delle sue migliori divisioni corazzate. Fu appunto a questo confine che si combatt la prima sanguinosa battaglia fra comunisti, nel 1969, quando soldati cinesi e sovietici si uccisero a centi-naia, per il controllo di un insignificante isolotto mancese nel mezzo del fiume Ussuri.

Dimenticata per secoli dietro la Grande Muraglia che i cinesi avevano costruito pi- di duemila anni fa per proteggersi contro i loro vicini nomadi, la Manciuria stata una terra abbandonata.

Sebbene non si sappia con esattezza dove Dio ha messo il pa-

radiso, scrisse l'abate Huc, viaggiando attraverso la Manciuria

nel 1846, possiamo almeno essere sicuri che non l'ha messo qui. Passarono solo alcuni anni e improvvisamente la Manciuria divenne la terra promessa dell'Asia. Alcuni avventurieri, ve-nuti in cerca di fortuna, ci avevano trovato, pi- o meno per ca-so, oro, argento e carbone.

La Manciuria uno scrigno pieno di tesori e le grandi po-tenze del mondo cercano di impossessarsi della chiave , scrisse un giornalista inglese alla fine del secolo scorso. La chiave era il treno. Lo zar di Russia ottenne, nel 1896, dal morente impero cinese, la concessione per costruire una ferro-via attraverso la Manciuria da Chita a Vladivostock. Il Giappone, nel 1904, dichiar. guerra alla Russia per avere una parte in quella costruzione, e questa distesa grigia di terra che d'inverno, a temperature di 30-40 gradi sotto zero, diventa dura come una roccia fu L'arena delle ambizioni internazio-nali (questo il titolo di un libro del tempo), e centinaia di mi-gliaia di soldati di vari paesi vennero a morire in battaglie i cui echi scossero il mondo: Mukden, Tsushima...

La costruzione della ferrovia and. avanti e presto il treno, avanzando attraverso la prateria, port. in Manciuria conquista-tori e sfruttatori, miseria e progresso. I russi costruirono dal nulla, nel mezzo della regione deserta, Harbin, una replica in miniatura di Mosca; nel sud aprirono il porto di Dairen, che ancora oggi uno dei pi- importanti della Cina. I giapponesi fecero della vecchia Shengyang dei Manci- un fiorente centro industriale e l. dove la ferrovia nord-sud incrociava quella est-ovest costruirono la nuova Changchun ( Lunga Primavera ), un modello di citt. moderna con larghi viali, grandi edifici pub-blici di granito e grandi parchi.

La Manciuria divenne il centro di attrazione per avventurieri

uomini d'affari di tutto il mondo. Russi bianchi arrivarono a ^'8'iaia, seguiti dagli ebrei d'Europa. Grandi capitalisti stranieri aPrirono fabbriche, negozi, miniere e svilupparono isole di Riessere attorno alle quali crebbero le bidonville di milioni emigranti cinesi venuti dallo Shandong e oltre per sfuggire alle carestie e alla fame. Costoro lavoravano come schiavi nelle Cessioni straniere sudando sangue sotto il breve, ma brutale, girne del Manciukuo, instaurato dai giapponesi nel 1932. ne ?nsando di usare la Manciuria come trampolino di lancio la conquista della Cina e con l'idea di sfruttarne le risorse

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per sostenere il loro sforzo bellico in Asia, i giapponesi accele-rarono l'industrializzazione della regione investendovi genero-samente.

Quando, alla fine della seconda guerra mondiale, i comunisti ereditarono la Manciuria, a quel tempo gi. soprannominata la Ruhr dell'Oriente, la regione era di gran lunga la pi- svilup-pata del paese, e Mao Tsetung decise di farne, con l'aiuto dei sovietici, la base industriale per la costruzione .della sua Nuo-va Cina .

Dal 1949 stato qui che Pechino ha fatto i suoi pi- significativi investimenti, qui che ha mandato i suoi migliori tecnici

ed qui che migliaia e migliaia di prigionieri politici, assieme a tantissimi giovani costretti a lasciare le citt., sono stati mandati a diboscare terre finora inabitate, ad aprire miniere e costruire strade.

Oggi, dopo trent'anni di enormi sforzi e di successi - almeno vantati -, la vecchia Manciuria ancora la regione pi- svilup-pata del paese, ma, pi- di ogni altra, anche il simbolo della confusione, dell'abbandono, della cattiva gestione, della crisi di fiducia che attanaglia l'intero paese. Le ricchezze naturali sono state sopravvalutate e ora cominciano a scarseggiare. Le fabbri-che sono vecchie e lavorano comunque al di sotto delle loro capacit.. Le industrie sono costantemente paralizzate da inter-ruzioni di elettricit. e dalla scarsit. di materie prime. Mancano investimenti di nuovi capitali.

Pechino, dopo aver brevemente incoraggiato la decentralizzazione, sta ora rapidamente riprendendo in mano tutto e la

nuova politica del riaggiustamento, imposta dal centro, significa qui cancellazione di numerosi progetti che avrebbero

dovuto espandere le vecchie industrie e il ritardo di centinaia e centinaia di altri piani intesi ad aprire nuove fabbriche.

Nelle citt. la disoccupazione cresce cos come l'insoddisfazione giovanile. La gente comincia a rendersi conto che il gran-

de piano delle Quattro Modernizzazioni annunciato subito dopo l'arresto della Banda dei Quattro non molto pi- di una nuova illusione e che, se anche lo si potesse realizzare, fi" nirebbe per essere goduto solo dai figli dei miei tgli , come sento dire da un operaio.

La fabbrica di automobili Numero Uno a Changchun, una

volta la capitale del Manciukuo, era uno dei vanti della Nuova

Cina. Completamente progettata, costruita ed equipaggiata dai sovietici, la fabbrica cominci. a produrre, nel 1956, il famoso

camion, di tipo militare, Liberazione , che si vede in ogni parte della Cina. Nel 1958, quando aveva 23.000 dipendenti, la fabbrica produceva 30.000 camion all'anno. Nel 1960 i diri-genti della fabbrica dissero a Edgar Snow, il giornalista ameri-cano amico di Mao, che entro due anni la produzione sarebbe passata a 150.000 camion. trascorso quasi un quarto di secolo, ma la fabbrica non ancora arrivata a tanto. Il massimo di pro-duzione stato raggiunto nel 1979 con 72.000 pezzi. Ora, con un totale di 40.000 dipendenti, la produzione calata a 60.000. L'aspetto esterno della fabbrica, una di quelle che sempre stata mostrata a tutti i visitatori, ancora imponente con le sue facciate di mattoni rossi, ma all'interno i vari capannoni mo-strano i segni dell'et. e della crisi: met. delle macchine sono ancora di fabbricazione sovietica, lente e superate. Un'unica li-nea di montaggio in funzione e anche in quella, a parte alcuni operai che tengono il ritmo, decine di altri gironzolano, chiac-chierano, o leggono il giornale.

Il colore dei nuovi camion che escono non pi- quello ver-de-scuro di un tempo. Le carrozzerie sono ora di un azzurro-pallido, ma questa la sola innovazione apportata al vecchio modello concepito da almeno duecento ingegneri sovietici pi-di trent'anni fa. Delegazioni tecniche di vari paesi europei sono venute a discutere proposte per ammodernare la fabbrica, ma l'improvviso blocco a tutto ci. che comporta costi in valuta straniera ha lasciato ancora per un po' le cose come stanno. L'unica traccia rimasta del progetto per una nuova serie di camion, e anche di auto, che la fabbrica sperava di produrre nel 1985 visibile soltanto nei giganteschi dipinti a olio esposti davanti all'ingresso principale.

Al contrario di fabbriche simili in altre parti del paese, que-

sta di Changchun non ha nelle sue bacheche statistiche sulla

Produzione, n' grandi grafici che mostrino i progressi degli

operai. I vari reparti, invece, pubblicano in questi giorni i risul-

tati degli esami di ammissione all'universit. dati da alcuni ope-

rai che la fabbrica non pu. impiegare e che per questo ha mandato a studiare. Siccome la produzione stata ridotta, ogni reparto ha un certo numero

di operai in questa situazione, chiamata appunto met. studio, met. lavoro . Non possiamo licenziare nessuno. E questa un'ottima occasione per

riqualificare il nostro personale, dice il vicedirettore Wu. Molti altri

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operai della fabbrica di automobili Numero Uno verranno presto messi a questo regime di semidisoccupazione pagata. Dal 1958, questa fabbrica ha prodotto la Bandiera Rossa, quell'enorme limousine-catafalco che diventata il simbolo de-gli uomini di potere in Cina. Quante di queste auto siano state prodotte fino a oggi, o anche quante ce ne siano in circolazione, un segreto, o meglio una questione di Stato, come mi dice senza alcuna ironia il vicedirettore Wu. Quel che invece noto, che la produzione di questa automobile cesser.. Le ragioni sono che la Bandiera Rossa costa troppo, con-suma troppo e che con il suo lussuosissimo interno in legno e la sua plutocratica apparenza, che ancor oggi impone la preceden-za su tutti (il sorpasso di una Bandiera Rossa , per esempio, vietato), rischia di suscitare il risentimento popolare in un paese in cui la maggioranza della gente va ancora in giro in carrette tirate da muli e cavalli.

La chiusura della linea di produzione della Bandiera Ros-sa sar. un altro brutto colpo per le 150.000 persone di Chang-chun che vivono degli stipendi della fabbrica. Gi. Tanno scorso la fabbrica non ha assunto nessuno di quei numerosi giovani che vengono immessi ogni anno sul mercato del lavoro, e anche quest'anno il blocco delle assunzioni continua. Lo stipendio medio della fabbrica (55 yuan, quarantamila lire al mese) non aumentato da due anni a questa parte ed ora di gran lunga inferiore agli stipendi medi di altre fabbriche pi-piccole della citt.. Le ragazze della fabbrica di strumenti ottici di Changchun, per esempio, riescono a portare a casa fino a 90 yuan al mese, grazie a un sistema di incentivi individuali che la fabbrica di auto non ha voluto o non ha potuto adottare. Le riforme economiche introdotte in Cina dopo l'arresto del-la Banda dei Quattro, e viste da alcuni in Occidente come un segno del ritorno a un sistema almeno semicapitalistico, hanno innanzitutto prodotto grandi differenziazioni salariali fra gli operai e creato confusione nel sistema, prima strettamente con-trollato, del rifornimento di materie prime. Non essendo pi- co-strette a consegnare allo Stato tutta la loro produzione, le fab-briche e le altre imprese si sono messe alla ricerca del modo migliore per comprare a basso prezzo ci. di cui hanno bisogno al fine di produrre e di vendere al pi- alto prezzo possibile quanto producono. Cos facendo, per., hanno interferito con la produzione di altre unit..

Le grandi fabbriche di sigarette, per esempio, si sono im-provvisamente trovate senza tabacco perch' i produttori hanno preferito venderlo ad alcune piccole aziende locali, disposte a pagare qualcosa in pi-. Altre imprese, al contrario, non sono riuscite a vendere merc' che avevano prodotto in grandi quan-tit. nella speranza di lauti profitti. La fabbrica Gemotang, non lontano da Changchun, ha dovuto chiedere ai propri operai e impiegati di vendere ai loro amici e parenti, col 40 per cento di sconto, le molle da letto che nessun altro voleva. Acciaierie hanno prodotto molti pi- laminati di quanti il mercato potesse assorbire, mentre la fabbrica di turbine di Harbin ha dovuto ri-durre le ore di lavoro per mancanza di una speciale lega senza la quale la produzione si ferma. Industrie di cibo in scatola nel-la provincia di Jilin si sono bloccate per giorni per mancanza del materiale necessario per la fabbricazione delle lattine. Al-cune misure capitalistiche, all'interno di un sistema socialista, finiscono per combinare i difetti dei due mondi senza fornire alcuno dei vantaggi , dice un economista straniero che sta stu-diando questo fenomeno dell'economia mista.

Mentre alcune fabbriche nel Tong Bei sono a corto di ma-terie prime, tutte soffrono delle continue interruzioni di corren-te. Nella fabbrica di trattori di Shengyang, che dal 1958 produ-ce i famosi Vento dell'Est, due delle tre linee di montaggio sono bloccate, interi reparti sono chiusi, coi torni fermi, coperti da giornali. Alle tre del pomeriggio, dopo un unico turno di sole sei ore, le sirene suonano e tutti vanno a casa. La fabbrica chiude.

Un incidente avvenuto di recente nella centrale elettrica nel

nord della regione, al confine con l'Unione Sovietica, ha ulte-

riormente ridotto la gi. scarsa quantit. di corrente a disposizione della fabbrica. Il problema non soltanto nostro. Tutti di-

pendiamo dalle condizioni atmosferiche e in inverno non c'

mai abbastanza acqua nei bacini, spiega il vicedirettore Li

Changfu. Le interruzioni di corrente cominciano di solito ver-

so novembre e durano fino ad aprile.

Per il fabbisogno di tutta la Manciuria esiste una sola centra-

e elettrica e questa, per met. dell'anno, non riesce a produrre

il minimo di cui l'industria della regione ha bisogno per funzionare regolarmente. Bench' la Manciuria abbia sia petrolio che carbone, tutti i

progetti per sfruttare tali giacimenti al fine

di risolvere il problema dell'energia sono stati per ora accantonati

[PAGINA 41] per mancanza di fondi. Tocca allora allo Stato decidere chi pu. usare l'energia e in quale misura, e questo razionamento viene fatto in base a certe priorit..

La fabbrica di trattori di Shengyang non ovviamente in te-sta alla lista: ha corrente per soli quattro giorni alla settimana.

La fabbrica fu costruita nel 1953 dai cinesi attorno a un vecchio

complesso industriale impiantato dai giapponesi al tempo della

loro occupazione. Vi lavorano 5300 operai. Cos com', la fabbrica sarebbe in grado di produrre 8000 trattori all'anno, ma la

quota assegnatale dalle autorit. centrali di 3700 pezzi soltan-to. Pechino sa quali sono le necessit. a livello nazionale, spiega il vicedirettore Li. Ci hanno detto che al momento i contadini non hanno pi- bisogno di trattori come un tempo, e cos ne produciamo di meno. In passato un trattore era la massima aspirazione dei conta-dini. Il trattore era il simbolo della modernit. e non c' dubbio che, usato su grandi appezzamenti, era utile e redditizio. Ma da quando le Comuni Popolari hanno cominciato a essere smantel-late, e ogni famiglia coltiva piccoli appezzamenti di terreno in base al nuovo sistema della responsabilit., i trattori sono ra-pidamente passati di moda. La loro produzione viene cos sco-raggiata.

Posso venire a fare una visita? ho chiesto al telefono a una fabbrica che in passato era famosa per produrre uno specia-le tipo di piccolo trattore a mano e altre macchine agricole.

No. Siamo spiacenti, stata la risposta. Non produciamo

pi- niente del genere. Ora facciamo delle macchine per cuci-

re. Mi sarebbe interessato moltissimo vedere come una fabbrica di trattori pu. essere convertita in una di macchine per cu-

cire, ma una mia visita non era conveniente (questa la parola che viene sempre usata in Cina per negare con gentilezza!

qualcosa), e non c' stato verso di insistere.

Politica di 'riaggiustamento significa spostare l'accento

della produzione dall'industria pesante a quella leggera e costruire le cose di cui la gente ha bisogno, mi spiega Jiang

Wanjo, il dirigente responsabile del controllo della produzione| per l'intera provincia di Liaoning, una delle tre regioni ammi-nistrative in cui divisa la Manciuria (le altre due sono Io Hei-longjiang e il Jilin). 

In tutto il Liaoning, che fino a poco tempo fa produceva gran I

parte dei macchinari che costituivano l'orgoglio della Nuova |

Cina e venivano mostrati come il simbolo del progresso portato dal comunismo, alle varie fabbriche viene ora chiesto di contri-buire alla produzione di quei beni di consumo che simboleggia-no invece il benessere individuale: televisori, radio, biciclette, macchine per cucire, registratori e orologi.

Per alcune aziende la conversione penosa e diffcile; a vol-te semplicemente impossibile. Conversione, comunque, vuol di-re chiudere interi reparti, lasciare operai senza lavoro (ma non senza stipendio) e in generale abbandonare tutti i piani di au-mento della produzione delle cose del passato. Le vecchie fab-briche, dunque, non si allargano e quelle nuove non riescono a nascere.

Nel mezzo della prateria mancese si trovano i campi petroli-feri di Daqin, i pi- grandi della Cina. Lungo la strada che dalla grande raffineria di Daqin taglia attraverso la piana paludosa, ora completamente gelata, corre una tubazione di ferro, dipinta d'un arancione brillante, che procede per alcuni chilometri, poi improvvisamente, in mezzo a quel nulla, si ferma. Pi- avanti si vedono all'orizzonte dei giganteschi depositi per il petrolio. So-no vuoti e forse dovranno aspettare anni prima di riempirsi. Nel settembre 1980, la grande fabbrica di plastica, che avreb-be dovuto essere costruita qui e che avrebbe dovuto essere ali-mentata da quella tubazione e da quei depositi, stata sacrifi-cata in nome del riaggiustamento. Lontanissimi, si vedono i tronconi delle colonne d'acciaio e cemento che avrebbero do-vuto sostenere la struttura centrale della fabbrica; accanto, gli scheletri neri di alcuni edifici che avrebbero dovuto ospitare i 4500 operai gi. assunti per lavorarci.

L'intero stabilimento sarebbe dovuto costare sui tre miliardi di lire e la costruzione avrebbe dovuto durare cinque anni. I mac-chinari per la fabbrica, acquistati in Germania, sono gi. arrivati e giacciono inutilizzati in un hangar, avvolti in grandi teloni di pla-stica, e i centoventi tecnici stranieri che avrebbero dovuto garan-tire l'avviamento sono stati rimandati a casa. Degli operai, alcuni sono stati assegnati ad altri lavori, alcuni mandati a studiare e a'tri a fare da custodi e a vigilare in questo desolato cantiere vuo-to attraverso il quale ora mugghia il vento della prateria.

Per i dirigenti a Pechino questo pu. anche essere un affare

da poco, ma per noi era un grosso progetto, e non tutti gli ope-

rai capiscono le ragioni per le quali stato rimandato, dice

un funzionario dell'amministrazione di Daqin. L'argomento

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di Pechino che questa fabbrica di plastica, cos come altre centinaia di progetti cinesi, stata accantonata perch' il paese non ha abbastanza valuta straniera da spendere per gli impianti e non vuole indebitarsi, ma la vera ragione pu. essere ancor pi-seria di questa: Daqin non produce abbastanza petrolio da ali-mentare questa fabbrica n' molti degli altri ambiziosi progetti concepiti con eccessivo ottimismo nel periodo seguito alla ca-duta della Banda dei Quattro.

La produzione di greggio di Daqin aumentata in media del 28 per cento all'anno, si legge in una pubblicazione uffi-ciale del 1978. Quell'affermazione, come infinite altre della propaganda cinese, non era affatto vera, ma sulla base di quella e di altre cifre falsificate furono fatti i progetti per il futuro. Secondo quelle stime, Daqin nel 1985 avrebbe dovuto contri-buire al programma delle Quattro Modernizzazioni con una produzione di 100 milioni di tonnellate di greggio all'anno. In verit. Daqin raggiunse l'apice della propria produzione nel 1976 (50 milioni di tonnellate all'anno) e da allora non si an-dati oltre. Se continuiamo a mantenere questo livello di pro-duzione dobbiamo essere contenti. un record mondiale, dice con falso trionfalismo Li Wenhai, un funzionario del partito, responsabile a Daqin. La produzione esattamente la met. di quel che era stato previsto, e non affatto sicuro che gli attuali livelli possano essere mantenuti. Tutto lascia supporre che la produzione di Daqin dovr. calare progressivamente nel giro dei prossimi anni.

La storia di Daqin e tipica degli alti e bassi della politica cinese. All'inizio del secolo, i russi, mentre costruivano la loro ferrovia attraverso la steppa, impiantarono una stazione in un posto chiamato allora Sartu. I giapponesi, arrivati a Sartu tren-t'anni dopo, si resero conto, in base ad alcuni studi geologici, che in quella regione ci dovevano essere giacimenti di petrolio.

Cercarono un po', ma non ebbero il tempo di trovarli. Sconfitti

nella seconda guerra mondiale, dovettero lasciare la Cina. Nel

1959, dopo mesi e mesi di tentativi a vuoto, un gruppo di tecnici cinesi riusc a individuare quei giacimenti. Da una trivella

nel mezzo della prateria cominci. con forza a sgorgare un getto nero di petrolio. Mancavano pochi giorni al decimo anniversa-rio della fondazione della Repubblica Popolare e il nome Sartu venne cos cambiato in Daqin che appunto significa grande . celebrazione .

Il primo inverno fu terribile. Non avevamo un posto in cui vjvere, e di notte la temperatura scendeva a 40 gradi sotto zero. Cos scavammo delle trincee, le coprimmo con teli di plastica e l dormimmo , racconta un operaio che stato a Daqin fin dal-l'inizio.

Poco dopo la scoperta di Daqin, le relazioni fra Pechino e Mosca peggiorarono, e improvvisamente i sovietici ritirarono dalla Cina tutti i loro tecnici e bloccarono tutti gli aiuti. Il mo-rale del paese cadde molto in basso e Daqin fu usata per risol-levarlo. La Cina doveva dimostrare, innanzitutto a se stessa, che avrebbe potuto farcela senza aiuti esterni, senza esperti al-trui.

Daqin divenne il banco di prova di questa determinazione e il simbolo del contare sulle proprie forze, come diceva lo slogan di Mao. Operai accorsero da tutte le parti del paese e quella pianura brulla e selvaggia si anim. di migliaia e migliaia di persone decise a combattere contro ogni difficolt. della na-tura e a trivellare, trivellare. Ce la fecero, e con la scoperta di sempre nuovi pozzi la produzione aument. con ritmo regolare. Nel 1963, la raffineria di Daqin, completamente costruita dai cinesi, svettava come una cattedrale d'acciaio sopra il vuoto della prateria. A quella seguirono una fabbrica di fertilizzanti e la fabbrica di fibre sintetiche. Nel 1964, Mao and. in visita ai pozzi e scrisse in quell'occasione uno degli slogan che anco-ra oggi si leggono sui muri della Cina: Nell'industria imparia-mo da Daqin .

Daqin divenne un mito e meta di pellegrinaggi da parte di

funzionari del partito, operai modello e sposi in viaggio di noz-

ze. Storie che avevano per protagonisti i combattenti di Da-

|n riempirono i libri di scuola e alcuni dei primi operai di Da-

tyn, come Wang, l'uomo di ferro, che arriv. a essere poi

Membro del Comitato Centrale del partito, divennero gli eroi che la giovent- della Cina doveva imitare. Una vecchia poesia Pekinese, che descriveva

quel che dalla luna si vede guardandola

, fu modernizzata e imparata a memoria da milioni di giovani cinesi con l'aggiunta: dalla luna si vede Daqin. Neppure

la Rivoluzione Culturale tocc. Daqin. Anzi ne fece un mito anCor pi- grande. La gente continu. a vivere in condizioni precarie, ma anche la produzione

continu. ad aumentare. Lo slogan era prima la produzione, poi il benessere. La caduta

della Banda dei Quattro non coinvolse Daqin.

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Nel 1977, una conferenza per imparare da Daqin si concluse con la decisione di aprire altre dieci Daqin entro l.

fine del secolo. La produzione di petrolio di Daqin era vista come la base indispensabile per il piano di modernnizzazione del paese.

I bambini nelle scuole imparano ancora oggi a memoria le gesta di Daqin; sui muri della Cina si legge ancora lo slogan di Mao: Nell'industria impariamo da Daqin. L'unico posto in tutto il paese in cui questo slogan non c' Daqin stessa.

Il grande muro dinanz-i alla stazione, su cui fino a poco tempo

fa c'era una frase scritta da Hua Guofen in elogio a Daqin,

verniciato di bianco e vuoto; delle centinaia e centinaia di cita-

zioni di Mao, che prima adornavano in caratteri bianchi sul fon-

do rosso la grigia pianura, soltanto una rimasta: Evviva l'u-

nit. dei popoli di tutto il mondo, sul piazzale del grande albergo finito di costruire quattro anni fa, quando ancora si pen-

sava di dover ospitare folle di visitatori che invece non vengono pi-.

Daqin non pi- modello di nulla. stata lentamente accan-tonata, messa da parte, sgonfiata, e la fine del suo mito coincide con la fine di un periodo storico della Cina. I valori rappresen-tati da Daqin erano nello slogan Lavorare duro e contare sulle proprie forze. Ora la prima cosa che il visitatore vede, arri-vando a Daqin, sono degli autobus gialli appena importati dalla Romania che fanno la spola tra le fabbriche e i quartieri operai. Avremmo potuto benissimo usare autobus cinesi, ma le regole del commercio internazionale ci hanno imposto questi, dice, con un certo imbarazzo, la guida locale.

Nel 1974, quando i primi macchinari, importati dagli Stati Uniti, cominciarono ad arrivare nella fabbrica di fertilizzanti, squadre di operai si rifiutarono di montarli perch' non erano cinesi. Oggi, la maggior parte degli impianti dei nuovi stabili-menti di origine straniera. Una certa resistenza rimane. Alcuni si lamentano della qualit. delle cose importate, altri della lor eccessiva automazione che riduce i posti di lavoro e le possibi-lit. di impiego per tantissimi giovani, qui come nel resto della Cina, disoccupati.

In passato Daqin era anche un modello di quel che si chiamava il villaggio contadino-operaio, una soluzione, ritenuta

ideale, per non separare l'industria dall'agricoltura e far s che il ruolo di operaio e quello di contadino fossero intercambiabili Ora questi villaggi vengono lentamente smantellati e gli operai trasferiti in dieci grandi centri residenziali, dove file e file di casermoni moderni, tutti uguali, stanno crescendo a vista d'oc-chio.

Gli eroi di Daqin vengono messi, a loro volta, in pensione.

Wang, l'uomo di ferro la cui foto su tutti i libri di testo

delle scuole elementari cinesi, a Daqin non viene assolutamente

pi- nominato, e il piccolo museo che, dopo la sua morte nel

1970, gli era stato dedicato stato trasformato recentemente

in una mostra permanente di strumenti scientifici legati alla ri-

cerca e all'estrazione del petrolio. Un pannello colorato e pieno

di lucine su tutta una parete mostra le localit. dei vari campi

petroliferi della zona. Un libretto del tempo descrive le difficol-

t. che gli operai dovettero affrontare in un campo del settore

settentrionale, l'ultimo a essere aperto: ... a causa del vento

riuscivano appena a stare in piedi. Le sopracciglia erano conge-

late e piccoli ghiaccioli pendevano dai loro nasi. 'Che importa?' dicevano gli operai. 'Fossero anche coltelli, quelli che cadono dal cielo, noi

continueremmo a lavorare per aprire questo pozzo. Era l'anno 1973. Da allora tre nuove zone sono state prese in considerazione e sono state studiate in vista di eventua-li pozzi, ma i risultati non sono stati affatto incoraggianti , dice Li Wanbai, dell'amministrazione di Daqin.

Ci sono delle squadre al lavoro in questo momento? chie-do durante la visita alla mostra.

No, no, mi sento rispondere. Ora troppo freddo per

trivellare.

La sera, quando nel cielo violetto la grande rificolona rossa

del sole si tuffa dietro la linea nera dell'orizzonte, spruzzando i

suoi ultimi riflessi dorati sulle file di misere catapecchie di fan-

go seminterrate e dai tetti penzolano piccole rificolone di carta,

accese dalla gente per salutare il nuovo anno, quando i carretti

di legno tirati da ciuchini magri passano soli soli sotto le ciminiere delle fabbriche nel freddo che paralizza e intontisce,

scoraggiante pensare che le sorgenti sotterranee di questo sangUe dell'industria, come in Cina chiamano il petrolio, stiano

Per seccarsi, e che questa eroica Daqin potrebbe presto diventare una citt. morta, come quelle che sorsero e scomparvero

al tempo della corsa all'oro nel Far West americano.

Alcuni critici sostengono che fin dall'inizio Daqin stata

truttata in modo sbagliato, altri dicono che il valore dei giacimenti

[PAGINA 44] fu intenzionalmente esagerato per ragioni politiche e che, per aumentare la produzione, nuovi pozzi furono aperti su vec-chi giacimenti (i pozzi sono ora seimila in un'area di circa 1500 chilometri quadrati).

Resta il fatto che qui, come in tantissime altre parti della Ci-

na, c' stata gente che ha lavorato duramente, che ha sacrificato

la propria vita, che per vent'anni non ha mai fatto domande per-

che sinceramente credeva di contribuire al bene della patria e

del prossimo. Questa gente, ora cinquantenne e sessantenne, avvolta nei cappotti imbottiti, con in testa grandi berretti fatti con

la pelliccia dei cani, questa gente ha ancora fede. I loro figli no. Nella fabbrica di urea, comprata dall'Olanda, gruppi di giovani distratti, dalle facce giallognole e svogliate, come quelle degli operai in qualsiasi altra simile fabbrica nel mondo, osservano annoiati i sacchi di plastica che scorrono su una catena di montaggio importata dalla Germania. Non vogliono studiare. Non vogliono fare sforzi. Quel che vogliono semplicemente un lavoro, dice la guida. I pi- non hanno nemmeno quello.

Daqin ha una popolazione di 700.000 persone e il numero, dei giovani in attesa di lavoro , come in Cina vengono eufe-misticamente chiamati i disoccupati, pi- alto che altrove. I 150.000 operai che lavoravano ai pozzi, all'apice della produ-zione nel 1979, ora sono troppi. Se qualcuno vuole andarsene, siamo ben felici di lasciarlo partire. Ma nessuno viene a chie-derci degli operai, e noi non possiamo licenziarli , dice il signor Li.

Il partito non ha vita facile a spiegare alla gente l'attuale si-

tuazione nel paese e perch' Daqin, una volta oggetto di tante

lodi e tanta gloria, oggi pressoch' dimenticata. A volte il partito non ci si prova nemmeno.Fino al 1978, ogni unit. di Daqin aveva almeno due ore di studio e discussione politica al giorno. Ora la regola : due ore la settimana, ma alcune unit. non fanno neppure quelle, co-me dice un funzionario del partito.

Harbin. La gente attraversa il fiume Sungari, passando sulle ac-que gelate, in bicicletta. I bambini si lanciano a capofitto, dal-l'alto della riva, lungo spaventose piste scoscese e sfrecciano via a bordo di slitte a vela trascinate dal vento.

Vista dal centro di questo limpido universo di ghiaccio che mi rimbomba sotto i piedi come da profondit. irraggiungibili, Harbin in lontananza pare esattamente quella che era solita es-sere: la piccola Mosca con la cupola verde, a cipolla, sopra i tetti appuntiti della cattedrale, gli edifici eleganti, fin-de-sicle, le case da t', gli chalet lungo il fiume e i giardini pubblici con le loro attrazioni invernali, le statue di ghiaccio. Una spessa nu-vola di fumo giallastro incombe sopra il tutto. All'apice del boom petrolifero di Daqin, la maggior parte delle fabbriche di questa regione abbandonarono il carbone per il nuovo combustibile, ma ora che la produzione di Daqin in diminuzione, i vecchi bruciatori sono stati rimessi al loro posto e fanno di Harbin una delle citt. pi- inquinate della Cina. Siccome non esistono ancora regolamenti in questo senso, fab-briche piccole e grandi appestano l'aria coi loro fumi, avvele-nano fiumi e canali con i loro schiumosi rifiuti. Per il momento nessuno si preoccupa.

La famiglia di un amico cinese si era appena seduta a tavola per celebrare la festa dell'Anno Nuovo attorno a un bel pesce, comprato per 10 yuan a un mercato privato, quando un bigliet-tino scritto a mano apparso in fondo alla gola dell'animale:

Volevo solo i vostri soldi, non la vostra vita. Questo pesce morto avvelenato.

Nel 1964, Harbin lanci. un programma per il proprio abbellimento. Copriamo la citt. di alberi e fiori, cos che profumi

tutto l'anno, fu lo slogan.

Oggi Harbin sporca, logora e puzzolente: un ottimo esem-

pio di tutto ci. che la rivoluzione cinese si trovata a ereditare

e non riuscita a mantenere. Il grande ponte di ferro che attra-

versa il fiume Sungari ancora quello costruito alla fine del

secolo, dai russi, assieme alla ferrovia. L'altro grande ponte

nel mezzo della citt. quello costruito dai giapponesi. Persine

i tram che scampanellano carichi di gente attraverso Harbin sono ancora quelli di prima della Liberazione.

All'apice della sua prosperit. Harbin aveva - leggo in una

guida degli anni '20 - una popolazione di 100.000 stranieri,

'5 consolati, 63 ristoranti, 5 teatri, 118 buffet e fumerie d'oppio. Ora, in ciascuna delle opulente residenze in cui prima vi-

Veva nello splendore una sola famiglia, vivono nello squallore

"meno una dozzina di famiglie: le pareti non sono state ridipinte da anni, i vetri delle finestre sono rotti, le tubature non sono

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pi- funzionanti, i pavimenti sono sconquassati, i tetti marciti, i gabinetti fatti a pezzi durante la Rivoluzione Culturale come oggetti borghesi.

La notte qui regnano i topi , dice un uomo sui cinquant'anni che divide con sei parenti una stanza di tre metri per ]

quattro.

Della vecchia comunit. di russi bianchi non restano che qua- i ranta anziani poverissimi e discriminati come stranieri, pur i avendo vissuto qui per oltre mezzo secolo.

Bench' tutta la citt. sia un costante ricordo del passato, i ci- i

nesi, specie durante la Rivoluzione Culturale, hanno fatto del loro meglio per cancellarne ogni traccia. Il centro di Harbin era

una grande piazza rotonda sulla quale convergevano, come usa- i

va nelle vecchie citt., i grandi viali, e dove i russi avevano la- !

sciato un eccezionale monumento: una chiesa ortodossa, tutta

fatta di legno e senza un solo chiodo. Nel 1966, con la scusa

che alcuni reazionari si erano nascosti nelle cantine, le Guardie Rosse appiccarono il fuoco alla chiesa e nel giro di poche ore

la distrussero completamente. Adesso in quel pezzo di terreno I

vuoto, al centro della piazza, c' un cartello che dice: Perfavore, abbiate cura dei fiori e delle piante. Piacciono a rutti .

Niente successo, invece, al monumento che l'Armata Sovietica costru in onore dei suoi caduti in un lato della piazza.Un'armatura in legno lo protesse dagli attacchi dei radicali e ora, come tutti gli altri monumenti ai soldati sovietici in ogni citt. della Manciuria, stato restaurato e viene tenuto in ordine. Una targa in bronzo, messa dal comandante in capo sovietico nel 1945, dice: Gloria eterna agli eroi caduti in battaglia con-tro l'imperialismo giapponese e per l'onore e la vittoria dell'U-nione Sovietica. I cinesi, proprio sotto quella, hanno aggiunto una seconda targa che, con abilit. tutta diplomatica, dice:

Gloria etema agli eroi dell'esercito sovietico caduti in battaglia contro l'imperialismo giapponese per la liberazione del

Nord-Est, per la libert. e l'indipendenza della Cina. I sovietici entrarono in guerra contro il Giappone solo il 12 agosto 1945, tre giorni dopo che gli americani avevano sgancia-to la loro prima bomba atomica su Hiroshima e una settimana prima del collasso finale di Tokio. i sovietici non dovettero combattere nessuna grande battaglia, ma arrivarono giusto in tempo per prendere in consegna la Manciuria dai giapponesi, al momento della loro resa senza condizioni.

Lo sanno bene che non mi piace affatto quel monumento, ma a continuano a darmi questa camera che gli sta esattamente di fronte, dice, nell'International Hotel, un anziano signore giap-ponese che visse a Harbin prima e durante la guerra e che ora ci torna regolarmente come rappresentante di alcune grandi azien-de che vendono qui macchinari industriali. Questa citt. cambiata moltissimo, ma solo in peggio. L'International Hotel, costruito da un architetto polacco per una societ. di Tokio nel 1927, cadente e mal tenuto. Nono-stante la citt. sia stata recentemente aperta al turismo, questo albergo, come tutti i suoi equivalenti nelle altre citt. della vec-chia Manciuria, non sembra affatto destinato al servizio dei suoi ospiti paganti, ma piuttosto inteso come un asilo per i figli di alti quadri del partito che qui fanno i cosiddetti camerieri e che con ci. hanno un lavoro facile, in un posto ben riscaldato.

Questi giovani, che si stravaccano a fumare nelle poltrone dei

corridoi e si riuniscono a chiacchierare e a giocare a carte nelle

camere vuote, indossano sempre delle giacche che dovrebbero

essere bianche e invece sono piene di frittelle e di macchie gri-

gie, nonostante il loro stipendio mensile comprenda anche una

stecca di sapone, appunto per fare il bucato. Preferiscono usare il sapone per lavare i loro vestiti personali , spiega una gui-

da locale; dopotutto, le tenute da lavoro possono benissimo

essere sporche. Lo sono anche quelle degli operai in fabbrica!

Nel quartiere pi- vecchio di Harbin sopravvive, pur con un

nome cinese, Hua Mei, l'ultimo dei grandi ristoranti russi di

un tempo. Una fetta della sala da pranzo, dalle pareti di legno,

stata tagliata fuori e viene usata dai cuochi e dai camerieri per

fare il loro riposno quotidiano, mentre in ci. che rimane doz-

zine di avventori si accalcano sui tavoli sporchi e appiccicosi. Il

Pavimento nero di fango e resti di cibo. Sulla porta d'ingresso

del ristorante, un cartello rosso dice: Questo posto stato sezzionato come modello di igiene.Dall'altra parte della strada, il vecchio Albergo Nuova Har-bin, con i suoi affreschi di donne nude sulla riva di fiumi az-zurri e le sue grandi sale a pianterreno dove un tempo stavano i tavoli di baccarat, chiuso ai comuni mortali e riservato solo ai (mandarini rossi, come a volte la gente chiama gli alti quadri del partito.

Quando, nel 1949, i comunisti cinesi presero la Manciuria, si trovarono a ereditare una struttura industriale, una rete di comunicazion [PAGINA 46]

, un capitale di know-how che non avevano eguali nel-l'intero paese. Per ironia della storia, la Manciuria aveva tutto questo grazie a cinquantanni di presenza imperialista. Fabbri-che, porti e ferrovie erano stati costruiti dai russi e dai giappo-nesi. Anshan, ancora oggi la pi- grande acciaieria della Cina, era stata iniziata dai capitalisti di Tokio. Lo stesso vale per le miniere di Fushun, ancora oggi chiamata la capitale del car-bone cinese.

Prima di ritirarsi, i sovietici portarono via dalla Manciuria tutto quel che poterono muovere: intere fabbriche furono smon-tate pezzo per pezzo, vagoni e locomotive fecero rotta per Mo-sca carichi di ogni ben di Dio, comprese tutte le riserve d'oro del Manciukuo. Appena Mao e Stalin ebbero firmato il loro ; trattato di alleanza e di cooperazione nel 1950, i sovietici tor-narono in Manciuria e, in cambio dei prodotti agricoli della re-gione, aiutarono i cinesi a rimetterne in piedi la struttura indu-striale.

Le fabbriche costruite dai sovietici in quegli anni sono, an-

cora oggi, le pi- belle. La fabbrica di lino di Harbin, finita nel

1951, fu la prima del genere in Cina. Oggi, ancora la sola. La

grande maggioranza dei macchinari tuttora sovietica. In tutto

il Nord-Est la situazione simile. La fabbrica di vagoni ferro-

viari di Changchun fu installata dai sovietici, quella di macchi-

ne utensili di Shengyang fu creata dai giapponesi e ampliata dai

sovietici con l'aiuto dei cecoslovacchi. Lo stesso vale per la

fabbrica di gru e quella di locomotive di Dairen. Ogni volta

che si vede un bel cancello di ghisa con dietro un edificio solido e ordinato, si pu. essere certi che una delle aziende im-

piantate dai sovietici negli anni '50. La sola aggiunta cinese spesso una statua in gesso di Mao col suo cappotto lungo quasi tino ai piedi e la mano destra alzata in una sorta di saluto ro-mano.

Gli anni '50 sono stati indubbiamente i migliori per la Man-

ciuria: c'erano mezzi, impegno ed entusiasmo. La regione ave

va tutto il necessario per farcela. Qualunque regime alla fine

della seconda guerra mondiale avesse amministrato questa re-

gione per la Cina avrebbe avuto successo: enormi risorse natu-

rali, vastissimo territorio, poca popolazione e una grande fiducia nei confronti di quel nuovo governo cinese che prendeva il

potere dopo decenni di dominazione straniera e dittatura dei si]| gnori della guerra.

II boom non dur. a lungo. Prima dovemmo affrontare il ritiro degli aiuti e dei tecnici sovietici, poi una serie di catastro-fi naturali, poi il riaggiustamento, poi la Rivoluzione Culturale e ora di nuovo un periodo di riaggiustamento, dice il signor Lo, quadro politico dell'amministrazione provinciale dello Hei-longjiang.

Quante fabbriche sono state costruite dopo il 1960? gli chiedo.

... alcune... alcune... ma non molte, risponde.

In verit., nessuna.

La qualit. della vita oggi peggiore che negli anni '50, ci si sente dire spesso e volentieri dalla gente, quando non ci sono attorno funzionari del partito a prendere appunti. Gli apparta-menti operai costruiti, per esempio, a Harbin prima del 1959 avevano tutti bagno e cucina. Quelli che vengono fatti ora, do-po un blocco edilizio che durato pi- di dieci anni, hanno un bagno per piano e una cucina per ogni due famiglie. La rivoluzione ha poco di cui vantarsi per quel che riguarda gli ultimi due decenni. A Changchun, per esempio, gli unici edifici con qualche carattere sono quelli classicisti costruiti dai giapponesi negli anni '30; il primo posto che il visitatore portato a vedere la vecchia residenza dell'imperatore-fan-toccio del Manciukuo, Pu Yi.

Da quando la citt. stata aperta agli stranieri, la locale am-ministrazione ha pensato di approfittare di quella manna che le si offriva e ha cominciato a costruire un albergo moderno di cinquecento camere. Questo grande edificio di cemento e di vetro vuoto e abbandonato su una delle piazze cittadine prin-cipali: finito a met.. Dalle scaffalature penzolano i caratteri cubitali di due slogan, uno sulla sicurezza innanzitutto e uno sul pensiero di Mao. I lavori sono stati bloccati cinque mesi fa quando i tre milioni di yuan necessari alle rifiniture sono stati tagliati dalla politica del riaggiustamento. L'albergo gi. costato nove milioni di yuan, e per il momento quell'investimento, che avrebbe potuto cominciare a rendere, Perso.

I turisti continuano a dover venire in numero limitato e a do-

Ver stare nel vecchio, un tempo elegante, ma ora deprimente,

albergo Yamato, costruito dai giapponesi. I cinesi si scusano

Continuamente per quello che non hanno, per come tutto di-

'e, attraverso il lavoro. Dalla fondazione della Repubblica Popo-lare, ma in particolare dal 1958, con la campagna contro gli intellettuali di destra, milioni e milioni di persone, per avere semplicemente espresso il proprio dissenso sulle politiche del momento, ma in verit. perch' poli di disobbedienza e di attra-zione per un'eventuale opposizione, sono passati attraverso questo gulag cinese, alcuni sprecandovi pi- di vent'anni, altri senza venirne fuori vivi.

Questa gente, per., ha contribuito all'economia del Nord-Est

perch', col lavoro forzato, ha diboscato intere regioni, ha co-

struito strade e aperto miniere. Dopo la caduta della Banda

dei Quattro, la maggior parte di questi prigionieri stata liberata e il loro lavoro adesso non lo fa pi- nessuno.

La provincia di Heilongjiang ha 130 milioni di mu di terreno

coltivabile (15 mu equivalgono a un ettaro). Secondo le autorit.

locali, 70 milioni di mu possono essere ancora ricavati da terre oggi vergini. Il solo problema che mancano i volontari che

vogliano andare a lavorarci.

Le foreste dello Jilin hanno montagne di legname che il Giappone vuole comprare, ma le autorit. locali hanno difficolt. a trovare gente disposta a passare lunghi periodi di tempo in zone impervie per dei miseri salari.

I giovani di oggi fanno troppe domande, parlano troppo della loro libert. e non capiscono i princpi , dice un funzio-nario del partito di Shengyang. Dalla morte di Mao, e dopo il completo rovesciamento delle sue politiche, la pratica dell'in-dottrinamento e delle frequentissime riunioni, in cui gli slogan del momento venivano martellati nella testa della gente, ral-lentata, e ora davvero la gente pone, anche in pubblico, doman-de che un tempo sarebbero state assolutamente impensabili. Se il socialismo cos buono, com' che non riusciamo mai a raggiungere il mondo capitalista? chiede un lettore in una lettera indirizzata al Quotidiano dei Lavoratori. E un altro:

Gli operai nel capitalismo sono sfruttati, si sa, eppure vivono meglio di noi che non siamo sfruttati. Loro hanno macchine, frigoriferi, televisori, e noi no. Perch? il giornale dei sindacati ha dovuto reagire a queste domande poste dagli operai, e in un editoriale intitolato Solo il socialismo pu. salvare la Cina, affsso nelle bacheche di tutte le fabbriche, si legge: Non fosse stato per le immense distruzioni causate dalla Banda dei Quattro nei dieci anni di caos, la differenza fra noi e i paesi occidentali sarebbe minima.

Non tutti si fanno convincere da quest'argomento, e fra la

gente che si incontra oggi in Cina c' anche chi comincia a bi-

sbigliare che il Partito Comunista ha perso il mandato del Cielo: la classica espressione usata in passato per dire che una

dinastia aveva perso la legittimit. a governare. Cominciano an-che a circolare le prime voci di scioperi operai e di dimostra-zioni studentesche. Alla fine di gennaio del 1981 una dozzina di giovani sono stati arrestati all'Universit. di Shengyang per aver organizzato una protesta contro le condizioni di vita nei dormi-tori.

Il partito non pu. permettersi alcuna manifestazione di dis-

senso, specie in una regione come la Manciuria che, data la sua

vicinanza con l'Unione Sovietica, estremamente vulnerabile

(pare che alcuni studenti siano passati dall'altra parte per protesta contro Pechino). Qui siamo fondamentalmente dei conservatori.

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Siamo lenti nel cambiare le cose , dice Huang Ron. gui, responsabile politico dell'ufficio del Turismo di Harbin, cercando di spiegare la diversa mentalit. dei cinesi della Man-ciuria.

Il Nord-Est in verit. una delle regioni in cui la cosiddetta Banda dei Quattro aveva pi- radici. Il nipote di Mao, e uno dei suoi pi- intimi confidenti, Mao Yuanxin, era il capo militare della regione fino al suo arresto nel 1976; da allora in attesa di processo per i crimini commessi come complice nel com-plotto radicale. Il processo finora non si fatto.

Il Nord-Est stata la regione pi- lenta nel portare avanti l'e-

purazione degli elementi maoisti, e molti di quei quadri del par-

tito cresciuti politicamente durante la Rivoluzione Culturale sono ancora al potere. Alcune delle loro vittime, che avrebbero

dovuto essere riabilitate, sono ancora tenute in disparte. Nel modo di trattare gli stranieri di passaggio, Harbin ha mantenuto alcune delle abitudini del tempo della Rivoluzione Culturale, quando era possibile lasciare l'albergo solo per visite guidate ad alcune selezionate fabbriche, scuole e famiglie mo-dello, quando si era continuamente circondati da funzionari del turismo, cio poliziotti, il cui compito pi- importante era quello di interrompere anche il pi- casuale contatto che il visitatore fosse riuscito a stabilire con una qualunque persona del posto. Le cose stanno un po' ancora cos.

Segni della lentezza con cui le autorit. locali si mettono al passo con la politica dettata da Pechino si vedono dovunque. Quando lo straniero viene portato alla stazione di Harbin, si ,] apre, esattamente come ai vecchi tempi, una speciale porta d'in-grasso e un'intera sala d'aspetto vuota gli viene messa a dispo-sizione, mentre gli altoparlanti vengono, per l'occasione, messi ; a tutto volume e trasmettono musiche marziali e rivoluzionarie ! che erano di moda alcuni anni fa. Il treno che proviene da Pe-chino, invece, pi- in linea coi tempi e lascia la stazione di Harbin, diretto verso il nord, al ritmo del Valzer delle candele, che probabilmente qui ritengono ancora una musica decadente e borghese.

Mentre a Pechino i ritratti di Mao sono stati, da tempo, tutti '

rimossi, tranne quello sulla piazza Tienanmen, nel Nord-Est la

sua foto ancora nelle caserme, le sue citazioni ancora sui muri

delle citt.. Alcune delle vecchie gigantesche statue del Gran-

de Timoniere sono ancora in piedi. La pi- grande di tutta la Cina ancora nella piazza principale di Shengyang: un massic-

cio monumento, eretto all'apice della Rivoluzione Culturale, con Mao circondato da tutti gli eroi di quel tempo, gli operai di Daqin, i contadini di Dazhai, i soldati dell'Esercito di Libe-razione, le giovani Guardie Rosse, ciascuna con il distintivo di jvlao sul petto e il libretto rosso in mano.

I libretti rossi sono stati scalpellati via, ma gli eroi del passato, gi. dimenticati e spesso vilipesi nel resto della Cina, si ergono ancora nel loro ardore rivoluzionario attorno al loro Grande Timoniere, qui nel cuore della vecchia Manciuria. Cosa sanno a Pechino dei nostri problemi? Che ne sanno delle nostre fabbriche? mi chiede un funzionario dell'ammini-strazione locale, che rifiuta di farmi visitare una fabbrica ben-ch' io abbia avuto il permesso dal ministero degli Esteri a Pe-chino.

Le nostre risorse sarebbero pi- che sufficienti per i nostri bisogni, ma il fatto che dobbiamo dividerle con il resto del paese, mi dice un altro funzionario, lamentandosi che il Nord-Est deve lavorare seguendo le direttive di un piano eco-nomico nazionale e non secondo le necessit. regionali. Il regionalismo sempre stato un problema tradizionale della Manciuria che, per esempio, dal 1911 al 1949 sfugg completa-mente al controllo delle autorit. centrali cinesi. In ragione della sua posizione geografica, la Manciuria ha avuto da sempre strette relazioni con l'Unione Sovietica, e questo un altro dei motivi per cui l'atteggiamento di questa regione pu. non essere esattamente in linea con quello del resto del paese. In tutte le citt. del Nord-Est ci sono strade, piazze e negozi ancora con il nome di Stalin. Fra i monumenti lasciati dai con-quistatori del passato e distrutti o riadattati dai cinesi (lo svet-tante obelisco costruito dai giapponesi in onore dei loro caduti stato trasformato in una torre di addestramento per paracaduti-sti), gli unici che sono sopravvissuti persine ai momenti pi- cal-di dell'isteria antirevisionista sono le statue e le lapidi lasciate dall'Armata Rossa, che fu qui al tempo della seconda guerra mondiale.

A Changchun, la colonna in cima alla quale sta il modello di

aereo sovietico ha, ancora intatta, la targa che dice: L'amicizia fra il popolo sovietico e quello cinese durer. per sempre.

Giovani coppie ci si fermano davanti per farsi la foto-ricordo.

A Harbin il solo cimitero che esiste ancora quello dove sono

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sepolti centocinquanta soldati sovietici. Un tempo era grande, con migliaia di tombe, perch' quello era il cimitero della

comunit. russa di Harbin all'epoca delle concessioni, ma, durante la Rivoluzione Culturale, le Guardie Rosse decisero di

trasformare il tutto in un Parco della Cultura popolare . Il posto venne messo a soqquadro, le sepolture arate, ma le pietre

tombali grigie con la stella rossa degli eroi e martiri sovieti-ci non vennero toccate e stanno ancora allineate al loro posto con dinanzi mazzi di fiori freschi e grandi corone che vengono rinnovate a ogni anniversario della fondazione dell'Armata Rossa.

I funzionari del partito del Nord-Est ricevono i visitatori stra-nieri senza neppure alludere al problema della minaccia sovie-tica che invece, a volte, ricorre ancora nei discorsi a Pechino. Qui la presenza di oltre un milione di soldati sovietici lungo la frontiera comune non sembra un problema. Certo non influisce sulla vita quotidiana della gente della regione.

Dal 1976, la popolazione non deve pi- partecipare alle eser-

citazioni di difesa civile, e il costosissimo ed elaborato sistema

di tunnel sotterranei, costruito qui come in ogni altra citt. cine-

se dal 1969 in poi per far fronte a un eventuale attacco sovietico, viene ora convertito in negozi, mense e magazzini.A Harbin il Grande Magazzino Numero Uno, nel centro della citt., ha occupato l'intero sotterraneo sottostante e ne ha fatto un punto di vendita di televisori... sovietici. Marca: Nuo-va Alba.

La frontiera aperta. La gente va e viene. Qui abbiamo meno problemi che nel Xinjiang, dice il commissario politico Lo, dell'amministrazione di Heilongjiang. Al contrario del Xin-jiang, dove le rotaie del treno fra i due paesi non sono ancora collegate, qui l'espresso Pechino-Mosca circola liberamente sulla vecchia linea transiberiana, e ogni giorno commercianti delle due parti vanno e vengono attraverso il confine a fare scambio di merci: carne di maiale, vitello e verdura cinesi con-tro elettrodomestici e vodka sovietici. La frontiera, segnata per lo pi- dai fiumi Ussuri e Amur, non da in nessun modo l'im-pressione di essere una polveriera sul punto di esplodere. I ri-cordi della sanguinosa battaglia sull'Ussari nel 1969 sembrano dimenticati.

Il commercio, per ora di piccole dimensioni, che si svolge

lungo la frontiera comune dello stesso tipo di quello che inben pi- grande stile si svolgeva negli anni della grande coope-

razione cino-sovietica. Questo commercio, siccome nella na-tura delle cose e nell'interesse delle due parti, potrebbe ripren-dere in ogni momento.

La Siberia sovietica e la vecchia Manciuria hanno delle eco-

nomie assolutamente complementari: fabbriche sovietiche pro-

ducono macchinari e beni di consumo che servirebbero ai cine-

si, e l'agricoltura del Nord-Est cinese produce carne e verdura

di cui la Siberia ha un disperato bisogno e che ora vengono fat-

te venire da migliaia di chilometri di distanza. Per giunta, i 120

grandi complessi industriali e le altre dozzine e dozzine di fabbriche che i sovietici aiutarono a costruire negli anni '50 sono

tutti equipaggiati con vecchi macchinari russi che gi. da tempo avrebbero dovuto essere rimpiazzati.

Fondamentalmente l'intera infrastnittura del Nord-Est cinese di marca sovietica, e per questo sarebbe pi- economico e pi-funzionale modernizzarla con materiale sovietico anzich' con macchinari e sistemi importati dall'Occidente. Vista dalla vec-chia Manciuria, la situazione fra Cina e Unione Sovietica sem-bra destinata a migliorare. Una nuova stretta cooperazione fra i due paesi comunisti non affatto da escludere.

Tutto possibile, dice un giovane studente di Harbin che

incontro per strada e che si offre di farmi fare un giro non uf-

ficiale della citt.. Ci. che ieri era buono oggi cattivo, e pu.

tornare a essere buono domani. Un giorno ci dicono di elogiare

un uomo, un altro giorno ci dicono di sputargli in faccia. Nelle

mani dei nostri dirigenti, siamo come una vite. A volte la si

stringe, a volte la si allenta.

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Giochi cinesi con grilli e piccioni.

Il generale era appena salito sul podio e stava per cominciare il suo discorso, quando la platea scoppi. in una fragorosa risata. Da una tasca interna della giacca imbottita del generale, il grillo che egli teneva in una piccola gabbia fatta da una zucca secca s'era messo improvvisamente a cantare, e il gorgoglio felice di quella voce, amplificato dai microfoni, era echeggiato per tutta la sala. Mi dispiace, compagni, d'essermi lasciato andare al piccolo gioco , si scus. il generale.

Il piccolo gioco, come i cinesi chiamano la loro predilezzione ad allevare animali vari, alcuni anche abbastanza insoliti,

era stato proibito durante la Rivoluzione Culturale come uno spreco borghese. Dall'anno scorso, per., tenere degli anima-li, a eccezione dei cani ancora fermamente proibiti, di nuovo tollerato ed tornato a essere uno dei grandi passatempi di giovani e vecchi.

Ogni domenica, fin dall'alba, nel distretto meridionale di Pechino, sulle rive del Laghetto del Drago, migliaia di uomini, in molti giovanissimi, si

ritrovano per discutere e ammirare, com-

prare e vendere animali, gabbie, cibarie e tutte le altre tante cose che in qualche modo hanno a che fare col piccolo gioco e !

le sue gioie.

Dal momento che nelle aree urbane tenere un cane ancora vietato, i cinesi si debbono accontentare di allevare pesci, gatti, scimmie, conigli e uccelli, ma soprattutto grilli. In Cina, la passione per queste minuscole bestiole antica i quanto il paese. Sui grilli esiste tutta una letteratura che risale i a secoli fa, ed era tradizione che ogni dinastia facesse ristampare un famoso manuale sul come allevare, addestrare, curare i grilli, come farli cantare meglio e combattere con maggior fierezza. Storie di grilli appartengono da sempre al folclore cinese, e quella del bambino che si uccide per potersi reincarnare in un ( grillo e salvare cos dalla disgrazia il padre che aveva perso un preziosissimo grillo di un alto magistrato stata raccontata di ge-nerazione in generazione come esempio classico di piet. filiale.

Si dice che furono le dame di corte a tenere per prime dei

grilli nascosti sotto i loro cuscini, in alcune piccole gabbie d'oro. Le notti nel palazzo imperiale, sotto il controllo degli eunu-

chi, erano spesso lunghe e solit.rie, e il cantare cos intimo dei grilli era inteso a tener compagnia alle giovani donne e a dar loro un qualche piacere. Si racconta anche che nei tempi antichi catturare grilli da mandare a corte era una delle corv'e che i mandarini di provincia imponevano ai contadini. Con questa forma di tassazione molti funzionari si facevano benvolere a corte: migliori erano i grilli che mandavano, pi- alta la stima che si conquistavano. Col passare del tempo, la vecchia abitu-dine delle concubine di corte fu imitata dalla gente comune e, fino alla Rivoluzione Culturale, quasi ogni famiglia aveva una piccola cesta di vimini imbottita con dentro una bottiglia d'ac-qua calda, attorno alla quale venivano tenuti i grilli d'inverno, e tante piccole gabbie di bamb- dalle forme pi- varie: un tempio, una barca, una torre, per tenerli in estate.

L'abitudine ripresa, e nello scorso luglio, dopo tanti anni, si sentito di nuovo per le strade di Pechino il grido: Guo... guorrrr... guo... guorrr vociato dai contadini venuti in citt. con le biciclette cariche di piccole, tonde gabbie di bamb-, ognuna con un bel grillo canterino in vendita. Da agosto a settembre un guoguor costa solo dieci centesimi (settanta lire), ma in gennaio o febbraio lo stesso grillo vale anche cinquanta volte tanto, dato che i grilli, con l'arrivo del primo freddo, muoiono. La vera arte consiste appunto nel farli vivere a lungo e farli nascere fuo-ri stagione.

Dedicarsi ai grilli un ottimo affare, e i contadini intrapren-

denti hanno avviato dei veri e propri allevamenti nei dintorni di

Pechino; tenere un grillo significa regalarsi la grande, vecchia,

raffinata gioia di sentire in mezzo all'inverno quella sorpren-

dente, calda voce di primavera mentre tutto attorno freddo,

mentre fuori tira vento o nevica. Tristezza e gioia provo a

quel cantare, che ora si ferma e poi continua vibrante e prolungato. Mi pare una voce venuta dal cielo, un suono fatto per gli

uomini di gusto e di piacere, scrisse Tun Lichen, un nobile manci- nel 1900.

Diversi nei colori (possono essere gialli, verdi, neri, traspa-

renti o di un marrone oleoso), diversi nelle forme (come i semi

di un cocomero, o un chicco di riso), i grilli sono di tantissime

variet., ognuna con un suo nome, ognuna con una descrizione

poetica del suono che produce, jin zhung, la campana d'oro,

dallo stridio puro e monotono stato paragonato da uno scrittore Cinese

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al suono di trombe e tamburi e a quello dell'ac-qua che passa per le rapide. Il pressoch' invisibile jin Un zi, invece, produce un suono simile a quello delle campane sacre dei templi buddisti . Il pi- comune hu In, ha una voce mute-vole, piena di alti e bassi, di gridi e lamenti simili a quelli di un uomo che ride o di uno che singhiozza.

Per un cinese tenere un grillo come per un occidentale pos-sedere un cane o un cavallo. Lo accudisce dandogli da mangia-re le cose che predilige: alcuni mangiano solo carote o lattuga, altri solo castagne gi. masticate dal padrone, altri ancora dei vermi speciali che a loro volta mangiano solo granturco e che vanno allevati a parte perch' il grillo li vuole solo vivi. I grilli devono fare il bagno: di solito in una tazza di t' appena tiepido.

I grilli vanno poi portati a spasso, un po' per distrarli, un po'

per dar loro la sensazione che non sono trascurati. La gente ha

tasche speciali in cui tenerli, fatte apposta nell'interno delle

giacche o dei cappotti, cos che le bestiole possono essere portate ovunque uno vada, comode nelle loro gabbie e piacevol-

mente riscaldate dal calore del corpo umano.

Le casette invernali dei grilli sono fatte con zucche, ma non le zucche cos come si trovano in natura - i cinesi non si ac-contenterebbero di questo -, bens con zucche a cui artificial-mente si fa assumere la forma che si desidera. I cinesi sono da secoli maestri in quest'arte. Quando il fiore della zucca appe-na sbocciato, viene forzato all'interno di una struttura di creta e l cresce fino a riempirla, assumendone la forma e ricevendo sulla superficie, in bassoriiievo, tutto ci. che stato preceden-temente inciso nella matrice. Ci sono cos gabbie con incisi i versi di famose poesie, altre con paesaggi o figure di uomini e ; dei. I tappi di queste zucche sono in avorio, in legno, in giada o in tartaruga, anche questi incisi con forme di draghi, leoni o con vari simboli che dovrebbero portar fortuna alla bestiola e al suo proprietario.

Nella vecchia Cina, la gente, specie i Manci-, spendeva delle fortune per avere queste gabbie fatte dai migliori artigiani del tempo. I grilli, poi, non erano solo per cantare. C'erano quelli da combattimento, e spesso interi patrimoni venivano dilapidati scommettendo sulle loro mortali battaglie. I cinesi hanno sem-pre saputo delle capacit. combattive dei grilli e, attraverso i se-coli, sono riusciti a selezionare le migliori razze di combattenti e ad affinare la loro abilit..

Fra i cinesi c' la credenza che i grilli-gladiatori altro non

siano che reincarnazioni di eroi cinesi del passato e, per questo,

pur essendo grilli, vanno trattati con rispetto e devozione. Ti-

rar su dei grilli come tirar su dei soldati , scrisse un autore

famoso del xn secolo esperto nell'argomento. Verissimo. I grilli

hanno bisogno di essere accuditi da speciali attendenti cos come i cavalli da corsa hanno bisogno di esperti scudieri.

I grilli-gladiatori, ciascuno nella sua casa di terracotta ammo-

biliata con un letto, una ciotola di porcellana per l'acqua e una

per il cibo, venivano ogni giorno nutriti con una speciale dieta a

base di miele, riso e castagne. Speciali addestratori erano poi

impiegati per abituare il grillo a combattere e per tenerlo in for-

ma. Fra i trucchi di psicologia grillesca che venivano usati

per dargli fiducia c'era quello di farlo combattere, in addestramento, con dei grilli pi- deboli di lui o grilli che erano gi. stati

sconfitti. Il suo ego veniva cos lusingato e il suo spirito rafforzato per la vera, grande battaglia.Il giorno delle gare due gladiatori della stessa taglia e dello stesso peso si affrontavano in un'arena, un vaso tondo dalle pa-reti alte venti centimetri e sul fondo del quale si fissavano gli sguardi appassionati di decine di spettatori e di scommettitori. L'arbitro era chiamato direttore della battaglia; i piccoli pennelli con cui ognuno dei due contendenti veniva stuzzicato ed eccitato avevano il manico d'avorio ed erano fatti esclusiva-mente coi baffi dei topi di campagna.

Lo scontro a volte durava solo pochi minuti: fra gridi di battaglia e cicalecci, i grilli si gettavano l'uno contro l'altro cer-

cando di portarsi via a morsi gambe, ali o antenne. Alla fine uno dei due cadeva morto o restava mutilato. Il vincitore veniva fatto generale e, se vinceva altre volte, maresciallo. Il morto veniva posto in una piccola bara d'argento e sepolto con tutti gli onori nel giardino del suo triste padrone.

Tutto ci. appartiene al passato, visto che ai cinesi di oggi

non' permesso neppure di seppellire i genitori. Quanto al gioco

diazzardo, assolutamente proibito, ma al parco del Laghetto

del Drago, la domenica mattina, ci sono contadini che offrono

li nuovo dei generali , e in giro per Pechino ci sono bande di ragazzini che con lunghe canne vanno a caccia di grilli selvatici

da allevare per il combattimento. I migliori gladiatori crescono vicino alle tombe, il consiglio che danno i vecchi.

Nel mercatino di Guang Yuan, davanti all'immensa villa dove

[PAGINA 53] viveva Jiang Jing, la moglie di Mao, e dove ora sorge il Pa-lazzo dell'Infanzia dato che nessun alto dirigente cinese ha vo-luto andarvi ad abitare dopo il suo arresto, sono in vendita vec-chie giare per grilli, gabbie, stimolatori d'avorio, letti, ciotole e tutto ci. di cui un grillo ha bisogno per la sua vita e le sue battaglie. Ho visto anche minuscoli pacchettini pieni di polve-rine colorate: specialissime medicine per curare, come mi spie-gava il vecchio che li vendeva, il raffreddore, la diarrea e le vertigini dei grilli .

Oltre ai grilli, i cinesi hanno da sempre allevato uccelli, e un modo per augurare a qualcuno la felicit. : Che tu possa di-ventar vecchio e aver cura d un nipote e di un uccello . Spesso quest'immagine della felicit. la si vede a spasso per le strade: un vecchio che spinge una carrozzina di bamb- con un bambino e, accanto, una bella gabbia con un uccello.

Per un cinese avere un canarino o un usignolo non vuol dire tenerlo a casa come fosse un soprammobile. Vuol dire avere un compagno con cui si va a passeggio, con cui si chiacchiera e si gioca.

Quando ancora buio, e il sole balugina appena all'orizzon-te, decine di vecchi sono gi. in coda davanti ai cancelli dei par-chi pubblici di Pechino, ciascuno con una gabbia che fa dondo-lare ritmicamente con la mano. Le gabbie vengono appese ai rami degli alberi e, mentre gli uccelli cantano, i vecchi, sotto, parlano degli uccelli e delle gioie che questi danno. Le gabbie sono di vario tipo, ma ognuna un capolavoro in miniatura con le sue porte scorrevoli, le tazzine di porcellana, spesso antica e nello stile dei vasi pi- famosi, a volte persino con un vasetto e un minuscolo fiore che l'uccello dovrebbe go-dersi, cantando di gioia alla sua vista. Le gabbie cinesi, contra-riamente a quelle occidentali, non hanno all'interno un'altalena sulla quale l'uccello dondola rafforzandosi le gambe. Sono i vecchi che, camminando, fanno oscillare l'intera gabbia in mo-do che non solo gli uccelli si rafforzano dovendosi tenere in equilibrio ma loro stessi fanno ginnastica coi polsi ed evitano cos i reumatismi. Finezze d'Oriente.

La variet. di uccelli di nuovo in vendita ai mercati privati

immensa. Il loro valore varia a seconda della qualit. del loro

canto. Un lau sh zi, una sorta di grosso passero che fa solo

un grido stridulo, costa meno di uno yuan (cento lire); un bai Un che, secondo i cinesi, ca-

pace di imitare le voci di cento animali, compreso il gatto e il cane, costa anche trecento yuan. Dopo gli anni silenziosi della Rivoluzione Culturale, quando il piccolo gioco era proibito e tenere animali era un delitto, ora anche le citt. sono tornate ad animarsi di tanti suoni sconosciuti o strani. A volte se ne sente uno simile a un fine ululato, una sorta di melodia che pare venire dallo spazio, che si avvicina, si avvicina e poi sparisce. Si guarda in alto e si vede solo uno stormo di piccioni che svolazza. Qualcuno sta facendo un concerto in aria. Il gioco cominci. ai tempi della dinastia Sung, nel xn secolo, e i fischietti di bamb- o di zucca che si legano sulla coda dei piccioni sono fatti ancora come si facevano allora. I fischi sono simili a organi in miniatura e possono avere fino a venti e pi-canne. Quando il piccione vola e l'aria entra a forza nel fischio, ecco che produce il suono. Mettendo a vari piccioni diversi tipi di fischi come creare un'orchestra a pi- strumenti. E il tutto vola.

I cinesi la chiamano la musica del cielo perch', come uno dei vecchi che m'insegnava ad allevare i miei piccioni e a scegliere i fischi per la mia orchestra mi ha detto una volta: Se Dio avesse una voce, non sarebbe molto diversa da questo suo-no.

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Se i contadini sono contenti,

l'impero stabile

Lo Shandong e la fine delle Comuni Popolari

un uomo zappa la terra con un rudimentale strumento di ferro.

Un altro, legato a un carretto, lo tira con l'aiuto dei suoi figli. Una donna gira attorno a un basamento di granito e macina il granturco spingendo una pesante ruota di pietra. Oggi, come centinaia di anni fa: zappare, tirare, spingere, sudare; con gli stessi strumenti, gli stessi gesti. Una generazione dopo l'altra.

Le montagne, consumate dal tempo e dagli uomini, mostra-

no, come fossero scarnificate, il loro scheletro di sassi e rocce

nude. La terra delle pianure, vangata e rivangata milioni di volte da laboriosissimi contadini alla continua ricerca di cibo, sem-

bra essere esausta, come gli uomini stessi, da secoli e secoli di lavoro ingrato.

Lo Shandong ( a est della montagna ), una delle pi- vec-

chie province della Cina, la seconda per densit. di popolazione,

uno dei luoghi di nascita della civilt. cinese. Fu lungo le rive

del Fiume Giallo che si stabilirono alcuni dei primi Han; e l'uomo che, secondo il mito, riusc a domare le acque di quel fiume

divenne il primo imperatore. Ma questo drago violento, che na-sce nell'Altipiano Tibetano e si snoda per pi- di cinquemila chilometri attraverso la Cina generando vita ovunque passa, ha anche portato carestie e pestilenze, con le sue inondazioni e i suoi bizzosi mutamenti di corso. Per questo fu chiamato la disgrazia della Cina.

Ancora oggi il Fiume Giallo resta una delle grandi preoccu-pazioni dello Shandong.

A nord della capitale provinciale, Jinan, le acque rossastre e limacciose turbinano e si scagliano contro i piloni del lungo ponte della ferrovia. Il livello spaventosamente alto a causa delle grandi piogge a monte, ma da qui tutta questa massa d'ac-qua passa invano perch' non ancora stato trovato un modo di sfruttarla: i bacini dello Shandong sono vuoti e i campi secchi.

Da sei mesi su tutta la regione non piove, i contadini hanno a

che fare con la peggiore siccit. che ci sia stata in sessant'anni e

ora, al contrario del passato, non hanno pi- un dio a cui rivolgersi: lo Shandong la Terra Santa della Cina, ma i templi sono

chiusi.

Confucio e Mencio sono nati qui. Qui c' la pi- sacra delle

Cinque Montagne sacre della Cina, il Taishan. questo il luogo

in cui il taoismo ha il suo centro, e fu da una spiaggia dello

Shandong che gli Otto Immortali partirono per il loro leggendario viaggio oltremare.La religione ha avuto per secoli un ruolo essenziale nella vita contadina. Ogni villaggio aveva templi e pagode che erano par-te integrante del paesaggio dello Shandong. Ora tutto scom-parso, stato distrutto, smantellato, trasformato. Alcuni luoghi religiosi sono stati recentemente riaperti, ma a uso esclusivo dei turisti stranieri.

Lo Shandong, pi- di ogni altra regione, ha sofferto, un secolo fa, le umiliazioni dell'intervento straniero contro la Cina.

Fate capire ai cinesi, con tutta la durezza ed eventualmente

anche con tutta la brutalit. necessaria, che l'imperatore tedesco

non da prendere in giro e che non consigliabile averlo per

nemico, telegraf. Guglielmo n all'ammiraglio Diederch il 7

novembre 1897. Due preti tedeschi erano stati uccisi da una

banda di ribelli e questo aveva fornito ai compatrioti dei reli-

giosi la scusa che cercavano per far guerra alla Cina e per portarle via, come gi. avevano fatto in precedenza inglesi e fran-

cesi, un pezzo di territorio. I tedeschi avevano adocchiato, lun-go la costa, la penisola di Kiaochow: la invasero e, con quella, l'intero Shandong divenne zona di loro influenza.

Tradizionalmente lo Shandong stato anche una terra di ribel-

li. I Taiping che, ispirati dal cristianesimo, misero a ferro e fuoco

la Cina a met. del secolo scorso, erano qui attivissimi. I Boxer,

che nel 1900 presero d'assedio il quartiere delle deLegazioni a Pechino e minacciarono di sterminare tutta la comunit. straniera in

Cina, nacquero nello Shandong. La prima resistenza contro l'in-vasione giapponese del 1937 fu organizzata qui, e qui, fin dagli inizi della loro lotta, i comunisti cinesi si assicurarono delle basi e fu grazie a quello che, durante tutta la guerra civile, i comunisti ebbero costantemente la meglio sul Kuomintang.

Se i contadini sono contenti, l'impero stabile, si diceva nella Cina di alcuni secoli fa. Era vero allora ed vero oggi. Fu lo scontento nelle campagne a rovesciare il vecchio regime e sono ottocento milioni di contadini, contenti delle riforme libe-rali di Deng Xiaoping, a sostenere l'attuale.

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All'inizio di questo secolo il sistema dei grandi latifondi aveva spinto alla disperazione enormi masse di contadini costretti a pagare affitti impossibili e poi interessi strozzini su quanto non riuscivano a versare. il sogno di tutti i contadini era quello di possedere la terra su cui lavoravano. I comunisti promisero loro proprio questo, e qui nello Shandong, ancor pi- che in altre par-ti della Cina, i figli dei braccianti senza terra andarono a com-battere nell'Armata Rossa di Mao.

In questa regione, molte zone vennero liberate ben prima del 1949, e la riforma agraria fu fatta qui prima che nel resto del paese. I latifondisti espropriati fuggirono nelle zone controllate dai nazionalisti del Kuomintang, e i contadini dello Shandong amano ancora raccontare la storia di quel padrone che se ne and. dicendo ai suoi ex fittavoli: Torner., torner.. Quelli che hanno preso la mia terra li sgozzo a uno a uno. Metter. su un ristorante di carne umana. Ma i nazionalisti di Chiang Kaishek persero la guerra civile e i latifondisti che non riusci-rono a scappare con il Generalissimo a Taiwan tornarono sulle loro vecchie propriet. solo per essere processati e automatica-mente condannati dai tribunali del popolo. Alcuni vennero sommariamente fucilati, decapitati, o accoltellati, e i loro campi furono distribuiti alla gente che li lavorava.

I contadini erano soddisfatti e i comunisti lentamente intro-dussero il concetto di collettivizzazione. Prima vennero le coo-perative, poi, nel 1958, le Comuni Popolari. Lo Shandong fu di nuovo all'avanguardia. Tutte le tracce di propriet. privata scomparvero. Gli orti privati, gli animali da cortile, compresi i polli e i maiali, vennero rimessi allo Stato. Tutti i mercati e le fiere di paese vennero chiusi.

La Comune possedeva tutto, aveva cura di ogni cosa e di

ogni persona. Staccato cos dalla sua terra, il contadino si ritro-

v. a essere come un operaio di una grande impresa (ogni Co-

mune era fatta di 30-50.000 persone) oggi chiamato a zappare

un campo, domani spedito a tagliar legna o a costruire una diga-

Non c'erano stipendi, e ogni persona veniva pagata in base al-

l'opera compiuta dall'intera unit. di lavoro. Una parte di questa

paga era rappresentata dalle sette garanzie: cibo, vestiti, as-

sistenza medica, educazione, casa, maternit., spese per matri-

moni e funerali. Una parte era costituita dai buoni-lavoro, che

potevano venire spesi soltanto negli spacci della Comune. Il danaro era praticamente eliminato.Mao credette di aver trovato la scorciatoia alla realizzazione All'ideale comunista di una societ. egualitaria in cui ognuno da secondo le sue capacit. e prende secondo i suoi bisogni . Il risultato fu un disastro. La produzione di cereali, quella di zuc-chero e di carne di maiale caddero ai livelli del 1951. Altri rac-colti risultarono peggiori di quelli di prima della rivoluzione.

Un libro per soli quadri del partito e pubblicato da poco

in Cina, chiaramente allo scopo di spiegare il perch' della nuova politica di Deng Xiaoping, fa una dettagliata analisi del fal-

limento della collettivizzazione maoista.

Nello Shandong, come nel resto della Cina, decine di milioni di persone soffrirono la fame, alcune centinaia di migliaia mo-rirono non viste e non registrate da alcun osservatore indipen-dente, mentre la propaganda di Pechino esaltava i grandi suc-cessi.

Alcune correzioni al sistema rigidamente collettivo delle Co-muni vennero tentate agli inizi degli anni '60 da Liu Shaoqi (vennero, per esempio, reintrodotti gli orti privati che i conta-dini chiamano da allora ciambelle di salvataggio, dato cru furono quelli a tenere in vita tanta gente), ma vennero preste spazzate via dalla bufera della Rivoluzione Culturale che Mao Tsetung lanci. per imporre la sua linea di sinistra al prezzo di altri milioni di vittime.

In Cina, quel che succede nelle campagne importantissimo, ed per questo che la sostanza di tutte le grandi lotte politiche nella storia recente del paese (Liu Shaoqi contro Mao, Mao contro Deng Xiaoping, Deng contro Hua Guofeng e ora Deng di nuovo contro quel che resta della Banda dei Quattro) verte su che fare con i contadini, che rappresentano l'ottanta per cento della popolazione; che fare con l'agricoltura, dai cui successi o disastri dipende oggi, come in passato, la stabilit. o l'instabilit. della dinastia al potere.

La lotta continua perch' i problemi sono immensi e non tutti sono d'accordo sul come risolverli... se possono essere risolti:

"la Cina ha solo il 7 per cento del totale della terra coltivabile

al mondo, ma con quella deve dar da mangiare al 23 per cento

della popolazione mondiale;

la popolazione cinese aumenta (negli ultimi 25 anni passata

da 551 milioni a oltre un miliardo), ma la terra coltivabile diminuisce a causa dell'espandersi degli abitati e dei centri industriali (nonostante i

vasti progetti di recupero di terre vergini e deserti,

[PAGINA 56] il totale oggi di 99 milioni di ettari mentre era di 107 milioni nel 1949);

la produzione cinese di cereali (che pr.c.pite oggi uguale a quella della dinastia Han di duemila anni fa) non sufficiente al fabbisogno del paese e Pechino deve supplire con vaste im-portazioni;

le condizioni di vita nelle campagne non sono particolarmen-te migliorate da quando i comunisti hanno preso il potere, e persine la stampa ufficiale ammette che solo un terzo dei con-tadini vive al di sopra del livello di sussistenza (valutato qui a 120 yuan, centomila lire all'anno), che un terzo ce la fa appena e che un altro terzo ha introiti annui inferiori a 60 yuan, cin-quantamila lire all'anno, per cui ... dipende, per campare, da altre occupazioni, da sussidi governativi e da una certa dose di frugalit. , come scrive il periodico del partito comunista, Ban-diera Rossa.

La provincia dello Shandong, con i suoi 73 milioni di abitan-ti, in stragrande maggioranza contadini, con alcune delle pi-ricche e alcune delle pi- povere Comuni del paese, un ottimo esempio della situazione generale in cui vivono oggi 800 milio-ni di cinesi e di tutte le contraddizioni che la politica riformista di Deng Xiaoping sta creando.

Qui, come nel resto del paese, le autorit. centrali spingo-no per un rapido smantellamento delle Comuni Popolari, men-tre le autorit. locali puntano i piedi e fanno resistenza. Qui, co-me altrove, ci sono enormi dubbi sul tipo di sistema che deve sostituire quello lasciato da Mao, e qui come altrove i contadini approfittano del fatto che i capi discutono e sfruttano questo periodo di liberalizzazione per fare in fretta i loro interessi, abi-tuati, come sono dall'esperienza, a pensare che anche questo periodo non durer..

Nel piccolo villaggio di Anqui, nello Shandong orientale, da

vent'anni non c'era stata una fiera e la piazza del vecchio mer-

cato era stata eliminata. Ora, due volte la settimana, un'enorme

folla si ritrova in un grande spiazzo sterrato dove ogni sorta di

merc', dai maialini di latte alle trappole per topi, dai polli agli

occhiali da sole, erbe mediche, stoffa a metri e orologi, in

vendita. I prodotti agricoli vengono dagli orti privati della gen-

te, i beni di consumo dalla cittadina di Weifang, lontana 35 chi-

lometri, dove ingegnosi contadini vanno in bicicletta a vendere

le loro verdure e, coi soldi che ricavano, comprano merc' da vendere qui. Fino a qualche anno fa questa gente non avrebbe

otuto lasciare la propria Comune, questa attivit. era chiamata speculazione e chi era sorpreso a praticarla se la passava male. Persine coltivare qualche cavolo sulla riva di un canale, a uso privato, veniva criticato come capitalista. Ora, i rivenditori di lunga distanza, come vengono chia-niati questi contadini che in lunghe file indiane si vedono cara-collare sulle strade della Cina, sono stati riabilitati e il loro la-voro viene incoraggiato ed elogiato. Ogni giorno, entrano in gruppo nelle varie citt. con le ceste delle loro biciclette colme di prodotti e si accovacciano lungo i marciapiedi a vendere frut-ta, verdura e uova che sono di gran lunga pi- fresche di quelle nei negozi di Stato. Gli affari vanno bene e nel villaggio di Zouping, nel centro dello Shandong, per esempio, tutte le 42 famiglie che ci vivono hanno gi. comprato ciascuna il proprio televisore, anche se non possono utilizzarlo perch' in tutta la zona non c' un solo ripetitore e il segnale non arriva. Questo grande cambiamento nella vita delle campagne co-minciato nel 1979 con la pubblicazione del Documento 75 che praticamente smantella le Comuni Popolari e introduce nel-l'agricoltura il sistema della responsabilit.. Questo siste-ma la grande trovata di Deng Xiaoping ed alla base della sua politica di riforme.

In teoria, con questo sistema, il contadino non guadagna pi-

parte dell'introito comune del gruppo di lavoro cui appartiene,

ma lui e la sua famiglia, responsabili adesso di coltivare come

vogliono un appezzamento di terra loro assegnato, possono con-

siderare beneficio personale tutto ci. che producono al di l. di

una certa quota che sono obbligati a vendere allo Stato (una

famiglia pu. anche decidere di non coltivare la terra e di affittarla o metterla ad altro uso, se riesce con i soldi che guadagna

a comprare sul mercato privato la quota di produzione da cede-re allo Stato).

In pratica, il sistema della responsabilit. smantella le Co-muni Popolari e di fatto ridistribuisce la terra ai contadini.

Liu Zongche, trentatr' anni, membro di una Comune povera ai piedi del Taishan, la montagna sacra nel mezzo dello

^nandong. Nel marzo 1981, lui e gli altri membri del suo grup-

Po di produzione furono informati dal responsabile del partito

Cne potevano scegliere di lavorare secondo il nuovo sistema e

non pi- come un collettivo. La decisione fu unanime: provare il

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nuovo sistema. La terra a disposizione non era tutta uguale. Siccome alcuni appezzamenti erano migliori di altri, a ciascuno

venne assegnato un numero e i numeri furono messi in un cap. pello. Ogni famiglia estrasse a sorte e a Liu Zongche toccarono quattro pezzi di terra distanti un chilometro l'uno dall'altro. Al-lo stesso modo vennero divisi gli strumenti di lavoro che appar-tenevano alla collettivit.. A Liu toccarono due rastrelli, un for-cone, una zappa e la parte centrale di una carriola, ma non la ruota, purtroppo finita a un'altra famiglia. In cambio di questa nuova libert., la famiglia Liu, in tutto sei persone, si impegn. a vendere allo Stato, a un prezzo fisso, 1600 chili di grano all'an-no. Quel che avrebbero prodotto in pi- sarebbe stato loro e avrebbero potuto venderlo sul mercato libero.

Al tempo del raccolto, fra il lavoro e la preoccupazione, io e mia moglie non riuscivamo a dormire, racconta ora Liu, ma ci and. bene. Il primo anno la famiglia produsse 2600 chili e con quel che ricavarono dalla vendita privata dei mille chili di differenza i Liu comprarono una vacca, due maiali e i primi mattoni per costruirsi una nuova casa, di cinque stan-ze. Da allora i Liu hanno prodotto sempre un po' di pi- e han-no gi. traslocato nella casa che sono riusciti a finire. Il sistema della responsabilit. ha infiammato d'entusiasmo i contadini, ha scritto il Quotidiano del Popolo sostenendo quella che la linea politica del momento. In alcuni casi l'en-tusiasmo andato anche troppo lontano.

In certe Comuni, per esempio, quando si sparse la voce che la terra veniva restituita ai proprietari originari, molti andarono a occupare i campi che erano stati loro prima della collettiviz-zazione, e in altri casi alcuni contadini si presentarono al partito con vecchi documenti, che avevano tenuto accuratamente na-scosti per decenni, per dimostrare i loro titoli di propriet.. In altre Comuni la ridistribuzione ha causato terribili conflit-ti, alcuni finiti addirittura a coltellate. In un villaggio, i conta-dini, guidati dai dirigenti del partito, sono andati a dividersi le seggiole e i tavoli dell'amministrazione della Comune; poi han-no smantellato l'intero edificio prendendosi ciascuno la sua quota di mattoni. Nella Comune di Zhinfang, nella contea di Jiaxiang, cinque funzionari del partito hanno venduto all'asta un pezzo di terra e cinquanta appartamenti del collettivo divi-dendo poi equamente fra i membri della Comune i 29.525 yuan (venti milioni di lire) ricavati.

vero: il sistema della responsabilit. ha creato una certa

confusione ideologica anche fra i quadri del partito, ammette

il vicegovernatore dello Shandong, Liu Zungcheng. I giornali

hanno fatto di tutto per smentire che l'assegnazione di appezzamenti per famiglia significa ridistribuzione della terra. La propriet. resta

collettiva, scrive il Quotidiano del Popolo, e ricorda a tutti il principio che la terra non pu. essere n' venduta n'

affittata .

Ci. che vogliamo sostituire l'egualitarismo con la produt-tivit., ma senza toccare i princpi di una struttura socialista, spiega Guo Xingjiang, direttore della Commissione del Piano dello Shandong.

Egualitarismo era l'ideale sociale dei tempi maoisti. Ora egualitarismo, reso in cinese con l'espressione mangiare tutti dalla stessa grande pentola, una sorta di vizio mortale di cui bisogna disfarsi. Coloro che producono di pi- debbono avere di pi-, dice Guo, il pianificatore. Prima godevano solo i fannulloni. Questo vero: in passato la gente che lavorava duro mangiava dalla stessa grande pentola in cui mangiavano coloro che battevano la fiacca o coloro che non lavoravano del tutto. Ovviamente questa situazione era frustrante per alcu-ni, ma anche vero che dalla stessa grande pentola mangiava la vecchia il cui figlio era nell'esercito, mangiava la vedova rima-sta con i figli piccoli da sfamare, e mangiava il mutilato rimasto senza familiari.

La Comune, al contrario delle fabbriche di citt., non dava

pensioni di anzianit., non pagava cassa malattia o assegni fami-

liari, ma la grande pentola comune sostituiva tutto ci. e sfamava anche i vecchi, i malati e le vedove. Ora, proprio su

questo tipo di persone che ricadono gli svantaggi del nuovo si-stema di responsabilit..

Ci sono anche altri scontenti. Per esempio i militari. L'agri-

coltura in pieno boom e noi dobbiamo preoccuparci della famiglia che ci lasciamo dietro. Facendo il servizio militare, per-

diamo una bicicletta il primo anno, una casa il secondo e una moglie il terzo, ha scritto un gruppo di reclute dell'Esercito di Liberazione al suo giornale.

Prima, un enorme numero di giovani contadini si presentava-

no alle caserme come volontari. Per un ragazzo di campagna

andare di leva per tre o cinque anni era la garanzia di un buon

lavoro dopo il congedo e la certezza che la famiglia non avrebbe

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avuto problemi durante la sua assenza. Ora non pi- cos: una famiglia con un figlio nell'esercito ha due braccia in meno per coltivare il pezzo di terra assegnatole, e cos sempre meno giovani si presentano volontari, mentre molti di coloro che sono gi. sotto le armi chiedono adesso di venire congedati per torna-re ai loro campi e sfruttare il momento favorevole.

Alti ufficiali non nascondono la loro profonda insoddisfazione per le riforme di Deng Xiaoping. C' molta gente fra di noi

che non capisce correttamente le riforme nelle campagne e le

considera una liberalizzazione borghese e una marcia a ritroso, ha scritto nell'ottobre 1981 l'organo delle Forze Armate,

ammettendo apertamente che esiste fra i militari una forte op-posizione di sinistra al corso politico dell'era post-Mao.

Un altro problema fatto venire a galla dal sistema di responsabilit. e che l'egualitarismo delle Comuni era riuscito almeno a

schierare e a tenere sotto controllo la sovrabbondanza di ma- ] nodopera nelle campagne. Degli ottocento milioni di cinesi che vivono sui campi, trecento sono forza lavoro; un terzo di questi, vale a dire cento milioni, sono, secondo le statistiche ufficiali, | disoccupati.

Al tempo del vecchio sistema tutta questa gente si divideva

quel che c'era da fare e poi mangiava quel che c'era da mangiare nella grande pentola comune. Ora che, invece, ognuno

interessato a fare pi- che pu. da solo, in modo da aumentare i

la propria produttivit. e guadagnare di pi-, la tendenza a ridurre la manodopera superflua e a tenerla lontana dalla pentola del riso che,

appunto, non pi- comune.

La soluzione ovvia di questo problema sarebbe di muovere } lentamente queste persone verso le citt. e dare loro dei lavori

gi. nel 1860. I tedeschi, gli ultimi arrivati nella grande corsa

per la spartizione delle spoglie del morente impero cinese, videro nello Shandong l'occasione per recuperare il tempo perdu-

to rispetto alle altre potenze, specie gli inglesi, gi. ben impian-tati nella loro colonia di Hong Kong.

Tutte le condizioni erano favorevoli: Lo Shandong ha un

clima ideale per l'agricoltura, un posto dove miniere e ind-strie possono essere sviluppate ben al di l. del loro stato attuale

e dove esiste, a portata di mano, un'enorme riserva di manodo-pera intelligente e a buon mercato, scriveva ancora von Richt-hofen. I tedeschi avevano solo bisogno di una scusa per pren-dersi ci. che sulla carta avevano gi. individuato come loro pre-da. La scusa si present. loro il 1 novembre 1897 con l'assas-sinio (proprio al momento giusto, scrisse un commentatore dell'epoca) di due sacerdoti tedeschi da parte di un gruppo di banditi-ribelli nel sud-est dello Shandong. Come le potenze oc-cidentali erano solite fare a quei tempi, i tedeschi intervennero militarmente per punire la Cina. Nel giro di due settimane la flotta tedesca aveva conquistato senza gran spargimento di san-gue le fortificazioni cinesi lungo la baia di Kiaochow e aveva preso possesso dell'intera area. Nel marzo 1898 venne firmato il solito trattato con cui la Cina dava in afftto alla Germania per novantanove anni la baia di Kiaochow; concedeva a essa il diritto di costruire due linee ferroviarie attraverso l'intera provincia di Shandong; rilasciava la concessione per lo sfrutta-mento di tutte le risorse minerarie entro una striscia di quindici chilometri lungo le due ferrovie.

La Cina riconobbe cos alla Germania una sfera d'influenza su tutta la provincia dello Shandong, e i tedeschi non persero tempo per far diventare la loro colonia un modello della presen-za occidentale in Oriente.

Fecero miracoli. Non ci furono mai pi- di cinquemila tede-

schi alla volta nella zona, ma, con l'aiuto della manodopera lo-

cale, ingegneri e architetti di Berlino aprirono un porto, instal-

larono la ferrovia con cui trasportare il carbone dalle miniere

dell'interno al mare, e l, sulla punta della penisola alla bocca

della baia di Kiaochow, costruirono dal nulla Qingdao, l'isola

verde, una citt. di imponenti edifici pubblici con chiese, ospedali (otto), scuole e alcune dozzine di eleganti ville private.Tutta affacciata a sud, Qingdao fu costruita secondo un piano regolatore moderno e ben studiato. Una speciale commissione fu incaricata dell'approvazione di ogni singolo progetto e di ogni singola costruzione, cos che la citt. avesse un aspetto omogeneo e fossero rispettati gli standard ingegneristici in vi-gore nell'Europa del tempo.

Furono fatte le fognature, messi l'elettricit. e il gas. Gi. alla fine del suo primo anno di vita Qingdao vantava una rete tele-fonica con ventisei abbonati. Presto Qingdao si guadagn. la fa-ma d'essere la citt. pi- pulita e pi- ordinata d'Oriente. I tedeschi avevano creato otto diversi organi di polizia - uno incaricato esclusivamente di controllare il personale di servizio - e con questi tenevano in pugno i centomila abitanti dei quartieri cinesi. Le regole erano dure e applicate con severit.. Nessun cinese autorizzato a trovarsi per strada fra le nove di sera e l'alba senza una lanterna, diceva, per esempio, uno dei regola-menti.

Gli stranieri dell'Estremo Oriente venivano da Hong Kong, da Saigon e dal Giappone a fare le vacanze nel clima salubre di Qingdao, la Perla dell'Est. Una perla tutta tedesca.

La Prinz Heinrichstrasse, la strada principale di Qingdao, era

simile al centro di una qualsiasi elegante citt. tedesca; e lo

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tuttora. Pochi degli edifici originali sono stati abbattuti e la maggior parte sono ancora adibiti alle stesse funzioni per cui furono costruiti: la vecchia casa del governo coloniale ora la sede del governo popolare, la vecchia centrale di polizia oggi occupata dall'ufficio della Pubblica Sicurezza della citt.. Il romantico castello da caccia che il governatore tedesco si era fatto costruire lontano dal centro, su una rupe che dominava il mare giallo e limaccioso al limitare di quella che al tempo era una foresta infestata dai lupi, ora una delle ville in cui il Par-tito Comunista riceve i propri ospiti, mentre l'enorme e un po' sinistra villa che era la residenza del governatore ora usata per alloggiare personaggi di altissimo livello. Le guide, per una volta dimentiche delle vicende politiche di certi protagonisti, si pregiano di raccontare che qui hanno dormito, oltre che Mao Tsetung, anche Lin Biao, Jiang Qing e Ho Chi Min. Alle guide di Qingdao piace anche raccontare la storia secon-do cui il primo governatore tedesco della colonia, Dietrich, fu licenziato dall'imperatore quando questi, geloso, si accorse che la residenza che il governatore si era fatta fare a Qingdao era la copia esatta della sua residenza imperiale. Il governatore ma-gari era un poco di buono, un colonialista, ma le sue ville gliele abbiamo conservate con cura, dice Liu Baiyuan, dell'ufficio per gli Affari Esteri dell'amministrazione di Qingdao. La citt. aveva un tale carattere germanico che, anche dopo la partenza dei tedeschi, edifici del medesimo stile continuarono a essere costruiti dai giapponesi che governarono Qingdao fino al 1922, come pure dagli stessi cinesi nel periodo repubblicano. I comunisti che presero possesso di Qingdao nel 1949 hanno continuato a riparare e restaurare le costruzioni principali, ma hanno lasciato che gli edifici un tempo privati, ma poi passati ' allo Stato e per questo non pi- curati da nessuno, andassero in rovina. Negli spazi pensati un tempo per una famiglia ne vivo- ! no ora almeno una dozzina, con tutte le conseguenze immagi-nabili. Ci. che stato fatto sparire il cimitero tedesco. Le ultime lapidi furono fatte a pezzi durante la Rivoluzione Cultu-rale, ma la decisione di non continuare a sprecare spazio per dei cadaveri stranieri, quando ai cinesi si imponeva la cremazione, era gi. stata presa prima.

Tetti rossi in una foresta di verde lo slogan pubblicitario

con cui Qingdao viene presentata ai cinesi, ai quali piace l'a-

spetto straniero della citt. e per i quali una visita qui oggi come un viaggio all'estero. Il partito ci manda in vacanza i pro-

pri dirigenti, le fabbriche organizzano soggiorni di interi reparti meritevoli.

L'assurdo ancora una volta che le citt. di cui i cinesi sono pi- orgogliosi sono proprio quelle costruite dagli stranieri:

Qingdao, Shanghai, Tianjing, Gulnayu, la citt. sull'isola di fronte ad Amoy, e in parte Canton.

Alcune delle attivit. fondate e gestite con successo dai tede-schi durante la loro breve presenza qui sono state rilevate e am-pliate dai cinesi. La seta dello Shandong una delle pi- floride industrie della regione; il ricamo viene ancora eseguito allo stesso modo e con lo stesso stile di disegni introdotto dai tede-schi; la fabbrica di birra che inizi. nel 1913 a produrre la Bir-ra Germania e che pi- tardi, sotto i giapponesi, produsse la Sole che sorge, fornisce ora la famosa birra cinese Qing-dao, destinata soprattutto all'esportazione.

La vecchia chiesa protestante, costruita dai tedeschi accanto alla residenza del governatore in modo che lui e la moglie po-tessero andare a messa a piedi, riaperta e ha riacquistato un'a-ria tutta nord-europea. Persine l'orologio sul campanile funziona di nuovo: I cristiani lo hanno messo a posto da soli dopo che l'officina dello Stato ci aveva chiesto un patrimonio per riparar-lo, dice il pastore Andrew Kuang. La chiesa, come qualsiasi altro edifcio a Qingdao, tutta in pietra e ferro perch', come dicevano i tedeschi: Noi costruiamo perch' duri cent'anni. Qingdao, cos come era stata progettata, sarebbe dovuta di-ventare la rivale tedesca di Hong Kong sulla costa della Cina. Ma le cose andarono diversamente e, invece di cento, i tedeschi a Qingdao ci restarono solo sedici anni. La fine arriv. improv-visa. La crescita e la ricchezza della colonia tedesca avevano suscitato l'invidia dei giapponesi e degli inglesi, i quali appro-fittarono dello scoppio della prima guerra mondiale in Europa per attaccare Qingdao eliminando cos la concorrenza tedesca dall'Estremo Oriente.

Il 23 agosto, il Giappone dichiar. guerra alla Germania e le

forze di Tokio e di Londra mossero immediatamente contro la

colonia. La maggior parte della flotta tedesca aveva preso il lar-

go diretta ai Mari del Sud, e i 600 cannoni Krupp e i 5000 uo-

mini della guarnigione non avevano alcuna possibilit. di resi-

stere anche solo per poco contro i 60.000 giapponesi che presero d'assedio

Qingdao, mentre la flotta inglese bloccava la via

[PAGINA 68] d'uscita del mare. Ma i tedeschi decisero di dare battaglia e su-bito si accorsero che il loro asso ne/la manica era appunto il Piccione, quel monoplano dall'aspetto buffo del tenente Plue-schovv.

Quando l'avevano scaricato dalla nave che lo aveva portato

dalla Germania, l'aereo aveva fatto ridere tutti. Le risate erano

state ancor pi- sonore quando, alla prima prova di volo, una

raffica di vento aveva fatto precipitare il Piccione sull'ippodromo. Ma Plueschow non s'era perso d'animo. Aveva avuto la

brillante idea di rivolgersi a dei vecchi cinesi fabbricanti di aquiloni i quali, con seta, colla e bamb-, lo avevano aiutato a rifare le ali del Piccione e a rimetterlo in aria.

Il Piccione divenne cos l'orgoglio di Qingdao e Plueschow

il suo eroe. Nella luce soffusa del mattino Plueschow decollava,

sorvolava le posizioni di artiglieria giapponesi e tornava dando

le coordinate ai cannonieri tedeschi. Durante la notte i giappo-

nesi muovevano i loro pezzi, ma Plueschow li ritrovava e li fa-

ceva centrare dal fuoco dei Krupp. I giapponesi fecero di tutto

per bombardare l'hangar dove Plueschow teneva il proprio ae-

reo, ma anche quando riuscivano a centrarlo il Piccione tornava

a volare. I cinesi, esperti di aquiloni, avevano costruito una replica e i giapponesi avevano bombardato quella, mentre il vero

aereo era nascosto altrove.

Giorno dopo giorno, L'Aviatore di Qingdao (questo fu anche il titolo di un libro che divenne un bestseller) si levava in aria e tornava pilotando un aereo che ogni volta aveva biso-gno di essere reincollato. Le informazioni che raccoglieva era-no preziosissime.

AH'inizio di novembre, i giapponesi e gli inglesi strinsero il cerchio attorno alla citt. e i forti Iltis, Molk e Bismarck caddero uno dopo l'altro. Plueschow continu. i suoi voli. Poi giunse l'ultima missione. L'ordine era di volare fino in territorio neu-trale e da li trasmettere un ultimo messaggio per l'imperatore tedesco: Qingdao caduta.

Alle sette di mattina del 7 novembre 1914 i tedeschi si arre-sero e dal pennone del palazzo di pietra del governatore venne ammainata la bandiera che da allora non ha sventolato pi- sul continente asiatico.

Le cronache del tempo raccontano che i soldati tedeschi can-tavano Avevo un camerata... mentre marciavano verso i campi di prigionia.

.Erano venuti con intenzioni malvagie, dice ora un

funzionario dell'amministrazione di Qingdao, ma, dopotutto, questi

Spenalisti si son lasciati dietro una bella citt.... e no. ce la

godiamo ancora.

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Insegniamo loro a non ribellarsi

Qufu: dove nacque Confitelo

la battuta che, se Confucio tornasse ora in questa cittadina, situata al centro della provincia di Shandong, dove nacque 551 anni prima di Cristo (in Palestina), una generazione prima di Budda (in India) e di Socrate (in Grecia), la gente lo accoglie-rebbe come un eroe e il locale segretario del Partito Comunista lo inviterebbe a sedersi, di tanto in tanto, all'ombra del famoso albicocco, dove soleva insegnare, per dare qualche lezione di etica ai giovani d'oggi.

Dopo i violenti attacchi ideologici che gli furono rivolti du-rante la Rivoluzione Culturale, e la distruzione metodica di tut-to ci. che lo ricordava, Confucio ora oggetto di un cauto, ma costante revival, incoraggiato dallo stesso Partito Comunista che cerca dappertutto valori, ideali e ispirazioni per motivare una sempre pi- distratta e confusa generazione di cinesi. La casa natale di Confucio, l'enorme tempio costruito in suo onore, l'immensa foresta-cimitero dove il Grande Saggio e i suoi discendenti, fino a poco tempo fa, erano sepolti vengono ora restaurati alla meglio, dopo gli scempi, i saccheggi e gli incendi delle Guardie Rosse. Lui, Confucio, viene riabilitato come un Grande Educatore e molta della sua saggezza, anche se non ne viene esplicitamente citata la fonte, di nuovo introdotta nelle scuole. Se ci. continuer., sar. la seconda volta che il Grande Maestro risorge dalle ceneri.

Duemiladuecento anni fa, il grande imperatore che unific. la Cina e che lungo le frontiere del nord costru la Grande Mura-glia, pens. che, per tenere unito il paese, tenerlo sotto controllo ed evitare dubbi e disordine fra la gente (queste le sue pa-role), era indispensabile eliminare tutte le vecchie idee e le vec-chie abitudini, e dette ordine che venissero distrutti tutti i libri, a eccezione di quelli di medicina, astrologia e agricoltura. Cos fu debitamente fatto e, con migliaia di libri, vennero dati alle fiamme anche 460 studiosi per impedire che le loro menti ricor-dassero e potessero trasmettere ci. che invece andava cancella-to per sempre.

Il confucianesimo fu d'un colpo spazzato via dalla Cina, o

almeno cos si credette. Erano appena passati settant'anni da quell'epurazione, che uno dei discendenti di Confucio, volendo

allargare la casa dove il Saggio era nato e vissuto, demol un muro e, fra i mattoni, trov. una copia degli scritti del proprio antenato che suo nonno aveva nascosto a rischio della vita. Sul-le copie tratte da quell'esemplare, milioni di cinesi, per oltre duemila anni, hanno studiato la loro etica. Conoscere a memo-ria pagine e pagine di quegli scritti permise per duemila anni ai colti di superare l'esame di Stato imperiale e diventare manda-rino-amministratore.

Il confucianesimo divent. la base della societ. cinese e Qu-fu, la piccola cittadina al centro della provincia di Shandong, dove Confucio era nato, divent. la Mecca per milioni e milioni di pellegrini. I discendenti del saggio, cui venne affidata la cura della casa, del tempio e della sua tomba, furono rispettati come fossero membri di una specialissima nobilt. anche dalle pi- alte autorit. del paese.

Questo fino ai tempi nostri, quando un altro grande unifica-tore della Cina, Mao Tsetung, pens. di nuovo che, per costruire una nuova societ. e per eliminare i dubbi nel popolo, il con-fucianesimo doveva essere tolto di mezzo; e la distruzione co-minci. di nuovo. La prima ondata fu nell'agosto 1966 con l'av-vio della Rivoluzione Culturale, la seconda nel 1974 con la campagna per criticare Lin Biao Confucio. Libri furono di nuovo bruciati, studiosi vennero di nuovo picchiati e uccisi, mentre Qufu fu attaccata da bande di vandali che, in nome della rivoluzione, diedero fuoco ai templi, distrussero inestimabili collezioni nei musei e cancellarono con scalpelli e vernice le iscrizioni delle stele di pietra, alcune vecchie pi- di duemila anni. I peggiori furono quelli del magistero di Pechino. Per giorni e giorni continuarono come dei forsennati, racconta un residente di Qufu che ancor oggi terrorizzato a parlare di quel tempo. Nonostante il governo centrale abbia speso quasi due milioni di yuan per restaurare Qufu e il tempio di Confucio, gli sfregi e le ferite sono ancora visibili dovunque. La grande statua di Confucio, che prima si trovava nella sala principale del tempio e copie della quale erano in tutti gli uffici governativi della Cina, scomparsa ed stata rimpiazzata da un dipinto del Grande Maestro. Delle pi- di mille lapidi, alcune alte tr'-quattro metri che erano nel cortile del tempio, ne restano solo una dozzina e anche quelle sono state rimesse assieme cementan-do alla meno peggio i pezzi trovati nel cumulo delle macerie.

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Dalla porta settentrionale della citt., un viale lungo un chi-

lometro, fiancheggiato da vecchissimi alberi, conduce al cimi-

tero dove sono sepolti, in un grandissimo parco, Confucio e set-

tantaquattro generazioni di suoi discendenti. Nel 1900, gli inge-

gneri tedeschi che stavano costruendo la linea ferroviaria attra-

verso lo Shandong volevano tagliare questo viale, ma dovettero

cambiare idea perch' si resero conto che la profanazione di

quell'area sacra avrebbe scatenato una rivolta. Sull'arco di marmo che annuncia la tomba al visitatore, gli slogan in rosso e

nero sono stati cancellati malamente e la stessa tomba di Con-fucio stata riparata piazzandole davanti un brutto muro di mattoni grigi. I vecchi caratteri cinesi che dicono del Maestro:

santo altamente colto ed erudito sono stati appena ridipinti di giallo. Dozzine di vecchi e di bambini si aggirano fra le piante e le tombe.

Come ti chiami? chiedo a un ragazzino.

Kong.

E tu? domando a un altro.

Mi chiamo Kong. La gente non si vergogna pi-, come era stata costretta solo pochi anni fa, di questo nome di famiglia che appunto il nome del Saggio. Dei 50.000 abitanti dell'o dierna Qufu almeno tre quarti si chiamano Kong e in un modo o nell'altro si considerano discendenti di Confucio. Il discen dente in linea diretta, quello della 77 generazione, il signo Kong Decheng, non invece pi- qui. Nel 1948 lasci. Qufi per rifugiarsi a Taiwan, dove il governo nazionalista gli ha date il titolo di ufficiale dei riti .

Sebbene Qufu sia in fase di restauro e il tempio di Confucio sia nuovamente aperto per la prima volta dopo il 1966, il poste non ha pi- molto di religioso. Non ci sono bastoncini d'incenso davanti agli altari. Vogliamo fare di Qufu un'attrazione turi-stica come la Grande Muraglia, dice una guida locale. Eppure la riabilitazione, pur parziale, del Saggio (l'anno scorso, duran-te un simposio su di lui, stato definito una delle figure glo-riose della Cina) molto di pi- che un espediente a fini turi-stici.

Per secoli l'idea di Confucio (della perfetta societ. simile a

una piramide dove ognuno al proprio livello ha dei doveri mo-

rali nei confronti di coloro che si trovano agli altri livelli) na

permeato la societ. cinese; e milioni e milioni di cinesi, anche

inconsciamente, sono tuttora imbevuti dei valori tramandati dal confucianesimo, come la devozione filiale, la benevolenza e

l'obbedienza. Proprio questi sono i valori che ora, di nuovo, vengono messi in rilievo per reintrodurre un elemento di mora-lit. in una societ. che ha perso il senso dell'orientamento e del-la tradizione etica a causa della Rivoluzione Culturale, che ha insegnato a un'intera generazione di giovani a ribellarsi, a non rispettare i maestri e a non ascoltare i vecchi. Anche Hu Yaobang, vestale del marxismo in quanto se-gretario generale del Partito Comunista cinese, ha fatto appello alla piet. filiale di Chiang Chinkuo, presidente di Taiwan, perch' riportasse la salma del padre Chiang Kaishek nella tom-ba di famiglia situata nel sud della Cina e con questo desse il via ai negoziati fra comunisti e nazionalisti. Lo stesso Partito Comunista, nell'82, ha lanciato la campagna per i cinque ac-centi e le tre bellezze (gli accenti sono sulla cortesia, la mo-ralit., il comportamento, l'igiene e la disciplina; le bellezze so-no quella del cuore, della lingua e dell'ambiente), una lista che sembra ricavata pari pari da quella delle virt- confuciane. Il partito, inoltre, proprio ora parla di una civilt. morale da ri-lanciare in Cina e che pare qualcosa di molto simile a ci. che predicava Confucio.

Al suo tempo, Confucio era disgustato dal comportamento morale dei propri simili e si preoccupava per il futuro del suo popolo. Per questo pass. la vita a studiare i valori del passato e a tramandarli.

I dirigenti comunisti di oggi hanno un problema analogo. Ora insegniamo ai giovani a non ribellarsi. Vogliamo che i nostri studenti .mino il partito, il sistema socialista e la patria. Vogliamo che rispettino gli anziani e i loro insegnanti, dice Qu Siguang, segretario del partito nella scuola media numero 17. Lo scopo della nostra educazione di creare dei buoni cittadini forti sia tsicamente sia moralmente. Il segretario del partito, quando gli ho chiesto di farmi un esempio di studenti moralmente buoni, ci ha pensato un po', poi ha citato quelli che quest'anno la scuola ha pubblica-mente encomiato per avere consegnato orologi trovati per strada, per aver aiutato persone anziane ad attraversare la strada e Per aver fatto dei cuscini per le sedie dei loro insegnanti.

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Come cani dalle ossa rotte

il Tibet dopo treni 'anni di occupazione cinese impressionante. Maestoso. Inquietante. Il Potala, fortezza di pietra, paglia e oro arroccata su una montagna di roccia, sorge, come un incantesimo, nel mezzo della valle di Lhasa, simbolo dell'umano desiderio di arrivare al cielo, straordinario monu-mento eretto da schiavi per i loro re-dei.

Da secoli milioni di pellegrini, invasati dalla sola speranza di questa visione, hanno viaggiato per mesi e mesi a piedi pur di vedere questa valle, e molti sono morti prima di raggiunger-la. Missionari e avventurieri occidentali, che avevano solo sen-tito parlare di questo mitico posto al di l. di inaccessibili mon-tagne di ghiaccio, si misero in cammino affascinati da questa sacra, isolata lontananza volendo svelare l'ultimo mistero del-l'Oriente.

Chi ci arriva resta vittima del suo incanto. Non si riesce a

sfuggirgli: dall'alto delle pareti bianche e marrone di questa

montagna vivente messa dall'uomo in mezzo alle altissime vet-

te brulle e morte della natura, le finestre del Potala, come mille

occhi, ora benevoli e consolanti, ora minacciosi e terrificanti,

seguono il viandante ovunque si trovi nella valle. Coi primi raggi del sole i tetti d'oro del Potala scintillano nella bruma del-

l'alba. Nell'ombra opaca della notte la sua spettrale presenza aleggia sulla citt. carica di ricordi: ricordi di assassinii, strego-nerie, ma anche di salvezza.

Il Potala: per i cinesi che ora occupano il Tibet un museo degli orrori e delle superstizioni da cui essi, trent'anni fa, hanno liberato i tibetani. Per i tibetani il Potala ancora la sede del loro divino sovrano e perci. un tempio dei pi- sacri.

La domenica, quando le enormi porte di legno e bronzo in

cima alle ripide scalinate di pietra si aprono (ingresso duecento

lire), migliaia e migliaia di tibetani si riversano all'interno; si

aggirano nel labirinto di oscuri corridoi; si prostrano davanti

ai diecimila altari; battono le loro fronti sulle pietre sacre; si

inerpicano su traballanti scale di legno verso dei reliquiari na-

scosti; versano burro nelle centinaia di tremule lampade votive

poste dinanzi alle duecentomila immagini, alcune in oro mas-

siccio, di dei, demoni e orchi; portano ogni sorta di doni, dal danaro a spilli di sicurezza, ai corpi imbalsamati dei Lama del

passato; strisciano sotto enormi scaffalature cariche di libri sacri cos da restare impregnati della loro saggezza; fanno bere ai

propri figli ciotole d'acqua scaturita da un lago sotterraneo che, con le sue isole d'oro, giace proprio sotto questa fortezza-catte-drale; si inginocchiano in silenzio davanti agli appartamenti vuoti del Dalai Lama, il loro re ora in esilio; camminano lungo interminabili muri coperti di splendidi e terrificanti affreschi, e, invasati, mormorano invocazioni e voti; rintontiti, fanno girare le loro ruote di preghiera ripetendo infaticabili, senza una pau-sa, il sacro ritornello: .Aum mani padne hum (Gloria al gioiello del fiore di loto).

Fra di loro, alcuni soldati cinesi in libera uscita osservano increduli e sperduti.

Dal 1959, quando l'ultima rivolta popolare anticinese venne

soffocata dalle truppe di Pechino e il Dalai Lama fugg in India

con 85.000 fedelissimi, il Potala stato chiuso ai tibetani. Dal

gennaio 1980, di nuovo accessibile (una sola volta alla setti-

mana), e l'esplosione di religiosit., finora repressa, ha colto tutti di sorpresa: innanzitutto i cinesi.Avevano concesso una limitata libert. di culto come valvola di sicurezza contro il crescente scontento dei tibetani, e la val-vola di sicurezza si rivelata un campanello d'allarme. Pechino s' preoccupata enormemente: ha mandato a Lhasa alcuni dei suoi dirigenti pi- importanti (compreso il segretario del Partito Comunista Hu Yaobang e il vice primo ministro Wan Li) e, nella speranza di riguadagnarsi la fiducia di una provincia gi. in gran parte alienata, ha intrapreso una politica di concessioni e riforme liberali molto pi- avanzata che nel resto della Cina. Il Tibet rappresenta un ottavo del territorio cinese. Con i suoi lunghi confini con l'India ancora ostile, a poca distanza dal-l'Afghanistan ora occupato dai sovietici, il Tibet, la sola pro-vincia cinese dove una minoranza etnica costituisce l'assoluta maggioranza della popolazione (i tibetani sono 1,7 milioni su un totale di 1,8 milioni di abitanti), una delle aree pi- vulne-rabili dell'intera frontiera cinese. Un'esplosione di dissenso o, eventualmente, una nuova rivolta popolare contro la dominazio-ne cinese potrebbero avere conseguenze disastrose per l'imma-gine della Cina nel mondo, e devastanti conseguenze all'interno del paese dove tutte le regioni di frontiera sono abitate da mi-noranze scontente.

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La Cina non pu. in alcun modo permettersi un problema tibetano e, dopo aver governato questa provincia, come il resto del

paese, con la mano di ferro, ora, accorgendosi del fallimento; o di questo metodo, corre ai ripari mutando completamente po-

litica.

Non si possono pettinare capelli di foggia diversa con lo stesso tipo di pettine , mi ha detto Yin Fatang, capo del Partito Comunista nel Tibet (ovviamente anche lui un han e non un tibetano) succeduto a un altro han, un generale che per vent'an-ni stato il governatore assoluto della regione. Il Tibet ha ormai dimostrato di essere davvero un diverso ti-po di capello. Vent'anni di marxismo-leninismo e di socialismo scientifico non hanno neppure scalfito la sostanza di quella che era e resta l'anima tibetana. Anche se nelle case e nelle capanne del Tibet si vedono ai muri i ritratti di Stalin, Marx e Lenin, anche se tra i fedeli che si prostrano nel Potala alcuni hanno sul petto il distintivo di Mao, scomparso peraltro nel resto della Cina, la nuova ideologia e i nuovi saggi qui non hanno messo radici e non hanno in alcun modo mutato la secolare immagine di questo stranissimo paese ossessionato e pervaso da ben altri dei e da ben altri saggi pi- grandi degli dei.

Il Tibet appare oggi posseduto da quello stesso incantesimo che da sempre ha attratto ogni sorta di uomo. Lao Tze, alla fine della sua vita, sedette su un bufalo e part per un misterioso paese dal quale non sarebbe mai pi- tornato: il Tibet, appunto.

Settanta milioni di anni fa il Tibet era bagnato dal mare. Poi

il continente indiano e quello cinese cominciarono a muoversi

l'uno verso l'altro: da quello scontro scatur la catena dell'Himalaia e, al centro, fu spinto verso il cielo l'altipiano del Tibet.

Ancora oggi, su queste montagne dalle cui pendici nascono

alcuni dei pi- vissuti fiumi della terra come il Bramaputra e

il Mekong, la gente trova conchiglie giganti dai colori vivaci,

spugne fossili e coralli. I laghi del Tibet sono ancora salati co-

me il mare. La collisione non ancora finita; ogni anno l'Hi-

malaia cresce di dieci centimetri e alcuni ritengono che questo

fenomeno sia all'origine degli spaventosi terremoti che spesso

colpiscono certe zone della Cina. Isolati dal resto del mondo,

costretti dalla natura a sopravvivere nel pi- splendido, ma an-

che pi- inospitale ambiente immaginabile, i tibetani hanno svi-

luppato dal buddismo e dalle pratiche tantriche una loro forma

di religione, il lamaismo, che ha permesso loro di sopportare ogni sorta di sofferenze, che li ha indotti a costruire immensi

monumenti ai loro dei, che ha dato origine a tutto un sistema di valori che non pu. essere definito solo una civilt.. Questa civilt. ha indagato in aspetti sconosciuti dell'umano e ha con-ferito ad alcuni, selezionati, uomini e donne capacit. al di l. della nostra immaginazione come il poter sopravvivere nudi, per lunghi periodi, a temperature sotto lo zero, il comunicare per telepatia su grandi distanze e il viaggiare a velocit. sovru-mane attraverso un paesaggio dove ogni luogo sembra possede-re una propria leggenda e ogni pietra sembra aver dentro di s' uno spirito ancor pi- forte della pietra.

Il Tibet stato da sempre considerato uno scrigno di tesori. Vi sono formiche grandi come cani che formano cumuli d'oro scavandosi la tana , scriveva Erodoto. Pi- di recente Heinrich Harrer, l'austriaco che, fuggito da un campo di prigionia ingle-se in India, pass. Sette anni in Tibet (questo il titolo del suo libro), ha scritto: ... andando a nuotare, si vedono i riflessi della polvere d'oro scintillare sul fondo delle acque. I tibetani, prigionieri dei loro tab- e terrorizzati dalle pro-prie superstizioni, non hanno mai mosso un sasso alla ricerca di questi minerali, n' hanno mai cercato di aprire delle strade pensando che ci. avrebbe solo reso sterile la terra. Non si so-no preoccupati altrettanto della fertilit. della loro stirpe e han-no lasciato che lentamente la loro stessa religione li decimasse a causa del crescente numero di monaci votati al celibato. At-torno all'anno Mille i tibetani erano dodici milioni, alla fine del Settecento erano ridotti a quattro milioni e ad appena un milione nel 1949. I tibetani sono rimasti cos congelati in una forma di non-sviluppo materiale, paragonabile al nostro Me-dioevo.

Quando l'esercito cinese ricevette da Mao l'ordine di entrare

in Tibet nel 1950 e a Lhasa nel 1951 (un evento a cui i tibetani

si opposero con la forza, ma che la propaganda cinese insiste a

chiamare la pacifica liberazione), il Tibet, governato da una

teocrazia di Lama e di nobili alla cui testa era il Dalai Lama

(Oceano di Saggezza), era un paese che aveva definitiva-

mente perso il passo coi tempi. Non c'erano strade, scuole,

ospedali, fabbriche e, a parte le tre automobili che il tredicesi-

mo Dalai Lama aveva fatto venire dall'India pezzo per pezzo a

dorso di yak e di uomo, attraverso l'Himalaia e che erano pre-

sto rimaste inutilizzate per mancanza di benzina, in tutto il Tibet

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le sole ruote che giravano erano quelle da preghiera perch', secondo una vecchia profezia, quando arrivano le ruote, la pace se ne va. I cinesi, infatti, arrivarono su dei camion. Portarono con s' trattori, pompe per l'acqua e altri macchinari. Pechino si impe-gn. a integrare il Tibet col resto della madrepatria. L'espe-rimento non affatto riuscito e la Lhasa di oggi il simbolo stesso di questo fallimento.

Quando, all'alba, un soldato cinese, dagli spalti dello stesso forte che le truppe inglesi occuparono nel 1904, intona la sve-glia con la sua tromba e gli altoparlanti inondano la valle con le note di L'Oriente rosso prima di trasmettere, in cinese (lingua che i tibetani non capiscono), la quotidiana dose di propaganda di Pechino, due sono le citt. che si alzano: una Lhasa moderna, pulita, ben illuminata, con strade asfaltate e case di mattoni che i cinesi hanno costruito per s'; e una vecchia, sporca, lacera Lhasa dei tibetani con le sue case di fango, le strade contorte dal fondo piastriccioso di melma e di feci, una citt. avvolta nel fetore di burro rancido e nel fumo dei fuochi domestici fatti con lo sterco di yak seccato al sole, visto che il paese assoluta-mente senza legno e che questo il solo combustibile a dispo-sizione di tutti.

Nella vecchia citt. i cinesi hanno dato nomi alle strade e numeri alle case (cos ci controllano meglio, dicono i tibetani),

ma la gente fa ancora i propri bisogni all'aperto perch' non esi-stono fognature e l'acqua non ancora arrivata. Dopo due interi decenni di costruzione socialista, Lhasa, con i suoi bui, fe-tidi cortili, in cui i bambini giocano fra i maiali e le capre at-torno a calderoni fumanti usati dalle donne per cardare la lana, non appare molto diversa da quella vista dal primo occidentale che ci mise piede nel 1661, il gesuita austriaco Johannes Grue-ber, o dalla Lhasa descritta nel 1847 dall'abate francese Huc. La nuova Lhasa, che ora si estende nella valle verso occiden-te, e la vecchia Lhasa, tutta raggrumata ai piedi del Potala, si incontrano lungo uno spazioso viale. Al mattino, da un lato di quella strada, i cinesi cominciano la loro giornata facendo gin-nastica e correndo; dall'altro, i tibetani danno inizio alla loro routine di preghiere sgranando i loro rosari. Le due comunit. vivono separate, distinte, spesso senza alcuna comunicazione.

A volte sembrano persine vivere in due epoche diverse: lungo

la strada sterrata che conduce all'aeroporto, ho visto dei soldati cinesi installare i fili di una linea telefonica, e i tibetani passare

poco dopo ad appendervi i loro fogli bianchi di preghiera. In tutto il Tibet, senza contare il numero dei soldati di stanza nella regione, ci sono 120.000 cinesi (6 per cento dell'intera popolazione). Settantamila di loro vivono a Lhasa e sono i qua-dri politici, tecnici e amministrativi della provincia. Nonostante le statistiche ufficiali dicano che il 46 per cento dei quadri at-tualmente in Tibet costituito da tibetani, dovunque uno vada chi comanda sempre uno han.

Gli impiegati della banca, quelli della posta e quelli dell'uf-ficio del Turismo sono quasi esclusivamente degli Han. Pochis-simi di loro parlano il tibetano (Piuttosto studio l'inglese, dice una ragazza mandata dal Sichuan a lavorare in un ufficio governativo) e tutti non sognano altro che di tornare nell'wen-troterra, come qui chiamano il resto della Cina. La vita a 4000 metri d'altitudine non facile per la gente che viene dalla pia-nura.

I cinesi hanno piantato nella valle di Lhasa migliaia e mi-gliaia di alberi aumentando cos la percentuale di ossigeno, ma l'aria rarefatta del tetto del mondo continua a creare grossi problemi respiratori non solo al visitatore occasionale, ma an-che agli Han che risiedono qui da tempo.

L'acqua, quass-, bolle a 86 gradi. Molti germi, cos, non

muoiono e i cinesi si lamentano per tutta una serie di malattie

dello stomaco e dell'apparato digerente contratte in Tibet. Per

compensarli di tutte queste difficolt., Pechino paga ai funzionari cinesi che manda in Tibet un 30 per cento di stipendio in pi-.Per tenere sotto controllo il Tibet, Pechino ha qui in permanen-za 300.000 soldati dell'Esercito di Liberazione. La resistenza armata pi- o meno spenta, e le storie di vere e proprie imboscate da parte di guerriglieri tibetani contro pat-tuglie cinesi sono ormai vecchie di anni. Quello che invece so-pravvive, e anzi recentemente sembra aver guadagnato forza, un movimento clandestino di resistenza passiva. Mentre Pechino viveva la propria primavera e il muro della democrazia era diventato un foro di libere discussioni, una notte un manifesto apparve sui muri di Lhasa invocando l'indipendenza della provincia.

Dall'estate del 1979, quando il Tibet stato riaperto dopo

trent'anni ai primi turisti stranieri, c.pita regolarmente che

Qualcuno si avvicini al visitatore, gli metta in mano un biglietto

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e scompaia. Di solito questi biglietti, scritti in tibetano (a me ne

sono stati consegnati due), sono appelli alle Nazioni Unite perch mettano fine all'occupazione cinese del Tibet. Il fatto

che tali biglietti risultino simili nella sostanza e che i luoghi

di consegna siano lontani e disparati fra di loro dimostra l'esistenza di un'attiva organizzazione e la disponibilit. di varie

persone, pronte a rischiare anni di lavori forzati e anche peggio (recentemente, nel corso della campagna contro la criminalit., alcuni dissidenti tibetani sono stati fucilati) per una causa che ormai non ha alcuna speranza di successo.

Uno dei pi- spettacolari episodi di sfida da parte dei tibetani contro i cinesi ebbe luogo in occasione della visita di una de-legazione del Dalai Lama invitata dai comunisti cinesi a render-si conto delle condizioni nella regione. Quando la piccola dele-gazione di esuli, scortata da uno stuolo di funzionari cinesi, ar-riv. sul luogo di uno dei grandi monasteri distrutti durante la Rivoluzione Culturale, si trov. circondata da una folla di gente che, piangendo, urlava: Evviva il Dalai Lama. Evviva il Dalai Lama! Settantatr' autisti tibetani avevano preso in prestito i camion delle loro unit. di lavoro e avevano trasportato sul luogo pi- di tremila persone. I cinesi interruppero la visita della delegazione facendole lasciare il Tibet subito dopo. Agli autisti furono ritirate le patenti.

Dal 1959, Pechino ha fatto un enorme sforzo per cambiare il Tibet: ha investito nella regione l'equivalente di tre miliardi di dollari americani, ha impiantato 252 fabbriche, ha aperto 6624 scuole, ha costruito 22.000 chilometri di strade, la pi- impor-tante delle quali lega Lhasa a Chendu nel Sichuan passando at-traverso dodici fiumi e quattordici catene di montagne, il tutto a un'altitudine di 4000 metri sul livello del mare. Come tutti i colonialisti, i cinesi sono orgogliosi di ci. che hanno fatto e ci tengono a mostrarlo, ma, come altri coloniali-sti, non capiscono perch', nonostante tutto, non sono amati dai colonizzati.

Non li possiamo amare perch' ci hanno fatto pagare con la nostra anima tutto quel che hanno fatto qui , dice Lobsan K., un giovane insegnante che una sera m'invita furtivamente nella sua casa a bere un bicchiere di birra d'orzo assieme a tutto un gruppo di giovani che sembrano condividere le sue idee: Gli Han hanno costruito strade, ma hanno distrutto i nostri templi; hanno salvato la gente coi loro ospedali, ma hanno ucciso i 153 Lama coi loro fucili. Noi tibetani siamo come cani dalle ossa rotte .

Nel 1959, dopo che la rivolta anticinese fu repressa e Pechi-no var. il suo cosiddetto periodo delle riforme democrati-che, c'erano ancora in Tibet pi- di centomila Lama e religio-se. Ora ce ne sono meno di mille. Dei 2464 monasteri non ne sono rimasti che... dieci.

In un enorme anfratto nella valle di Lhasa, a venti chilometri dal Potala, Tsong Kapa, il grande riformatore del buddismo, il Martin Luter. del Tibet, nel 1409 fond. il grande monastero di Gadan. Lo costru cos appartato e nascosto perch' un oracolo gli aveva predetto che un giorno il buddismo sarebbe stato ro-vesciato, ed egli volle, con quel tempio, dare ai suoi seguaci un rifugio in cui mettersi in salvo e conservare la tradizione. Quel-lo fu il monastero che le Guardie Rosse attaccarono per primo. Non un solo mattone della vecchia, enorme costruzione ora al suo posto.

La distruzione della religione in Tibet, ancor pi- che in altre parti in Cina, fu pianificata e sistematica. Fu condotta con tale perseveranza e metodicit. che ha persine mutato il paesaggio tibetano: le colline erano dominate dagli dzong, delle fortezze abitate da religiosi: sono state rase al suolo. I campi avevano migliaia e migliaia di stupa, tempietti e reliquiari: le Guardie Rosse ne fecero degli spaventapasseri. Ogni famiglia aveva un altare con varie figure di fango rappresentanti gli dei: tutto fu fatto a pezzi. Gli strumenti religiosi vennero distrutti; le ban-diere da preghiera che, multicolori, sventolavano dai tetti, dai pali, dalle vette delle colline furono tirate gi- e rimpiazzate dal-le bandiere rosse del partito. Migliaia di figure buddiste scolpi-te, intarsiate, dipinte sulle rocce delle montagne vennero scal-pellate, sfigurate a colpi di martello, coperte di vernice, cancel-late.

Dirimpetto al Potala, in cima alla Collina di Ferro, era stato

per secoli arroccato il famoso Collegio Medico che, per gene-

razioni e generazioni, era servito da scuola di medicina per i

Lama e dalle cui pendici i tibetani erano soliti raschiare le polveri da usare nelle pozioni in cui cercavano sollievo ai loro ma-

li. Ora ne restano appena le tracce. L'artiglieria cinese smantel-

l. a cannonate la costruzione centrale perch' covo di reazio-

nari, le Guardie Rosse portarono a compimento l'opera di di-

struzione togliendo le ultime pietre e raschiando un'intera parete

[PAGINA 75] della collina dove erano scolpite centinaia di immagini bud-diste.

Persine il sacro salice piangente che, secondo la leggenda, era sbocciato nel centro di Lhasa da un capello di Budda non fu risparmiato: ne resta un mozzicone avvizzito coperto di carte e santini.

Bruciare il burro nelle lampade votive fu ovviamente consi-derato un inutile spreco e venne proibito. I cani furono definiti parassiti e come tali da distruggere: genitori, devoti buddisti, dovettero stare a guardare mentre i loro figli indottrinati dai co-munisti prendevano a sassate e a bastonate quelle bestie che, come tutte le creature viventi, per i tibetani non sono altro che la reincarnazione di altri uomini; spesso, specie i cani, rein-carnazione di parenti che vogliono restare vicini alla famiglia. Il sacro ritornello Om mani padne hum, che apporta me-riti non solo se pronunciato, ma anche se osservato o semplice-mente fatto girare dentro le ruote da preghiera, era scritto su tutti i muri. Le Guardie Rosse, con diligente pazienza, lo can-cellarono ovunque sostituendolo con: Lunga vita al presidente Mao. Ora che il tempo e la pioggia fanno giustizia del passa-to, si vedono qua e l. le vecchie lettere riaffiorare sotto le scrit-te in rosso dei maoisti.

La Banda dei Quattro ha causato qui gravissimi danni , di-

ce Lo Sanchichang, vicegovernatore della provincia, ripetendo

l'ormai classica menzogna della propaganda, cinese che qui non

stata ancora accantonata. Per la maggioranza dei tibetani questa distinzione non ha molto senso: la Banda dei Quattro e le

Guardie Rosse erano innanzitutto degli han.

I tibetani cercano ora di rimettere assieme ci. che resta di quell'immenso disastro. Ricostruiscono piccoli stupa lungo le strade. A Gadan gruppi di giovani dedicano regolarmente il loro tempo libero a ricostruire un tempio l. dove esisteva il loro grande monastero. Al monastero di Sera, un magnifico com-plesso di templi, case, celle, un tempo splendidamente ordinate ai piedi di una grande montagna a nord di Lhasa, la met. delle costruzioni in rovina: una terrificante testimonianza della vio-lenza usata dalle Guardie Rosse. Un cortile nella parte occiden-tale del monastero completamente distrutto dal fuoco. Delle celle, delle belle balaustrate non restano che gli scheletri neri.

Tutto nelle vicine cappelle stato distrutto. Non c' una sola

immagine che possa essere riconosciuta. La met. degli edifici di quello che un tempo fu uno splendido complesso di templi

digradanti ai piedi della montagna a nord di Lhasa in disfa-cimento. Tutto stato sfasciato, bruciato, abbattuto. Gli affre-schi sfigurati.

Da Lhasa il vento porta la cacofonia degli altoparlanti con la loro propaganda cinese, ma fa anche tintinnare malinconica-mente nella solitudine le decine di piccole campane dorate che ancora, qua e l., penzolano dai tetti.

Un vecchio Lama, vedendomi dal buio della sua finestra va-gare da solo fra quelle rovine abbandonate, mi fa cenno di rag-giungerlo e mi invita nella cella in cui da poco tornato. Dal giardino ha dissotterrato un tanka e ora sta grattando dalle pa-reti lo strato di fango con cui aveva coperto gli affreschi per nasconderli e proteggerli dalla furia delle Guardie Rosse. Sulla tavola ha un thermos datogli dal governo come risarcimento di tutte le altre cose perdute.

Pechino ora paga ai pochi Lama che sono sopravvissuti all'o-locausto della Rivoluzione Culturale uno stipendio mensile e ha messo a disposizione dei monasteri rimasti mezzo milione di dollari americani per le opere di restauro. In uno i lavori sono gi. terminati e la visita d'obbligo per gli stranieri, ammessi ora in Tibet, che l'attuale governo comunista cinese vuol con-vincere della cura messa nel conservare la vecchia cultura, cer-cando di far dimenticare che stato lo stesso governo comuni-sta a distruggerla.

Drepung, cinque chilometri a ovest di Lhasa, era - dicono i tibetani - il pi- grande monastero del mondo. Nel 1959, Dre-pung era come una vera e propria citt. con una popolazione di diecimila monaci. Nel 1962 non ce n'erano pi- che settecento. I cinesi, in nome delle loro riforme democratiche, avevano spinto la grande maggioranza dei Lama ad abbandonare la vita monastica e li avevano costretti a lavorare e a sposarsi. Nel 1966, le Guardie Rosse finirono il lavoro cacciando da Drepung gli ultimi monaci e uccidendo quelli che cercarono di resistere.

Quanti furono uccisi? chiedo. Nessuno sembra saperlo o volersene ricordare.

Davanti alle guide cinesi che accompagnano il visitatore, il

compagno Lama Gandunjacuo, responsabile del lavoro

spirituale a Drepung, suona per lo meno strano quando spiega

la superiorit. del marxismo rispetto alla religione e predice il

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tramonto definitivo del buddismo in Tibet dal momento che il comunismo una dottrina di gran lunga superiore.

Oggi, la cosa che minaccia la sopravvivenza della tradizione

buddista, ancor pi- che la superiorit. del marxismo, il fatto che nei monasteri non ci sono nuovi Lama e che la catena di

trasmissione di tutta una cultura pi- o meno interrotta. La

propaganda del governo comunista cinese, specie quella diretta

agli stranieri, dice che chiunque voglia farsi monaco in Cina

libero di farlo, ma la realt. ben diversa. Nessuno, per esem-

pio, pu. abbandonare la propria unit. di lavoro senza il permesso del commissario politico. L'autorizzazione concessa raris-

simamente e questo ostacolo di natura puramente burocratica basta a negare in pratica quella millantata libert. di ognuno di darsi alla vita religiosa. Per giunta, le autorit. cinesi sono ben caute a non affermare, nella loro propaganda interna, quella libert., perch' temono che migliaia e migliaia di giovani si pre-sentino alle porte dei monasteri con o senza permesso. In tal modo, la liberalizzazione di Deng Xiaoping non ha provocato un grande numero di vocazioni, ma ha gi. reintrodotto nella vita quotidiana alcune delle tradizioni tibetane. A Drepung i vecchi Lama sono assistiti da ragazzi nella ti-pica relazione maestro-allievo.

La voce che le autorit. comuniste avevano reintrodotto una certa libert. di culto, a cominciare dall'inizio del 1980, si pro-pagata rapidamente attraverso il paese, e Lhasa tornata a es-sere una citt. di pellegrini.

Ogni giorno da ogni parte del Tibet, dal vicino Sichuan, dal-la provincia di Gansu, Qinghai e Mongolia, dove vivono sparsi altri due milioni di tibetani, centinaia e centinaia di pastori e nomadi, molti a piedi, dopo viaggi di mesi, entrano nella citt. per loro sacra e vanno ad accamparsi all'ombra del pi- sacro dei templi, il Jokka Kang, costruito 1300 anni fa - anche que-sto come il Potala - sopra un lago sotterraneo nelle acque del quale, secondo un'antica leggenda, scritto il futuro del mon-do. Per alcuni di loro, avvolti nei pesanti tabarri di lana o nei mantelli di pelle di yak, questo l'ultimo viaggio, perch' sono venuti fin qui per morire: morire all'ombra sacra dei templi, svanire nella natura portati in alto verso il pi- azzurro, pi- puro dei cieli.

Viaggiatori di altri tempi hanno descritto il vecchio rituale tibe-tano dei funerali del cielo, e avevo sentito dire che ancor oggi si fa cos. Non potevo resistere alla tentazione di vederlo con i miei occhi. Con una bicicletta presa in prestito mi sono messo a cercare.

Nei vecchi libri avevo letto dove avveniva: dietro le colline a oriente del monastero di Sera. Gli avvoltoi mi hanno fatto da guida per l'ultimo pezzo di strada. Li ho visti in attesa sull'alto di una roccia, poi li ho visti sparire, volare dietro la collina e tornare alti nel cielo con la preda tra gli artigli. Sono salito sulla collina e, in piedi sulla loro roccia, ho visto in basso, nella val-le, sulla riva di un fiume d'argento, al sole, una grande pietra piatta e l il rituale che i tibetani hanno praticato da secoli. In un paese in cui la terra dura da scavare, in cui non c' legno per fare delle pire, i funerali del cielo sono stati il modo pi- pio per disfarsi dei morti. I cadaveri vengono portati a spal-la, avvolti in lenzuoli bianchi dalle famiglie. Gli squartatori li mettono a faccia in gi- contro la pietra. Prima, con un colpo, spaccano la testa cos che l'anima possa andarsene verso la sua nuova reincarnazione. Poi aprono il petto dando cuore e fegato al pi- grande degli avvoltoi. Quindi fanno a fette la pelle e la carne, e anche i corvi arrivano per il pasto.

Un uomo prende le ossa scarnificate che restano, le mette su una macina di pietra e lentamente le stritola con un martello finch' anche quelle non diventano mangime per gli uccelli. Al-la fine, sulla grande pietra non restano che tre uomini stanchi e una donna che porta loro t' col burro.

Il fiume scintilla coi suoi riflessi di mercurio nella vallata. In distanza, il Potala che tutto vede con le sue centinaia di finestre come se lievitasse nel baluginio dell'aria. Sopra la mia testa, il gracchiare dei corvi e il frusciare degli avvoltoi con le ali spalancate.

Che differenza fa? Voi lasciate mangiare i vostri morti dai

vermi sotto terra, noi dagli uccelli in aria, mi dice la sera il

custode del Potala, che mi ha permesso di restare da lui a guar-

dare dall'alto della fortezza il pi- quieto e struggente dei tra-

monti. Una volta che l'anima se ne va, il corpo non che

una cosa, una cosa come questo tavolo.

Per molti pellegrini il viaggio a Lhasa l'adempimento di un

voto o l'occasione da tanto agognata di guadagnarsi dei meriti

per la prossima reincarnazione. Per i tibetani, infatti, Lhasa al

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tempo stesso Roma, Lourdes e Gerusalemme, e girare attorno al Jokka Kang, due volte al giorno, in senso orario, tenendo sem-pre il tempio sulla destra, un dovere sacro.

Questa vecchia costruzione ha fra i suoi tesori la pi- antica immagine di Budda in Tibet, la statua del pi- famoso re tibe-tano, Song Tsang Kampo, e decine e decine di buie nicchie col-me di statue d'oro. La strada attorno un incessante fiume di corpi che marciano, strisciano, zoppicano, un'immensa corte dei miracoli. Dai marciapiedi, mendicanti tendono le loro palme vuote; lebbrosi offrono i loro moncherini alla piet. dei passanti; vecchie vendono mestolate di fetido burro rancido di yak; mer-canti cercano di comprare dai pellegrini i loro coralli, le ambre e i turchesi con cui finanziano il viaggio; macellai tagliano per terra fette di carne, dinanzi a branchi di cani rognosi che aspet-tano i resti mentre sulla strada procede inarrestabile il corteo di bestie e uomini, alcuni mutilati, molti in cenci, tutti sudici, puz-zolenti, malaticci ed esaltati dalla felicit. del sacrificio.

Vecchi, giovani donne con piccoli infanti legati sulla schiena, bambini con gli occhi gi. devastati dal tracoma, tutti e tutto

nel mezzo di nuvole di polvere, nel lezzo del burro rancido e nel fumo che scaturisce da grossi calderoni di bronzo in cui bruciano erbe profumate.

In un giorno, nel giro di poche ore, ho visto una donna par-torire, un vecchio morire nella folla e una vecchia bere l'urina di un bambino sdraiato accanto a lei.

Molti fanno il giro del Jokka Kang buttandosi per terra con le mani in avanti, poi sollevando la schiena come lombrichi, quindi gettandosi di nuovo in avanti con la faccia per terra: una maschera di polvere e sudore. Alcuni si proteggono le mani con guanti di legno, altri lasciano sul loro cammino una striscia di sangue con cui sperano di guadagnarsi ancor pi- meriti. La notte i devoti accendono fal. e si raggnippano attorno ai loro capi. Attingendo da un comune calderone, si versano del t' nel-le ciotole di legno, aggiungono un pezzo di burro rancido, poi una manciata di farina d'orzo e, con le dita, lavorano il tutto in una palla che si ficcano in bocca, cruda. Un vecchio tiene ac-ceso il fuoco con l'aiuto di un mantice fatto con la pelle di un gatto.

Davanti al portone rosso, chiuso, del Jokka Kang, sotto i suoi

tetti d'oro massiccio, decine di persone continuano anche nella

notte a inginocchiarsi, ad alzarsi e inginocchiarsi sulle stesse pietre che milioni di altri pellegrini con gli stessi gesti per se-

coli hanno reso lisce e lucide.

Ora c' libert. di religione. La religione una teoria e non la si pu. proibire con la forza, dice il vicegovernatore della provincia.

Nel 1978, quando il Jokka Kang senza troppa pubblicit. fu riaperto (ma solo due volte alla settimana e per poche ore), do-po le devastazioni delle Guardie Rosse, ai tibetani impiegati dal governo fu detto di non farsi vedere nel tempio. Dall'inizio del 1980 il Jokka Kang, il tempio dei templi, viene aperto ogni mattina (biglietto di ingresso 800 lire a persona) e, nella folla dei pellegrini venuti dalle parti pi- remote e lontane del Tibet, si notano anche alcuni fedeli che, con la loro giacca di Mao addosso, fanno le stesse genuflessioni e bisbigliano le stesse preghiere degli altri.

Due anni fa un giovane, che cant. in pubblico una canzone in onore del Dalai Lama, venne immediatamente arrestato. Ora il segretario del Partito Comunista della regione, Yin Fatang, dice: il Dalai Lama?... un vecchio amico. pi- che benve-nuto, se vuol tornare in Tibet. libero di venire e anche di rian-darsene se non gli piace.

Il Dalai Lama, il quattordicesimo, lasci. la sua residenza estiva di Norbulingka travestito da soldato, con un fucile a tra-colla, la notte del 17 marzo 1959, e da allora non pi- tornato. Eppure il Dalai Lama nel Tibet di oggi dappertutto. La sua immagine nel grembo degli dei allineati nelle nicchie del Jok-ka Kang e del Potala. nelle preghiere quotidiane dei Lama di Drepung, nella mente della stragrande maggioranza dei tibe-tani.

Quasi ogni famiglia della vecchia Lhasa ha, dopo l'ingresso in cui sono esposti i ritratti di Mane, Engels, Lenin, Stalin e Mao, una stanza in cui, a volte protette da una tenda, sono ap-pese le immagini religiose con al centro la foto del Dalai Lama. Nelle campagne, i contadini non usano neppure la precauzione della tenda, e in una capanna di una famiglia modello, in una Comune che alleva cavalli a trenta chilometri da Lhasa, la foto del Dalai Lama semplicemente infilata nella cornice del ritratto di Mao. Vecchi contadini si illuminano, altri si met-tono apertamente a piangere al solo sentir pronunciare il nome del Dalai Lama.

La gente porta al collo minuscoli pezzetti o semplici fili di

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una stoffa che una volta lui benedisse. La maggior parte dei tibetani non fuma solo per il fatto che lui una volta disse che non bisogna farlo. Al mercato di Lhasa alcuni mercanti intra-prendenti, fra cui alcuni giovani cinesi, fanno oggigiorno fortu-na vendendo copie di una vecchia foto del Dalai Lama (una copia 800 lire). Il Dalai Lama non n' un papa n' un re. Per i tibetani la reincarnazione di Chenrezige, il Budda che protegge, e come tale il miglior signore che un popolo possa augurarsi.

Quando un Dalai Lama muore, la credenza che nel giro di due o tre anni la sua anima riprende forma umana nel corpo di un bambino maschio che nasce da qualche parte nel Tibet. Quel bambino va trovato perch' ne il legittimo successore. La ri-cerca spesso lunga e segreta, e i pi- alti Lama della corte vi prendono parte.

Questo il mio rosario, disse un bambino di quattro anni,

che ora il quattordicesimo Dalai Lama, quando quarantadue

anni fa un gruppo di monaci, travestiti da servi, si fermarono

per passare la notte in una capanna di povera gente nella regio-

ne orientale del Tibet. I monaci avevano messo sul tavolo, come per caso, quell'oggetto che era appartenuto all'ultimo Dalai

Lama e il bambino lo aveva subito preso e riconosciuto come

suo. Il vecchio Dalai Lama, morendo, aveva voltato la faccia a

est ed era verso est che i Lama si erano messi a cercare la sua

reincarnazione. Il bambino cap poi che gli ospiti non erano

affatto dei servi, ma Lama del monastero di Sera, e si mise

a parlar loro nella lingua di corte, che nessuno nella sua famiglia aveva mai sentito. Oltre al rosario, il bambino riconobbe

quindi come propri vari altri oggetti che erano appartenuti al tredicesimo Dalai Lama. Quel ragazzo ha oggi 46 anni, il quattordicesimo Dalai Lama, vive in India, alla testa del governo tibetano in esilio, e il capo indiscusso di 100.000 tibetani esuli che vivono in giro per il mondo e continua a es-sere il capo spirituale della stragrande maggioranza dei tibetani in Cina.

Pechino sta facendo ponti d'oro perch' il Dalai Lama torni in

Tibet: nel 1979 ha liberato gli ultimi 376 suoi seguaci che erano

in prigione dal 1959, ha fatto appello a tutti i profughi perch'

tornino in patria, ha promesso la restituzione delle residenze

espropriate ai nobili (alcune sono state appena ridipinte e messe

a punto a spese del governo per attrarre i proprietari di un tempo) e ha consentito a varie delegazioni del Dalai Lama, com-

presa una diretta da sua sorella, di visitare la regione per stu-diarne le condizioni.

Forse come sottile gesto di rispetto per il Dalai Lama, il cu-stode della residenza estiva di Nobulingka, nell'estate del 1980, ha rifatto la stanza del dio-re e da allora non la mostra pi- ai visitatori in disordine e col letto disfatto come il Dalai Lama l'aveva lasciata scappando in fretta quella notte di venticinque anni fa.

Il Tibet come un gioco di scacchi. Vince solo chi finisce

con l'avere il re, dicevano gli inglesi che, venendo dall'India,

invasero questa regione all'inizio del secolo. Loro il re non lo ebbero perch' l'allora Dalai Lama scapp. in Mongolia. Neppu-

re i cinesi, nel 1959, riuscirono a dare scacco al re. Il Dalai Lama fugg in India e non si fece catturare. I cinesi credettero di poterne fare a meno.

Ora, per., che i loro piani per cambiare il Tibet sono falliti,

che la religione che avevano voluto distruggere pi- viva che

mai, i comunisti cinesi vedono nel Dalai Lama la loro carta migliore per poter governare il Tibet e pacificare i tibetani spinti

all'orlo della disperazione, e perci. di una nuova rivolta, dalla repressione maoista e da una serie di politiche sbagliate. I disa-stri provocati da Pechino nell'economia della regione sono stati tra le ultime gocce nel vaso gi. pieno del risentimento tibetano contro gli Han.

I pellegrini che si affollano oggi attorno al Jokka Kang sono

certo un buon campionario di ci. che caratterizza la situazione

nelle varie parti del Tibet da cui questa gente proviene e dove

nessun osservatore indipendente ha avuto da Pechino il permesso di mettere piede da oltre trent'anni: povert., malattie, abban-

dono.

S, vero, il 70 per cento delle Comuni Popolari stanno

peggio oggi di quanto stessero vent'anni fa, dice il vicegover-

natore della regione, Lo Sanchichang. Fino all'arrivo dei cinesi

la terra apparteneva in grandissima parte ai monasteri e la gente

aveva tante tasse da pagare quanti sono i peli di uno yak,

come diceva un adagio tibetano. I cinesi abolirono tutte le tasse,

liberarono la gente dal loro rapporto di semischiavit- con i mo-

nasteri, ma instaurarono, come nel resto del paese, la colletti-

vizzazione, che per i tibetani, abituati alla vita nomade, divenne

una nuova forma di schiavit-. All'interno delle Comuni Popol.ri,

[PAGINA 79] con la loro rigidit. e la loro irreggimentazione, i tibetani si sentirono come costretti in una camicia di forza e videro il pro-prio raccolto portato via dallo Stato pi- o meno come l'avevano visto, in passato, portare via dai monasteri.

Il pi- grave errore che i cinesi commisero, poi, fu quello di

costringere i tibetani a coltivare grano invece dell'amatissimo

orzo che stato per secoli la base della loro dieta. La grande

qualit. di quest'orzo che, una volta macinato, non ha bisogno

di essere cotto e che una manciata della sua farina impastata

con un po' di t' e un cucchiaio di burro rancido costituisce

un piatto pronto. Il grano, invece, ha bisogno d'esser cotto, e

questo, in un paese senza combustibile (gli alberi in Tibet sono

rarissimi), un immenso svantaggio. Per giunta il grano prosciuga il tipo di terra esistente in Tibet e la rende sempre meno

fertile. Fatto sta che i raccolti si ridussero progressivamente causando carestie, mentre i comunisti cinesi insistevano con la loro imposizione del grano al posto dell'orzo perch' quella di produrre pi- grano era la politica nazionale e andava ap-plicata in ogni parte del paese.

Le riserve di orzo si fecero scarsissime, i prezzi salirono alle stelle e nelle citt. del Tibet ci furono disordini, racconta un alto funzionario dell'amministrazione di Lhasa, rifiutando di es-sere pi- preciso. Ancora nel 1980, il governo centrale di Pechi-no dovette mandare in Tibet grosse quantit. di cereali per evi-tare il ripetersi di una carestia e pacificare la gente.

Siamo ancora ben lontani dall'autosufficienza, ammette

ora il vicegovernatore della provincia, ma solo quattro anni fa

l'agenzia ufficiale di stampa Nuova Cina annunciava trionfalmente che il Tibet produce pi- di quanto consuma , e un

film, Tibet: tetto del mondo, fatto dalla propaganda cinese e an-cora oggi proiettato ai visitatori della regione, mostra contadini tibetani sorridenti e felici in mezzo a distese di grano, mentre la voce fuori campo spiega che il Tibet contribuisce con il suo surplus a riempire i granai del resto della Cina.

Le cose sono un po' cambiate dopo la visita a Lhasa del se-

gretario generale del Partito Comunista, Hu Yaobang, il quale

dette il via a una completa revisione della politica tibetana. Da

allora i contadini, qui, sono esenti da tasse, non sono pi- obbligati a cedere il loro raccolto allo Stato a un prezzo fisso, ma

possono venderlo a loro piacimento. Le Comuni Popolari sono

state smantellate e, come nel resto del paese, si introdotto il sistema della responsabilit.. Mercati privati sono stati ria-

perti e nella sola Lhasa quattrocento commercianti locali e ne-palesi sono stati autorizzati a riaprire i loro negozi. ' I risultati si sono fatti presto vedere: il burro di yak alla ven-dita privata costa la met. di prima, la carne di animali macellati privatamente si trova ora su tutti i marciapiedi di Lhasa mentre prima era un'assoluta rarit..

Se il sistema economico introdotto dai cinesi in Tibet si

dimostrato un disastro, la tanto vantata modernizzazione del Ti-

bet fatta da Pechino ha dimostrato di essere pi- a uso dei cinesi

che della gente di qui. Le strade - dicono i tibetani - sono state

costruite per ragioni puramente strategiche e non servono gran

che alla popolazione locale, visto, fra l'altro, che non esiste an-

cora in Tibet un sistema di trasporti pubblici. Le scuole, poi,

non hanno cambiato di molto la situazione educativa della re-

gione dato che - viene riconosciuto anche ufficialmente fuori

Lhasa - il 70 per cento dei tibetani ancora analfabeta. Il piano

di industrializzazione lanciato nel 1959 non ha portato grandi

benefici ai tibetani: la maggior parte dei 74.000 addetti all'industria in Tibet sono han. Nella centrale elettrica di Lhasa, per

esempio, sui 330 operai che vi lavorano solo 90 sono locali; dei 58 impiegati solo 8 sono tibetani.

Mancanza di pianificazione e pessima gestione hanno fatto si

che anche grossi investimenti, fatti dai cinesi in Tibet, si sono

risolti nel nulla: una vetreria che avrebbe dovuto produrre vetri

da finestre - in un luogo in cui ancora la gente deve proteggersi

dal vento e dalla neve usando della carta imburrata stesa su te-

lai di legno - ha finito col fabbricare solo dei bicchierini da

maotai, il liquore preferito dai cinesi. Un'altra fabbrica, che

avrebbe dovuto produrre zucchero, qui estremamente caro a

causa degli alti costi di trasporto, non ha potuto operare perch'

soltanto dopo che la fabbrica era stata costruita ci si accorti

che non c'era abbastanza materia prima disponibile nelle vicinanze per farla funzionare. L'acquedotto, che avrebbe dovuto

portare a Lhasa l'acqua, prima di esclusiva propriet. del Dalai Lama (ottima manovra demagogica!), non funziona perch' le tubazioni sono state messe troppo in superficie e il freddo le gela per gran parte dell'anno.

Nel quadro delle riforme ordinate da Deng Xiaoping, la vetreria sar. chiusa e lo zuccherificio sar. convertito. La stessa

fine faranno una fabbrica di radio e una miniera di carbone,

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un tempo aperte con grande fanfara e ora riconosciute come improduttive.

Fra le riforme - almeno cos come sono state annunciate - ci sar. anche il ritiro di gran parte dei quadri politici e degli ope-rai cinesi attualmente in Tibet. L'idea, ora ripetuta da Pechino, che presto il Tibet sar. governato soprattutto da tibetani una pura menzogna propagandistica perch' i cinesi non trove-ranno mai abbastanza tibetani di cui fidarsi e cui affidare la ge-stione, anche di routine, della regione.

A parte episodi di pura incompetenza cinese, stata quella

che i tibetani chiamano l' arroganza han ad aver provocato

errori da parte degli uomini mandati da Pechino. La storia della

fabbrica di tappeti di Lhasa un ottimo esempio. I tibetani hanno da secoli fatto degli splendidi tappeti di lana e questi erano

uno dei pi- comuni, ma anche pi- raffinati, prodotti del loro artigianato. I tappeti in Tibet si usavano e si usano ancora per dormirci o per starci seduti, per avvolgerli attorno alle co-lonne dei templi, per inginocchiarcisi a pregare. Ogni anno i tibetani facevano migliaia di tappeti per s' e per i monasteri. Arrivati i cinesi, ordinarono per prima cosa che tutta la lana fosse consegnata allo Stato (e questo caus. anche la fine di al-tre forme di artigianato), poi organizzarono una moderna in-dustria del tappeto e ne affidarono la direzione a Han che ve-nivano dalle fabbriche di Tianjing e Pechino.

I tappeti classici tibetani cos cambiarono aspetto. I metodi di tessitura mutarono e persine il classico drago tibetano, con i suoi quattro artigli, venne raffigurato con cinque come quello cinese, mentre i contorni delle figure vennero cesellati come si fa con i tappeti di Tianjing.

Nella fabbrica di tappeti di Lhasa, che secondo la direzione non ancora riuscita ad andare in attivo, il 20 per cento degli operai sono ancora dei cinesi venuti a insegnare ai tibetani a fare qualcosa che questi sanno fare molto meglio da s'. Al momento, la politica di Pechino di incoraggiare tutto ci. che tibetano, di ridare vita alla cultura tibetana, di rispettare le abitudini e i costumi locali (la Sala delle Esposizioni di Lhasa, che veniva usata in passato per mostrare con una serie di figure di gesso, quadri e riproduzioni, quanto barbari fossero i tibetani prima dell'arrivo dei cinesi, stata chiusa al pubblico e viene mostrata solo su appuntamento ai visitatori stranieri). Ma pi-facile dirlo che farlo.

In vent'anni i cinesi hanno accantonato la cultura tibetana e hanno riscritto la storia del paese per poter dimostrare che il Tibet una parte inseparabile della Cina. I cinque milioni di libri che i cinesi si vantano di aver fatto stampare in tibetano sono in gran parte traduzioni delle opere del marxismo-lenini-smo e di Mao. Il solo libro sul passato del Tibet che si pu. comprare nella libreria di Lhasa scritto da uno han ed pieno delle solite bugie e distorsioni cinesi della storia, compresa quella secondo cui il Jokka Kang fu costruito dai cinesi per ce-lebrare il matrimonio di una principessa cinese con l'allora re del Tibet Songtsang Kampo, mentre attestato che quel re ave-va tre mogli e che il Jokka Kang fu costruito in onore di quella nepalese, tant'e vero che la porta principale guarda verso Occi-dente.

Nel Tibet di oggi non esistono pi- intellettuali, e quando il

visitatore chiede di incontrare, per esempio, uno scrittore tibetano, i cinesi ne presentano uno il cui principale merito lettera-

rio di aver tradotto in tibetano il famoso romanzo cinese Sul bordo dell'acqua.

In vent'anni i cinesi hanno portato a Pechino ed educato un piccolo gruppo di quadri tibetani, la maggior parte dei quali so-no ora pi- han degli Han o, come dice un esule tibetano, sono come rane cresciute in fondo a un pozzo e che non hanno mai visto l'oceano.

La vecchia classe intellettuale che scapp. dal Tibet col Dalai

Lama si sta ora estinguendo in esilio; una nuova generazione di

tibetani della diaspora, che ha studiato nelle universit. occiden-

tali e che ora vive in India, in Svizzera, o in Canada, sta crescendo e potrebbe contribuire alla modernizzazione del Tibet

fatta dai tibetani.

Se il Dalai Lama tornasse a vivere a Lhasa, molti di questi esuli tornerebbero e almeno proverebbero a vivere nella loro patria. Per il momento l'ostacolo a questa soluzione ancora il sogno di un Tibet indipendente, sogno alimentato dal governo in esilio che il DalaiLama si rifiuta di sciogliere.

Ovviamente, la realt. di essere dominati da una razza che

con il Tibet ha ben poco a che fare sar. per i tibetani sempre

difficile da accettare, ma il fatto che, nonostante il Tibet abbia

continuamente lottato e a volte sia anche riuscito a sfuggire alla

dominazione cinese, oggi questa regione riconosciuta da tutto

il mondo come parte della Cina; la semplice idea di un Tibet

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indipendente politicamente assurda. La Cina non abbandoner.

mai il controllo su questa regione perch' tutte le sue frontiere

sono occupate da minoranze etniche, ognuna con problemi simili a quelli tibetani.D'altro canto la Cina non si pu. permettere instabilit. e di-sordini n' in questa n' in altre regioni di frontiera. La Cina ha bisogno di insediare qui le proprie truppe e i propri missili per poter far fronte alla minaccia sovietica. La Cina ha bisogno di aver accesso alle risorse minerarie del Tibet per la propria modernizzazione. Il prezzo che Pechino sembra ora disposta a pagare per tutto questo un maggior grado di autonomia. Il ritorno del Dalai Lama a Lhasa aiuterebbe enormemente questo piano cinese. Forse non aiuterebbe il Dalai Lama che finirebbe cos di essere il punto di riferimento cui tanti tibetani guardano per un'ormai impossibile, ma ancora sperata, liberazione.

Gli dareste potere politico? ho chiesto al segretario del Partito Comunista della regione, Yin Fatang.

In Cina, religione e Stato sono due cose separate , mi ha risposto.

La risposta , ovviamente, no.

I tibetani pi- realistici sperano che il piano cinese funzioni e che Pechino capisca, come fanno loro, il senso di una vecchia profezia di Lhasa che dice: Solo se il Tibet felice, la Cina pu. essere prospera .

10. Lo accoltellai quattro volte ed ero felice

Shanzi: comunismo contro cultura tradizionale

In alto mille metri di rocce affilate,

in basso cento dirupi che fanno tremare.

Tendi la mano e tocchi la luna

mentre nuvole bianche scivolano nella tua manica.

in piedi, sul silenzioso vuoto degli abissi, un solitario viaggiatore di secoli addietro ha messo in questi versi l'irripetibile

emozione di arrampicarsi fino allo Xuang Gung Si, il Tempio che vola.

Davvero una sorprendente esperienza perch' questa, per un

tempio, la pi- impensabile locazione. In uno spoglio paesaggio di rocce grigie, dal letto secco e sassoso di un fiume, un'im-

mensa parete di granito si alza diritta verso il cielo. E l, in mezzo a quel terrificante precipizio di pietra, degli eremiti taoi-sti vennero a costruire il loro impossibile nido per meditare sul senso della vita e il significato del Tao, la via. Accadde 1400 anni fa, ma il Tempio che vola sta ancora impassibile in bilico sui dirupi: una splendida struttura che sem-bra sfidare ogni legge della natura, un esempio delle azzardate abilit. architettoniche di uomini che non pensarono di dover conquistare la luna perch', appunto, l'avevano gi. a portata di mano.

Con le sue file di colonne rosso-lacca, che reggono i tetti ricurvi una volta ricoperti di tegole color turchese, il Tempio

che vola era la porta ad una delle Cinque montagne sacre del-la Cina: la Montagna Heng, a sud della Grande Muraglia, a est del Fiume Giallo, nel cuore della provincia dello Shanzi. Per secoli i monaci del tempio, vedendo gi- nella valle i pel-legrini salire lentamente come piccoli punti neri nell'ombra del-le gole, andarono a mettere sul fuoco la pentola dell'acqua per offrire loro del t' caldo.

Oggi, un vecchio, tremante monaco buddista che le autorit.

comuniste hanno mandato in questo tempio taoista per intratte-

nere i turisti stranieri, va a indossare la sua tunica gialla per

offrirsi all'indiscreta curiosit. delle macchine fotografiche. Il

resto della montagna ancora zona proibita. Gli altri ventotto

templi sono distrutti (alcuni fatti saltare con la dinamite durante

[PAGINA 82] la Rivoluzione Culturale, dice la guida), ma il Tempio che vola, l'unico rimasto, stato appena restaurato e trasfor-mato in un'attrazione turistica per selezionati gruppi di stranieri che vengono condotti qui dalla citt. di Datung. In passato, chi visitava la Cina veniva portato esclusivamente a vedere Comuni Popolari, fabbriche, giardini d'infanzia, scuole e musei rivoluzionari. La semplice richiesta di vedere qualcosa di diverso, magari un tempio o una pagoda, provocava imme-diati rimbrotti da parte delle guide.

Quella roba della vecchia Cina, ci si sentiva dire. Ci. che vogliamo mostrarvi, al contrario, la nuova Cina, la Cina socialista. Ora, con l'aprirsi del paese al turismo di massa, le autorit. comuniste si sono rese conto che bisogna dare agli stranieri al-meno qualcosa di quello che cercano, se si vuole che continuino a venire in Cina lasciandovi quei dollari, franchi, marchi di cui il paese ha bisogno. Il problema che gran parte della vecchia Cina non esiste pi-, stata distrutta, bruciata, saccheggiata, i spazzata via. Cos le autorit. si sono affrettate a mettere assie-me quel poco che rimasto.

La provincia dello Shanzi, uno dei pi- antichi centri culturali della Cina, un buon esempio di ci. che sta accadendo nel re-sto del paese. Tre anni fa il governo provinciale chiese a ogni contea di preparare una lista di tutti i monumenti che potevano essere recuperati e che avrebbero potuto essere messi a dispo-sizione dei turisti. Un piano di restauri venne approvato in fret-ta e furia e alcuni luoghi, fino allora assolutamente proibiti, vennero aperti agli stranieri. Andare a visitare, oggi, alcuni di questi pochi posti restaurati alla svelta e in malo modo vuol dire innanzitutto rendersi conto delle spaventose distruzioni del passato e dell'assurdit. dell'attuale politica di restauro. Parti di templi diversi vengono arbitrariamente messe assieme, vec-chie rovine vengono trasportate da un posto a un altro, mozzi-coni di statue, immagini religiose, iscrizioni vengono tolti dai luoghi originari, rinfrescati con una mano di vernice e appicci-cottati da qualche altra parte.

La Cina sta creando un mostro storico-culturale, sta mettendo

assieme una sorta di Frankenstein a uso e consumo dei turisti

stranieri. Venticinque chilometri a sud di Taiyuan, la capitale

dello Shanzi, gruppi di operai stanno lavorando alla costruzione

di un tempio nello stile della dinastia Ming, accanto a una pagoda stile Yuan, mentre per terra giacciono pile di vecchissime

tegole portate qui da un lontano villaggio e pronte per essere messe sopra una costruzione nuova di zecca che sta per essere finita.

Fra qualche mese il vecchio, elegante monastero di Jin Ci,

costruito pi- di mille anni fa attorno a tre leggendarie sorgenti,

in onore della Dea-Madre delle acque (le sorgenti sono ormai

secche a causa dell'inquinamento causato da un'enorme fabbri-

ca chimica costruita poco lontano), sar. trasformato in un parco

dei divertimenti che ospiter. una selezione di varie costruzioni

tipiche cinesi. Cos i turisti non dovranno andare in tanti po-

sti, dice un funzionario dell'amministrazione locale. Vengono qui e vedono tutto. Sar. estremamente comodo per i nostri

amici stranieri.

Vecchie sculture, statue in bronzo e in legno, vecchi mobili e persino porte di vecchie case sono stati comprati dai vari vil-laggi dell'intera provincia per dar vita a questo Giardino dei templi. Almeno qui l'ambiente naturale.

Nella provincia di Guangdong, le autorit. locali hanno trova-to cos poco da mettere a disposizione del turismo che hanno pensato di costruire di sana pianta, su consiglio di una societ. californiana, un Centro di antica cultura cinese e divertimen-ti , una sorta di Disneyland rappresentante una citt. cinese al tempo degli Stati Combattenti.

Lo Shanzi il cuore della Cina. Pochi viaggiatori occidentali

si avventurarono in questa parte del paese, dove il paesaggio

battuto dal vento fatto di fango. Lo Shanzi era soprannomina-

to la provincia nascosta. Nel 1900, quando la Spedizione In-

ternazionale venne a togliere l'assedio al Quartiere delle deLegazioni a Pechino e a punire la Cina per i crimini commessi

dai Boxer contro gli stranieri, la spedizione si ferm. alla catena di montagne che segna il confine dello Shanzi. Apparvero trop-po ardue da superare.

Lontana dalla costa, dove gli stranieri costruirono splendide citt. straniere, lontana da Pechino, la capitale dell'impero, la provincia dello Shanzi fu la culla degli Han, la razza dai ca-pelli neri , il ceppo originario da cui provengono tutti i cinesi.

Vicino alla citt. di Linteng, la capitale dell'et. mitologica, c'

una montagna ancora oggi chiamata La vetta dell'Antenato

dell'Uomo appunto perch' una vecchissima leggenda cinese

dice che milioni di anni fa ci fu sulla terra una grande alluvione

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e che solo due esseri umani sopravvissero in vetta a quella

montagna, dove giunsero in groppa a un Icone, La storia la conosciamo anche in Occidente, solo che in questa versione No

era cinese.

Nello Shanzi nacque l'uomo che, si dice, invent. gli ideo-

grammi cinesi; dallo Shanzi venne quella concubina dell'imperatore che si racconta abbia scoperto le qualit. del baco da seta

e imparato ad allevarlo e a usarne il filato.

Alti, eleganti, timidi e fermi, gli uomini dello Shanzi hanno

resistito nella loro storia contro tutti gli invasori e furono gli

unici a non arrendersi mai a Gengis Khan. Gli uomini e le donne che affollano i mercati di villaggio nella provincia, oggi, so-

no come figure omeriche coperte delle loro solite giacche im-bottite, che hanno indossato per secoli. Sono i diretti discenden-ti di quella intatta razza dello Shanzi. Dovunque nella provin-cia, storia e mito hanno lasciato tracce della grandezza della vecchia Cina.

Nel nord ci sono le cave di Yungkang, con centinaia di Bud-da scolpiti nella pietra a gloria della nuova religione che era allora appena arrivata dall'India. Nel centro della provincia ci sono i templi in memoria degli imperatori dell'epoca leggenda-ria, quando i campi erano pieni di grano, gli stagni pieni di pesci, l'oro pioveva dal cielo e la gente era felice. Nel sud ci sono i grandi templi del taoismo che da qui si estese nel resto del paese.

Nel 1949, quando i comunisti presero il potere, il 78 per cen-to di tutti i templi esistenti in Cina si trovava appunto in questa provincia. Lo Shanzi era allora come un enorme museo naturale in cui ogni citt., ogni villaggio, ogni casa avevano i suoi tesori. Ora, lo Shanzi un triste cimitero punteggiato di rovine. Lungo la strada che si srotola e inerpica su per le montagne che il viaggiatore attraversa per raggiungere il Tempio che vola venendo da Datong, si vedono decine di villaggi costitui-ti da caverne scavate nel tufo e nel fango. In ognuno, al di so-pra dei tetti piatti delle case, si vede il tetto ricurvo di quel che una volta era un tempio. Ma templi non son pi-. Le porte d'in-gresso sono state murate, le tegole tolte. Alcuni sono stati tra-sformati in granai, altri lasciati semplicemente a marcire. E non stata la Rivoluzione Culturale a far questo.

La metodica distruzione della religione, la cancellazione di

ogni traccia del passato feudale sono state parte della cosciente, deliberata politica del Partito Comunista fin dal momento della

presa del potere in Cina. Il fine era ovviamente quello di elimi-nare ogni influsso della cultura tradizionale, la cui sopravviven-za impediva, secondo i comunisti, il definitivo impiantarsi del-l'ideologia marxista nel paese.

Il primo colpo venne negli anni '50 con la riforma agraria.

Ogni tempio possedeva dei campi con l'afftto dei quali i monaci finanziavano le loro attivit. sia religiose sia assistenziali. I

templi, infatti, in passato non erano solo luoghi di preghiera,

erano anche scuole e ospedali. Con la confisca della terra i monaci persero i loro mezzi di sostentamento, tutte le attivit. ces-

sarono e i religiosi furono costretti a tornare alla vita civile e a cercarsi dei normali lavori.

Morivamo di fame e dovemmo venire gi- dalle montagne, racconta Zhing Lien, il vecchio monaco di settantasette

anni che stato ora messo di guardia al Tempio che vola. Nel 1960, assieme ai suoi correiigionari era stato costretto ad abbandonare Wu Tai Shan, la Montagna delle Cinque Terrazze, dove, in uno dei pi- suggestivi complessi di templi della Cina, era vissuto per vent'anni.

I colpi successivi vennero con la campagna contro i quattro vecchi (vecchia cultura, vecchie abitudini, vecchi riti, vecchi pensieri) e la Rivoluzione Culturale, quando milioni di Guardie Rosse furono sguinzagliati in tutto il paese a chiudere templi, a cacciare via i pochi monaci che restavano e a distruggere quel che era sopravvissuto fino allora.

Ora i funzionari del partito dicono che purtroppo quelle cam-pagne uscirono dal seminato e che ne fu perso il controllo a causa della Banda dei Quattro. bene, una volta per tutte, chia-rire questo punto.

Fu il partito a lanciare quelle campagne, fu il Politburo del

comitato centrale del partito ad approvare all'unanimit. la Ri-

voluzione Culturale. Non solo: alcuni di coloro che votarono

quelle risoluzioni, ora ritenute disastrose per la Cina, sono ancora fra i dirigenti pi- rispettati del paese (basti pensare a Li

Xian Nian che oggi presidente della Repubblica e il cui voto fu necessario durante tutti gli anni della follia maoista per giun-gere a quella vantata unanimit.).

La distruzione della religione, la lotta feroce contro la cultura

tradizionale cinese, dunque, non sono state aberrazioni dei radicali e della cosiddetta Banda dei Quattro, cui ora per comodit.

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vengono attribuite tutte le malefatte della recente storia ci-nese, ma aspetti intrinseci dell'ideologia dei comunisti cinesi; tant' vero che gi. durante la Guerra di Liberazione i soldati dell'esercito rosso, dovunque arrivavano, andavano a togliere gli idoli dai templi, li buttavano nelle piazze dei villaggi, li spezzavano e coprivano le loro facce di fango e vernice di-nanzi agli occhi terrorizzati dei contadini, proprio per mostrare loro che quegli idoli non contavano nulla, non avevano al-cun potere.

L'idea che i commissari politici poi spiegavano era che que-gli idoli, quei Budda di bronzo, di legno, di pietra, di carta, o d'oro massiccio erano un ostacolo alla modernizzazione; quelle statue, dicevano alla gente, non portavano ad alcuna sal-vezza. Lo slogan che i commissari politici introdussero a quel tempo fra i contadini dello Shanzi era appunto: Mao Tsetung la stella di salvezza del popolo.

Per secoli la religione ha dominato la vita dei cinesi. Le loro arti, la loro filosofia, la loro etica sono state determinate da quella. La religione, scrisse l'etnologo Ernest Fenellosa, ,;

ha prodotto i pensieri pi- raffinati della Cina . ed una parte integrante della cultura e della storia cinesi.

Per i comunisti la loro rivoluzione fu una grande svolta nella

storia del paese, la loro rivoluzione fu una cesura, un taglio netto con il passato, e da ci. dedussero la loro politica dichiarata,

aperta, di eliminare tutto quel che funzionava da catena di trasmissione dei valori, dei pensieri, dei modi di essere del passato. Per costruire la

loro Nuova Cina socialista, era logico pensare che la vecchia Cina feudale andasse distrutta. Per co-struire l'uomo nuovo, quello vecchio.doveva essere eliminato. Mao non camuff. le proprie intenzioni e parl. della Cina co-me di un foglio bianco e vuoto. Fu appunto perseguendo questo fine di fare tabula rasa del passato che Mao dette il via a una delle pi- assurde, tragiche e ancora irrisolte contrad-dizioni della politica cinese.

La Cina ha una storia di almeno quattromila anni, dicono fino alla noia le guide e i funzionar! del partito. Eppure quella storia, siccome storia di imperatori, di dei ed eroi, siccome storia di palazzi, templi e concubine, un retaggio feudale e, come tale, viene negata ai cinesi.

La contraddizione tutta qui: nel contesto delle sue relazioni

col resto del mondo la Cina ha bisogno di vantarsi delle glorie del proprio passato per poter compensare gli spaventosi falli-

menti del presente, ma nel suo contesto interno proprio quel passato viene rifiutato e distrutto. Dai cinesi di oggi il governo pretende che siano orgogliosi di qualcosa di cui, in verit., non debbono saper nulla.

La Cina uno dei paesi del mondo con la storia pi- antica e il popolo cinese ha dato vita a una splendida cultura... suona la prima frase della nuova costituzione cinese (la quinta dalla fon-dazione della Repubblica Popolare), entrata in vigore nel 1982. Di quale cultura si tratti non chiaro, visto che alla cultura tradizionale i comunisti cinesi hanno da sempre negato ogni valore.Da pi- di tre decenni ormai nelle scuole cinesi comuniste non viene insegnato nulla sui classici della letteratura, niente sulle varie dinastie e sulla vecchia Cina. La storia cinese, cos come viene oggi insegnata in Cina, ridotta a una serie di rivolte con-tadine; non storia di imperi che sorsero e svanirono (cos inizia il classico dei classici romanzi cinesi, / tre regni). Un'intera generazione di cinesi cresciuta senza conoscere i miti, le leggende o anche solo i nomi dei grandi imperatori, de-gli eroi, degli dei che nelle loro varie impersonificazioni forma-no quell'immenso Olimpo che ha animato la vita cinese per millenni.

Le guide ufficiali della Lu Xin She, la societ. di Stato che ha il monopolio del turismo in Cina e che si ritiene sia una branca dell'apparato spionistico e poliziesco del paese, sanno poco o nulla dei vari luoghi in cui conducono, intruppati, i docili visi-tatori.

Un ragazzo che ho avuto come chaperon durante la mia permanenza a Taiyuan, capitale dello Shanzi, e che ho scoperto

estremamente informato sui vari monumenti della citt., ha alla fine ammesso di aver imparato il tutto da una copia della Guida Nagel che uno straniero, passato prima di me, gli aveva lasciato in regalo.

Nella libreria Nuova Cina nella capitale dello Shanzi, che un tempo fu uno dei grandi centri culturali del paese, oggi si possono trovare, senza alcuna difficolt., vari libri sul marxi-smo-leninismo, tutte le opere di Mao e persine l'ultimo volume degli scritti del grande e beneamato presidente Kim II Sung, dittatore della Corea del Nord; ma non c' un solo libro sulla storia di Taiyuan, non una guida ai suoi monumenti, non una semplice carta della citt..

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Io, per., ne ho poi avuta una. L'ho trovata tutta ingiallita e

riappiccicata con lo scotch, in una busta indirizzata a L'ospite

straniero da un anonimo signore che, ovviamente, avendomi

osservato nella libreria e avendomi visto uscire frustrato da tutti

i miei tentativi di trovare un modo per orientarmi da solo in

citt., era andato a casa, aveva preso la sua carta stampata nel

1952, eraandato all'unico albergo che ospita gli stranieri e, essendo io l'unico ospite, me ne aveva fatto dono con l'imbarazzo

di un cinese che si vergogna per il fatto che nel suo paese certe cose non sono pi- com'erano un tempo.

L'idea cinese comunista della vecchia cultura che tutte le storie del passato con i loro eroi e valori feudali non hanno niente da insegnare ai giovani d'oggi, i quali debbono invece imparare i loro comportamenti dai nuovi eroi socialisti. Nel centro di Linfeng, dove la Torre del Tamburo, che era' uno dei grandi monumenti della citt., ancora in rovina, c' una vecchia e famosa pagoda costruita al tempo della dinastia Tang attorno a un'enorme testa di bronzo di Budda con dei grandi occhi sporgenti e un misterioso sorriso sulle labbra. La leggenda dice che Budda, andando a coricarsi nella citt. di Xian, centinaia e centinaia di chilometri lontano da qui, fece una mossa sbagliata e la testa gli si stacc.: rotolando, venne a cadere proprio a Linfeng.

Nel 1949 quel tempio venne trasformato in una scuola, ma poi la scuola, forse per evitare i cattivi influssi di quell'enorme testa sorridente che era rimasta al centro dell'edificio, venne trasferita altrove e il tempio divent. una sala di esposizioni. Da un anno le varie sale sono occupate dalla mostra permanente dedicata alle gesta di un grande eroe moderno e socialista: Lei Feng. Lei Feng non mai esistito, ma, secondo la leggenda comu-nista di oggi, era un soldato dell'Esercito di Liberazione che per tutta la vita stato obbedientissimo al partito, che ha sem-pre aiutato chiunque avesse bisogno e che fin schiacciato da un palo della luce cadutogli in testa. Sulle pareti ci sono foto della sua famiglia, foto di lui con gli amici, foto dei suoi diari ecce-tera. Il posto assolutamente deserto. Non ci sono visitatori ne fedeli. Un incredibile spreco di spazio, in un paese in cui ogn' centimetro quadrato cos prezioso.

Come si chiama questo tempio? chiedo a un gruppo di ragazzi che giocano a badminton fra cumuli di polvere di car' bone in un cortile della vecchia Taiyuan.

Che tempio? Questa una fabbrica! mi viene risposto.

Ed- vero. Sotto i tetti dalle tegole gialle che indicano l'origine imperiale dell'intero complesso, ci sono macchine e uomini al lavoro. Gli edifici,

coperti di fili elettrici, di manifesti e sormontati da piccole ciminiere costruite di recente, sono quasi irriconoscibili. Gli antichi archi sono stati murati, nuove fine-stre sono state aperte nei vecchi muri, la parete contro gli spi-riti, su cui si intravede la sagoma dei cinque draghi che ci sta-vano sopra, stata mezzo smantellata. Lungo il recinto esterno del tempio, decine di famiglie operaie si sono accampate co-struendo con cartone, legni e teloni di plastica dei cubicoli che chiamano case.

Qui, come in centinaia di altri posti simili a questo, la gente vive ora fra le rovine di grandi monumenti con cui non ha pi-alcuna relazione. Completamente estraniati dal loro passato, i cinesi si muovono fra i relitti di un altro mondo e si sorprendo-no della curiosa attenzione del visitatore per quei cocci e quei resti di cui essi non conoscono neppure l'origine. Ora che alcuni di questi posti vengono riparati dalle stesse autorit. che in passato ne ordinarono la distruzione, la gente confusa, alcuni sono persine arrabbiati. In particolare i gio-vani.

Perch' spendere cos tanti soldi per riparare vecchi templi, quando noi abbiamo bisogno di case nuove? chiede un giova-ne operaio di Taiyuan. E uno studente di Datong: I dirigenti non fanno che parlare di andare avanti a modernizzare il paese. Allora perch' -andare indietro a rimettere in vita tutto questo vecchiume? Quel che viene restaurato e riaperto non comunque per i cinesi.

Nella pianura gialla, dove il paesaggio piatto e monotono

interrotto soltanto da manciate di case di fango entro mura di

fango che proteggono i villaggi, sorge, settanta chilometri a sud

di Datong, la sagoma nera di una pagoda. Alta 67 metri, la Yin

Mu Ta getta dal 1056, quando fu costruita, la sua lunga, protettrice ombra sui tetti piatti delle case contadine che le si erano

Accolte attorno. Grande struttura eretta su un piedistallo di gra-tto, un altro sorprendente esempio della maestria dei vecchi Artigiani cinesi. Questa volta dei falegnami: la pagoda tutta di legno.

Gi. negli anni '50 la pagoda di Yin fu dichiarata monumento

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nazionale e un gruppo di studiosi si mise al lavoro per fare un

libro che illustrasse ogni dettaglio di questo straordinario edificio. Il libro stato infine pubblicato, nel 1980, ma la pagoda

nel frattempo non pi- quella. Nell'agosto del 1966 le Guardie Rosse vennero qui e, in una sola notte, portarono lo scompiglio in questo quieto villaggio di contadini. I giovani maoisti erano venuti per squarciare il petto delle statue di creta che si trova-vano nella pagoda perch', di quelle, i vecchi del posto dicevano da sempre che avessero il cuore d'oro. E d'oro lo avevano, perch' dentro il petto chi le aveva fatte aveva messo delle scrit-ture buddiste, sacre e certo ben pi- preziose dell'oro. Ma per le Guardie Rosse la delusione di non trovare oro vero . fu enorme e sfogarono la loro rabbia mettendo il tutto a ferro e fuoco. Gli animali di pietra chestavano di guardia alla base della pagoda furono presi a martellate; dai piani alti della pa-goda, le statue di creta vennero buttate gi-; un tempietto che proteggeva le spalle della costruzione di legno fu dato alle fiamme.

La pagoda stata in parte riparata, ma ora un'alta inferriata costruitale attorno la separa dal villaggio, e centinaia di conta-dini stanno muti a guardare, con le mani appese alle sbarre di ferro, l'occasionale visitatore straniero che arriva con la jeep, paga il biglietto di ingresso e viene ammesso e guidato l. dove essi non possono entrare. Quella pagoda non pi- loro. Non hanno pi- nulla a che fare con essa. I vecchi non possono pi- andare a mettere un bastoncino d'incenso davanti ai Budda, le donne non vanno pi- a chiedere a dei pezzi di legno buttati per terra se il figlio che aspettano sar. maschio. Quello che per secoli stato il punto di riferimento delle loro speranze, pre-ghiere, aspirazioni e anche paurete superstizioni, diventato una semplice attrazione turistica. un posto morto. Mentre un paio di poliziotti tengono a bada la folla, sempre pi- numerosa, dei curiosi, un ex soldato, ora messo a fare ( custode a tanta tristezza, mi spiega che il progetto di restauro approvato dalle autorit. provinciali prevede la costruzione o una grande aiuola con fiori, di piccoli chioschi per la vendita di souvenir e di un'area di parcheggio per gli autobus degli amici stranieri che verranno qui. .

Guardo in alto e son colpito dalla straordinaria grandezza che

si avverte nell'ispirata semplicit. di questa costruzione, qu

in basso e sono colpito dall'ottusa banalit. di ci. che

sento. Centinaia di occhi muti continuano a guardarmi dalle grate. Mi sento un intruso e non vedo l'ora di andarmene. Osservando la foto di un vecchio libro che mi sono portato dietro, mi accorgo che un tempo la pagoda rispecchiava la pro-pria sagoma leggera nelle acque di un (laghetto pieno di fiori di loto.

E questo dov'? chiedo al guardiano, ex soldato dell'Esercito di Liberazione. Oh... l'abbiamo prosciugato perch' ci nascevano un sacco di zanzare! Dovunque si vada, i lavori di riparazione appaiono rozzi, i nuovi colori troppo sgargianti, i dettagli fuori posto, e in quasi nessun caso il vecchio senso religioso e artistico degli edifici, delle statue e degli oggetti viene rispettato.

Nel cortile dello Shan Huali, il pi- grande tempio di Datong, un cavallo e un bue di ferro recuperati da un tempio di campa-gna, ora completamente distrutto, sono stati messi dinanzi a una parete contro gli spiriti con cinque draghi di ceramica colorata, a propria volta portata qui da un altro tempio che si trovava alla periferia di Datong, ma che stato spazzato via per costruire un albergo.

A Taiyuan, duecento tavolette di pietra con esempi della pi-raffinata calligrafia della dinastia Ming sono state murate nelle pareti di un nuovo padiglione appena costruito accanto alle Pagode gemelle, simbolo della citt.. Le tavolette provengo-no da un vecchio tempio nel centro della citt. che dall'epoca della Liberazione diventato la sede provinciale del Partito Co-munista.

Il partito non vuole assolutamente lasciare il tempio. Allora abbiamo deciso di salvare almeno le tavolette, dice un funzio-nario dell'amministrazione.

Il parco attorno alle due pagode un deposito di pezzi di

statue, cocci, avanzi di vecchie costruzioni che sono stati recuperati qua e l. in citt. e che ora vengono usati per rappiccicot-

tare questo posto. Lavori di restauro che richiederebbero buoni esPerti sono affidati, nella maggior parte dei casi, a funzionari assolutamente ignoranti e per lo pi- senza alcuna esperienza in qUesto tipo di attivit..

' Chi ha fatto il progetto di ripristino qui? ho chiesto durante-la visita alla tomba dell'imperatore Yao, cinque chilometri 40r> della citt. di Linfeng.

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L'abbiamo fatto noi dopo aver consultato le masse, ri-sponde il quadro responsabile locale, un uomo del partito la cui unica esperienza di lavoro in campo culturale stata quella di aver azionato il proiettore in un cinema di Datong. Yao uno dei mitici imperatori della Cina preistorica. Secon-do la leggenda, era alto tre metri e rest. sul trono per 102 anni. I suoi furono i tempi d'oro di cui sogn. Confucio quando la Cina era in pace coi suoi vicini e la gente era onesta. Pi- alto delle nuvole, pi- alto della luna, dice di lui una bella iscrizione sul-l'ingresso principale del suo tempio. Questo era uno dei posti sa-cri della Cina, e ogni imperatore veniva qui almeno una volta, durante il suo regno, a rendere omaggio al suo mitico antenato Yao. La statua che lo raffigura, enorme e circondato dai suoi, molto pi- piccoli, consiglieri, esiste ancora nella sala principale del tempio, una parete del quale per. crollata.

Molte delle altre costruzioni, che un tempo venivano usate

per ospitare il corteo imperiale, sono scomparse, ma, secondo

il progetto di ripristino, verranno ricostruite (in mattoni) per

ospitare una collezione di oggetti antichi e, ovviamente... gli

impiegati ora incaricati di questo complesso. Sul terreno, un

tempo coperto da una foresta di austeri cipressi poi tagliati

per far legna, gli operai piantano ora dei leziosi cipressi canadesi e tracciano col gesso le fondamenta di quelli che saranno i

dormitori. Tre strade di accesso vengono aperte distruggendo completamente la solenne armonia del parco. Non ci sono esperti, non ci sono architetti. Il potere al popolo, e i quadri del partito decidono tutto.

I quadri: uniforme blu, grassocci, berretto calzato fino agli

orecchi, borsetta di plastica nera in una mano, l'eterna sigaretta

nell'altra, seduti nelle poltrone degli uffici, degli alberghi, delle

stanze per riunioni... Sono loro i governanti del paese, i nuovi

mandarini; a volte, proprio perch' il loro giudizio inappella-

bile, sono pi- dei mandarini, sono i nuovi imperatori. Ex rivoluzionari, burocrati di partito con nessuna comprensione per la

cultura tradizionale e la cui pi- grande qualit. di essere en-trati nel partito prima del 1949, quando questo non era ancora al potere. Costoro sono i responsabili del restauro. Per ogni tempio che si riapre, per ogni pagoda che viene messa a dispo-sizione dei turisti stranieri, si creano cinque o sei posti di lavoro come guardiani e questi posti vengono distribuiti tra i figli di ; questi quadri.

Povere ragazzine, che chiacchierano continuamente fra di lo-ro su una certa foggia di pantaloni e sull'ora in cui andare a mangiare, menano il visitatore in giro per gli edifici, aprendo e richiudendo i grossi chiavistelli delle varie porte dei tempietti.

Le pi- non sanno assolutamente nulla del luogo in cui si trovano e solo su richiesta recitano a pappagallo ci. che hanno imparato a memoria da un

libriccino ciclostilato, sa cui sta scritto nei bu, cio riservato, per uso interno, che fornisce l'altezza e la lunghezza del tempio, il peso delle statue, il numero delle balle di riso che si sarebbero potute comprare per il valore delle statue eccetera. La recita si conclude regolarmente con la frase:

Dal 1949 il Partito Comunista ha costantemente investito soldi ed energie per preservare e restaurare i tesori culturali della

Cina .

A forza di dirlo, qualcuno ci creder..

Se gli esperti non esistono, non esistono pi- neppure gli ar-tigiani. Alla pagoda di legno di Yin c' solo un vecchio, che ora ha settantadue anni, in grado di riparare i Budda di creta. Tre mesi fa si ammalato e i lavori si sono bloccati.

A Pingyao non c' nessuno capace di togliere la mano di calce che fu data sopra gli affreschi del Tempio della Doppia

Foresta quando, nel 1966, questo venne trasformato in un ma-gazzino. Gli affreschi hanno pi- di mille anni. A Lingfeng non c' un falegname in grado di rifare l'intrica-to lavoro di cesello delle finestre e delle porte nel Tempio del-l'Arcobaleno.

Nel 1979, a Pechino, si tenne per due settimane una conferenza per discutere appunto i problemi del restauro in Cina.Qualcuno, ovviamente, sugger che l'unica soluzione era fonda-re una scuola nazionale di restauro in cui mandare gente di ogni provincia, ma la proposta fu bocciata. Siamo ancora un paese troppo povero. Non possiamo permettercelo. Cos i danneggiamenti continuano. Due anni fa, nei sobborghi di Taiyuan, durante i lavori di scasso per una nuova strada, venne scoperta per caso la tomba di un funzionario imperiale vissuto 1400 anni fa. Il corridoio d'ingresso alla tomba era completamente coperto di affreschi. Nessuno sapeva come fare a proteggerli e bastarono alcuni giorni di esposizione all'aria e alla luce per farli sparire. La tomba stata richiusa.

Sull'onda del grande boom edilizio che oggi coinvolge tutta

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la Cina, l'eredit. archeologica del paese ha sofferto gravissimi danni proprio a causa della mancanza di esperti. Per scavare le fondamenta, il modo pi- normale quello di far brillare delle mine nella roccia. Ma questo anche il modo in cui nella vec-chia capitale di Luoyang sono state distrutte pi- di mille tom-be, ha scritto il Quotidiano del Popolo.

Nel gennaio del 1983, lo stesso quotidiano del partito denun-ci. una famosa fabbrica di birra che, nel corso di lavori di am-pliamento, aveva fatto esplodere delle mine e, in tal modo, ave-va distrutto una rarissima tomba che, oltre ad alcune centinaia di figure, conteneva un cavallo nero di cui esiste un solo altro esemplare in Cina.

L'artigianato era un aspetto della grandezza della Cina. Mi-

gliaia di artigiani sono stati per millenni in grado di lavorare

con qualsiasi materiale, dal legno al ferro, alla pietra, alla seta,

al bronzo, alla giada, e quella che nel mondo conosciuta come (

la cultura cinese non soltanto l'opera di poeti, filosofi e pit-

tori, ma forse ancor pi- il risultato del raffinato lavoro quotidiano di un esercito di anonimi falegnami, incisori, tessitori.

Ora, andando in giro per i mercati delle citt. e dei villaggi,

non si riesce a trovare un solo oggetto, prodotto dall'abilit. manuale di un uomo, che non sia la solita rudimentale grattugia o

una trappola per topi.

Quella grande tradizione artigiana fu interrotta subito dopo la

fondazione della Repubblica Popolare, e in particolare al tempo

del Grande Balzo in Avanti, quando tutti quei tipi di lavorazioni e le capacit. necessarie furono considerati inutili e l'in-

tera nazione fu costretta a partecipare alla campagna per l'ac-ciaio. Qualunque cosa fosse semplicemente decorativa, o abbel-lisse la vita di ogni giorno, veniva considerata superflua, e la gente doveva mostrare il proprio patriottismo andando a fonde-re ogni pezzo di metallo che non fosse indispensabile, dalle ma-niglie delle porte alle serrature degli armadi. i fuochi venivano fatti col legno delle sedie, dei tavoli, dei vecchi cassettoni.

Per educare le masse a quest'idea venne girato sull'argomen-

to un film poi proiettato in tutta la Cina. Il titolo era: // regalo

delle vacanze d'estate. La storia quella di un gruppo di ragazzi i quali, avendo sentito dire da un vecchio che sul fondo di un

certo fiume ci sono delle antiche campane di bronzo, passano le

vacanze estive a recuperarle e, quando finalmente le portano a

galla, le fanno fondere in una rudimentale fornace. Come premio per questa loro opera meritoria, lo Stato da loro in regalo

un bel trattore.

Numerosissime opere d'arte, ma anche infiniti oggetti di semplice artigianato, finirono distrutte cos, per patriottismo.

Le Pagode Gemelle di Taiyuan persero in questo modo venti

grandi bronzi raffiguranti ciascuno un Budda in una diversa posizione, tutti finiti negli impasti di qualche zappa o piccone. Le

nicchie, dove i bronzi erano stati conservati per secoli, sono ora miseramente vuote.

Uno dei grandi vanti dello Shanzi erano le mura imponenti che circondavano ogni citt. e villaggio della provincia. Tutte sono state metodicamente distrutte dalla gente incoraggiata dal-le autorit. a portar via i mattoni per costruire le case. Per secoli i contadini delfo Shanzi avevano ripetuto ai loro figli: Non bruciate un pezzo di carta se solo c' scritto un ca-rattere , ma furono i contadini di Shi Go a essere indicati come un modello che tutti dovevano imitare: avevano preso le stele di pietra su cui era incisa l'inutile storia del villaggio e le ave-vano usate per costruire un utile ponte. Il giornale del partito li lod. ripetutamente.

Ora, invece, i quadri del partito, come il segretario di Lin-feng, dicono: nostro compito educare il popolo al rispetto del proprio patrimonio culturale.

In verit. il popolo, se lasciato fare, questo rispetto lo avrebbe avuto perch', dopotutto, si trattava del suo patrimonio.

Nello Shanzi meridionale, alla periferia di Yuri Cheng, un

tempo una cittadina ricca di storia e ora un ammasso deprimente di case grigie costruite da poco, c' un grande tempio edifi-

cato durante la dinastia Sung in onore di Guang Kung, uno de-

gli eroi dei tre regni, che per i cinesi il simbolo della fiducia e

della fedelt.. Guang Kung, raffigurato sempre con la faccia tut-

ta rossa, anche uno dei protagonisti ricorrenti nell'opera clas-

sica. Per secoli la gente ha reso omaggio a quel tempio, facen-

dolo diventare il centro di un vero e proprio culto. Nel 1957 il

tempio eia ancora in perfetto stato e un pittore locale aveva finito di lavorare a dei grandi affreschi raffiguranti la vita e le

gesta di questo eroe popolare dalla faccia rossa e dalla lunga barba nera.

Poi anche qui, come dovunque, venne la Rivoluzione Cultu-

rale, ma quando nel 1966 i ribelli maoisti si avvicinarono al

tempio per distruggerlo, si trovarono chiusi fuori. Zhang Jie-

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xiang, la donna che era responsabile dell'intero complesso, e i suoi sei assistenti sprangarono le porte e si barricarono dentro. L'assedio dur. tre mesi. Voi avete le chiavi, ma noi abbiamo il potere, urlavano da fuori i ribelli. La signora Zhang, per., aveva la popolazione locale dalla sua. Di notte la gente riusciva a lanciare agli assediati, di l. dalle'mura, involti col cibo, e alla fine le Guardie Rosse rinunciarono ad averla vinta e se ne an-darono.

Nel 1969, le autorit. maoiste della contea ordinarono che il tempio fosse trasformato in una scuola, ma la signora Zhang assegn. uno solo dei suoi cortili al progetto e poi, per evitare che la scuola fosse usata come scusa per entrare nel resto del tempio, costru tutt'attorno alla scuola un alto muro di cinta. Oggi, il tempio di Guang Kung l'unico posto della provincia perfettamente conservato e quello in cui esiste ancora quell'aura di mistero e di fascino che era di tutta la Cina. I vari padiglioni sono intatti, gli altari hanno tutti i candelabri, i bracieri per l'in-censo, i vasi di bronzo, le statue. Le leggendarie armi di Guang Kung si trovano ancora nella vecchia armeria, e in un angolo buio del padiglione principale c' ancora lui, Guang Kung. Una volta all'anno, seduto in un palanchino dalle tende chiu-se, Guang Kung veniva portato in processione per le strade di Yuri Cheng. Imbottito di paglia, vestito di broccati ora coperti di polvere, con la faccia nascosta dietro fili di perle che gli scendono sulla fronte, Guang Kung sembra vivo ad aspettare nel buio che vengano giorni migliori.

La signora Zhang, col suo gruppo che adesso di sedici per-sone, vive ancora nel tempio e coi proventi di una serra, che produce fiori e verdure, finanzia i lavori di riparazione, tiene in ordine il tempio e spera, anche lei, di trasformare il posto in... una pensione per turisti stranieri.

Ding Cun, un villaggio della dinastia Ming, trenta chilometri a

sud di Linfeng, fu salvato per puro caso. Ding Cun un gioiello

di architettura. Ogni casa un museo: pesanti porte di legno,

pareti contro gli spiriti fatte di ceramica, verande intagliate, in-

tricati ceselli in legno alle finestre; ogni dettaglio nel villaggio

un esempio di raffinatezza. I cortili hanno piattaforme di marmo che venivano usate come palcoscenici per rappresentazioni

teatrali private.

Il villaggio era uno dei pi- ricchi della regione. Le residenze

appartenevano a uomini d'affari, mercanti d'erbe medicinali e

banchieri che erano proprietari dei terreni attorno. Per generazioni i migliori artigiani dello Shanzi erano stati chiamati a

Ding Cun per dare il meglio di s'. Persino i pali dove si lega-vano i cavalli erano in marmo scolpito con teste di leone. Nel 1949 quando, come nel resto della Cina, i proprietari ter-rieri furono accusati di aver commesso terribili crimini contro il popolo, Ding Cun fu abbandonata dai suoi abitanti originari.

Alcuni proprietari terrieri riuscirono a fuggire, altri furono giustiziati e le loro case e tutte le loro propriet. vennero distribuite

fra i contadini della zona.

Nel 1954, ad alcune centinaia di metri da Ding Cun, un grup-

po di operai che lavoravano a una nuova linea ferroviaria scoprirono i fossili di un uomo preistorico vissuto 400.000 anni fa.Questa scoperta salv. Ding Cun perch' un gruppo di archeologi arriv. nel villaggio, fu colpito dalla singolarit. del posto e co-minci. a fare un inventario delle case e del loro contenuto. Dao Funai, figlio di contadini dello Shanzi che da ragazzo aveva preso parte all'esecuzione di uno dei proprietari terrieri del suo villaggio (Quattro volte lo accoltellai, quattro volte, ed ero davvero felice perch' aveva fatto cos tanto male alla mia famiglia, racconta), era uno di quegli specialisti venuti a Ding Cun per i fossili, e fu lui che, nel 1966, protesse Ding Cun dalle Guardie Rosse.

Ora, Dao Fuhai deve proteggere Ding Cun dai contadini che

trent'anni fa la rivoluzione trasfer trionfalmente nelle case dei

proprietari terrieri assassinati. Mettono le pannocchie di granturco a seccare sulle travi intarsiate, piantano chiodi nelle pareti

di legno per stendere la biancheria, tengono gli animali dentro

casa... si lamenta Dao andando in giro per il villaggio e mostrando i danni che i contadini col loro modo di vivere hanno

arrecato alle residenze patrizie.

Il progetto ora quello di mettere i contadini a vivere da qualche altra parte, ridare a Ding Cun lo splendore che aveva al tempo in cui era abitato dai ricchi, e fame una delle mete per turisti nella regione.

Dobbiamo assolutamente conservare qualcosa del nostro patrimonio culturale e storico, se vogliamo continuare in qual-che modo a essere una civilt., dice Dao.

Molti intellettuali, ora di mezza et. e che da giovani parteciparono

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attivamente alla rivoluzione, molte delle ex Guardie

Rosse che s'incontrano in giro per il paese non fanno mistero

dell'imbarazzo e persino della vergogna che provano oggi per

le assurde distruzioni cui hanno preso parte. Volevamo distruggere il vecchio perch' venisse alla luce il nuovo... ma

quello non mai venuto fuori, dice un Ribelle Rosso di una volta - ammettendo di aver partecipato all'incendio di al-cuni templi a Pechino - che ora fa la guida turistica e porta gli stranieri a visitare i resti di altri incendi e altre distruzioni nella provincia dello Shanzi.

Dovunque ci si volta, il nuovo deprimente, triste. Le vec-chie citt. hanno perso il loro fascino, sventrate come sono state per far posto a nuove strade, nuove piazze. Ora le citt. della Cina, che un tempo avevano ciascuna caratteristiche proprie, sono tutte uguali con la loro via della Liberazione che incro-cia via della Bandiera Rossa nella solita piazza del Popo-lo, dove un enorme ritratto di Mao domina uno squallido vuo-to. Al tramonto, tutto diventa buio e morto. I rari lampioni bianchi che si accendono lungo le strade della Cina sono do-vunque gli stessi, da Canton alla Manciuria.

Taiyuan era una citt. favolosa. Ora, a parte i pochi edifici nuovi, come la stazione ferroviaria e alcuni blocchi di apparta-menti operai, la citt. un ammasso puzzolente di catapecchie in rovina con gabinetti pubblici, senza porte, aperti sulla strada. Dappertutto dai vecchi ingressi, alcuni con travi di legno cesel-lato, escono bambini, vecchi, donne con vasi da notte colmi che vanno a vuotare nelle fosse della spazzatura. La gente si lava la testa o rigoverna i piatti accucciata sotto le bocche d'acqua nel-le strade.

Nel 1949, Taiyuan aveva 270.000 abitanti. Ora, pi- o meno nello stesso spazio, nelle, stesse case, ce ne vivono pi- di due milioni. La citt. non offre i divertimenti e gli svaghi di un tem-po. Tutte le case da t' sono chiuse, non ci sono pi- fiere nei templi e il vecchio palazzo Chun Yang, il tempio taoista che era il centro della citt., stato trasformato in museo provincia-le, dove vengono raccolti i cocci delle varie distruzioni dello Shanzi.

I comunisti hanno sempre accusato i governanti del passato

di aver costruito enormi, inutili templi e grandi palazzi per se

stessi, mentre i contadini non avevano nulla, e ancora oggi chi

visita le tombe Ming a Pechino si deve sorbire tutta la spiegazione di quanti contadini si sarebbero potuti sfamare con le tonnellate di riso che si

sarebbero potute acquistare con ci. che gli imperatori avevano speso per quelle loro fantastiche sepolture.

Eppure, qualcosa di simile stato fatto anche dall'attuale re-

gime. Ogni capitale provinciale, per esempio, possiede un'imitazione del gigantesco Palazzo del Popolo di Pechino, con va-

stissimi corridoi e grandi sale, di solito inutilizzate e deserte.

A Taiyuan, accanto alle Pagode Gemelle, i comunisti, subito dopo la Liberazione, hanno costruito un grande monumento e hanno dedicato una vasta area

ai martiri della rivoluzione.

Circondato da un muro, questo grande parco ancora li, e ora, per utilizzarlo, i funzionari del partito - che per tre decenni hanno obbligato i contadini a bruciare i loro morti e a non sep-pellirli pi- sotto terra per non sprecare con le tombe il prezioso terreno coltivabile - hanno deciso di fare in quello spazio... il loro cimitero. Non c' da meravigliarsi, se si pensa allo spazio che occupa Mao col suo mausoleo nel centro di Pechino. Di recente, il governo locale ha speso una notevole somma di danaro per restaurare il tempio di Ching Shan, ma per la gente normale estremamente difficile avere accesso a questa piace-vole isola di pace e di armonia nel mezzo della squallida con-fusione di Taiyuan.

Tu cerchi di approfittare di codesto straniero per infilarti qui, eh? urla un vecchio monaco alla ragazzina cinese che, quando le ho chiesto dove si trovava il tempio, si offerta di accompagnarmi e con grande energia si messa a battere col pugno contro la porta sprangata.

chiuso, chiuso... non abbiamo la chiave, diceva allo

stesso modo il custode del Tempio della Doppia Foresta a

Pingyao a un gruppo di contadini che, avendo visto il portone

centrale, guardato da quattro splendidi guerrieri d'argilla, spalancarsi per me e mio figlio, si erano precipitati per seguirmi.

I templi, ora riaperti col nome di musei, e le pagode restaurate col nome di torri , dovrebbero servire per attrarre i

turisti stranieri e i soldi che questi portano in Cina. Il guaio, secondo i dirigenti dell'industria turistica, che spesso questi templi sono troppo lontani.

Uno dei famosi templi taoisti della Cina lo Yung Le Gong,

nello Shanzi meridionale. Fu costruito in onore di Lu Dongbin,

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uno degli otto immortali della leggenda, e contiene i pi- begli

affreschi sopravvissuti dalla dinastia Yuan. Nel 1959, poich' il

tempio si trovava proprio nel mezzo di una valle destinata a

diventare un bacino d'acqua, il governo centrale, su istruzione

del primo ministro Chu Enlai, diede ordine e soldi perch' lo

Yung Le Gong fosse spostato a venticinque chilometri di di-

stanza. Cos fu fatto. Ora, il tempio si trova in perfette condzioni alla periferia della cittadina di Rui Cheng e lo si pu. rag-

giungere con un viaggio avventurosissimo di oltre ottanta chi-lometri dalla pi- vicina stazione ferroviaria attraverso monta-gne brulle e spaventosi precipizi. Il viaggio richiede ore. Dovremmo spostare Yung Le Gong di nuovo e questa volta a Taiyuan, dove siamo meglio attrezzati per i turisti , dice un funzionario della provincia.

In un certo senso, la Cina davvero un armadio pieno di scheletri, un paese ancora pieno di piccoli e grandi misteri, ed ovvio che le autorit. comuniste non vedano affatto di buon occhio che gli stranieri si mettano in viaggio e cerchino di gi-rare liberamente come farebbero altrove. Da qui, la strategia di concentrare le attrazioni turistiche in pochi posti selezionati dai quali inviare autobus carichi di gente a visitare i templi pi- di-stanti, ma certo non i villaggi dove questi furono costruiti in origine.

Per esempio, dalla citt. di Datong il turista viene portato a visitare il Tempio che vola, da l viene condotto nella citt. di Hung Yuan, dove un pranzo stato preparato apposta nella locale sede del Partito Comunista, ma la citt. di Hung Yuan non pu. essere visitata. Questo posto non ancora aperto agli stranieri, dichiara il funzionario che viene a ripescarmi in mezzo al mercato mentre sono circondato da decine di persone curiosissime.

Recentemente, al corrispondente di un giornale comunista

stato detto che la ragione per cui quella citt. non si pu. visitare

che tempo fa dei turisti hanno gettato delle monetine ad alcuni bambini per far loro delle fotografie, e che, dopo una simile

offesa, la citt. di Hung Yuan stata chiusa. Fantastica bugia: la

stessa storia fu usata per far litigare fra di loro un gruppo di

turisti francesi in visita a Nanchino negli anni '60 e poi raccon-

tata in un libro dalla persona che, solo dopo anni di ripensamenti e di dubbi, concluse che nessuno aveva mai buttato le

monetine e che i cinesi avevano usato quella scusa per seminare sospetti fra i membri del gruppo, farli sentire imbarazzati e ren-derli docili ad altre proibizioni.

Da Taiyuan si pu. visitare il Tempio della Doppia Fore-sta a Pingyao, ma quando il visitatore viene portato a pranzo nella vecchia residenza del magistrato locale diventata qui, co-me altrove, la sede del Partito Comunista, non deve pensare di poter lasciare quel posto isolato e recintato. Non convenien-te, afferma il segretario del partito.

La ragione che se uno si rifiuta di mangiare, come ho fatto io, ed esce di nascosto passando un paio di ore in giro prima di essere ripreso, redarguito, sospettato e ricondotto al treno, que-sta citt. proibita diventa una collezione di tutto quanto le autorit. locali non vogliono che il visitatore veda e che di solito viene accuratamente evitato in tutti i posti preparati per gli stranieri.

Nelle due ore di libert. a Pingyao, dove forse ero il primo

straniero da decenni, ho visto strade non asfaltate coperte di

fango ed escrementi; vecchi e ricchi palazzi completamente cadenti e stivati di gente; un antico ponte di marmo con teste di

leoni, distrutto, nei pressi di un fiume rosso dei rifiuti di una

fabbrica di plastica poco lontana. Tutti i templi e i monumenti

descritti ancora nelle guide turistiche degli anni '50 sono o introvabili o in rovina; la chiesa cattolica che ancora esisteva agli

inizi degli anni '60 completamente svanita, smontata mattone per mattone; la vecchia torre del mercato con il tetto di tegole colorate e il carattere della doppia felicit. cadente. Su di-verse case, qualcuno, col gesso, ha tracciato delle croci e su quanto rimane delle vecchie mura della citt. la stessa mano ha scritto in latino: Abbiamo Iddio . Per strada ho incontrato bambini che chiedevano l'elemosina, due pazzi che parlavano al vento, una donna epilettica che si rotolava per terra, un vec-chio intellettuale che, tornato a Pingyao dopo vent'anni di cam-po di lavoro, vendeva sui marciapiedi i resti della propria bi-blioteca, per sopravvivere.

Un ex seminarista, parlandomi in latino in modo da non essere capito dalla folla che mi seguiva, mi ha raccontato la storia

della locale comunit. cristiana. Uscendo dalla porta della citt., mi sono imbattuto in un gruppo di almeno duecento giovani con la testa rapata che, sorvegliati da quattro poliziotti in uniforme, ritornavano in prigione dopo una giornata di rieducazione in una vicina cava di pietra.

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Nonostante tutte le precauzioni, la riapertura dei templi a uso dei turisti stranieri sta creando problemi alle autorit. comuniste.

Innanzitutto con la loro stessa gente. Adesso che i contadini vedono i loro vecchi luoghi di preghiera usati di nuovo, ora che

sanno che alcuni dei loro dei sono di nuovo sugli altari, non possono resistere alla vecchia attrazione.

Debbono essere venuti di notte, dice il monaco del Tempio che vola, indicando una statua d'argilla cui miste-riosamente qualcuno ha messo un bel mantello rosso e ricamato sulle spalle. Secondo la credenza locale, quella statua di donna con un bambino in grembo ha la capacit. di far avere figli alle coppie senza prole, e il mantello rosso doveva essere l'offerta segreta di qualcuno che chiedeva un figlio maschio.

In passato c'era un dio per ogni cosa, una speciale protezione

del Cielo per ogni circostanza. Se non pioveva e il raccolto stava per seccare, la gente sapeva a chi rivolgere le proprie pre-

ghiere; se qualcuno si ammalava, sapeva cercare il rimedio in un certo monastero. I monaci non amministravano soltanto ideogrammi scritti su pezzi di carta che andavano bruciati e le cui ceneri venivano ingerite sciolte in acqua di sorgente; i monaci preparavano anche speciali pozioni fatte con erbe par-ticolari che solo loro sapevano dove e quando cogliere. Trent'anni di socialismo scientifico, di educazione marxista, di campagne ideologiche contro la religione, contro la supersti-zione, non hanno spazzato via il potere di quelle secolari cre-denze. Nella contea di Jie Xiu, nel centro dello Shanzi, i con-tadini hanno ripreso ad andare in un famoso, isolato monastero alla ricerca di una speciale medicina, e anche automobili di fun-zionari del partito sono state viste parcheggiate ai piedi della montagna.

I vecchi spiriti del mondo soprannaturale dei cinesi non

hanno perso del tutto il loro fascino, e il Quotidiano del Popolo dovuto intervenire recentemente per criticare i contadi-

ni che vanno a frotte a scalare il monte Tai per ringraziare la dea che presiede all'agricoltura per l'ottimo raccolto di quest'anno. I ricordi del passato indugiano ancora nelle menti della gente che stata disorientata e resa insicura da tutte le direttive po-litiche degli ultimi trent'anni. Le leggende di un tempo affascinano ancora.

Al mercato di Hung Yuan, una vecchia seduta sulla terra battuta vende delle tartarughe e racconta alla folla che le si fa at-

torno la storia delle origini di quell'animale. La tartaruga fu creata da Dio assieme all'uomo per essergli d'aiuto nella vita, dice la donna. La gente ascolta affascinata. Nella tradizione cinese, la tartaruga protagonista di innumere-voli gesta. Fu la tartaruga ad aiutare il primo imperatore a do-mare le acque del Fiume Giallo, ed per questo che, per ricom-pensa, le fu concesso di vivere per diecimila anni. Fu in base ai segni sulla schiena della tartaruga che i cinesi stabilirono il loro calendario e fissarono le stagioni per la semina e il raccolto. Fu a delle tartarughe di pietra che i cinesi affidarono le stele che recavano scritta la storia dei vari imperatori e dei villaggi. La tartaruga il simbolo della longevit., della forza, della perseveranza dei cinesi.

La tartaruga conosce i segreti del cielo e della terra , dice la vecchia indicando i segni misteriosi sul suo guscio. Il presidente Mao ha mutato il corso dei fiumi, ha spostato le montagne, ma non riuscito a cambiare la forma della tar-taruga. La folla ride e la vecchia continua a raccontare la sua storia.

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11. ttimo per l'individuo, ottimo per la patria

La rinascita delle arti marziali

maestro... sono pronto. Nessun sacrificio mi scoragger.. Nessuna privazione mi fermer.. Lasciatemi venire e sar. vostro de voto discepolo... La

lettera era arrivata dalla lontana Europa

il vecchio abate del monastero di Shaolin, nascosto tra le aride

rocciose scarpate di Song Shan, la montagna sacra della Cina

centrale, nella provincia di Henan, non pot leggerla e cos

pass. alla polizia. L la lettera si perse tra la massa di altre lettere simili, scritte da giovani di tutto il mondo per supplicare ed essere

accolti come discepoli dai monaci del famoso tempio d ve pi- di 1400 anni fa nacquero il buddismo Zen e l'arte mortale del Kung fu.

L'aspirante europeo non ricevette mai risposta. Tanto meglio

per lui. Se gli fosse stato permesso di venire a Shaolin, avrebbe ricevuto un duro colpo: gran parte del monastero in rovina, le

statue di Budda sono nuove e di gesso dipinto, i pochi monaci

sopravvissuti sono vecchi e tremanti, incapaci di alzarsi dal letto e ancor pi- di spaccare mattoni coi loro pugni o di saltare i

pi- pari al di l. di alti muri. I giovani novizi sono deboli e pallidi, alcuni persine storpi. Il Kung fu non pi- praticato nel tempio; la famosa

sala, dove attraverso i secoli monaci in addestramento hanno battuto i loro piedi callosi per terra facendo

avvallare il pavimento di pietra, coperta di polvere. Gli unici

pali di legno alti due metri, sulla cima dei quali i vecchi maestr

facevano saltare e rincorrersi i novizi per aumentare la loro agilit. e rafforzare il loro senso dell'equilibrio, sono fuori uso, sepolti nella sabbia

Gli unici monaci lottatori che si vedono in giro sono quelli

dipinti negli affreschi del tempio che, in passato, gli apprendisti

usavano come fossero un libro di testo per imparare i colpi mortali tra una seduta di meditazione e l'altra.

Shaolin Si, il Monastero della Giovane Foresta, oggi,non un centro n' di meditazione buddista n' d'arte marziale. semplicemente un'ennesima

altrazione turistica dove ogni giorno centinaia di cinesi, e per ora solo alcuni turisti stranieri, vengono portati a curiosare tra i poco ispiranti

cortili del tempio, le bancarelle gestite da monaci che vendono cianfrusaglie souvenir, tra cui - colmo delPassurdil. - dei piccoli crocifissi con la parola Cristo sul retro.

La rinascita del Kung fu ci ha procurato un sacco di affari e ci sta aiutando a modernizzare la nostra regione, dice Wang Zhizhou, direttore dell'ufficio Affari Esteri di Deng Feng, la capitale della contea a diciassette chilometri dal monastero.

La rinascita del Kungfu cominciata quattro anni fa, quando

le autorit. di Pechino decisero di riaprire il tempio e di permettere a una societ. cinematografica di Hong Kong di ambientarvi

il primo film di Kung fu mai girato in Cina.

Basato su un famoso episodio della storia cinese, il film, in-

titolalo // tempio di Shaolin, racconta le vicende dell'imperatore

Tai Zong, fondatore nel vii secolo della dinastia Tang, il quale

una volta, inseguito dai nemici, venne salvato da tredici nobili

monaci di Shaolin capeggiati da un giovane novizio, Zhang il

Tigrotto. Il film, pieno di scene sensazionali, di combattimenti

violentissimi e sanguinosi, un puro divertimento privo dei messaggi politici che gravano su ogni altra opera prodotta in Cina,

ha avuto uno strepitoso successo. stato proiettato per settimane nelle sale cinematografiche gremitissime di tutto il paese ed

stato all'origine della nuova voga delle arti marziali che sta facendo impazzire i giovani della Cina.

L'attore principale del film diventato un idolo nazionale ( oggi uno dei pochissimi cittadini della Repubblica Popolare a possedere un'auto privata), associazioni di arti marziali sono sorte in ogni provincia con milioni e milioni di iscritti, e sem-pre pi- numerosi sono coloro che sognano di poter studiare il Kung fu qui, nel luogo in cui nato.

In soli sei mesi pi- di ventimila persone hanno scritto al monastero; pi- di cento ragazzi, fra cui un bambino di nove anni,

dopo aver visto il film sono scappati di casa per venire in treno,

in barca, a piedi, in autobus a bussare alle porte di Shaolin sperando, come nella leggenda, di essere presi dai vecchi monaci

come discepoli.

Li abbiamo rimandati tutti a casa. Siamo uno Stato socialista e anche il Kung fu va insegnato secondo il piano dello Stato, mi spiega serissimo

Liang Yichang, vicedirettore dell'Associazione per le arti marziali di Shaolin, un'organizzazione appena creata dal Partito Comunista per prendere in

mano l'insegnamento di tutte le arti marziali, un tempo monopolio gelosamente custodito dai monaci buddisti.

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Shaolin fu fondato nel 477 dopo Cristo come centro per i monaci indiani venuti ad aiutare gli studiosi cinesi a tradurre dal sanscrito i testi sacri del buddismo appena propagatosi nel-l'Impero di Mezzo. Tra di loro c'era un principe indiano di no-me Bodhidarma, meglio noto in Cina e in Giappone come Da Mo o Damma, fondatore della setta Zen.

Da Mo arriv. a Shaolin nell'anno 520 dopo aver attraversato il Fiume Giallo - cos vuole la leggenda - su una frasca di bamb-. Per guadagnarsi dei meriti. Da Mo and. ad abitare in una caverna isolata sulla vetta della montagna alle spalle di Shaolin e l trascorse nove anni, seduto, immobile, in medita-zione dinanzi a una grande pietra. La caverna , oggi come al-lora, inaccessibile, ma un contadino intraprendente sta mettendo insieme una piccola fortuna, affittando ai turisti di passaggio, per cinque centesimi, un cannocchiale comprato a Pechino per-ch' possano dare un'occhiata a un buco nero, lontano, alto sulla montagna.

La pietra sulla quale, secondo la leggenda, si impresse la figura di Da Mo in meditazione stata tolta dalla caverna e viene

mostrata ai turisti fra le altre sacre reliquie nel tempio princi-pale. Fu per compensare l'immobilit. della meditazione che Da Mo e dopo di lui i suoi discepoli tra cui il suo prediletto che una volta si mozz. un braccio pur di attirare l'attenzione del Maestro svilupparono una serie di esercizi intesi a rilassare i muscoli.

A quel tempo Shaoiin era circondato da una grande foresta, e

fu studiando i movimenti degli animali selvatici che i monaci

diedero vita alla loro specialissima forma di ginnastica. I monaci osservarono come i vari animali combattono, come attac-

cano, come si difendono e di ciascuno di essi cercarono di in-dividuare il punto forte: lo strisciare del serpente, il saltare della scimmia, il balzare della tigre, il danzare della mantide. Siccome i monaci vivevano isolati ed erano spesso vittime di ladri e banditi, i loro esercizi si svilupparono presto in autodi-fesa, e Shaolin divenne uno specialissimo monastero dove le lunghe ore di immobile e silenziosa meditazione venivano in-tercalate da altrettanto lunghe ore di violenti e rumorosi esercizi in cui vecchi e giovani monaci si cimentavano, imitando i gesti degli animali.

Il buddismo Zen e il Kung fu sono nati assieme, come due

facce di una stessa medaglia, come due modi per raggiungere lo

stesso scopo: la pace interiore , dice De Chan, il settantasettenne abate di Shaolin ora confinato nel suo letto. Noi combinia-

mo la concentrazione spirituale con la forza fisica in un'armo-nia di corpo e di mente. L'uno non pu. esistere senza l'altra. Disciplina rigida fu la prima regola del monastero, e presto i monaci, per le loro abilit., divennero famosi in tutto il paese. Contadini chiesero il loro aiuto per combattere banditi e despo-ti; imperatori si rivolsero a loro per restare sul trono. Il mona-stero ricevette onorificenze, doni, privilegi, e Shaolin crebbe in dimensioni, ricchezze e fama. All'apice della sua storia, Shao-lin ebbe duemila monaci, cinquecento dei quali lottatori. Durante la dinastia Ming il tempio invit. da ogni parte della Cina i migliori maestri delle varie arti marziali e da allora i monaci aggiunsero ai loro tradizionali esercizi l'uso di diciotto armi diverse: dalla semplice spada, alla lancia, al tridente che vola, al martello meteorico.

Ciononostante, l'arma pi- micidiale di tutte rimase il corpo umano, che i monaci avevano imparato a rafforzare con anni e anni di durissimi esercizi che non sono mutati col passare dei secoli. Le mani sono le porte che tengono lontano il nemico. I piedi sono il maglio per ucciderlo, afferma un ex monaco di Shaolin che ora lavora come istruttore presso l'Associazione di Deng Feng.

Per rafforzare le mani, ai discepoli veniva dato un sacco di

fagioli in cui per ore e ore i giovani dovevano con forza con-

ficcare le mani. Dopo due o tre anni i fagioli erano sostituiti

con sabbia e l'esercizio veniva ripetuto almeno due volte al

giorno finch' le punte delle dita non diventavano come aghi

d'acciaio capaci di tirar via in un sol colpo il cuore dal petto di

un nemico (cos almeno mi dice uno dei vecchi monaci). Per

rafforzare il palmo della mano, i novizi dovevano batterlo ripe-

tutamente contro una superfcie coperta prima di sassolini poi

di limatura di ferro. Per rafforzare i pugni, i novizi colpivano

una risma di mille fogli di carta incollati sul muro. Col passare

degli anni la carta veniva distrutta dai colpi e alla fine il gio-

vane monaco si trovava a dare, con tutta la sua forza, pugni

contro la pietra. Per rafforzare le gambe, i giovani apprendisti

venivano fatti correre attorno al recinto del tempio con sacchi

di sabbia di dieci chili legati sotto le ginocchia. Per indurire le

teste, dovevano batterle ogni giorno con un bastone di legno e,

dopo alcuni anni, con un mattone. Per migliorare la loro capacit.

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di resistenza, i novizi facevano esercizi di Qigong, un si-

stema di respirazione profonda e controllata inteso a esercitare

la forza di volont. e a far giungere a certe parti dimenticate del

corpo le energie vitali. Per aguzzare la vista, i giovani monaci dovevano gettarsi acqua fredda negli occhi cercando di

mantenerli spalancati; la notte, dovevano guardare fissi la luna, in seguito il sole che sorge, per almeno quindici minuti. Per affinare l'udito, dovevano, a occhi chiusi, ascoltare il rumore del vento e cercare di individuarne la direzione, imitando anche in questo Da Mo che, dopo nove anni nella caverna, si dice fos-se capace di sentire le formiche camminare e di indovinarne le direzioni di marcia.

Normalmente i novizi venivano ammessi al tempio all'et. di undici anni, ma ce n'erano anche di molto pi- giovani. La pri-ma prova cui venivano sottoposti era il letto. Cinque pali venivano conficcati in una parete a due metri da terra. Su quelli il discepolo doveva dormire. Se nel sonno cadeva, i maestri lo battevano. Dopo quindici o venti anni di duri esercizi arrivava il gran giorno della prova finale: il discepolo veniva messo nel-l'angolo pi- lontano del tempio e il Sommo Abate gli ordinava di uscire dalla porta principale. Trentasei maestri di Kung fu gli sbarravano la strada, ognuno con la possibilit. di un sol colpo, di una sola manovra per bloccarlo. Se il discepolo riusciva a superarli tutti e a uscire dal tempio, veniva promosso monaco di Shaolin, altrimenti restava apprendista. A chi aveva successo veniva dato un lungo bastone di legno che rest. per secoli il simbolo delle arti marziali di Shaolin.

Ai monaci di un tempo era proibito, sotto giuramento, di toc-care carne, vino, donne e soprattutto di insegnare i segreti del Kung fu ad altri che non fossero i novizi del tempio. I monaci, inoltre, non dovevano uccidere, ma questa proibizione divent. col tempo molto elastica. Un vecchio modo di dire di Shaolin suona: Se un tiranno vivo, diecimila innocenti non dormono in pace, e con ci. divenne un gran merito sbarazzare il mondo dai tiranni o altra gente definita tale.

La giornata del novizio al tempio cominciava alle quattro del mattino e finiva la sera alle dieci. Cinque ore al giorno erano dedicate all'addestramento fisico, il resto della giornata alla meditazione, allo studio e al canto dei sutra.

All'inizio era molto dura e ho pianto tante volte, ma ho im-

parato presto a vincere il dolore con la concentrazione , racconta l'abate De Chan, che i genitori accompagnarono fino ai

gradini del tempio all'et. di sette anni per non rivederlo mai pi-. Essere uno dei monaci di Shaolin e non praticare il Kung fu sarebbe stata una vergogna. La combinazione degli esercizi fisici con quelli spirituali avrebbe permesso ai monaci di. Shaolin di compiere le incredi-bili gesta che la leggenda attribuisce loro: volare sopra le mura di una citt. col solo aiuto di un'asta, balzare da terra sul tetto delle case, mandare in mille pezzi una spessa porta di legno con un solo calcio.

Le avventure dei monaci di Shaolin hanno, per secoli, fatto

parte del folclore della Cina, dove tutti i bambini sapevano del

monaco che lott. contro mille nemici con un semplice bastone,

facendo finta di essere ubriaco (il bastone ubriaco oggi fra

i normali esercizi del Kung fu), o del monaco-cuoco che, durante una rivolta di contadini, tenne a bada una folla irata con

un attizzatoio, mentre gli altri monaci continuavano indisturbati le loro meditazioni.

I monaci di Shaolin vennero meno alla loro reputazione di grandi lottatori al tempo della Rivoluzione Culturale. Quando le Guardie Rosse, nel 1966, arrivarono qui per eliminare le vestigia del passato, nessuno dei duecento monaci che erano sopravvissuti sotto il regime comunista oppose resistenza. Le statue di Budda furono abbattute e fatte a pezzi, i muri vennero impiastricciati di slogan maoisti, la maggior parte dei monaci fu mandata a lavorare nei campi, un gruppo dei pi- vecchi venne messo sotto chiave in un cortile separato del tempio, e Shaolin fu chiuso. Tutta la letteratura cavalieresca concernente Shaolin fin alle fiamme, e anche la semplice pratica del Kung fu venne attaccata dagli ideologi comunisti del tempo come immondi-zia feudale.

La tradizione di Shaolin, per., sopravvisse, anche se fuori della Cina. Tutte le arti marziali del mondo sono nate a Shao-lin, un vecchio modo di dire cinese; ed vero che gli esperti di varie forme di lotta, dal judo al karat' giapponese, al kendo coreano, considerano il vecchio tempio nella provincia di He-nan come il sacro luogo d'origine della loro arte. All'inizio degli anni '60, King Wu, un regista di Hong Kong, lanci. con il film Un tocco di Zen un nuovo genere di western cinese, appunto basato sulle avventure dei monaci di Shaolin.

L'industria cinematografica di Hong Kong prese la palla al balzo

[PAGINA 95] e una dozzina di film, che avevano per protagonista Bruce Lee, fecero diventare il Kung fu uno sport popolarissimo prima nel Sud-Est asiatico, poi in tutto il mondo.

Dopo la morte di Mao e la caduta della Banda dei Quattro nel 1976, i nuovi dirigenti cinesi si resero conto che il Kung fu era una vera miniera d'oro e che era assurdo lasciarla sfruttare ad altri i quali, dopotutto, non avevano neppure il tempio di Shaolin. Fu cos che Pechino decise di investire danaro per la riparazione e la riapertura del tempio, che alcuni monaci ven-nero ripescati, riabilitati e rimessi a vivere a Shaolin. E fu cos che la povera, grigia Deng Feng, la cittadina ai piedi del Song Shan, la montagna sacra che nel frattempo era stata spogliata di tutte le sue celebri foreste, fu messa sulla carta turistica della Cina.

Il Kung fu torn. di moda e la stampa ufficiale cominci. a promuovere le arti marziali con lo slogan: Ottimo per l'indi-viduo, ottimo per la patria. La rivista Cina Sportiva incorag-gi. le ragazze a imparare il Kung fu per difendersi dai mole-statori (Nessuno sar. ansioso di ricevere questo calcio, scri-ve la rivista sotto la foto di una donna che mette un uomo ko. Avvertendo un terribile dolore ai genitali, lascer. la presa e a questo punto potrete assestargli un colpo che non dimenticher. mai ).

// Quotidiano della Cina ha scoperto che uno dei pi- vecchi

maestri di Kung fu del paese, un uomo di novantanove anni che

ora vive a Harbin, impar. i suoi primi colpi dai Boxer, quando

la societ. segreta cerc. di uccidere gli stranieri di Pechino nel

1900. venuto anche fuori che Chu Enlai aveva studiato il

Kung fu quand'era giovane. La rivista Le arti marziali ha pub-

blicato un lungo articolo su un personaggio in Cina molto noto,

il generale Xu Shiyou, colui che comand. l'unica divisione di

cavalleria durante la Lunga Marcia, che a 79 anni vicepresi-

dente della commissione consultiva del partito e che - si scopre

oggi - pass. otto anni della sua vita, da ragazzo, nel tempio di

Shaolin, dove impar. i segreti del Kung fu. Aneddoti sulle abi-

lit. del generale-lottatore sono stati riferiti da vari giornali per

giovani. Si appreso cos che, durante la guerra contro i giap-

ponesi, Xu Shiyou salt. un fosso largo sei metri; che, durante la

campagna del 1950 per insediarsi nelle terre vergini del paese,

il generale andava in giro a sradicare alberi con le mani; che

una volta a Shanghai umili. con la sua incredibile forza un'energumeno esperto sovietico che lo aveva sfidato a smuovere un Icone d pietra

all'uscita di un ristorante. Il russo non riusc neppure a farlo spostare d'un millimetro, Xu Shiyou se lo mise sotto il braccio e and. via.

Il film sul monastero e, al tempo stesso, un romanzo sceneg-giato giapponese sul tema del judo trasmesso dalla televisione cinese hanno dato l'ultimo tocco alla febbre del Kung fu. La sonnolenta contea di Deng Feng, a sud del Fiume Giallo, stata invasa da una marea di persone che volevano vedere il tempio sacro e imparare i segreti che vi si conservavano. Per accogliere i gruppi turistici, le autorit. del luogo hanno costrui-to un motel, mentre sono comparse per i viaggiatori meno ab-bienti una dozzina di gan dan (alberghi asciutti, cio senza il servizio dell'acqua) gestiti da privati. Un'autostrada larga dieci metri stata aperta fra Deng Feng e il tempio; un negozio dell'amicizia ha cominciato a funzionare, accanto all'ingresso di Shaolin, vendendo Coca Cola e birra. L'Associazione per le arti marziali stata costituita per addestrare giovani lottatori e per organizzare speciali rappresentazioni di Kung fu per i turi-sti, ovviamente... a pagamento. Al momento, i lottatori mettono in scena il loro spettacolino nello spiazzo per gli autobus da-vanti al motel.

Incoraggiati dalle nuove direttive di Deng Xiaoping, che ha concesso ai contadini la libert. di arricchirsi, la gente del luogo ha aperto piccoli laboratori dove vengono prodotti ricordi di Shaolin, ha impiantato bancarelle che vendono cibo e bevande, mentre alcuni contadini affittano i loro cavalli ai turisti che vo-gliono essere fotografati davanti ai 230 stupa del cimitero di pietra , dove sono sepolti i grandi maestri di Kung fu del pas-sato.

Esiste poi un fiorente commercio di manuali per chi voglia imparare il Kung fu da s', e di libri con storie e leggende di Shaolin. L'ultimo volume, ora messo in vendita dagli stessi mo-naci, intitolato Ricette segrete per guarire lesioni causate da cadute e da colpi, e spiega come trovare certe erbe in monta-gna, come seccarle, e come bollirle nell'urina di bambini. (La miglior urina quella del mattino, del primo maschio della fa-miglia. )

Per far fronte alle migliaia di lettere, alcune scritte col san-gue, di giovani che vogliono imparare il Kung fu, le autorit. hanno consentito l'apertura di scuole-palestre a Deng Feng.

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E gli stranieri? chiedo.

Abbiamo ricevuto lettere da tutti gli angoli del mondo, dice il direttore degli Affari Esteri della contea. Alcuni sono disposti a tutto pur di venire qui, ma questa una cosa che non possiamo decidere noi. Il permesso deve venire da Pechino. Per il momento Pechino permessi simili non li da. Nelle scuole cresciute attorno al tempio ci sono 500 bambini che studiano le arti marziali: 300 sono di qui, 200 vengono da altre parti, anche lontane, della Cina.

Ho visto il film e ho supplicato i miei genitori di mandarmi qui. Voglio studiare bene, e forse un giorno potr. anch'io esse-re in un film, dice un ragazzine timido e magro arrivato qui un anno fa da un villaggio nella provincia di Guizhou, a due-mila chilometri di distanza. Rimarr. a Deng Feng per cinque anni.

La scuola si trova in una fornace abbandonata ai piedi della

montagna, sulla via della pagoda di mattoni di Song Yeu, il pi-

vecchio edificio di questo tipo in Cina. La vita dei ragazzi

spartana: tutti e tredici (due sono ragazze) dormono su un pancone di legno e mangiano in un refettorio. Sveglia alle sei, corsa e, tutto il giorno,

esercizi e studio. Bench' i novizi non facciano pi- alcuni degli esercizi dolorosissimi dei novizi di un tempo, le loro mani e i loro piedi sono pieni di piaghe, vesciche e graffi causati dal ripetuto picchiare contro i sacchi di sabbia.

La scuola gestita da una cooperativa agricola, la quale ha

pensato bene di impiegare uno dei suoi contadini che era stato

monaco di Shaolin fino all'arrivo dei comunisti nel 1949. La

retta che gli studenti pagano, e che comprende vitto, alloggio

e lezioni di Kung fu, di 30 yuan al mese. Per la cooperativa

agricola un buon affare, per gli studenti che la frequentano

un investimento (30 yuan corrispondono alla met. di uno stipendio medio operaio): in un paese dove la disoccupazione

fra i giovani in aumento, essere maestro di Kung fu, ora che i vecchi si stanno estinguendo, vuol dire certezza di lavoro ed eventualmente anche di fama.

Di queste scuole gestite dalle cooperative ne esistono una

dozzina, mentre altre tre sono amministrate dalle scuole della

contea. Inoltre ci sono alcuni contadini che, affermando di es-

sere stati monaci nel tempio, hanno cominciato a prendere a

pensione dei giovani e a dare loro lezioni private per 25 yuan

al mese. Non tutti gli allievi sono soddisfatti. Volevo imparare ad attraversare i muri e a saltare sui tetti, ma qui tutto quello

che mi fanno fare ginnastica, dice un ragazzo di quindici anni venuto dalla Manciuria.

Gli istruttori di Kung fu di Deng Feng dicono che la delusione fra gli studenti comune nelle prime settimane, ma che poi

passa e che quasi nessuno se ne va, una volta che stato ammesso. Il problema che molti giovani arrivano con idee sba-

gliate. Pensano che il Kung fu sia quello che vedono al cine-ma, dichiara il preside della scuola numero 15 di Deng Feng.

Noi non possiamo insegnare a fare miracoli.

A parte i miracoli , le scuole di arti marziali di Deng Feng, ora, sotto la supervisione delle autorit. comuniste locali, non insegnano nemmeno alcune mosse classiche del Kung fu, tipo il colpo assassino della tigre e il calcio mortale del bue, con cui si pu. uccidere un avversario. Queste mosse sono troppo pericolose e lo Stato non incoraggia simili attivit., af-ferma Liang Yichang, vicedirettore dell'Associazione per le arti marziali, discendente da una famiglia di grandi maestri di Kung fu e che, grazie a quell'arte, scamp. alla morte quando, da gio-vane, una banda di ladri entr. nella sua casa e lui solo con i fratelli ancora piccoli riusc a metterli in fuga con una serie di colpi.

Il Kung fu non ha bisogno di essere cos mortale come lo

era una volta. Ora dobbiamo addestrare dei bravi lottatori, ma

anche dei bravi cittadini.

Oggi gli studenti di Kung fu non prestano pi- i giuramenti

che venivano fatti dai monaci di Shaolin. Hanno per. un giuramento tutto loro. Parte dell'addestramento consiste nell'inse-

gnare agli studenti i cinque accenti e i tre amori , dice il mae-stro Liang riferendosi alle virt-, pi- o meno confuciane, che il Partito Comunista sta tentando di rilanciare fra i giovani.

La rinascita del Kung fu ha creato all'interno del paese un

enorme interesse per qualsiasi cosa abbia a che fare con Shao-

lin. False medicine di Shaolin sono vendute alle fiere di tutta la

Cina, gente che pretende di essere stata allieva a Shaolin si of-

fre di dare lezioni, e di recente il Quotidiano del Popolo ha

messo in guardia contro gli impostori. Al tempo stesso, la rina-

scita del Kung fu ha suscitato anche qualche ansia tra i funzionari cinesi, alcuni dei quali guardano ancora alle arti marziali

come a qualcosa del passato che glorifica la societ. feudale e

fa pensare ai giovani che era meglio vivere mille anni fa anzi che

[PAGINA 97] lavorare oggi per la modernizzazione del paese (cos dice un giornalista). Il Giornale dello sport ha dovuto ricordare ai suoi lettori che il fine del Kung fu di rendersi utile alla so-ciet. .

Certo che il Kung fu si reso utile a Deng Feng, dove, secondo il piano approvato da Pechino, il Kung fu sar. al cen-tro dello sviluppo economico di questa regione, sar. la grande attrazione turistica, la merc' pi- importante per l'esportazione in questa povera contea fino a poco tempo fa sconosciuta, isolata e arretrata. A settembre, quattro asili inizieranno, in fase sperimentale, corsi di Kung fu per i piccolissimi; il numero di scuole elemen-tari e medie che si specializzeranno nell'insegnamento del Kung fu verr. raddoppiato, e un numero sempre maggiore di studenti potranno iscriversi giungendo da ogni parte della Cina. Le attrezzature turistiche della contea verranno ingrandite con l'aiuto di societ. di Hong Kong. Tra cinque anni Deng Feng comincer. a sfornare i primi laureati in Kung fu (ci vogliono dai sei agli otto anni per diventare un buon professio-nista) e si prevede che allora il totale degli studenti si aggirer. attorno ai 15.000.

Sar. Deng Feng a fornire all'intera Cina i maestri di Kung

fu, dichiara con orgoglio Wu Chende, della commissione provinciale per lo sport.Che cosa ha a che fare tutto questo con il monastero? Che cosa con i monaci?

Le arti marziali non hanno bisogno del buddismo per vive-re, dice Wang, dell'ufficio Esteri. I monaci si occupino della religione che noi ci occupiamo dello sport. In verit., gli undici monaci che vivono ora nel complesso di Shaolin non sono neppure liberi di occuparsi della religione perch' lo Stato, che incoraggia e finanzia la rinascita del Kung fu, non incoraggia affatto la rinascita del buddismo, anzi non la vuole. Il monastero di Shaolin ora controllato da tre unit. diverse (l'ufficio per i Beni Culturali, l'Associazione patriotti-ca buddista e... l'ufficio per i Parchi e i Divertimenti): tutte e tre le unit. sono sotto il controllo del Partito Comunista e i monaci che vivono di nuovo nel tempio non hanno il permesso di fare proseliti, di insegnare la religione, o di scegliere i loro discepoli.

Molti giovani sono venuti qui perch' volevano diventare

monaci, ma abbiamo dovuto rifiutarli, afferma l'abate De

Chan. Solo lo Stato pu. fare questa scelta, e allo Stato piac-

ciono coloro che hanno una buona motivazione e buona fac-

cia.

Negli anni passati quattordici novizi sono stati reclutati dallo

Stato per il monastero: tre sono stati mandati a studiare il buddismo a Nanchino, gli altri lavorano come assistenti dei vecchi

monaci. Quello assegnato a De Chan zoppo e tonto, e sembra che lo Stato lo abbia mandato qui perch' non sapeva altrimenti che farsene.

I vecchi monaci stanno morendo e ce ne occorrono di nuovi per tenere in vita Shaolin, dice in tutta onest. un funzionario della provincia.

ovvio: il monastero un elemento indispensabile per la rinascita e lo sfruttamento del Kung fu, sia come sport sia come attrazione turistica; ed per questo che Shaolin stato riaperto, che sono stati fatti investimenti e che i vecchi monaci soprav-vissuti alla Rivoluzione Culturale sono stati riportati qui a far da comparse su questo palcoscenico rimesso a nuovo. L'ultimo ad arrivare stato l'abate Hai De, ottantaquattro anni, famoso perch' da giovane era capace di restare in aria appoggiandosi solo con due dita per terra e perch' da sessan-t'anni a questa parte non ha mai dormito in un letto, bens se-duto come, nella sua caverna, fece Da Mo, che 1400 anni fa cre. questa inseparabile combinazione di Kung fu e di medita-zione.

Ora, questa tradizionale unit. di meditazione e azione finita

proprio qui dove nacque. Buddismo e Kung fu debbono per for-

za avere un destino diverso. Seduto sul suo letto, l'abate De

Chan si accarezza le lunghe sopracciglia e, guardando nel vuoto, sorride come ci scoprisse cose che io non riesco a immaginare: Il futuro del

buddismo, con i miei occhi, non riesco a vederlo, ma vedo quello del Kung fu. Ce l'ho tutto attorno.

Accanto alle mura rosso-sangue del tempio, squadre di operai stanno tirando su le pareti di una palestra di Kung fu, mentre

altri scavano le fondamenta di un nuovo albergo per turisti.

[PAGINA 97]

12. Il miglior bambino un bambino morto

La politica per il controllo delle nascite

una giovane vedova affoga i suoi due bambini in un laghetto di Canton, in modo da potersi risposare e riavere il diritto al pri-mo figlio col nuovo marito. Una contadina dello Shandong che sta per partorire implora la levatrice di soffocare il neonate nel caso si tratti di una bambina, cos il marito non la riempir. di botte e lei potr. riprovare con una nuova gravidanza e dargli un maschio. Un gruppo di donne incinte, alcune gi. di otto me-si, vengono arrestate nel villaggio di Dongguang, ammanettate, fatte salire su dei camion e portate, fra urla e pianti, ad abortire.

Cose che avvengono in Cina. La severissima politica per il

controllo delle nascite adottata quattro anni fa provoca queste

altre aberrazioni, ma non c' dubbio che il paese aveva bisogne

di correre in qualche modo ai ripari. I mezzi impiegati dalle

autorit. di Pechino per intervenire, letteralmente, fin nel venir

della gente possono essere discutibili, ma il fine sacrosanto:

dal 1949 a oggi la popolazione cinese raddoppiata, la terra

coltivabile diminuita e la quantit. media di cereali che un cinese ha oggi a disposizione esattamente la met. di quella che

aveva al tempo della dinastia Tang, duemila anni fa.

Nonostante siano pregati e consigliati di fare un solo figlio,

nonostante siano minacciati con sanzioni economiche e sociali,

i cinesi continuano a riprodursi e ad aumentare. Ogni due secondi ne nasce uno. Ogni giorno ne nascono 43.200. Ogni anno

sedici milioni di nuovi cinesi vanno ad aggiungersi al miliardo gi. registrato dal recente censimento.

Se continuano a riprodursi al ritmo medio di due-tr' figli pe famiglia, i cinesi finiranno per essere oltre quattro miliardi nel giro di cent'anni e con ci. resteranno condannati alla miseria al sottosviluppo.

A meno che la popolazione resti al disotto del miliardo duecento milioni, il nostro livello di vita, alla fine del secolo, non sar. migliore di quello attuale, ha scritto il giornale Chine Daily.

Non c' bisogno di essere grandi esperti per capire che tutto

ci. che la Cina ora, a costo di grandi sforzi, riesce a produrre il

pi- viene immediatamente inghiottito dalla popolazione inecesso, e che il grande piano di Deng Xiaoping di modernizzare

il paese per l'anno Duemila resta una pura illusione.

Fra gli errori commessi da Mao Tsetung, quello di non badare ai numeri stato fra i pi- disastrosi per le sue conseguenze

a lungo termine. Pi- gente vuol dire pi- idee, pi- entusiasmo, pi- energie, disse una volta il Grande Timoniere. Quella frase divenne vangelo in fatto di politica demografica, e il professor Ma Yinchun, che gi. negli anni '50 aveva osato criticare Mao affermando che una politica simile portava il paese alla rovina, venne tacciato di reazionarismo e messo a tacere. Solo uno che non ha amore per il popolo pu. chiedere al popolo di non far figli , si disse di lui.

Il professor Ma, ovviamente, aveva ragione, ma il Partito Co-munista cinese ha dovuto aspettare che Mao fosse morto per ammetterlo. Dall'autunno 1980 la nuova politica chiara (un solo figlio per ogni coppia) e l'applicazione severa. Siamo un paese socialista. Visto che pianifichiamo la pro-duzione agricola e quella industriale, possiamo benissimo pia-nificare la produzione della vita, ha detto la signora Chen Mu-hua, membro del Comitato Centrale del partito e la donna pi-altolocata nella gerarchia cinese quando era appunto ministro per la Pianificazione Familiare.

I dettagli variano da regione a regione e da citt. a citt., ma in generale le misure sono: procrastinare il matrimonio e con ci. la procreazione, mettere a disposizione della gente ogni sor-ta di anticoncezionali, facilitare e persino imporre con la forza l'aborto, penalizzare in ogni modo possibile (multe, riduzione dello stipendio, ritiro delle tessere alimentari, sospensione del sussidio scolastico eccetera) la nascita di un secondo figlio. Il rigido sistema di controllo sociale che vige nel paese dal-l'avvento dei comunisti al potere contribuisce all'efficiente ap-plicazione di queste misure. Ogni cittadino in Cina deve appar-tenere a una danwei, a un'unit. di lavoro che pu. essere la fab-brica, la scuola in cui uno insegna o studia, una compagnia tea-trale, la squadra di produzione agricola, l'associazione dei pit-tori, e cos via. La danwei, o meglio il commissario politico che la dirige, ha un ruolo in ogni aspetto della vita dei suoi membri:

la danwei che paga gli stipendi, che decide i trasferimenti, che assegna le case in affitto, che distribuisce le tessere alimentari e i biglietti per il cinema, che da i buoni per comprare la bicicletta o il televisore. ancora la danwei che concede (o non concede)

[PAGINA 98] il permesso di viaggiare, il buono per andare ad abitare in un albergo; la danwei che decide se uno pu. andare a studiare all'estero o a cena a casa di uno straniero. Ed , ovviamente, la danwei che decide se e quando uno pu. far figli.

A te quando tocca?

Tra un paio d'anni. Ho ancora quattro colleghe davanti a me. Questo tipo di conversazione ormai frequentissimo fra le donne in Cina.

Quando una coppia vuole avere il figlio , la donna si mette in lista nella propria danwei e, siccome ogni danwei ha una sua quota di figli, proporzionale al numero dei suoi membri, ognu-no deve aspettare il proprio turno.

Alcune danwei tengono persine il calendario delle mestrua-

zioni delle donne del gruppo, cos che pi- facile pianificare

turni di gravidanza e allo stesso tempo controllare chi, senza

l'autorizzazione, se ne concessa una illegittima. A questo

punto scatta automaticamente il meccanismo dell'aborto. La

danwei si riunisce, la donna viene criticata, accusata di atteggiamento egoista e asociale e convinta dal gruppo ad aspettare

il proprio turno nel caso si tratti del primo figlio, o a farsi ste-rilizzare nel caso si tratti del secondo.

La pressione sociale sull'individuo foltissima e il gruppo

unito nel far osservare le regole, perch' solo se la danwei rispetta il piano di produzione-figli, cos come rispetta quello

della produzione industriale o agricola, i suoi membri ricevono elogi, incentivi materiali e premi di vario genere. Se una donna non accetta di abortire, non soltanto lei e con la sua famiglia a essere penalizzate, ma tutta la danwei.

Nelle citt. il controllo abbastanza facile e ogni amministrazione ha escogitato nuovi regolamenti per impedire che qualcu-

no la faccia franca: a Canton, per esempio, una donna che vo-glia farsi visitare da un medico deve presentarsi col permesso di gravidanza rilasciato dalla danwei; quello stesso permesso poi indispensabile per essere ammessa in un ospedale e par-torire gratis.

Nelle campagne alcuni funzionari di partito ultradiligenti

hanno instaurato delle vere e proprie pattuglie antigravidan-

za che vanno in giro a fermare le donne sospette di essere

incinte e a controllare se hanno il permesso di esserlo. stata

appunto una di queste pattuglie a creare l'incidente di Dong-

guang, dove un giornalista cinese stato testimone del rastrellamento di un gruppo di donne: Alcune erano ammanettate,

altre legate con corde. Furono messe sui camion e portate via tra grandi urla e pianti, ha scritto. Una volta raggiunto l'ospe-dale della contea, alle donne stata fatta un'iniezione e tutte hanno abortito.

In passato l'aborto era fatto abitualmente entro il terzo mese.

Con l'imposizione della politica un solo figlio per coppia,

ora diventato normale abortire fino al nono mese. In alcune

regioni i medici degli ospedali di campagna hanno ricevuto dal

partito l'ordine di non far sopravvivere il terzo o quarto figlio

di una coppia e di dire ai genitori che nato morto. In un ospe-

dale della provincia di Hebei, il segretario del partito ha recentemente fatto appendere uno striscione davanti alla sezione maternit.: Il miglior

bambino un bambino morto, diceva. Ci sono state delle proteste e i medici hanno proclamato uno scio-pero.

Gli aborti forzati, specie in casi di gravidanze gi. avanzate,

provocano spesso tensioni e liti nelle campagne. Tempo fa, in

una Comune della provincia di Shandong, un contadino, la cui

moglie aveva gi. avuto due fglie ed era di nuovo incinta di

otto mesi, fu costretto dal segretario del partito a portare la donna in ospedale per sottoporsi a un aborto. Alla fine dell'opera-

zione il contadino vide che il feto che era appena stato ucciso era quello di un maschio. Perse la testa. And. a casa del segre-tario del partito, agguant. il figlio - di soli tre anni - di costui e glielo sgozz. con un coltellaccio da cucina urlando: Cos sia-mo pari... cos siamo pari.

Dal momento che a tutte le organizzazioni di partito stato

ordinato di applicare con la massima severit. ogni misura per il

controllo delle nascite, molte cliniche mettono, subito dopo il

parto, la spirale intrauterina alle donne che hanno avuto il pri-

mo figlio. Le donne che hanno avuto un terzo o un quarto fi-

glio, invece, vengono, senza il loro consenso, automaticamente

sterilizzate. Togliere le spirali alle donne che, nonostante il di-

vieto, vogliono continuare ad aver figli diventato uno dei lavori neri con cui medicastri e fattucchiere si arricchiscono

nelle campagne. Il prezzo dell'operazione varia dai dieci ai

venti yuan (somma che per un contadino pu. rappresentare

un mezzo stipendio). La stampa ufficiale mette in guardia la

gente contro questi stregoni che spesso utilizzano ganci ar-

rugginiti, ma la pratica continua perch' i medici normali non

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possono fare questo lavoro, e alcuni che ci hanno provato sono stati incriminati come sabotatori della politica per il controllo delle nascite.

Siccome l'applicazione di tale politica affidata alle autorit. locali, agli eccessi che si registrano in certi posti fa riscontro naturalmente una maggiore flessibilit. in altri. Le voci corrono e la gente si gi. fatta una sorta di carta della Cina in cui sono identificate le zone in cui certe cose sono permesse e altre no.

Esiste cos un fenomeno di migrazione interna di donne incinte:

dallo Shandong, dove i controlli, per esempio, sono particolar-mente rigidi, accade che le contadine vadano a trovare dei pa-renti nella provincia dello Shanzi, dove l'applicazione delle regole meno severa. Una volta fatto il figlio, tornano a casa. Al massimo pago la multa, ma il figlio ce l'ho, mi diceva a Linfeng una donna che al secondo mese di gravidanza si era trasferita ad alcune centinaia di chilometri di distanza per non essere costretta ad abortire nel suo villaggio.

A volte simili trucchi, oltre che ai segretari del partito, non

piacciono neppure a qualche vicino geloso, e ci sono stati casi

in cui interi villaggi di contadini hanno attaccato le abitazioni

di chi aveva avuto figli illegittimi , depredandole di ogni oggetto di valore: chi prendeva il letto, chi la radio, chi la teiera.

La polizia, ovviamente, non interveniva ne prima n' dopo. Quando le cose sono fatte un po' pi- legalmente, alla coppia che ha avuto un figlio non dovuto viene imposta una multa, che pu. consistere in una somma unica (di solito quattrocento yuan, trecentomila lire, per il secondo figlio e il doppio per il terzo), o in un pagamento dilazionato lungo alcuni anni. Le multe, pe-r., non sono molto efficaci perch' la gente disposta a fare ogni sacrificio pur di avere quanti figli vuole. In tutta la Cina, specialmente nelle campagne, la politica del figlio unico ha acuito un vecchio, tradizionale problema: l'in-fanticidio delle bambine. Avere un maschio sempre stato il sogno del cinese e, ora che pu. avere solo un figlio, chiaro che ancor pi- di prima vuole che sia del sesso giusto. Un maschio garantisce la continuit. del nome di famiglia, resta nel-l'ambito del nucleo originario ed tenuto a provvedere ai ge-nitori finch' costoro non muoiono. Un maschio un investi-mento; una femmina una perdita, perch' un giorno qualcuno se la sposa e se la porta via.

Le conseguenze sono ovvie: in alcuni villaggi del Guangdong, i contadini hanno preso l'abitudine di tenere un secchio

d'acqua accanto al letto delle partorienti: cos fanno presto ad affogarvi il neonato se risulta femmina. Nella provincia del Kiangsu cadaveri di bambine appena nate sono stati trovati nei fiumi, nelle risaie e persine nelle latrine pubbliche.

Il buttare via le bambine diventato un fenomeno cos

generalizzato che, recentemente, la Rivista di Pechino ha pub-

blicato una nota ricordando ai lettori che l'infanticidio un delitto e che un articolo della legge sul matrimonio dice: L'in-

fanticidio per mezzo di annegamento e ogni altro atto che causi serio danno ai bambini sono assolutamente proibiti (sic!) Il Quotidiano della Giovent- ha lanciato un grido di allarme con un editoriale intitolato Salviamo le bambine. Per la loro incapacit. di fare dei maschi, molte donne vengono picchiate dai mariti, maledette dalle suocere e disprez-zate dai vicini di casa. Alcune, per questo motivo, si sono sui-cidate. I giornali cinesi, specie quelli di provincia, sono stati inondati da storie di maltrattamenti subiti da alcune donne che avevano appena dato alla luce delle bambine.

Una lettera scritta dalla Federazione delle Donne della provincia di Liaoning al Quotidiano dei Lavoratori additava questo

problema come una delle principali fonti delle liti familiari e dei divorzi. La lettera, intitolata Vogliamo una seconda libe-razione, citava vari casi di sevizie subite da donne per mano dei mariti: un elcttricista di Shengyang, per esempio, collegava di tanto in tanto la maniglia della porta di casa ai fili della luce cos che la moglie, colpevole di aver partorito una bambina in-vece di un maschio, prendesse la scossa. Un'altra lettera, scritta con l'aiuto di un maestro locale, racconta poi il caso di un alto funzionario provinciale del partito che, dopo quattro fglie, ha finalmente avuto un maschio e ha festeggiato l'avvenimento con fuochi d'artificio e un gran rinfresco.

Sia il primo ministro Zhao Ziyang sia il segretario generale del partito Hu Yaobang sono intervenuti sull'argomento parlan-do dell'importanza della donna nella societ. e condannando la sopravvivenza di certe idee feudali a proposito delle donne.

Il Quotidiano del Popolo ha inviato due giornalisti a fare

un'inchiesta sulla questione, e l'organo del partito ne ha recen-

temente pubblicato le conclusioni: a parte i bambini malati o

storpi, la stragrande maggioranza dei neonati che vengono ab-

bandonati, mutilati o uccisi sono femmine; la popolazione degli

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orfanotrofi costituita quasi esclusivamente di bambine; in una contea di cui non si fa il nome ci sono stati nel giro di soli due mesi 65 casi di bambini abbandonati, tutti di sesso femminile. Sopravvivere alla nascita, per una bambina, non basta. Xia. Liu, figlia di contadini che vivono nella contea di Li Cheng, aveva gi. quattro anni, quando la madre rimasta di nuovo in-cinta e il padre ha saputo da un indovino che il nascituro sareb-be stato certamente un maschio. Per evitare di pagare la multa per il figlio in pi-, il padre ha deciso di disfarsi di Xiao Liu buttandola in un pozzo. Secondo un articolo del Giornale della Giovent-, che ha denunciato il caso, la bambina urlava ancora:

p.p.... papa mentre il padre, seduto sul bordo del pozzo, fu-mava una sigaretta in attesa che il trambusto in fondo all'acqua cessasse. L'uomo stato arrestato e condannato a quindici anni di prigione. La moglie ha partorito un'altra femmina. Questa disperata ricerca del figlio maschio ha dato la possi-bilit. a qualche scaltro individuo di arricchirsi. Nella provincia di Henan, per esempio, un tale, Cui Yongxian, si vantava di aver scoperto una medicina che, presa nei primi tre mesi di gra-vidanza, assicurava il giusto sesso del nascituro. Sicura al cento per cento era lo slogan di questa pozione per la quale l'uomo aveva fatto stampare 10.000 manifesti pubblicitari. Una dose costava 35 yuan. C' voluto del tempo prima che l'imbro-glione fosse arrestato.

Nelle grandi citt. alcuni ospedali hanno introdotto tecniche moderne per stabilire il sesso del nascituro in modo da poter ricorrere all'aborto se si tratta di una bambina. Alcune pubbli-cazioni scientifiche, e altre destinate ai giovani, hanno fatto pubblicit. a simili tecniche, ma qualche scienziato si opposto chiedendone la proibizione.

Il censimento del 1982 ha stabilito che in Cina il rapporto fra

maschi e femmine di 106,3 maschi contro 100 femmine. Rapporto che non pu. che peggiorare, se l'infanticidio delle bam-

bine continua. Nella provincia di Gansu c' una contea, per esempio, dove, stando alle statistiche, su cento neonati novanta sono maschi. La fine che hanno fatto le femmine la si pu. solo immaginare. La disparit. numerica fra maschi e femmine pericolosa per la nostra societ.. A meno che non si riesca a ri-stabilire l'equilibrio tra i sessi, nel giro di trent'anni saremo pu-niti dalle impietose leggi della natura, ha scritto la rivista di scienze sociali del Gansu.

Un'altra conseguenza della politica del figlio unico preoccu-pa: il cinese adulto di oggi, cresciuto nella guerra civile e nella rivoluzione, una persona forte, abituata a sopravvivere in una grossa famiglia, a farsi valere in mezzo a tanti altri. Fin dalla prima infanzia sapeva che le cose da mangiare dovevano esser divise fra tutti. La politica del controllo delle nascite produce ora una generazione di bambini completamente diversi: solitari, coccolati, superprotetti, superalimentati. Una generazione di vi-ziati.

Un'inchiesta condotta negli asili di Shanghai ha dimostrato che i bambini hanno perso tutte le caratteristiche che avevano un tempo: Non rispettano i genitori, non rispettano le cose che li circondano, fanno storie per il mangiare e per i vestiti, sono egoisti, non si preoccupano degli altri e non sanno aver cura di loro stessi .

Uno studio simile, condotto in un asilo dei quartieri occiden-tali di Pechino, arrivato a questa conclusione: I figli unici sono pi- deboli degli altri. I pedagoghi cinesi si preoccupano di questa tendenza. Trentadue libri sono gi. stati scritti sull'ar-gomento, i pi- cercano di dare consigli ai genitori sul come educare questo tipo di bambini.

Mentre gli esperti si preoccupano delle conseguenze a lunga

scadenza, il partito e il governo cercano di far applicare rigoro-

samente la politica. Dall'inizio del 1983 stata lanciata una

campagna che sottolinea la necessit. del controllo delle nascite,

che suggerisce i vari metodi per applicarlo e cerca di convincere la popolazione dei vantaggi che comporta l'avere un figlio

solo: Figlio unico vuol dire felicit., annunciano i manifesti

dai muri di tutte le citt.. Una stamperia di Shanghai, sfruttando

l'idea della scena familiare in cui Carlo Marx gioca con la bambina della propria figlia, ha prodotto un manifesto con lo slo-

gan: Felicit. una famiglia con un solo figlio.

Il Pechino Sera, molto pi- attento ai dettagli storici, si servito al contrario di Marx per spiegare che, proprio perch' Marx

era padre di sette figli, aveva difficolt. a sbarcare il lunario e ci. aveva influenzato negativamente la sua vita e la sua lotta.

Grande pubblicit. data alle coppie che si impegnano ad

avere un solo figlio e che per questo ricevono la garanzia di

buoni alimentari, di un posto all'asilo per il bambino e persine

una certa precedenza nell'assegnazione di appartamenti nei

blocchi appena costruiti. Presentando il loro certificato di figlio

[PAGINA 101] unico , giovani coppie possono ottenere uno sconto del 30 per cento su generi alimentari, vestiti e giocattoli in certi nego-zi. In alcune scuole i figli unici vengono vaccinati prima degli altri, in determinati ospedali i figli unici hanno la precedenza sugli altri in caso di operazioni e cure specialistiche. Per il momento, in tutta la Cina solo dodici milioni e mezzo di coppie si sono impegnate ad avere un figlio solo: per lo pi-vivono nelle citt.. Nelle campagne, l'introduzione del sistema della responsabilit. un ostacolo al controllo delle nascite per-ch' i contadini pensano, come una volta: pi- figli pi- produ-zione .

Un altro fatto che rallenta gli sforzi di controllare la popola-zione cinese che i bambini nati durante il grande baby-boom provocato da Mao negli anni '50 e '60 stanno giusto ora arrivando alla vita adulta, si stanno sposando e provoche-ranno un nuovo baby-boom. Nel giro dei prossimi dieci anni almeno dieci milioni di coppie si sposeranno annualmente, e vorranno avere i propri figli.

La realizzazione della politica del figlio unico dovr. basarsi su sorveglianze sempre pi- severe, se il governo vuole davvero mettere sotto controllo la popolazione.

Per il momento, la stessa pubblicit. data ai casi di persone punite perch' non rispettano quella politica dimostra in maniera lampante che la politica non funziona... neppure fra i membri del partito.

In una Comune di Hebei, una donna stata espulsa perch', dopo aver avuto tre figlie, rimasta incinta una quarta volta e, disobbedendo agli ordini del partito, si rifiutata di sottoporsi a un aborto. Un alto quadro, a Canton, ha perso la tessera e anche il posto di lavoro. Lui l'aveva fatta davvero grossa: dopo sette figlie, aveva riprovato un'ottava volta.

13. Disciplina nel Campo dell'erba profumata

I miei figli scrivono della loro scuola cinese

siamo stati a Pechino tre anni e la maggior parte del tempo l'ab-biamo passata in una scuola cinese. stato pi- che sufficiente. Ab-biamo avuto problemi fin dall'inizio.

Dapprima la difficolt. pi- grande era la lingua, perch' ci se-

parava dai cinesi. Una volta superato, pi- o meno, questo osta-

colo, ne abbiamo incontrati altri. Alla fine ci siamo resi conto

che la barriera che ci separava dai cinesi non era tanto la lingua

quanto il fatto che eravamo stranieri, perch' anche dopo che

parlavamo il mandarino non riuscivamo lo stesso a stare con

loro. Dopo tre anni non avevamo neppure un amico cinese. Erano i maestri a tenere gli studenti cinesi lontani da noi e dalla

nostra influenza straniera .

Durante la nostra frequenza scolastica non siamo mai stati

invitati a casa di un cinese, n' uno studente cinese ha mai avuto

il permesso di venire a casa nostra. Tutte le conversazioni non

andavano al di l. dei saluti. Non si poteva chiedere a un compagno di classe che cosa faceva suo padre o dove stava di casa

senza che quello girasse le spalle. Tutto il tempo siamo stati trattati da stranieri .

Noi stranieri dovevamo giocare fra di noi, parlare fra di noi e stare fra di noi. Per tenerci lontani dai cinesi, la scuola ci aveva anche dato una stanza per il ping-pong dove i cinesi non potevano entrare. Ogni luned la scuola cominciava con l'alzabandiera. Tutti i bambini cinesi, la maggior parte con il fazzoletto rosso perch' erano giovani pionieri , stavano in fila a salutare la bandiera rossa che saliva lentamente sul palo accompagnata dall'inno na-zionale diffuso dagli altoparlanti. Noi stranieri non potevamo salutare la bandiera e non potevamo mai portare il fazzoletto rosso.

La giornata scolastica cominciava con mezz'ora di ginnastica

obbligatoria per tutti nel cortile. Si facevano flessioni, piegamenti e un sacco di marce. Dopo si procedeva allineati verso

le aule condotti dal capoclasse.

I capiclasse sono di solito gli studenti che lavorano duro e

che hanno idee politiche corrette. Sono quelli disposti a sacrificare

[PAGINA 102] parte del loro tempo per aiutare gli altri studenti e a fare lavori in pi- per il bene del popolo. loro compito portare in modo ordinato gli studenti in classe e controllarne il comporta-mento in ogni occasione, anche fuori della scuola. Dirigono la ginnastica del mattino, correggono i movimenti sbagliati e de-vono riferire agli insegnanti qualsiasi cosa scorretta si faccia. I capiclasse si riconoscono perch', oltre al fazzoletto rosso, hanno anche tre strisce rosse sulla manica. Quando non ci sono i maestri, i capiclasse mantengono la disciplina. La disciplina molto importante nella scuola cinese. Durante le lezioni ogni studente deve stare seduto dritto con le mani die-tro la schiena per non giocherellare. Tutti i libri debbono essere pronti prima di ogni lezione, uno sopra l'altro sull'angolo del banco. Non permesso bisbigliare, farsi prestare oggetti o appuntire le matite. Ciascuno deve avere una tazza per bere e un asciugamano pulito. Le unghie devono essere sempre corte e in ordine. Ogni studente ha un banco e uno sgabello. L'insegnante, invece, tro-neggia sulla classe perch' sta su una pedana davanti alla lava-gna.

Quando l'insegnante entra, ci si alza in piedi e si dice:

Buon giorno, maestro. Buon pomeriggio, maestro. In coro.

Chiaro e veloce, senza strascicare. Fino a quando non si mettono a parlare, gli insegnanti non fanno molta impressione nelle

loro giacche blu di Mao e i pantaloni pure blu. Ma quando si arrabbiano, giustamente o ingiustamente, non c' nulla da fare se non aspettarsi il peggio. Questo pu. consistere nell'essere messo pubblicamente in imbarazzo o venire afferrato per un orecchio, o altro ancora. Il potere dei maestri sugli studenti totale. Noi stranieri abbiamo certi privilegi e di solito veniamo trattati con clemenza.

Nessuno ha il permesso di parlare se non interpellato. Se si conosce la risposta a una domanda del maestro, si deve prima alzare la mano, ma col gomito appoggiato al banco, senza sven-tolarla in aria.

Un'altra cosa alla quale non eravamo abituati pulire la clas-

se. Tutti i giorni, dopo le lezioni, alcuni di noi dovevano spaz-

zare e lavare il pavimento, pulire la lavagna e mettere i banchi

in fila. Una volta al mese, bisognava fare la pulizia generale

della scuola: finestre, corridoi, sala ping-pong e gabinetti. Spes-

so siamo riusciti a evitare questa pulizia in quanto stranieri e poi perch' c'erano i nordcoreani che si offrivano sempre come

volontari.

Ogni settimana due studenti vengono scelti per sorvegliare la

classe. A costoro viene dato un bracciale rosso su cui sta scrit-

to: Di turno. Il loro compito controllare che ognuno abbia

le cose necessarie, sorvegliare la condotta degli altri durante

l'intervallo e presiedere alla pulizia della classe. Su tutte queste

cose entrambi debbono scrivere un rapporto in un apposito quaderno che viene dato al maestro.

Le lezioni sono soprattutto di matematica e di cinese. Noi

amiamo il presidente Mao. Noi amiamo il Partito Comunista

cinese , sono state le prime frasi che abbiamo imparato a leggere e a recitare a memoria. Abbiamo letto vari racconti di

quando Mao era giovane e combatteva contro i giapponesi, rac-conti di altri capi rivoluzionari cinesi e dell'Esercito Popolare di Liberazione. C'erano poi storie di Mao come ragazzo intel-ligente, che non si stancava mai, che aveva tanti amici e teneva bene il proprio gregge.

I racconti su Marx cominciavano tutti cos: Mane ed Engels erano buoni amici... poi continuavano con storie di Marx che era talmente povero che dovette vendere i propri vestiti per comprare il pane. Alcune storie erano patriottiche e riguardava-no il modo in cui i cinesi hanno combattuto contro i giapponesi, oppure parlavano delle atrocit. giapponesi, come per esempio mettere tante persone in fila e vedere quante ne trapassava una pallottola. Tutti i racconti sono sentimentali e servono alla propaganda. I soli che valeva la pena di leggere erano quelli vecchi, ma erano pochi.

La storia non l'abbiamo mai studiata e non si discuteva mai dei fatti attuali. Sui paesi stranieri veniva detto poco o nulla, e quel poco era per descrivere le situazioni estreme di gente po-vera, di schiavi e cos via. Questo fa s che Io studente cinese non ho nulla con cui paragonare il proprio paese. L'unica cosa che pu. paragonare la Cina sotto il Partito Comunista con ci. che il Partito Comunista gli racconta sulla Cina di prima.

La politica importantissima nella scuola cinese, e la perso-

na pi- importante della scuola non era la preside, ma il segre-

tario del partito della scuola. Lui si aggirava dappertutto, con-

trollava tutto e dava ordini agli insegnanti. Lui decideva i film

che si vedevano e teneva discorsi per lanciare nella scuola le

varie campagne che si svolgevano in tutta la Cina: per esempio,

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la campagna per imparare da Lei Feng, o quella per piantare gli alberi.

Siamo stati noi a dire a nostro padre che qualcosa doveva essere successo a Hua Guofeng, perch' un giorno abbiamo visto il segretario del partito che tirava gi- il suo ritratto dalla stanza delle riunioni. Pi- tardi ci hanno anche tolto tutti i libri in cui c'era il disegno di Mao che dice a Hua Guofeng: Con te al comando io sto tranquillo , e ce li hanno sostituiti con dei nuo-vi. Che spreco! La Cina un paese povero e magari un milione di libri sono stati distrutti.

Imparare il cinese noiosissimo. Ogni segno di un carattere deve essere imparato e ripetuto infinite volte. I compiti a casa consistevano nello scrivere, riga dopo riga, i nuovi caratteri da studiare. Quando abbiamo chiesto l'origine dei caratteri e per-ch' certi caratteri sono scritti in un dato modo ci hanno detto di copiarli e impararli a memoria.

Gran parte del lavoro nella scuola era di copiatura: copiava-mo i caratteri, copiavamo i disegni e le pitture da un libro d'ar-te. I disegni rappresentavano il Tienanmen, il mausoleo di Mao; giovani pionieri in marcia, bandiere rosse sventolanti sui tetti; una scena con una partita di palla a volo, matite e un vaso per pennelli. Nel libro c'erano anche pitture tradizionali cinesi: montagne, acqua, barche e un piccolo tempio sulla cima di una montagna. Dopo aver copiato il disegno tratto per tratto, l'insegnante ci dava dei colori dicendoci dove usarli. Se una cosa nel disegno originale era rossa, dovevamo rifarla rossa. Se un fiore era giallo, non lo potevamo dipingere di arancione. Quando i disegni erano finiti parevano tutti uguali. Era impos-sibile riconoscere il proprio, se non c'era il nome.

Tutto questo copiare limitava la mente degli studenti. Scrivere di fantasia non esisteva. Non ci mai stato chiesto di scri-

vere i nostri pensieri, le nostre impressioni su qualcosa. Quello che dovevamo pensare era gi. stato deciso e a noi toccava solo ripeterlo senza discutere o metterlo in dubbio.

Durante le ore di scuola la noia era la cosa pi- dura da com-

battere. A volte era difficile stare svegli. Dopo aver fissato a

lungo i vari segni dei caratteri cinesi sulla lavagna, gli esercizi

per gli occhi dopo le lezioni erano un gran sollievo. Dall'alto-

parlante veniva una voce stridula che a cantilena contava fino a

otto, per poi ricominciare. I punti dove ci si doveva massaggiare erano sotto gli occhi, le tempie e dietro il collo.

L'aspetto pi- scioccante della scuola cinese, e quello a cui

non ci siamo mai abituati, erano le sedute di critica e di autocritica che prima o poi facevano diventare tutti delle spie. Una

volta alla settimana la classe si riuniva e l'insegnante indicava gli studenti buoni e quelli cattivi chiedendo poi alla classe di fornire le prove per giustificare il suo giudizio. Una volta al mese la stessa procedura veniva ripetuta in presenza di tutte le classi radunate in una sala per ascoltare , lodi e le critiche di un'attrice nata: la preside. Dopo che tutte le classi sono se-dute su file di panche, la preside fa lampeggiare i denti in un sorriso freddo e ci saluta. Prontamente, tutti si alzano e contrac-cambiano il saluto. Si pronti per cominciare. Prima di tutto, dice, dobbiamo distribuire i fiori rossi agli studenti pi- meritevoli di questo mese. Della prima clas-se... Quelli chiamati si fanno avanti e la preside da a ciascuno un fiore di carta. Poi divaga sulle buone azioni compiute, su quanto hanno lavorato e alla fine riprende i fiori e li appiccica su una bacheca con sotto i nomi dei premiati. Li applaude, i denti le lampeggiano di nuovo in un sorriso falso, chiede anche a noi di applaudire e rimanda i buoni ai loro posti. Ora tocca ai cattivi. E questi possono essere tali per aver detto una parolaccia o per aver lasciato dei gusci di noccioline nella stanza del ping-pong. Nella nostra scuola era assolutamen-te proibito mangiare qualsiasi cosa durante, prima e dopo le le-zioni. La punizione consiste nel colpire la ( oscienza del colpe-vole, nel farlo vergognare, nel metterlo in imbarazzo davanti a tutti. Il trasgressore viene chiamato e criticato pubblicamente. Chi fa la critica chiede alla platea se d'accordo sul fatto che l'azione commessa sia sbagliata. E deve esserlo, perch' non si pu. contraddire quel che dice l'insegnante. Lo studente che vede un compagno fare una cattiva azione deve denunciarlo. Se non lo fa, lui stesso viene criticato. Io, Folco, ho visto una volta un insegnante che, nascosto dietro lei persiane del secondo piano, stava a spiare i suoi studenti gi- nel cortile. Lo scopo era quello di vedere se le cattive azio-ni di alcuni durante l'intervallo sarebbero state poi denunciate da altri durante la seduta di critica. Chi denuncia considerato ( buono .

. Un altro giorno ho osservato questo episodio: quattro ragazzini avevano aperto un rubinetto dell'acqua e si spruzzavano a

vicenda per divertimento. Stavano giocando da buoni amici e

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non davano noia a nessuno. Poi arriv. un insegnante e con rabbia domand. di chi era stata quella stupida idea. Avevano aper-

to l'acqua tutti insieme, ma: stato lui... stato lui, url. uno dei quattro puntando il dito contro un altro. Gli altri due! presero al volo l'occasione di togliersi dai guai e dissero:] S, s, stato lui , indicando lo stesso ragazzino. L'arrivo del-l'insegnante aveva messo un amico contro l'altro e fatto finire il gioco.

Se si sbaglia, parte della punizione fare l'autocritica. Per me, Saskia, uno degli episodi pi- tristi fu il seguente: i; guai incominciarono subito dopo i dieci minuti di intervallo.

Uno dei miei compagni di classe era andato al gabinetto. Quando usc, un ragazzo di un'altra classe gli fece vedere, prenden-

dolo in giro, che si era pisciato sul cappotto. Il ragazzo guard. e vide la parte bagnata. Prese l'angolo del cappotto e lo butt. sull'altro ragazzo riuscendo a bagnargli la giacca. Quest'ultimo and. di corsa dal suo insegnante a denunciare l'accaduto. Lui fu prontamente lodato per la sua azione e l'insegnante marci. verso la nostra classe per riferire tutto al maestro. Il nostro compagno dovette cos restare in piedi a testa bassa davanti a tutti, mentre l'insegnante raccontava il fatto. Alla fine, l'inse-gnante chiese alla classe di trovare un aggettivo "che descrivesse l'atteggiamento del nostro compagno colpevole.

In pochi secondi si alzarono molte mani. Un primo studente disse scortese, un altro antigienico, il terzo irascibile. Dopo aver ascoltato almeno dieci aggettivi diversi, una ragazza propose ingrato, e questa era la parola che l'insegnante vo-leva sentire, sebbene anche le altre non fossero sbagliate. Alla ragazza fu chiesto allora di elaborare il tema dell'ingratitudine di Shi Li (cos si chiamava il colpevole). Shi Li molto in-grato perch' l'altro ragazzo gli aveva fatto notare la cosa per il suo bene, perch' si potesse asciugare il piscio. Invece lui gli ha buttato addosso il cappotto bagnato. E questa ingratitudine. All'intera classe fu chiesto se era d'accordo, e tutti si alzarono e dissero di si a eccezione di due che erano i migliori amici di Shi Li.

L'insegnante, allora, ordin. ai due di alzarsi, raccont. di nuo-

vo il fatto e chiese il loro parere. E quelli zitti. A questo punto

l'insegnante divent. furibonda: Voi due siete pessimi elementi! e li cacci. fuori dell'aula. Si rivolse a Shi Li: Come ti senti ora? Ti dispiace di

aver agito cos? Sei dispiaciuto?

Gli occhi di Shi Li diventarono rossi rossi e lui si mise a piangere. Questo rese ancora pi- furibonda l'insegnante. Shi Li cominci. a parlare, ma le sue parole erano confuse.

Parla pi- forte, parla guardando la classe!

S, sono stato cattivo e non far. pi- una cosa del genere. Imparer. a essere pi- grato alla gente. Sono stato cattivo. Tutti mi possono chiamare ingrato. Shi Li continu. a criticarsi e a chiedere scusa. L'insegnante chiam. allora i suoi due amici e anche quelli, per paura del-l'insegnante, dissero che Shi Li era ingrato. Quel giorno, per compito, Shi Li dovette scrivere un tema su quello che aveva fatto e su come si sentiva. Il giorno dopo dovette leggerlo ad alta voce non solo alla nostra classe, ma anche a quella dell'al-tro ragazzo.

Il mese della cortesia fu annunciato durante una riunione scolastica. Essendo il tema del giorno, la preside lo annunci. con grande fanfara spiegando che questa non era un'idea della scuola, ma dei grandi capi lass-, e che la campagna si svolgeva in tutta la Cina. Durante questo periodo tutti quanti dovevamo essere particolarmente buoni, essere di aiuto al prossimo e com-portarci bene con insegnanti, genitori e la gente per strada. Tutti dovevamo lavorare sodo e fare anche delle cose extra. Il modello che dovevamo imitare era un soldato comunista, morto da tempo, di nome Lei Feng, che aiutava i contadini a spingere i carretti, le madri a portare i figli durante il temporale e sempre con il sorriso sulle labbra. Come lui, avremmo dovuto aiutare le persone anziane ad attraversare la strada, portare i pacchi ai vecchi e raccattare da terra bucce di mela. Questa campagna and. bene, ma non avemmo neppure il tempo di tirare il fiato che ne venne annunciata una nuova:

la campagna per l'abbellimento. Questo volle dire lavorare

ancora pi- sodo e avere ancor meno tempo libero. Prima di tutto si dovette pulire la scuola da cima a fondo: finestre, porte,

piastrelle, corridoi. Poi siamo stati incoraggiati a portare delle piante a scuola per renderla pi- bella; poi abbiamo tolto gli al-beri piccoli che si trovavano qua e l. nel cortile e ne abbiamo messi di pi- grandi. Alla fine, un sabato e domenica, ci hanno mandati per le strade. Ognuno con una scopa in mano, dietro alle bandiere rosse, in processione.

Il compito era di togliere tutta la polvere dai marciapiedi.

Centinaia di bambini spazzavano, gli altoparlanti rimbombavano,

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le bandiere rosse ondeggiavano: avrebbe anche potuto essere un gran successo, se il vento non avesse mandato tutto all'a-

ria. Quel giorno soffiava in modo particolarmente forte, e a ogni colpo di scopa sollevava nuvole di polvere che andavano a depositarsi di nuovo a cento metri di distanza, solo per essere spazzati di nuovo dalla colonna di studenti che si trovava l.. Il gioco poteva cos ricominciare daccapo. Era ovvio che tutta l'o-perazione era un fallimento, ma i capi non potevano ammetterlo senza perdere la faccia, e cos si continu. a spazzare fino alla fine della giornata.

Una volta alla settimana ogni classe ha la lezione di morale. La vicesegretaria del partito della scuola parla tutto il tempo e il monologo sul

Partito Comunista, sul fatto che senza il partito la Cina sarebbe ancora un paese povero, che il partito che la modernizza eccetera eccetera.

Durante una di queste lezioni io, Saskia, sentivo ripetere: Il socialismo ... il socialismo fa... Tutti stavano attenti e quando la vicesegretaria ha chiesto se avevamo capito, abbiamo rispo-sto in coro: S.

Tutti eccetto uno: il capoclasse. Ha alzato la mano e ha chie-

sto: Ma che cosa il socialismo?

La vicesegretaria rimasta zitta per alcuni secondi, poi s'

messa a camminare per la classe. Era nervosa. Lei stessa non

aveva la risposta. Aveva solo imparato a memoria quanto bella la Cina ora che c' il socialismo, ma lei stessa non sapeva

che cosa vuol dire socialismo. Siccome per. lei la vicesegre-taria, una risposta la doveva dare e allora ha ricominciato a ri-petere daccapo quel che aveva gi. detto prima. Il capoclass non insistette. uno molto pi- coraggioso degli altri, uno che ammiro. Peccato che non sono mai riuscito a parlarci un po'. Una volta, a una di queste lezioni, noi stranieri non fummo ammessi. Ci mandarono a leggere un libro in un'altra classe. Una spiegazione pu. essere che veniva spiegato ai nostri compagni cinesi come dovevano comportarsi con noi stranieri.

Una cosa della scuola che non si pu. dimenticare sono i gabinetti, innanzitutto perch' il loro puzzo entra in ogni classe,

poi per il modo in cui sono fatti.

io, Folco, ero sempre imbarazzato a entrarci perch' temevo

di incontrare uno dei miei maestri, come infarti mi capit.. Ogni

gabinetto diviso in tre o quattro sezioni da un muretto non pi-

alto di un metro. Non ci sono porte. Quando sono entrato, in

una delle sezioni ho visto solo un giornale aperto. Nascosto dietro il giornale c'era il mio maestro. Ciao! mi ha detto. Il

Quotidiano del Popolo era la porta improvvisata. Pensai che

lui fosse imbarazzato; e, siccome io lo ero, corsi fuori. Col tempo mi sono abituato anche a questo.

Avevamo poi le lezioni di scienze naturali. Io, Saskia, mi ricordo di una in particolare. Il maestro era arrivato con un pesce

rosso in un vaso di vetro e ci disse, con un gran sorriso sulle

labbra, che avrebbe tagliato una delle pinne cos che avremmo

potuto vedere quel che succedeva. Tutta la classe approv. ec-

citata. L'insegnante calm. tutti con un gesto, dopodich' immer-

se la mano nel vaso di vetro. Una volta afferrato, il povero pesce si contorceva. L'insegnante prese un paio di forbici lunghe

quattro volte il pesce e cominci. lentamente a tagliargli la pin-

na destra. La classe era impaziente di vedere che cosa avrebbe

fatto il pesce una volta rimesso nell'acqua. Ovviamente, non

era capace di tenersi in equilibrio. Il suo corpo era tutto inclinato a sinistra. L'unica pinna ondeggiava e il povero pesce con-

tinuava a girare verso destra. La classe rideva. Poi si mise ad urlare: Tagli anche l'altra! L'insegnante, divertito e soddisfatto di avere tutta l'attenzio-ne della classe, afferr. il piccolo pesce che non tentava neppure pi- di scappare e senza piet. tagli. anche la pinna sinistra.

L'uomo cammina, gli uccelli volano, i pesci nuotano. Quel pe-

sce affond. gi- dritto sino in fondo al vaso muovendosi appena

con dei colpi di coda. Ma non per molto. Tagli anche la coda,

anche la coda, urlava la classe, e l'insegnante entusiasta riprese il pesce e gli mozz. anche la coda.Il pesce non era pi- un pesce. Rimase sul fondo del vaso senza pi- muoversi. Gli unici a non trovare la cosa divertente eravamo io e il ragazzo che aveva portato il proprio pesce a scuola.

Lo sport ha un ruolo importante nella scuola cinese: marcia-re, salutare, girarsi sui tacchi, imparare qualche colpo di Kung Fu e fare il lancio delle bombe a mano. Ovviamente le bombe sono fnte, ma la loro forma esattamente la stessa di quelle vere. Quelle che noi usavamo erano fatte di legno e avevano la testa di ferro. Il lancio della bomba , nella scuola cinese, come in Europa il lancio del peso.

Ogni anno c' il giorno dello sport, che molto ben organizzato

[PAGINA 106] e ha luogo nel cortile della scuola. Dietro un tavolo coperto da una tovaglia bianca e imbandito con tazze da t' e mazzi di

fiori, stanno seduti il segretario del partito e alcuni ospiti di ri-guardo, fra questi un vecchio generale che arrivava sempre con la sua limousine Bandiera Rossa.

Prima dell'inizio delle gare c' la parata. Quelli coi fazzoletti rossi, guidati da uno che tiene la bandiera su un'asta di bamb-perfettamente perpendicolare al terreno, si mettono in testa. Gli altri dietro e, al suono della marcia, ci si muove fila per fila.

Ogni gruppo ha dinanzi a s' due studenti che portano un pannello con scritta sopra una frase di Mao Tsetung. Ogni colonna

organizzata in modo da avere i pi- piccoli davanti. Le colon-ne, marciando, si intersecano, si mischiano l'una con l'altra, ma alla fine ciascuno di nuovo al proprio posto. Il tutto era sem-pre preciso, disciplinato.

Quando tutte le classi erano allineate, il segretario del partito faceva il proprio discorso, annunciava l'apertura delle gare e ricordava a tutti che dovevano fare del loro meglio per vincere. Se vincete fate onore alla patria, diceva. Anche in gara un bambino deve pensare alla patria e anche la gloria deve darla alla patria, senza tenere nulla per s'.

Io, Folco, ho corso gli ottocento metri. Ho corso a pi- non

posso perch' sapevo che chi vince va alle gare fra le scuole di

tutta Pechino. E vinsi. Ero arrivato prima di tutti i cinesi. Anche

il secondo era uno straniero, e i cinesi erano molto molto indietro. Secondo quel che ci aveva detto il maestro di ginnastica,

dunque, mi ero qualificato. Sono andato a chiedergli: Allora vado al torneo interscolastico, vero? No , mi ha risposto. Hai corso velocemente, ma non ab-bastanza. E con questo la faccenda era chiusa. Il problema era che, pur essendo una piccolissima minoranza nella scuola, gli stranieri avevano dominato le gare e la scuola non voleva farsi rappresentare da un gruppo di stranieri. E cos, a rappresentare la mia negli 800 metri, ci and. un cinese che non era arrivato neppure secondo. Anche quella fu una decisio-ne presa non dal maestro di ginnastica, ma dal segretario del partito.

Avevamo inoltre delle lezioni di musica, ma anche in queste non si poteva fare a meno di parlare di comunismo. Le canzoni che imparavamo erano tutte dello stesso tipo. Alla gara di can-to, met. delle classi si presentarono con una canzone intitolata Senza il partito non ci sarebbe la Nuova Cina; altra canzone di successo era La canzone della cortesia, nata appunto per inco-raggiare la campagna per essere gentili e bravi. Altre canzoni trattavano di Mao da giovane, altre ancora invitavano a lavorare molto e a diventare dei bravi giovani pionieri . Tutto sommato, gli insegnanti non avevano molta libert. nel-lo scegliere il metodo di insegnamento, n' le materie. Tutti deb-bono seguire regole e metodi imposti dal segretario del partito.

Eppure io, Saskia, ho avuto l'impressione che gli insegnanti

della scuola dovessero lavorare molto e non mi sembrava che

ricevessero per questo grandi ricompense. Lo stipendio degli in-

segnanti molto basso, cos come il loro tenore di vita. Quelli

che non sono sposati vivono in miseri dormitori nel recinto del-

la scuola. Ogni giorno, alle undici meno un quarto, ogni insegnante va in una cucina sporca dove, con una chiave numerata,

apre un cassetto e ritira una gavetta in cui sono stati messi un paio di cucchiai di zuppa, dei fili di spaghetti, dei minuscoli pezzi di carne e verdure che non sanno di nulla. Io penso che sia per questo che tutti i miei insegnanti erano magri magri. Con noi sono stati gentilissimi. Siamo arrivati senza sapere una parola di cinese e i maestri si sono davvero dati da fare per insegnarcelo. Quando io. Folco, ero in ospedale, due si sono disturbati a venire a trovarmi e a portarmi della frutta. Come persone erano davvero buone, ma il fatto che dovevano segui-re le regole imposte dal segretario del partito.

Le nostre conclusioni sulla scuola cinese sono, alla fine, tut-

t'altro che positive. Io, Folco, ho odiato lo spiare, la critica, il

far di tutto per salvare la pelle. Ho odiato il sistema di insegnamento che non lasciava spazio all'immaginazione, ho odiato il

copiare, il dover imparare il modo corretto di pensare, l'imbro-gliare, la sensazione di non poter pi- dire quel che uno pensa e, certe cose, non poterle neppure pensare.

No. Mai pi-.

Folco arriv. in Cina all 'et. di undici anni.

Saskia ne aveva nove.

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14. Ben vengano i capelloni

Shenzhen e Cantori: esperimenti col capitalismo il capitalismo ha vinto. Almeno qui. Dopo essere stata per trent'anni la porta d'ingresso al regno puritano ed egualitario di Mao Tsetung, dopo essere stata il baluardo del comunismo cinese, Shenzhen, una cittadina della Repubblica Popolare al confine con Hong Kong, si arresa alle tentazioni del benes-sere borghese. L'ordine di resa venuto direttamente da Pechi-no. Basta col contrapporsi al capitalismo. Bisogna imitarlo. Bisogna impararne i meccanismi, i sistemi , stato pi- o me-no detto.

Shenzhen il primo lembo di terra cinese che il visitatore incontra venendo da Hong Kong. Il confine un fiumicello. Un ponte collega i due mondi. Su una sponda sventola la ban-diera inglese, sull'altra quella rossa della Cina. In passato, i po-chi passi fatti per attraversare quel ponte erano come un lun-ghissimo viaggio tra due universi distantissimi, separati da un abisso e l'un contro l'altro armati. Non pi- cos. Shenzhen stata dichiarata da Pechino zona economica speciale, e ci. significa che, entro i confini di questa zona, vigono leggi diverse dal resto della Cina, significa che qui il capitalismo permesso, che qui l'iniziativa privata ha diritto di esistere e di fiorire.

L'idea delle zone speciali risale al 1979, ed una di quelle audacissime iniziative prese da Deng Xiaoping da quando tor-nato al potere.

Per un comunista l'idea di fare esperimenti con il capitalismo

certo la pi- spregiudicata, ma sono state le domande in testa a

tanta gente, compresi alcuni dirigenti, che hanno portato a bat-

tere questa via come pure altre nella ricerca di una politica che

risolva gli infiniti problemi di questo immenso paese sottosviluppato e avido di modernit..Come possibile che i cinesi di Hong Kong abbiano un livello di vita cos superiore a quello dei cinesi in Cina? Co-me possibile che gente scappata poverissima dalla Repubblica Popolare torni dopo pochi anni con tutti i simboli del benessere che qui la gente agogna? Forse che il comunismo non fun-ziona? Certo non ha funzionato completamente il sistema che ha re-gnato in Cina dalla presa del potere dei comunisti a oggi. Da qui, l'idea di sperimentare su un piccolo campione qualcosa di nuovo.

Shenzhen un minuscolo territorio rispetto al continente ci-nese e la sua popolazione di appena 200.000 persone, ma l'in-troduzione del regime di zona speciale, ora consacrato dalla nuova costituzione che gli ha dedicato tutto un articolo (il xxxi), ha mutato qui la faccia del paese.

Ai tempi in cui la Cina s'era chiusa al mondo esterno e resa

inaccessibile, quando cercava nell'autosufficienza la soluzione

ai propri problemi, le guide turistiche di Hong Kong organizza-

vano gite su un'altura della colonia britannica dalla quale, con i

cannocchiali, si osservava la Cina rossa. Tutto quel che si

vedeva era una quieta cittadina di campagna circondata da campi in cui, al suono di musiche rivoluzionarie trasmesse dagli

altoparlanti, lavoravano contadini vestiti di blu. Ora Shenzhen un immenso cantiere con grattacieli, fabbri-che, strade, quartieri residenziali in costruzione. I campi hanno lasciato il posto al cemento, i contadini a migliaia di operai. Ottantamila muratori, elettricisti, meccanici, coi loro segretari politici, sono venuti qui a fare di Shenzhen una copia di Hong Kong.

Con i soldi di chi? In gran parte coi soldi dei capitalisti ci-nesi di Hong Kong. La legge sulle zone speciali concede enor-mi agevolazioni agli investitori stranieri, e per le grandi societ. di Hong Kong i terreni e la manodopera, qui a prezzi ancora pi-favorevoli che nella colonia inglese, sono un'occasione da non perdere.

Un'impresa di costruzioni ha finito tre grandi blocchi di appartamenti da vendere ai cinesi d'oltremare che vogliono avere

una residenza in Cina; la Pepsi Cola ha gi. in funzione un cen-tro di imbottigliamento; un'azienda con capitali europei produ-ce container per navi; una grande fabbrica di giocattoli di Hong Kong ha trasferito qui gran parte della sua produzione, cos co-me hanno fatto una stamperia, alcune industrie tessili e altre di piccola elettronica.

Il governo di Pechino, dal canto suo, si occupa dell'infra-

struttura: fa strade, fognature, draga un nuovo porto, progetta

un nuovo aeroporto e sostanzialmente lascia che i capitalisti ,

come qui vengono chiamati con un tono ora quasi di reverenza,

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abbiano completamente mano libera. Cosa ancora impensabile nel resto della Cina, qui le aziende scelgono i loro operai, licen-ziano quelli inefficienti, premiano saporitamente quelli pi- pro-duttivi. Qui si gestisce con criteri economici e non politici, dichiara il direttore di una fabbrica venuto da Hong Kong. Il funzionario cinese che gli sta accanto annuisce. Esteriormente, i simboli del potere sono quelli del resto del paese: i quadri del partito vestiti di blu con la borsetta di pla-stica nera, i poliziotti con la stessa uniforme che altrove. Solo che qui come se fossero soltanto degli osservatori. Vengono per imparare come funziona il capitalismo e non interferisco-no, dice di loro un industriale di Hong Kong. In qualche modo vero.

La sera al caff Giardino delle arti, un juke-box macina

canzoni di una cantante di Taiwan che nel resto della Cina sono

proibite perch' tacciate di pornografia, mentre in uno stan-

zone buio decine di ragazzi con capelli lunghi e giubbotti di

pelle manovrano rumorose macchine spaziali in giochi elettronici che nessuno ha mai visto nel resto della Cina.Quel che nel resto del paese combattuto come decadente, qui permesso come se fosse un fatto scontato che, per avere i ritmi di produzione di Hong Kong e dell'Occidente, sia ne-cessario accondiscendere anche a questo tipo di occidentaliz-zazione.

Se portare i capelli lunghi contribuisce alle quattro moder-

nizzazioni, ben vengano i capelloni, dice un dirigente politico

della citt.. All'inizio dell'esperimento di Shenzhen, il partito

aveva aperto in citt. un ufficio per la propagazione della civilt. spirituale, una sorta di centro per l'insegnamento della

moralit. socialista. Dopo alcuni mesi di inutili sforzi l'ufficio stato chiuso. Le danwei, qui, non interferiscono nella vita pri-vata della gente.

Possiamo fare quel che vogliamo, mi dicono due ragazze che mi attaccano bottone, di sera, durante una passeggiata.

Basta che si lavori e si lavori bene.

Ormai Shenzhen come fuori della Cina: gli operai guada-gnano da quattro a cinque volte di pi- che nel resto del paese, hanno accesso ai beni di consumo agli stessi prezzi di Hong Kong e godono di una libert. inconcepibile nel resto del paese.

In passato Shenzhen era un punto obbligato per chi, dalla Ci-

na, voleva fuggire a Hong Kong. Oggi non scappa pi- nessuno, anzi, ora che la favola di Shenzhen arrivata in ogni angolo

della Cina, moltissimi sono coloro che vogliono venire qui non per scappare, ma a lavorare. Il partito fa un'attenta selezione degli operai che vengono mandati a Shenzhen. Per gli altri semplicemente impossibile raggiungerla: occorre uno speciale permesso che come un mezzo passaporto.

L'idea di Shenzhen ancora quella di un esperimento inteso

ad attrarre capitali stranieri, importare tecnologia occidentale,

addestrare manager cinesi ai sistemi capitalistici perch' poi,

eventualmente, possano trasferire parte di ci. che hanno imparato qui nel resto dell'economia e del paese.Ma, nel frattempo, come proteggere il resto della Cina dal-l'influenza di questo luogo dove permesso tutto ci. che altro-ve proibito?

Sette chilometri a nord dell'attuale frontiera fra Hong Kong e la Repubblica Popolare, stato appena finito un reticolato alto sette metri e lungo settanta chilometri che isola Shenzhen dal resto del paese. Questa rete di ferro che taglia la campagna vie-ne chiamata barriera doganale. Solo doganale? Pi- Shenzhen si sviluppa e diventa una copia di Hong Kong, pi- il fiumiciattolo tra Hong Kong e la Cina perde la propria funzione di frontiera fra due mondi diversi. gni giorno che passa, Hong Kong e Shenzhen si integrano e la gente che passa il ponte di legno non pensa pi- a due universi contrapposti. Fa-cendo di Shenzhen una zona speciale, Deng Xiaoping ha pensato certamente anche a un modo per riprendersi Hong Kong senza troppi drammi: risucchiandola piano piano. E se fosse Hong Kong, o meglio il capitalismo, a risucchiarsi la Cina?

Stare a Canton pu. dare questa impressione. Tre bambini mendicanti mi si attaccano alle maniche chiedendomi soldi. Un lustrascarpe, accucciato per terra, mi prende per i calzoni cercando di farmi mettere il piede su un panchetto di legno. Una donna vuole vendermi una papaia, un vecchio una brutta statua di gesso. Un crocchio di giovani confabula attorno a un uomo che nasconde la propria merc' appena mi avvicino. Quando appare ovvio che, nonostante i miei vestiti cinesi, non posso essere un poliziotto, tutti scoppiano a ridere e gli orologi di contrabbando tornano a luccicare nel buio. Una semplice [PAGINA 108]

passeggiata al tramonto lungo il Fiume delle Perle motivo di continua sorpresa.

La Cina questa?

Canton il capoluogo della provincia di Guangdong. Hong Kong e Macao, isolotti del capitalismo sul continente socialista, sono soltanto a un passo. Da qui per secoli sono partiti migliaia di emigranti cinesi in cerca di fortuna altrove, e qui ora tornano a far sfoggio di ricchezze e a raccontare come funziona il resto del mondo per coloro che hanno successo.

Durante la Rivoluzione Culturale, Canton e la provincia cir-costante furono duramente colpite per i loro sospetti rapporti con l'estero. Ora che Deng Xiaoping ha ridato un po' di libert. al paese, qui, invece del dito, hanno preso la mano, forse anche il braccio, e pare che la situazione quasi sfugga al controllo.

Rispetto anche soltanto a due o tre anni fa i mutamenti sono

immensi. In passato Canton era la prima immagine che il viag-

giatore proveniente dall'esterno aveva della Cina. Strade pulite

e affollate, deserte al calar del sole. Gente tutta vestita uguale,

ragazze con le treccine, trillo di biciclette. Ora, appena usciti

dalla stazione, la prima cosa che si nota che la scritta al neon

Seiko, che si stende su tutto il tetto di un palazzo, pi- lunga e pi- luminosa di quella sul palazzo accanto che auspica

Lunga vita al Partito Comunista cinese.

Un tempo il viaggiatore trascinava da s' i propri bagagli e

considerava ci. un aspetto necessario del socialismo che predi-

cava l'autosufficienza. Quel principio, come altri, stato butta-

to alle ortiche. Giovani contadine con bilancieri di bamb- si

affollano attorno al visitatore contendendosi le sue valigie,

mentre vari giovanotti cercano di dirigerlo ognuno verso il proprio taxi: Toyota rosse nuove di zecca. Appartengono a una societ. mista. I soldi

vengono dai capitalisti di Hong Kong, la manodopera da qui. Fra tre anni, quando i finanziatori di Hong Kong avranno recuperato il proprio danaro pi- gli interessi, le auto resteranno propriet. di Canton.

Oltre allo stipendio fisso, i taxisti hanno diritto a un buono a

seconda del fatturato, accettano volentieri la mancia che un

tempo veniva rifiutata come un'offesa e, se il viaggiatore paga

con i certificati speciali che equivalgono a valuta straniera, i

taxisti tendono a dare il resto in moneta locale (al mercato nero

uno yuan-certificato vale una volta e mezzo lo yuan normale)-

Un tempo, chiedere a qualcuno se c'erano in giro delle prostitute equivaleva a ritrovarsi in un commissariato di polizia o,

quanto meno, ci si doveva sorbire una bella lezione politica: ora, invece, l'occasionale interlocutore si dilunga sul fatto che i prezzi sono saliti fino a 50 yuan a causa del grande afflusso di cinesi che vengono da Hong Kong e che, non badando a spese, hanno rovinato il mercato per gli uomini del posto. Hong Kong. Hong Kong.

Ci sei stato? chiedo a un giovane vestito esattamente co-me potrebbe esserlo uno della colonia inglese.

In sogno tante volte , risponde ridendo.

Quasi ogni famiglia di qui ha un fratello, uno zio, un cugino, un parente lontano che, in qualche modo, magari a nuoto, scappato, o si trasferito nella colonia. A quei parenti, ora, so-no legate gran parte delle speranze della gente che rimasta: un paio di blue jeans, una radio, un televisore a colori, un piccolo capitale con cui aprire un negozio. Ora si pu. e gli zii di Hong Kong vengono a trovare le famiglie carichi di roba.

I risultati si vedono dappertutto: decine di parrucchieri per

signora con attrezzatura moderna hanno aperto negozi nel cen-

tro; una dozzina di caff con musica rock e tavoli sul marciapiede prestano servizio fino all'una del mattino; le ragazze che

passeggiano col fidanzato per le strade, ora illuminate dalle scritte al neon, hanno quasi tutte la borsetta di finto cuoio a tracolla, e fra i giovani operai l'uniforme di Mao scomparsa ed stata soppiantata da un abbigliamento tipo cow-boy. Questa era una stanza di casa mia. Ora ci lavoriamo in quattro. Allo Stato paghiamo una tassa di 80 yuan al mese, il resto tutto nostro , dice un ragazzo che con i soldi di uno zio di Hong Kong si messo in proprio e fa il parrucchiere. Coi soldi di Hong Kong due ristoranti del centro hanno com-pletamente rinnovato i locali; con soldi ed expertise di Hong Kong una societ. di Stato ha costruito sull'isola di Shamien l'albergo Cigno Bianco, mentre una societ. mista ha impian-tato l'Hotel Cina, un elegantissimo, lussuosissimo complesso dove la domenica le famiglie portano i bambini a vedere che cosa vuol dire modernizzazione.

Questi capitali venuti da fuori hanno gi. cambiato la vita quotidiana di Canton dove, tranne che negli uffici governativi, la vita ha acquistato quel ritmo che di ogni citt. del Sud-Est asiatico, dove i cinesi lavorano, trafficano, si danno da fare, si arricchiscono.

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La sera, lungo il canale che al tempo delle concessioni separava il quartiere degli stranieri da quello dei locali, sotto i rami

di alberi centenari, compaiono come dal nulla tavoli e sgabelli

di improvvisati ristorantini che offrono frutti di mare, zuppe di

pesce e, d'inverno, la specialit. di stagione: carne di cane e di

serpente. Sotto le arcate dei vecchi, cadenti palazzi del centro,

sul lungofiume, compaiono centinaia di venditori ambulanti che

offrono, a prezzi trattabili, di tutto: dalle erbe medicinali raccolte e seccate in montagne lontane, a vasi e statuette di ceramica

comprate all'ingrosso nelle fornaci di Fushan e rivendute al dettaglio da intraprendenti disoccupati.Il prezzo di tutti questi cambiamenti ovvio: i giornali espongono casi di corruzione, la polizia deve regolarmente an-dare in giro a far tirar gi- le antenne televisive con cui la gente riceve i programmi di Hong Kong, disdegnando quelli locali. La pericolosa influenza del liberalismo borghese viene attac-cata frequentemente dalla stampa ufficiale.

Canton certo cambiata, ma Canton non la Cina: un ordine di Pechino basterebbe per rimettere il coperchio a tutti questi bollori.

E poi, anche qui, non vero che tutto sia cambiato. Alcune vecchie abitudini sono rimaste. Nel Grand Hotel del Popolo, ri-messo completamente a nuovo da una societ. di Hong Kong, il giovane addetto del piano mi chiama perch' paghi subito una telefonata che ho fatto quattro ore prima a Pechino. Quando bussa alla porta, svegliandomi di soprassalto, sono le due del mattino.

15. Allah ci ha dato un cuore solo

Kashgar: Cina e Asia centrale

di fango son le case, di fango son le strade, le moschee, le tombe.

Solo Mao di granito. Una delle poche, gigantesche statue del Grande Timoniere che oggi sopravvivono proprio qui, dove meno di casa: in mezzo all'oasi di Kashgar, ai bordi del deserto pi- terrificante del mondo, il Taklamakan, ai piedi delle pi- alte montagne, il Pamir, nell'angolo pi- occidentale della provincia pi- occidentale della Cina, il Xinjiang. Torreggiante sul labirinto medievale di questa citt. d'ocra brulicante di gente dall'aspetto antico, di pecore, muli e cammelli, la statua di Mao alta diciotto metri appare bizzarra, sproporzionata, fuori posto. Gli abitanti di Kashgar sono ferventi musulmani e come tali rifuggono da qualsiasi immagine della divinit.; sono uighur, una minoranza etnica nella Repubblica Popolare Cinese, e quin-di pieni di risentimento per qualsiasi cosa che rammenti loro apertamente il fatto di essere governati e dominati dalla razza prevalente: gli Han.

La statua fu eretta nel 1966, all'inizio della Rivoluzione Cul-turale, quando Pechino, a 4200 chilometri di distanza, cerc. di imporre qui le stesse politiche radicali in atto nel resto del pae-se; e le Guardie Rosse di Mao, nel tentativo di far diventare anche questo remoto e polveroso angolo di Asia centrale un al-tro oceano rosso, vietarono tutte le attivit. religiose, chiuse-ro le moschee, bruciarono pubblicamente tutte le copie del Co-rano, proibirono il commercio privato che per secoli era stato alla base della vita locale, chiusero il bazar e imprigionarono i mercanti come speculatori.

Questa politica stata ora ripudiata come un errore, e le riforme di Deng Xiaoping vengono applicate qui ancor pi- li-beramente che in altre parti del paese. La religione e il com-mercio privato prosperano, il Corano in vendita alla libreria Nuova Cina, il bazar di nuovo il cuore pieno di confusione e di vita della citt..

Tutti i segni e le scritte del passato sono stati rimossi o can-

cellati, ma l'enorme statua di Mao ancora l a dominare l'orizzonte di fango

di Kashgar, simbolo della continua determinazione

[PAGINA 110] della Cina a governare questa parte del mondo. Recente-mente lo ha fatto con la violenza, con la pressione ideologica, col terrore (le vittime della Rivoluzione Culturale, in questa zo-na, sono state settemila), ora lo fa con la tolleranza, concedendo pi- libert. e autonomia.

Cambiano i mezzi, ma lo scopo lo stesso. La lotta per la conquista dell'anima di Kashgar parte del rinnovato sforzo generale che i comunisti cinesi fanno per assicurarsi la fedelt. delle minoranze etniche e superare cos una delle debolezze tra-dizionali della Cina: l'estrema vulnerabilit. delle frontiere. Il confine su terra della Repubblica Popolare copre pi- di ventimila chilometri dal Vietnam a sud, all'India e Unione So-vietica a ovest, alla Mongolia e Corea a nord. Tutte queste aree di confine non sono abitate da Han, ma da Mongoli, Tibetani, Zhuang, Uighur, Kazak, tutta gente che per secoli non ha accet-tato di sottostare al governo cinese, contro il quale si sono pi-volte ribellati e contro il quale potrebbero in ogni momento ri-bellarsi di nuovo.

L'interno della Cina non sar. mai completamente al sicuro finch' queste minoranze non saranno pacificate e assimilate o fin quando masse di Han-cinesi, fatti emigrare dall'interno, non verranno a occupare queste aree di confine e ad assumerne il pieno controllo.

Il problema che i cinesi non possono mai contare in modo assoluto sulla lealt. di queste minoranze etniche. Anzi, sono proprio loro il tallone di Achille del paese perch', non avendo particolari ragioni di gratitudine verso Pechino, queste minoran-ze sono facile preda della propaganda dei nemici della Cina, al di l. della frontiera, dove minoranze simili vivono spesso in condizioni migliori che in Cina.

Pechino conosce bene questi pericoli.

Met. della mia famiglia nell'Unione Sovietica, ma non

posso nemmeno scrivere loro , mi dice un uighur che incontro

sotto una tettoia del bazar a bere t' e a mangiar noci. Se man-

dassi anche una sola lettera, la polizia mi metterebbe subito sot-

to sorveglianza.

Kashgar si trova a 120 chilometri dall'Unione Sovietica, a

310 chilometri dall'Afghanistan, ora occupato dai sovietici, e

a 400 chilometri dal Pakistan. Nei tempi passati Kashgar era

la prima fermata sulla Via della Seta e fu qui che sost. la carovana di Marco Polo prima di avventurarsi nel deserto, in di-

rezione della corte dei Mongoli. Era un luogo in cui il commer-cio prosperava, un punto d'incontro di genti e religioni diverse. Nel secolo scorso, Kashgar divenne un centro di intrighi e cospirazioni perch' era qui che i tre imperi si incontravano e che gli agenti pi- o meno segreti dell'Inghilterra, della Russia e della Cina giocavano la Grande Partita, come allora si chiam. la lotta per il controllo dell'Asia centrale e delle sue ricchezze.

L'impero russo spost. continuamente in avanti il confine

della propria fetta di Turkestan, ingraziandosi le minoranze locali e attirandole nell'abbraccio zarista. L'impero britannico

cerc. di bloccare l'avanzata russa estendendo la propria in-fluenza dalle sue solide basi in India. L'impero cinese tent. di ristabilire la propria autorit. sull'intera regione, a quel tempo teatro di varie ribellioni condotte in nome dell'islam dalle mi-noranze contro Pechino.

Diplomatici e spie, ufficiali, militari e archeologi, esploratori e avventurieri di vari paesi e varie reputazioni facevano capo a Kashgar, spesso in mutevoli ruoli.

Quando la Via della Seta, che per via terra dall'Occidente

portava in Cina, fu disertata a favore delle molto pi- convenienti vie del mare, l'oasi nel deserto, che era stata un tempo

cos importante e ricca, fu abbandonata, e lentamente le dune

mobili e la sabbia del Taklamakan la riconquistarono. Per seco-

li, storie di tesori sepolti da qualche parte nella desolata vastit.

del deserto continuarono a essere raccontate attorno ai fal. not-

turni delle carovane e nei bazar dell'Asia, ma chi and. a cercarli non fece mai ritorno.

Verso la fine del secolo scorso, Kashgar tomo a essere la

base di partenza per nuove imprese. Nel 1890 arriv., ospite

del famoso console russo Petrovskj, l'esploratore Sven Hedin,

al suo primo viaggio in Asia. Albert von Le Coq, invece, Sul-

le Orme di Hellas nel Turkestan occidentale (questo il titolo

del suo libro), rimase a Kashgar, ospite del console inglese Ma-

cartney, dopo aver portato via gli straordinari affreschi delle

grotte buddiste di Bezeklik, affreschi che finirono poi distrutti

nel Museo Archeologico di Berlino quando questo fu bombar-

dato dagli americani durante la seconda guerra mondiale. Fu a

Kashgar che sir Aurei Stein si ferm. col suo preziosissimo carico di manoscritti di Tunghuang prima di portarli in India e da

l al British Museum, dove sono ancor oggi.

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Tutti questi stranieri vennero qui solo per derubarci , dice la signora Guang Yuru, funzionario cinese dell'amministrazione provinciale del Xinjiang.

I cinesi considerano il Xinjiang terra loro perch' ci arrivaro-no gi. nel 126 avanti Cristo. L'imperatore Wuti aveva sentito dire che la gente di queste regioni possedeva degli speciali ca-valli che sudavano sangue e venivano direttamente dal paradiso, e li volle assolutamente avere per il proprio esercito. L'emissa-rio dell'imperatore impieg. tredici anni per andare e tornare nella capitale cinese, ma quella sua spedizione apr la strada dall'interno della Cina alle regioni d'occidente, al di l. del de serto.

Da allora il controllo delle oasi e delle popolazioni di queste terre stato considerato - e non a torto - di vitale importanza per la sicurezza della Cina. Il fatto che questo controllo non fu mai totale, e negli ultimi duemila anni della loro storia i ci-nesi hanno avuto sotto di s' l'oasi di Kashgar per meno di cin-quecento anni non consecutivi.

Uno dei problemi principali sempre stata la distanza. All'i-

nizio del secolo, una carovana impiegava cinque mesi per coprire il tragitto da Pechino a Kashgar. Ancora oggi Kashgar non

collegata per ferrovia col resto della Cina, la strada che corre lungo l'orlo meridionale del deserto non ancora completa-mente asfaltata e il piccolo aereo di fabbricazione sovietica, Antonov, che traballa fra le oasi di Aksu e Khotan, prima di raggiungere Kashgar, non decolla se non ogni quattro giorni, e solo se il tempo bello lungo tutta la rotta e le previsioni non annunciano vento.

Kashgar rimane una delle citt. pi- remote e isolate della Ci-na, e il viaggio per raggiungerla pi- un viaggio nel tempo che | nello spazio. Arrivare a Kashgar come arrivare nella Bibbia: persone e animali che intasano i vicoli della vecchia citt. di fango; vecchi, tutti con un lungo cappotto di fustagno nero, con lunghe barbe bianche e ricciolute, a cavallo di magri e bas-sissimi muli; donne, con la testa e la faccia nascoste da scialli marrone di lana pesante, raggnippate in conversazione; bambini che vanno in giro a raccogliere in cesti di paglia lo sterco degli animali usato anche qui come combustibile; bancarelle di cibo all'aperto, avvolte da nuvole di fumo e vapori, che servono spiedini e zuppa di capra.

Praticamente non esistono macchine, le biciclette sono poche e il trasporto di persone e di merci effettuato da un'infinita

flottiglia di rudimentali carretti in legno tirati da asinelli. Posh... posh... posh... (Largo... largo... largo...) il conti-nuo ritornello del carrettiere e la prima parola in uighur che si impara. I suoni, gli odori, i colori, lo sguardo della gente: molto difficile ricordare che si in Cina. Eppure Kashgar in Cina, e Pechino assolutamente decisa a fare di tutto perch' ci resti.

I comunisti presero possesso di questa regione nel 1949, e da qui lanciarono la loro pacifica liberazione del Tibet. Da al-lora, l'autorit. cinese in questa parte del mondo non stata messa in discussione, e con questo la Grande Partita per il controllo dell'Asia centrale pu. considerarsi chiusa: i cinesi l'hanno vinta.

Gli inglesi hanno abbandonato l'India divenuta indipendente,

e a Kashgar il loro elegante consolato di un tempo ora un

logoro edificio, usato dai camionisti che fanno la spola attraverso il deserto fra qui e la capitale provinciale, Urumqi. Anche i

russi sono partiti. Il loro ultimo diplomatico lasci. Kashgar nel 1958, quando le relazioni fra Cina e Unione Sovietica si inaci-dirono. Il vecchio consolato russo, dove Petrovskj congiur. per pi- di vent'anni cercando di acquisire l'intero Xinjiang per il proprio padrone, lo zar, diventato ('Albergo numero Uno dove si pu. andare a prendere un t' e dove possibile ammi-rare alcuni degli antichi tappeti locali che furono collezionati da quell'abilissimo e dotatissimo diplomatico.

Oggi, qui, l'Unione Sovietica non viene pi- percepita come

una grande minaccia. I rapporti fra Pechino e Mosca sono generalmente migliorati e nessuno a Kashgar parla pi- del pericolo di un attacco imminente o

anche soltanto della necessit. di stare in guardia contro le infiltrazioni. Al contrario. Il confine tranquillo. I sovietici hanno smesso di mandare qui le loro spie, dice Abdulla Rayim, dell'ufficio per gli Affari Esteri della provincia. Anche la propaganda al vetriolo che i sovietici diffondevano per radio, attraverso una trasmittente a Samarcan-da, cessata, e i programmi che si ricevono ora pi- chiaramen-te sulle onde corte sono quelli della bbc e di Deutsche Welle.

Al confine, il commercio locale, che era rimasto paralizzato

per quasi vent'anni, sta riprendendo: un posto per lo scambio di

merci gi. stato aperto alla frontiera con il Pakistan, un altro al

confine con l'Unione Sovietica. Altri ancora seguiranno. Non

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abbiamo nulla da temere dal far affari con i nostri vicini , dice Esai Shakir, il vicesindaco di Kashgar.

Quello che Pechino ha da temere la popolazione, perch' da quella e non da oltrefrontiera che viene la minaccia all'au-torit. cinese su questa parte del mondo. Il pericolo non costi-tuito dai sovietici, ma dai rapporti di ostilit. fra le minoranze etniche locali e gli Han.

Due anni fa un gruppo di dissidenti uighur sono stati scoperti

a preparare una rivolta anticinese che avrebbe dovuto coinvol-

gere l'intera provincia del Xinjiang. Gli slogan erano: Vogliamo l'autodeterminazione. Non vogliamo essere dominati.

Ancora nel gennaio 1983 il Quotidiano del Popolo ha scritto

che un gruppo controrivoluzionario era stato scoperto e annientato a Kashgar. Il quotidiano del partito non forn allora al-

cun dettaglio, e i funzionari della citt., oggi, rifiutano persino

di discutere della faccenda, tanto imbarazzante rimane l'argomento; ma non c' dubbio che il sentimento di ostilit. della popolazione locale contro i

cinesi profondissimo e che le idee di rivolta contro la dominazione di Pechino, pura illusione, restano. Questo il significato di controrivoluzionario. Il problema risulta ovvio anche dai semplici numeri: nella prefettura di Kashgar vivono due milioni di Uighur. Gli Han sono soltanto 360.000, ma sono questi e non gli altri che hanno in mano tutto ci. che conta. Anche se fra i direttori, i presiden-ti, i quadri responsabili delle varie e gi. selezionate unit. che il visitatore intruppato portato a vedere si incontrano degli Ui-ghur, bastano pochi minuti di conversazione per rendersi conto che il vero capo sempre uno han che se ne sta in disparte apparentemente disinteressato, ma invece attentissimo alla parte che l'uighur deve fare.

Di solito Phan viene presentato come vicedirettore o vicepre-sidente, ma a lui che l'uighur guarda per capire se ha detto le cose giuste, ed a lui che alla fine tocca rispondere alle doman-de pi- delicate e a quelle non previste dal copione.

Naturalmente, proprio questo tipo di situazione, caratteristica di ogni provincia in cui abitano le minoranze etniche e dove

i cinesi comandano, che alimenta il risentimento degli Uighur contro gli Han. in questo tipo di atmosfera che un piccolo incidente rischia di divampare in un fuoco grande e pericoloso.

Nell'agosto del 1980, per esempio, l'uccisione di un ragazzo

uighur da parte di uno han nell'oasi di Aksu dette il via a una vera e propria sommossa con scontri razziali che durarono per

giorni e durante i quali gruppi di Uighur attaccarono le case degli Han. Un incidente simile accaduto nell'ottobre del 1981 a Kashgar. Un gruppo di operai uighur dovevano scavare una fossa sul marciapiede davanti a un negozio di Stato tenuto da alcuni Han. Un'iniziale discussione divenne presto un litigio e uno degli Han fin per sparare e uccidere uno degli Uighur con un fucile da caccia. Migliaia di Uighur scesero in strada e per ore la citt. fu in preda al caos. Due Han vennero uccisi. Ci volle l'intervento dell'esercito per reprimere la sommossa, separare le due comunit. e riportare l'ordine.

Nel 1981 i rapporti fra le varie razze nel Xinjiang erano talmente peggiorati che lo stesso Deng Xiaoping dovette muoversi

per fare un giro d'ispezione della provincia e rendersi conto personalmente del grado di scontento esistente all'interno della stessa amministrazione e valutare la pericolosit. della situazio-ne. La visita di Deng fu una svolta per la regione.

Avendo constatato una grande instabilit. (parola sua) del-

la provincia, Deng ordin. una riorganizzazione completa del-

l'amministrazione locale, rimosse alcuni dei pi- alti funzionari,

incluso il governatore, e approv. il piano di liberalizzazione inteso a dare agli Uighur maggiore autonomia e a ripristinare al-

cune delle usanze a cui la gente era abituata e a cui teneva. Kashgar stata per questo un banco di prova del modo in cui Deng conta di riguadagnare la fiducia e la lealt. delle popola-zioni locali. Per ora quel modo sembra funzionare. Il bazar di Kashgar stato riaperto nel 1981 e costituisce og-gi uno dei pi- eccezionali spettacoli della Cina: un'orgia di umanit., di inventiva, di attivit. imprenditoriali; un'esibizione di tutte quelle piccole libert. che gli Uighur si sono riconqui-stati. Il bazar aperto tutti i giorni, ma quello epico il bazar della domenica.

All'alba, lunghissime carovane di gente, carretti, muli, caval-li, cammelli, pecore e capre convergono da tutte le direzioni nello spazio sterrato sotto le mura di fango della vecchia citt..

Nel giro di poche ore si aggrumano in questa piana cinquanta,

sessantamila persone che comprano, vendono, mangiano, lavo-

rano, trattano, litigano o semplicemente si aggirano in cerca di

un buon affare. Tutte le merci, le spezie, gli animali dell'Asia

centrale sono in mostra: coltelli fatti col famoso acciaio di

(tremila lire), stivali di cuoio (dodicimila lire), papaline

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ricamate, selle, cappelli alti in velluto nero con un bordo di

visone rossiccio, tappeti, oggetti in rame, radici, polveri, semi

dai diversi colori, dai mille odori. Si pu. portare a casa un cammello per duecentomila lire, un mulo per sessanta, una pecora

per venticinquemila lire.

C' chi vende grappoli d'uva e bacche di gelso. Altri prati-cano all'aperto le loro professioni: i barbieri lisciano le guance dei loro clienti con scintillanti coltellacci, i dentisti scavano nelle bocche spalancate contro il cielo con dei trapani a pedale. Camiciai, fabbri ferrai, ciabattini, erboristi, gioiellieri lavorano e vendono, chiacchierano e ridono. Ragazze graziose, con la pelle bianca e le sopracciglia dipinte con un'unica linea nera che attraversa la fronte al di sopra del naso, passeggiano fra la folla; vecchi dai volti biblici stanno seduti nei loro tabarri neri, al sole, e arrotolano sigarette con pezzi di vecchi giornali, aspettando che croccanti pagnotte di pane fresco escano dagli arcaici forni di fango montati su biciclette.

Magnifico. Vero. E pensare che, tutto questo, la Rivoluzione Culturale voluta da Mao l'aveva proibito, soffocato per ragioni ideologiche. Anche il pi- semplice commercio privato era visto come la coda del capitalismo: la coda doveva essere tagliata via e gli Uighur si erano ritrovati a doversi accontentare delle poche cose messe in vendita nei negozi di Stato. La riapertura del bazar stato il cambiamento pi- importante per la vita della citt., dice il vicesindaco, Esai Shakir.Quasi tutto il commercio ora di nuovo in mano ai privati. Oggi ci sono a Kashgar diecimila commercianti che, oltre a trattare i prodotti locali, sono in grado di far arrivare qualsiasi cosa da Shanghai e Pechino, al massimo nel giro di dieci giorni. E un vantaggio per tutti perch', se andassimo secondo la pras-si burocratica, ci vorrebbe un anno prima che la merc' arrivi a Kashgar, dice Shakir.

La prassi burocratica stata aggirata anche per quanto ri-guarda l'agricoltura, dove le Comuni Popolari, alla cui creazio-ne gli Uighur si erano opposti, sono state abolite ancor pi- ve-locemente che nel resto del paese. Ora che la gente coltiva in proprio, la produzione aumentata e con essa il reddito.

Un cambiamento ancor pi- importante per la gente del posto

stata la nuova tolleranza dimostrata da parte dei comunisti nei

confronti della loro religione: l'islam. La moschea di Id Kah, al

centro della vecchia citt., stata rimessa completamente a nuovo dopo essere stata chiusa e saccheggiata. Ogni anno, ora, ven-

ti persone ricevono il permesso di recarsi in pellegrinaggio alla

Mecca. Un'organizzazione islamica si occupa della formazione

di giovani clerici, e tutti i divieti, imposti un tempo alle varie

attivit. religiose, sono stati aboliti. Nelle novantadue moschee

riaperte ora a Kashgar la gente libera di andare e venire, di

pregare, di ascoltare la lettura del Corano all'ombra dei pioppi,

o di fare l'elemosina ai mendicanti che di nuovo vengono a raggrupparsi nei cortili.

L'Imam di Kashgar, l'ottantenne Khasim Karajin, di nuovo

il capo pi- rispettato della comunit. e, come tale, riconosciuto

anche dalle locali autorit. comuniste. La dottrina del partito

non compatibile con l'islam, dice l'Imam, per. il partito

ora tollera le nostre usanze, i nostri riti.

La tolleranza, specie a lungo andare, pu. dimostrarsi insuffi-

ciente, perch' in fin dei conti un'ideologia esclude l'altra. En-

trambe le parti riconoscono che questo un dato di fatto. Uno

deve scegliere bene la strada da fare, dice un membro del Par-

tito Comunista provinciale. Non si pu. avere un piede nell'islam e uno nel comunismo. L'Imam dice: Allah ci ha dato

un cuore solo. O si ha una fede o un'altra. O si crede nell'islam o nel comunismo.

Questa ovvia contraddizione di fondo nel Xinjiang ancora pi- profonda, perch' qui il comunismo stato portato dagli Han ed visto dalla gente del posto come un derivato della domi-nazione cinese.

Uno dei posti pi- sacri del Xinjiang, un luogo che in passato ha

attratto pellegrini da tutta la provincia, un recinto tranquillo a

otto chilometri dalla citt.. All'alba, quando la luna sbiadisce da

una parte del cielo e dall'altro sorge un sole glorioso, dietro un

tremolante paravento di pioppi, la cupola a piastrelle verdi del

mausoleo Apak Hoja, con i suoi quattro minareti, una delle

visioni pi- seducenti dell'Asia centrale. Sopra il frusciare delle

foglie mosse da un vento tiepido e il gorgogliare delle acque

nei canali che irrigano la terra piatta e arida, si sentono le litanie della gente in preghiera davanti alla cancellata di legno, che

blocca l'accesso al mausoleo, e davanti alle porte chiuse della pi- vecchia cappella l vicino. un monumento storico e lo teniamo chiuso per proteggerlo , dice la guida locale.

[PAGINA 114]Il mausoleo stato recentemente restaurato, ma anche stato trasformato in una specie di museo, dove per entrare bisogna comprare un biglietto, farsi aprire porte con catenacci: un posto in cui la gente di qui, ovviamente, non pi- a casa sua. Apak Hoja era un santo musulmano che, tra le altre cose, si serv dell'islam per fare della Kashgaria uno Stato teocratico in cui lui e i suoi familiari regnavano sovrani. Apak Hoja mor nel 1694 e per gli Uighur resta un eroe sia nazionale sia religioso. Oggi i cinesi preferiscono che la gente di qui non lo ricordi, e che non ricordi che questo monumento, splendido esempio di architettura musulmana, fu costruito da un uighur e dai suoi di-scendenti che governarono su una Kashgaria libera e indipen-dente. Al contrario, vogliono attirare l'attenzione del visitatore verso una piccola tomba di minore importanza, tra le settanta-due che stanno, protette, sotto la grande cupola. Quella tomba vuota, ma col nome del suo presunto occupante che oggi i cinesi hanno ribattezzato l'intero monumento.Nelle nuove guide questo posto non viene pi- chiamato il mau-soleo Apak Hoja, ma la Tomba della Concubina Profumata. Il modo in cui i cinesi stanno riscrivendo questo pezzo di storia una storia a s'.

Il suo vero nome era Manirisim. Era una bellissima ragazza uighur sposata a uno hoja, sovrano appunto della Kashgaria. Nel 1759, quando le forze dell'imperatore cinese Chieng Lung entrarono nella regione, uccidendo mezzo milione di Uighur e ristabilendo la legge cinese su quest'area, il marito di Mamri-sim venne catturato e decapitato. Lei, come preda di guerra, fu mandata, prigioniera, alla corte di Pechino, perch' diventasse l. una delle tante concubine.

Chieng Lung, appena la vide, se ne innamor., ma lei non si

lasci. sedurre. Tenendo come ultima eventuale difesa un coltel-

lo nascosto fra i veli delle vesti, la bella Mamrisim resist a

tutti i tentativi e a tutte le tentazioni dell'imperatore, finch'

un giorno l'imperatrice madre, preoccupata per i patemi d'animo del figlio, approfittando della sua assenza, non ordin. alla

bella concubina di uccidersi, cosa che lei fece di buon grado, andando a strangolarsi con una sciarpa di seta alla Porta della Luna, in uno dei cortili a nord della Citt. Proibita.

Quando Chieng Lung seppe della cosa rest. sconvolto e die-

de istruzioni perch' il corpo di Mamrisim fosse sepolto vicino

al luogo in cui un giorno sarebbe stato messo il suo: nel recinto delle tombe Qing, ottanta chilometri a est di Pechino, dove an-

cor oggi i due sepolcri possono essere visitati. Eppure la concubina profumata , come Chieng Lung aveva soprannominato questa sua impossedibile prigioniera, ha ora un'altra tomba, appunto nel mausoleo Apak Hoja, dove ai visi-tatori vengono anche mostrati la bara e il carro con cui, secondo questa versione, il corpo della bella sarebbe stato riconsegnato dall'imperatore alla gente uighur.

La storia della concubina profumata stata tramandata di padre in figlio dagli Uighur come esempio della crudelt. e della malvagit. degli Han; ora, per., la guida che conduce i turisti nel mausoleo conclude la nuova versione della storia dicendo:

L'amore dell'imperatore cinese per questa ragazza uighur la prova tangibile della lunga storia di unit. tra le varie razze della Cina .

Dietro al mausoleo, dozzine di altre tombe fatte di fango, a forma di piccole capanne o di piccoli duomi, giacciono l'una accanto all'altra al sole: una citt. di morti di color ocra, creata da generazioni e generazioni di Uighur venuti a seppellire i loro cari nella terra sacra.

Dov' la tomba di Yakub Beg? chiedo alla guida, riferen-domi all'uomo che a met. del secolo scorso capeggi. l'ennesi-ma rivolta musulmana contro Pechino, mise in piedi un piccolo esercito di tipo moderno, costru una serie di forti in grado di resistere agli assalti della cavalleria cinese e che, facendosi chiamare Padre ed Eroe, cerc. di rifare della Kashgaria una repubblica islamica indipendente. Yakub Beg mor avvelenato nel 1877. La guida fa finta di non capire. I funzionari che ci accompa-gnano sono imbarazzati, alcuni pretendono persine di non aver mai sentito questo nome che, per un uighur, cos familiare quanto quello di Garibaldi per un italiano. La tomba era qui, dice finalmente uno dei custodi uighur, indicando con la mano un punto indistinto nel terreno su cui siamo appena Passati. C'erano troppe tombe e il governo ha voluto piantare degli alberi. Cos, nel 1978, la tomba di Yakub Beg stata ri-mossa... ma le ossa, le ossa sono ancora li sotto. Un funzionario han, cercando di appianare la cosa, offre una spiegazione diversa da quella degli alberi: Yakub Beg era un separatista. Il ruolo che ha avuto nella storia stato orribile e la Gente di qui lo vuole dimenticare.

[PAGINA 114]

Lentamente gli Uighur potranno anche dimenticare, se si tie-ne conto che i libri di storia stampati prima dell'avvento comu-nista non sono pi- disponibili, che nelle scuole sia elementari sia medie tutta questa faccenda non viene neppure menzionata, e che solo agli studenti universitari permesso discutere il ruolo negativo che pessimi elementi come Yakub Beg hanno avuto in questa regione (cos mi ha spiegato Wu Dongyao, funzionario han della citt.).

Al contrario della Rivoluzione Culturale, che ha cercato di I spingere le minoranze verso una forma di assimilazione veloce e talora violenta, la nuova politica cinese sembra invece puntare su un processo pi- lento e pi- a lungo termine, ma anche pi-sicuro. La formula di Deng Xiaoping sembra quella di dare alle minoranze una maggiore libert., lasciando cos che siano loro stesse a scegliere la strada dell'assimilazione. Oggi, a Kashgar, ci sono due tipi di scuole: quelle han e quelle uighur. Se una famiglia uighur decide di mandare uno dei propri figli in una scuola han, gli da la possibilit. di un'e-ducazione migliore e, domani, di un lavoro migliore, ma non una decisione facile da prendere. Il fosso che divide le due co-munit. ancora profondo.

Al bazar della domenica, fra la gente pittoresca che mangia, beve, compra, discute e si diverte, non si vede una sola faccia cinese. Gli odori, lo sporco e la confusione degli Uighur sono eccessivi per gli Han i quali preferiscono, in genere, fare i loro acquisti nel grande magazzino di Stato, tetro ma ordinato, che come tutti gli altri negozi simili in Cina si chiama il negozio dei cento prodotti e dove si possono trovare gli stessi thermos, le stesse sputacchiere, lo stesso sapone e tessuto che si possono acquistare a Shanghai o a Canton.

A loro non piacciono le cose che piacciono a noi... a loro non interessa quel che interessa a noi... a loro non piacciamo noi , dice un giovane uighur che prima di rispondere al mio approccio ha tenuto a far presente: Parlo, s, cinese, ma non sono cinese.

Ogni volta che si attacca discorso con un uighur senza che uno han sia presente, subito la conversazione casca regolarmen-te sugli Han: A loro non piace la carne di pecora... loro non ballano... loro non sanno cantare. E quel loro la misura di tutta la distanza che ancora separa questi due popoli che do-vrebbero vivere assieme.

In effetti non lo fanno affatto. Kashgar consiste praticamente di due citt., e l'incrocio fra la via della Liberazione e la via del Popolo segna il punto di demarcazione: a sud di quello vivono gli Han nei loro recinti e fabbricati di mattoni, a nord vivono gli Uighur nelle loro case di fango. Persino nei quartieri mo-dello, dove le famiglie delle due razze vivono l'una accanto all'altra, la separazione permane.

L'ufficio granaglie di Kashgar, quello incaricato di dar da

mangiare a tutta la citt., si compone di millecinquecento impie-

gati con relativi familiari che, secondo quanto dice la guida locale, coesistono in grande pace e armonia. Eppure bastano

un paio di domande alla gente per scoprire che tra le famiglie uighur e quelle cinesi, che vivono a fianco a fianco nello stesso blocco, negli ultimi trent'anni non c' stato un solo matrimonio misto.

Gli Han non parlano uighur, gli Uighur non parlano han. La lingua comune quella del socialismo, dichiara il vicediretto-re Li Wukui, senz'ombra di ironia.

Al fondo di tutte le difficolt. nel rapporto fra queste due raz-ze c' il fatto che gli Uighur considerano gli Han degli stranieri venuti a vivere in casa loro senza essere stati invitati; e che gli Han, tolte le eccezioni di coloro che si mischiano con i locali e si sono adattati alle usanze e ai modi, disprezzano gli Uighur. Per lo han medio, gli Uighur sono dei semiselvaggi, dei primi-tivi, e non raro osservare uno han darsi istintivamente una spazzolata con la mano dopo essere stato sfiorato accidental-mente per strada da un uighur. Questo senso di superiorit. degli Han verso le minoranze non affatto nuovo.

Due secoli fa, dopo che le forze cinesi ebbero riconquistato

Kashgar, tagliato la testa al capo dei ribelli e inviato al serraglio

di Pechino la sua vedova, l'imperatore Chieng Lung ordin. di

erigere nella regione una stele di pietra su cui fece scolpire il

testo di questo editto: Ascoltate, o gente, per generazioni e

generazioni vi siete comportati come ladri. I potenti hanno oppresso i deboli, i pi- hanno oppresso i pochi... ma ora anche qui

viene stabilito il potere della grande dinastia Qing, e questo avvenuto per volere del Cielo... La legge cinese, a quel tempo, riport. davvero ordine a Kashgar. Ora la legge di Deng Xiaoping con le sue riforme e la sua liberalizzazione vuol portare prosperit. a questa citt. da lungo tempo dimenticata.

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Dal 1949, quando i comunisti vi misero piede, Kashgar non cambiata molto: non sono state costruite fabbriche importanti, le strade della citt. sono ancora in terra battuta, alla periferia non c' ancora la luce, e la linea ferroviaria che, secondo ripe-tute promesse, avrebbe dovuto collegare Kashgar con Urumqi e quindi col resto del paese gi. una decina di anni fa, arrivata appena a Korla, a ottocento chilometri da qui.

Al contrario di tutte le altre citt. cinesi, dove al tempo del temuto attacco sovietico sono stati scavati tunnel e rifugi anti-aerei, Kashgar, sebbene cos vicina al confine russo, non ne ha. Probabilmente i cinesi pensarono che Kashgar fosse comunque cos vulnerabile che non valeva la pena di sprecare danaro e hanno contato piuttosto sul deserto circostante quale miglior di-fesa contro i carri armati sovietici.

Ora, vista la mutata situazione internazionale e la lenta nor-malizzazione dei rapporti con Mosca, vista la riapertura delle frontiere e la rivitalizzazione del commercio privato, Kashgar diventata uno dei poli di sviluppo per la modernizzazione del Xinjiang e lo sfruttamento delle sue risorse. Ci. dar. agli Uighur la possibilit. di entrare nel flusso della vita cinese, ma al tempo stesso indebolir. la loro convinzione di essere una raz-za diversa con una cultura diversa.

Questo il destino anche delle altre minoranze in Cina. Il problema risulta chiaro dalle semplici statistiche: le minoranze rappresentano il 6,7 per cento del totale della popolazione cine-se, ma vivono nel 60 per cento del territorio nazionale. Inoltre, i territori abitati dalle minoranze sono fra i pi- ricchi della Cina e quelli che hanno depositi ancora intoccati di ricchezze natu-rali. Il Xinjiang ha giacimenti di petrolio, carbone, manganese, uranio, nichel, oro eccetera. Con la popolazione che aumen-tata proprio nelle zone pi- popolate, logico che la Cina voglia trasferire masse di gente dall'interno del paese verso le zone meno popolate e meno sviluppate, il Xinjiang, che grande quanto met. dell'India, si presenta come una delle regioni pi-idonee.

Al contrario del Tibet, dove l'altitudine un'insormontabile

difficolt. per un trasferimento in massa di popolazione della

piana, il Xinjiang offre condizioni climatiche attraentissime

per gli Han, e non certo un caso che recentemente Hu Yao-

bang, segretario generale del Partito Comunista, parlando con

alcuni giornalisti, abbia citato il Xinjiang come una delle tre aree del mondo (le altre due sarebbero il bacino delle Amazzoni

e la regione del Sahara) con il pi- alto potenziale di sviluppo. Hu Yaobang ha detto che il Xinjiang potrebbe facilmente assor-bire 200 milioni di persone. Oggi la regione ha solo 14 milioni di abitanti.

Sin dal 1949 Pechino ha mandato dei coloni nel Xinjiang. Recentemente questa pratica stata accelerata con la riattiva-zione dei Corpi per la produzione e ricostruzione , una forza paramilitare costituita da soldati in congedo che vanno, in veste di contadini e di tecnici, ad aprire zone vergini del paese e a lavorare alle infrastnitture. Finora queste masse di immigrati han, anche per evitare un eccessivo risentimento da parte delle popolazioni locali, sono state tenute lontane dai centri abitati e dalle aree tradizionalmente occupate dagli Uighur. Quaranta chilometri a est di Kashgar, gi. nel Taklamakan, si trovava un tempo una delle famose citt. sulla Via della Seta, prima di essere, come tante altre, inghiottita dal deserto: Ha No Yi, la casa del re. Mille anni fa ci abitavano ottantamila persone. Ora, si riconosce appena il luogo in cui sorgevano le mura della citt. e si indovina dove erano le case dalle manciate di cocci di terracotta che sbucano fra la sabbia. All'inizio del secolo gli stranieri hanno portato via tutto quel che c'era di artistico e di prezioso, dice un funzionario dell'amministrazione di Kashgar. Questo tutto quel che rimasto. Quel che rimasto viene ora portato via dagli Han e nep-pure con l'interesse di quegli stranieri che, dopotutto, fecero finire quei tesori nei musei d'Europa. Dietro le dune si sente l'ansimare di una ruspa che scrosta il terreno caricando mon-tagne e montagne di terra su grandi camion. La usano come fertilizzante. Il migliore viene proprio da l., dove un tempo c'erano le case e le stalle degli animali, dice un giovane ope-raio che osserva la scena. Un paio di giorni fa son venute fuori quantit. d'ossa e altre cose, ma i contadini hanno tenuto solo gli oggetti di metallo. Alcuni erano anche d'oro. I ca-mion, con i loro carichi di terra mescolata ai resti di un'antica citt. che farebbero la delizia di tanti archeologi, spariscono nel deserto.

Lontano, nella foschia della calura, si vede il profilo delle

baracche in cui abitano i nuovi coloni. Tutt'attorno, i campi

che debbono essere fertilizzati. Ci sono gi. sessantamila nuovi

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immigrati che vivono qui. Ne verranno sempre pi-, e pian piano gli Uighur saranno numericamente sopraffatti.

Siccome la presenza dei nuovi coloni vuol dire non solo accresciuta dominazione han sulla regione, ma anche progresso e

sviluppo economico, gli Uighur troveranno sempre pi- difficile opporsi all'assimilazione. Come altre minoranze intrappolate geograficamente fra due nazioni potenti, gli Uighur non hanno molto da scegliere. L'idea di uno Stato uighur indipendente assolutamente fuori discussione come lo quella di un Tibet indipendente da Pechino.

Gli Uighur di Kashgar, in teoria, potrebbero attraversare il confine e andare a raggiungere gli Uighur che abitano nell'U-nione Sovietica ma, a parte le migliori condizioni di vita, non farebbero che passare da una dominazione a un'altra. La via pi-logica sarebbe quella di unirsi agli Han nel progetto di moder-nizzazione della Cina, e con ci. progredire di pari passo agli Han diventando sempre pi- simili a loro.

Alcuni quadri uighur hanno gi. fatto questo passo ripudiando

l'islam e frequentando le scuole del partito. Altri usciranno dal-

le moltitudini di ragazzi e ragazze uighur che ora, vestiti nelle

nuove uniformi delle scuole e fra un gran sventolio di bandiere

rosse, marciano nei giorni di festa, sfilano davanti alla moschea

Id Kah, sotto gli occhi sorpresi e tristi di vecchi uighur intabarrati e gli sguardi nascosti di donne velate.I sette cinema di Kashgar proiettano - coi dialoghi in cinese - gli stessi film che sono in programma nel resto della Cina; la stazione televisiva locale trasmette, con cinque giorni di ritardo, il notiziario nazionale e internazionale mandato da Pechino. Anche questi programmi sono in cinese, tranne un riassunto delle notizie che va in onda, il finesettimana, in uighur.

Kashgar mostra sempre pi- i segni del suo cinesizzarsi. il

nuovi edifci dell'amministrazione comunale sono nello stesso

stile cinese-socialista che domina nel resto del paese. All'entrata di alcune scuole uno zampillo d'acqua scaturisce da un cu-

mulo artistico di sassi, come nei giardini di pietra di Suzhou. Su un'isola al centro di un bel laghetto alla periferia della citt. ora in costruzione una piccola pagoda. Non far. altro che ag-giungere un altro tocco di cinesit. al paesaggio di fango di Kashgar, gi. dominato dalla gigantesca statua di granito di Mao Tsetung.

16. Ammazza un pollo

per far paura alle scmmie

Le esecuzioni di massa

Di solito, una pallottola nella nuca sufficiente. Altrimenti il poliziotto aspetta qualche minuto e tira un altro colpo: questa volta al cuore.

Nell'aspetto tecnico la Cina si modernizzata. Per il resto,

invece, tutto si svolge come ai vecchi tempi. La folla viene convocata in una grande piazzalo allo stadio; gli imputati, le mani

legate dietro la schiena, la testa rapata, lo sguardo a terra, ven-

gono trascinati al centro dell'arena, ognuno con un cartello sul

petto che descrive il suo crimine contro il popolo: furto, violenza carnale, assassinio. L'accusa fa la propria requisitoria. I

giudici ascoltano, la folla guarda attonita, qualcuno urla. Il processo dura poco. Gli imputati sono tanti e bisogna far presto. La sentenza gi. stata decisa prima, e di solito : a morte. I condannati vengono stivati sul cassone di camion sco-perti e portati in giro, al suono di gong e tamburi, per la citt.. Questa parata dura a lungo, anche delle ore, cos che tutti ve-dano. Uno striscione sul fianco dei camion annuncia: Proteg-giamo la vita e le propriet. del popolo .

Sul luogo dell'esecuzione - a Pechino un campo vicino al

ponte Marco Polo - i condannati vengono messi in fila e fatti

inginocchiare. Un poliziotto nell'uniforme dell'ufficio della

Pubblica Sicurezza passa dietro a ognuno e spara con la sua

pistola d'ordinanza. Dei manifesti bianchi, col testo in nero

e i nomi dei condannati cancellati con una croce rossa, annunciano le avvenute esecuzioni, e capannelli di gente si fanno

sotto, in silenzio, a leggere le cinque o sei righe dedicate a ciascun caso.

La campagna iniziata nel settembre del 1983 con una decisione del Congresso del Popolo, che ha emendato il codice

penale, appena entrato in vigore, e ha tolto una serie di restri-

zioni che esso imponeva alla comminazione della pena di morte. I termini per l'istruttoria sono ridotti a tre giorni; al condan-

nato non debbono pi- essere notificate in anticipo le accuse. Le

condanne a morte non debbono pi- essere approvate dalla Corte

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Suprema. Ti possono arrestare il marted e fucilare il sabato , dice un giovane di Pechino.

Ai ventidue delitti che, anche in precedenza, comportavano

la pena di morte, se ne sono ora aggiunti, con effetto retroatti-

vo, altri sette, fra cui il furto aggravato, il rapimento e la vendita di donne e bambini .La stampa di partito ha dato molta importanza a questa cam-pagna contro la criminalit.. In capo a tre mesi 700.000 persone erano gi. state arrestate. La popolazione, invitata a collaborare, ha reagito benissimo: secondo i primi rapporti ufficiali la poli-zia ha gi. ricevuto 440.000 denunce spontanee, in gran parte di contadini che accusano i loro vicini.

Il numero dei giustiziati in tutta la Cina ancora tenuto se-greto, ma le stime per i primi tre mesi vanno dalle 4000 alle 10.000 esecuzioni. Le reazioni della gente sono generalmente positive. Era ora che si facesse fuori qualcuno. La citt. pi- pulita senza quei maledetti. Ora si potr. stare pi- tran-quilli: sono i commenti pi- comuni che si sentono stando in mezzo ai capannelli di gente in permanenza davanti ai manife-sti che annunciano le esecuzioni.

Le ragioni di questo consenso sono sulla bocca di tutti: negli

ultimi quattro anni, dal varo cio della politica riformista di

Deng Xiaoping, la criminalit. era in aumento; di sera molte

persone avevano paura a uscire da sole, moltissimi delitti restavano impuniti. Dal 1980 al 1983 ci sono stati, secondo le stati-

stiche ufficiali, 40.000 assassini! in tutta la Cina, ma la polizia riuscita ad arrestare soltanto 4000 colpevoli.

L'ondata di esecuzioni, ora, rassicura la gente e - fatto im-portantissimo - allontana da Deng Xiaoping l'accusa che la cri-minalit. fosse una conseguenza della sua liberalizzazione e che egli non facesse nulla per combatterla.

C' voluto che toccasse a lui! dice la gente. Secondo una

versione che circola a Pechino, la campagna anticrimine ha

avuto inizio dopo che la macchina su cui viaggiavano Deng

Xiaoping e Li Xiannian verso Beidahe stata fermata e assaltata da un gruppo di banditi che da tempo imperversavano in

quella zona. Una delle loro guardie del corpo stata accoltel-

lata. Secondo un'altra versione, la campagna contro i criminali

sarebbe cominciata dopo che la figlia di un viceministro, violentata da un giovanotto in una latrina pubblica di Pechino, ave-

va scritto al partito una lettera in cui chiedeva che lo stupratore fosse giustiziato. In caso contrario la ragazza, che era stata mor-sicata al petto e al sedere, si sarebbe suicidata nel mezzo di piazza Tienanmen.

Per i cinesi che amano raccontarsele, queste due storie vogliono se non altro dire che i massimi dirigenti del paese hanno

finalmente capito di che cosa soffre quotidianamente il popolo e hanno deciso di reagire.

La criminalit. in Cina c' sempre stata. Anche quando le autorit. maoiste giuravano che nel paese non esistevano pi-n' criminali n' prigioni e che la gente non aveva niente da te-mere, bastava guardare le biciclette per rendersi conto che a tut-te mancava il fanale, mentre nessuna era priva di un grosso luc-chetto chiaramente contro i ladri.

Quel che nuovo sono l'impennata subita dal numero (dal

1978 al 1981, secondo le statistiche, l'aumento dei delitti sta-

to del 60 per cento) e l'insorgere di fenomeni quali la corruzio-

ne (specie tra i funzionari), prima molto pi- sotto controllo. La

polizia, prima temuta, veniva cos accusata di lassismo e vari

episodi, concernenti alti funzionari che erano riusciti a proteg-

gere figli e parenti coinvolti in gravi scandali, avevano fatto

perdere prestigio al partito. Da qui la necessit. di dare un esempio di durezza e di imparzialit.: nell'ottobre 1983, il nipote del

Maresciallo Chu De, eroe nazionale, e tre suoi complici, tutti figli di commissari politici dell'Esercito di Liberazione, sono comparsi davanti a un tribunale di Tianjin e condannati a morte per furto, stupro e altri delitti. A Pechino si racconta che la ve-dova del Maresciallo, nonna del principale imputato, e presi-dentessa dell'Unione delle donne cinesi, sia andata personal-mente da Deng Xiaoping a chiedere la grazia, ma, convocata una riunione del Politburo, stato votato a maggioranza che si procedesse col colpo alla nuca.

Nonostante episodi come questo, intesi a dimostrare che la

legge uguale per tutti , la campagna contro la criminalit., per

il modo stesso con cui viene condotta, dimostra che la Cina,

che solo quattro anni fa si era data dei nuovi codici proclaman-

do che i sistemi della Rivoluzione Culturale erano definitiva-

mente accantonati e che il paese era finalmente diventato

uno Stato di diritto, ancora molto lontana dalla propria

meta

Di legale c' ben poco nel modo in cui la gente viene arre-

stata, viene portata davanti ai tribunali del popolo, viene messa

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alla gogna e poi spedita al Creatore con una pallottola nella nuca.

Nei documenti interni del partito la campagna contro la cri-minalit. stata lanciata con lo slogan Arrestatene cento e giu-stiziatene uno e, allo stesso modo della campagna per pian-tare alberi , anche questa ha le sue quote e i suoi tempi per raggiungerle.

Si dice che, sulla base del totale nazionale di persone da giu-stiziare entro un anno, ogni provincia, ogni contea, ogni citt. abbiano la propria quota da fornire, e fra le storie che circolano tra i cinesi ci sono anche quelle di luoghi in cui la polizia, non avendo dei veri criminali da mettere al muro, finisce per arre-stare e fucilare lo scemo del villaggio, accusandolo di stupro, tanto per raggiungere il numero richiesto.

La stessa Societ. giuridica cinese ha espresso dubbi su questa campagna affermando che le esecuzioni di massa stan-no distruggendo di nuovo il sistema legale appena messo in pie-di . Altri hanno denunciato questo indurimento delle pene co-me una ritorsione di tipo feudale. Altri ancora, facendo no-tare che la met. dei condannati a morte sono tutti giovani sotto i venticinque anni, accusano Deng Xiaoping e gli altri dirigenti di aver dato il via a una vendetta generazionale dei vecchi che furono vittime della Rivoluzione Culturale contro i giovani che la fecero.

Amnesty International ha espresso dubbi e preoccupazione per l'ondata di esecuzioni.

Non c' dubbio che la campagna contro la criminalit., specie nelle province, l'occasione per regolare vecchi conti e, per la polizia, di riprendere in mano il controllo della popolazione. Il problema della legalit. secondario, o forse non neppure av-vertito come problema da chi detiene il potere.

Un caso vale per tutti. Nella citt. di Shijiazhuang, capitale

della provincia di Hebei, un giovane operaio di diciotto anni

ha per amante una donna pi- vecchia di lui. Dopo alcuni mesi

la lascia. Lei lo accusa allora di averla violentata. Il giovane

viene arrestato, condotto davanti ai giudici popolari e condan-

nato a otto anni di prigione. Il giovane dichiara che la condanna

ingiusta e che non l'accetta. I giudici lo invitano a ricorrere in

appello. Lui dice che tutto inutile e che non gli resta altro da

fare che aspettare otto anni per vendicarsi della donna ucciden-

dola. Allora i giudici si rimangiano la sentenza appena pronunciata. Sostengono che il giovane evidentemente un elemento

antisociale e pericoloso, per cui tanto vale ammazzarlo subito senza aspettare che commetta un assassinio fra otto anni. Il gio-vane viene giustiziato.

Pi- che con la legge, la campagna contro la criminalit. ha a

che fare con la politica. Il fatto che l'azione contro i criminali

sia stata intrapresa da Deng Xiaoping proprio alla vigilia del-

l'annuncio della campagna di rettificazione all'interno del par-

tito - vale a dire l'epurazione di coloro che si oppongono alla

sua linea - fa pensare che le esecuzioni di alcune migliaia di

giovani, criminali o no, sia anche un ultimo e duro avvertimento per coloro che nel partito oppongono resistenza.I cinesi, che hanno un proverbio per ogni situazione, a pro-posito di questa citano quello che dice: Ammazza un pollo per far paura alle scimmie.

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17. I cinesi non sono abituati a vivere

senza un imperatore

La campagna contro l'inquinamento spirituale

all'angolo della via Wang Fujin e del viale della Lunga Pace, proprio dinanzi al Peking Hotel, un'enorme, solenne faccia di Mao domina da giorni la marea delle biciclette e dei passanti. Un po' pi- a sud, al crocevia delle Perle, un altro immenso, ma pi- giovane, Mao, dipinto sul muro, dirige la prima importante battaglia della Lunga Marcia. Si tratta solo dei cartelloni di due nuovi film che vengono proiettati dal 26 dicembre, novantesimo anniversario della nascita del Grande Timoniere; ma per l'uomo della strada cinese, abituato a fiutare il minimo muta-mento politico, il messaggio implicito di quei due cartelli dipin-ti a olio ovvio: Mao tornato di moda.

Dopo essere stato il vero, seppure innominato, imputato nel processo contro la Banda dei Quattro, dopo essere stato indicato come il responsabile degli errori della Rivoluzione Culturale in un importante documento votato dal partito, dopo che tutti i suoi ritratti sono stati rimossi dagli edifici pubblici della Cina, a eccezione di quello sulla Porta della Pace Celeste, dopo esse-re diventato una non-persona, col suo nome quasi mai citato, col suo mausoleo per la maggior parte del tempo chiuso, con le sue ricorrenze regolarmente dimenticate, all'improvviso la Cina torna a parlare di lui.

Oltre ai due film, in occasione del suo anniversario escono una cinquantina di libri su di lui; la sua casa natale, che quasi era scomparsa dalla carta della Cina dopo aver rappresentato una sorta di Betlemme socialista, stata restaurata e riaperta al pubblico; il museo annesso stato riorganizzato e ampliato.

Il pensiero di Mao ha costituito il tema di un importante seminario di otto giorni tenutosi nella citt. di Nanning e riportato

ampiamente dalla stampa.

Le teorie militari di Mao, passate praticamente nel dimentica-toio in quanto inattuali e superate, vengono riscoperte e lodate nel-le pubblicazioni ufficiali. Diverse decine di scritti di Mao, fra cui proprio alcuni che erano inclusi nel Libretto Rosso, sono tornati a figurare tra le letture obbligatorie per i membri del partito.

Per giunta, ora in pieno sviluppo una campagna nazionale

contro il cosiddetto inquinamento spirituale, i cui toni (per

esempio, l'antintellettualismo) e alcuni obiettivi (i valori borghesi e l'influenza occidentale) ricordano da vicino i toni e

gli obiettivi della Rivoluzione Culturale voluta e lanciata da Mao nel 1966.

La Cina, dunque, ritorna al maoismo?

Nient'affatto, afferma un osservatore straniero. Pi- che a un ritorno al maoismo, stiamo assistendo a una revisione del maoismo. Si tratta di Deng Xiaoping che ora spiega alla Cina quel che ha davvero detto Mao. L'ipotesi plausibile. Dopo sette anni al potere, Deng deve ancora consolidare la propria presa sul partito e sul paese e deve preparare un'agevole suc-cessione per i due uomini che ha messo alla testa del governo (Zhao Ziyang) e del partito (Hu Yaobang).

Le esperienze degli ultimi anni, con vari tentativi in diverse direzioni, hanno dimostrato a Deng che questi obiettivi possono essere raggiunti solo con il mantenimento di una certa continui-t. e conservando un certo legame tra il passato e il futuro. Que-sto legame pu. essere soltanto Mao.

La strada - per un po' imboccata - della demaoizzazione s' presto rivelata piena di incognite e di pericoli. Mettere in di-scussione uno dei dogmi faceva automaticamente mettere in di-scussione tutti i dogmi; approfondire i discorsi su alcuni erro-ri portava all'esposizione di tutti gli errori. Se Mao era stato responsabile della Rivoluzione Culturale e dei suoi misfatti, era stato ugualmente responsabile del Grande Balzo in Avanti e della campagna contro gli elementi di destra, con tutte le loro follie e le loro ingiustizie.

Della tanto vantata Nuova Cina inaugurata nel 1949, restava

dunque ben poco, se tutto ci. che era stato fatto, almeno dal

1957 in poi, risultava in un modo o nell'altro un errore. Della

chiaroveggente e sempre giusta linea del Partito Comunista,

che cosa restava da salvare? Se il passato, poi, stato cos pieno di errori, come si fa a garantire alla gente che il presente e

specialmente il futuro saranno diversi?

Togliere Mao all'adorazione di ottocento milioni di contadini, cui per tre decenni era stato detto che a lui dovevano la loro li-berazione, presentava enormi rischi di fratture e reazioni. Dopo-tutto, Mao e non pu. che restare il fondatore della Repubblica Popolare; dopotutto, Mao la colla che tiene assieme la Cina.

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Per questo, Deng ha bloccato la demaoizzazione e presenta ora se stesso non come il distruttore, ma come il continuatore, l'arricchitore del maoismo. Senza cadere nel pacchiano di un nuovo culto della personalit., come aveva fatto Hua Guofeng, che s'era persine cambiato la pettinatura per assomigliare a Mao, Deng lascia che la sua immagine pubblica ricordi e alluda a quella di Mao: a Shanghai viene stampato un manifesto in cui Deng compare torreggiarne sopra schiere di soldati e intellettua-li, esattamente come Mao nei manifesti della Rivoluzione Cul-turale; in tutti i giornali del paese compare la foto di Deng che nuota in mare, esattamente come quella famosissima di Mao mentre attraversava le acque del Fiume Azzurro.

Sembra proprio che questo paese non ce la faccia a vivere

senza un imperatore, dice un amico cinese. Ormai ci siamo

troppo abituati.

Deng riempie ora il vuoto lasciato da Mao, e non un caso

che, come facevano gli imperatori del passato con i loro predecessori, sia stato Deng a scrivere di proprio pugno gli ideogrammi per la targa

commemorativa da apporre sulla casa natale di Mao. Deng Xiaoping l'uomo che, con la sua profonda cono-scenza del marxismo-leninismo, ha dato un enorme contributo alla difesa e all'arricchimento del pensiero di Mao, ha scritto un ideologo del partito, commentando le Opere scelte di Deng Xiaoping, stampate in quaranta milioni di esemplari. Deng Xiaoping, difensore della fede, , dunque, il vero successore di Mao.

Quale Mao? Ovviamente non quello della Rivoluzione Cul-turale, ma quello che torna comodo alla politica del momento, il Mao che disse pubblicamente che tutti i membri del partito dovrebbero andare a imparare la dialettica da Deng Xiaoping, il Mao che di Deng disse: una persona di raro talento e molto forte in ideologia. Episodi, questi, ora ampiamente riportati dalla stampa.

Col riproporre un Mao riveduto e corretto e col proiettare se stesso come il difensore e Parricchitore di Mao, Deng Xiaoping, in verit., si prepara ad attaccare gli ultimi maoisti e, facendo proprio Mao, toglie a costoro la migliore arma di difesa.

Nella Cina di oggi la sinistra decapitata, ma esiste. I maoi-sti ortodossi hanno perso il loro centro di attrazione al vertice del paese (il Maresciallo Ye Jianying vecchio e paralizzato, Hua Guofeng politicamente bruciato e sta morendo di can-cro), ma resistono fra i quadri bassi e intermedi del partito, nel-l'esercito, nell'amministrazione statale. da l che possono fare ostruzionismo alle politiche denghiste, da l che rimangono potenziali protagonisti di un possibile tentativo di ritorno al po-tere di tipo radicale.

Sulla destra, Deng ha un altro tipo di nemici e anche costoro vengono adesso affrontati.

Due campagne procedono cos di pari passo e si bilanciano, perch' gli uni sono contenti di quel che Deng fa agli altri e lui pu. sperare di vincere la propria scommessa di lasciare, moren-do, una Cina denghista. Deng ora pi- forte di quanto sia mai stato Mao anche all'apice del suo potere, dice un analista americano.

La campagna contro la sinistra si chiama di rettificazione ed sostanzialmente una caccia agli uomini (rettificazione si-gnifica identificare gli elementi che si ostinano a contrastare e danneggiare il partito, si legge nel documento approvato dal Comitato Centrale nell'ottobre del 1983). La campagna contro la destra, campagna contro l'inquinamento spirituale, so-prattutto una caccia alle idee, mascherata da un appello alla moralit..

Dobbiamo combattere tutto ci. che osceno, barbaro, vol-gare e reazionario, ha detto Deng Liqun, capo dell'ufficio Propaganda del partito e grande crociato in questa battaglia. L'osceno facilmente identifcabile: una ragazza di Shanghai va a far sviluppare delle foto fatte col fidanzato e viene arresta-ta: in camera oscura alcune delle pose si sono rivelate troppo sconce. Una cantante in un albergo di Canton viene interrotta nel mezzo dello spettacolo, multata e rimandata a casa: lo spac-co della sua gonna era troppo alto. Un gruppo di giovani a Xian vengono arrestati perch', con una videocassetta e un bel film porno, organizzavano spettacoli privati (biglietto d'ingresso: venti yuan), mentre un gruppo di Canton, molto pi- intrapren-dente, aveva messo in piedi un centro clandestino di riproduzio-ne di videocassette cochon.

Ma osceno anche un giovane scrittore che sostiene che

l'arte un mezzo di espressione personale; osceno uno

studente che dichiara che una vera democrazia non pu. essere

un sistema con un partito unico e degli intellettuali i quali trovano

[PAGINA 121] che leggere Sartre pi- interessante che leggere Marx. La polizia trova che un migliaio di libri in una biblioteca del Si-chuan sono volgari e li confisca. Sei delle ventun riviste pubblicate nella provincia di Hubci, dopo la caduta della Banda dei Quattro, vengono classificate di pessima qualit. e indotte a chiudere. L'inquinamento spirituale pare essere un morbo che non risparmia nessuno e che si manifesta nelle forme pi- varie. In Tibet, dove neppure le alte montagne e i grandi fiumi sono bastati a impedire l'inquinamento (cos si esprime Radio Lha-sa), questa peste si rivela nel riapparire della religione e della superstizione. Nella provincia di Ningxia, in alcuni cartelloni che fanno la pubblicit. a prodotti occidentali. Persino gli atleti cinesi, specie quelli che sono venuti in contatto con la comu-nit. internazionale, l'ideologia decadente e il sistema capitali-sta, sono affetti da questa malattia: I giovani danno pi- peso alla preparazione fisica che a quella ideologica e pensano ormai solo in termini di soldi, di interessi personali e di gloria, come scrive il Giornale dello Sport.

Secondo ci. che scrive la stampa ufficiale, i circoli letterari e

quelli artistici sono fra i pi- colpiti dal morbo che dilaga, e per-

sino la fantascienza viene ora attaccata perch' creature spaziali e robot sono utilizzati per instillare dubbi circa le politiche

del partito e il socialismo, com' stato detto nelle conclusioni di uno speciale simposio tenuto a Shanghai su questo tipo di genere letterario, diventato popolarissimo in Cina. In nome di questa campagna, che a molti ricorda i toni della Rivoluzione Culturale, una compagnia di balletto portoghese, appena arrivata in Cina, ha dovuto rivedere il suo programma originale considerato troppo modernistico; gli impiegati della municipalit. di Pechino hanno dovuto tagliarsi i baffi; un barbiere stato lodato dalla stampa per essersi rifiutato di fare la permanente agli uomini, e centinaia di giovani sono stati sottoposti a sessioni di critica per essersi vestiti troppo eccentricamente. Al mattino, quando mi vesto, non so pi-cosa mettermi per paura che i miei capi mi accusino di essere avvelenata' , dice una venditrice di un grande magazzino di Pechino.

La campagna contro l'inquinamento spirituale ha cominciato a mietere vittime anche nelle alte sfere: due dei giornalisti

pi- in vista del Quotidiano del Popolo hanno perso il posto; lo scrittore Bai Hua, famoso per i suoi lavori di critica a Mao,

stato attaccato come rappresentante di una linea politica che contraria al socialismo.

Pornografia, capelli lunghi, robot, religione, Freud eccetera-Ma che cosa vuole questo Deng Xiaoping?

Ha aperto la finestra per far entrare un po' d'aria fresca e ora vuole eliminare tutte le mosche che con quell'aria fresca sono entrate in Cina, dice un osservatore americano. Ci. che preoccupa Deng non sono tanto le mosche entrate nel paese che lui ha aperto alla tecnologia, al turismo, alle idee oc-cidentali, quanto il fatto che il Partito Comunista, con le sue campagne e controcampagne, con la totale maoizzazione prima, la tentata demaoizzazione poi, si sente ora sfidato nella sua le-gittimit. a governare il paese.

Alcuni mesi fa il problema era chiamato crisi di fiducia

ed era imputato soprattutto alla confusione creata dai radicali

con la Rivoluzione Culturale. Ora viene chiamato inquina-

mento spirituale ed imputato soprattutto all'influsso venuto

dall'Occidente, ma nella sostanza il pericolo lo stesso. Il pericolo sta nel fatto che il Partito Comunista ha perso credibilit.

e prestigio, che ha difficolt. a farsi rispettare dalla gente, che

non riesce pi- a tenere in riga gli intellettuali e che il comunismo visto da sempre pi- gente - lo scrive la stessa stampa

ufficiale - come un impossibile sogno.

La societ. cinese del dopo-Mao non certo pi- quella degli anni immediatamente successivi alla Liberazione, che ora i vec-chi rivoluzionari, come Deng Xiaoping, rimpiangono, ricordano come il periodo d'oro e vogliono ricostituire. Allora la gente era volenterosa, disposta a fare sacrifici per il paese e la sua ricostruzione. Oggi, non pi- cos. L'esercito ha difficolt. a trovare volontari di buon livello, il partito a selezionare giovani che non vogliano la tessera per puro opportunismo. La giovent-

sfiduciata, la societ. ha perso la sua coesione e per questo la criminalit. in aumento. Il partito stesso corrotto (il 30 per cento dei crimini economici, resi pubblici nell'ultimo anno, stato commesso da funzionari del partito); religione e supersti-zione, combattute duramente per tre decenni, rifioriscono anche fra i giovani che sono stati educati nelle scuole socialiste, e al-cuni intellettuali hanno cominciato a parlare di alienazione nel-la societ. socialista.

stata proprio questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso

[PAGINA 122] e ha fatto scattare la campagna contro l' inquinamento spi-rituale .

In occasione del centenario della morte di Carlo Max, Zhou Yang, vicepresidente dell'Unione degli artisti e scrittori, da sempre uno dei principali responsabili della politica culturale del paese, ha scritto nel Quotidiano del Popolo, organo del par-tito, che umanesimo e marxismo debbono essere compatibili, che spesso il marxismo dimentica il valore dell'essere umano e che, nonostante la societ. socialista abbia grandi vantaggi su quella capitalista, anche il socialismo affetto da aliena-zione: meglio ammetterlo per potervi far fronte. Apriti cielo, spal.ncati terra. L'articolo ha scatenato una bufera. Il diparti-mento della Propaganda del partito ha proibito ad altre pubbli-cazioni di ristamparlo. La teoria della natura umana e l'idea che l'uomo il punto di partenza del marxismo sono state attaccate come responsabili di tutta la cattiva letteratura in cui si parla di libera democrazia, emancipazione individuale, anarchismo, nichilismo e negativit. (cos scrive Guang Ming, il quotidiano degli intellettuali).

Passano otto mesi e Zhou Yang costretto a rimangiarsi tutto, facendo per. un'autocritica che insinua: Non sono stato

abbastanza cauto nello scrivere certe cose. Il direttore edito-riale e uno dei capiredattori del Quotidiano del Popolo vengono rimossi, chiaramente per aver permesso la pubblicazione del-l'articolo di Zhou Yang. Una serie di intellettuali che, sulla scia di Zhou Yang, avevano espresso idee simili vengono attaccati. Alcuni fanno l'autocritica. La facolt. di filosofia di Fudan, a Shanghai, confessa di aver presentato idee in contrasto con alcuni punti-base del marxismo e il comitato del partito della stessa facolt. si impegna, d'ora in avanti, a costruire nella mente di insegnanti e studenti una Grande Muraglia per resiste-re all'inquinamento spirituale.

Bai Hua - l'autore del film Amore amaro, messo al bando

perch' il protagonista dice a un certo punto la frase, ora in Cina

famosissima: Io amo la patria, ma la patria mi ama? - sta-

to attaccato come non patriottico; la scrittrice Ding Ling, divenuta un caposaldo dell'ortodossia culturale e che non ha pre-

so la penna per scrivere un buon romanzo da vent'anni, l'ha

presa per condannare quegli artisti i quali credono che meno

il partito controlla la cultura, meglio . Secondo lei indispensabile che il partito abbia la mano sulla produzione letteraria.

Le vecchie tattiche comuniste .i avere un artista che attacca

gli altri, di far s che gli intellettuali si sbranino da soli, tornano

a galla. Certe persone hanno cercato di scrollarsi di dosso la

guida del partito dicendo che l'arte deve essere libera, come un

cavallo selvaggio, ha detto il capo del partito nella provincia

di Anhui in una manifestazione pubblica per denunciare i mali

dell'inquinamento spirituale che, secondo lui, vuol dire diffondere le idee decadenti della borghesia e delle altre classi

sfruttatrici, spargere sfiducia nel socialismo, nel comunismo e nella guida del Partito Comunista.

Nel novembre 1983, il Quotidiano del Popolo riassume il problema dell'inquinamento dicendo: Non abbiamo finora fat-to abbastanza attenzione alle tendenze della destra ideologica... fra di noi ci sono persone che, col pretesto degli errori commes-si dal partito durante la Rivoluzione Culturale, ora rifiutano la guida del partito.

Il problema tutto qui. Con la morte di Mao e la rimozione della cosiddetta Banda dei Quattro, Deng Xiaoping ha dovuto, anche per rendersi popolare, far tirare il fiato alla gente, co-me si diceva allora; ha dovuto allentare i controlli e permettere una certa libert. di espressione (il Muro della democrazia e la Primavera di Pechino) che andava a suo conto in quanto serviva ad attaccare l'ultrasinistra.

Quell'allentamento, per., ha anche dato il via a tutta una se-rie di ripensamenti e di dubbi all'interno del partito stesso, ed da l che ora viene la possibile sfida, non tanto alla dirigenza di Deng e dei suoi successori, ma alla sopravvivenza stessa del Partito Comunista cinese alla guida del paese.

Per questo scrittori che vogliono trattare di problemi umani,

professori che discettano di esistenzialismo, studenti che vo-

gliono una democrazia multipartitica sono fondamentalmente

osceni, quanto i pirati di videocassette porno o la ragazza

che si fa fotografare col fidanzato in pose sconce. La colpa

si fa per dire - tutta dell'influenza occidentale che la po-litica della porta aperta ha creato in Cina.

Dopo alcune settimane di grande violenza verbale, la campa-

gna contro l'inquinamento, che stava per gettare il paese in una

forma di terrore troppo simile a quello della Rivoluzione Cul-

turale, stata messa in sordina e poi accantonata; ma il fatto

che sia stata lanciata, che gli alti vertici del partito l'abbiano

approvata, significa che questa mentalit. dei cacciatori di streghe

[PAGINA 123] esiste ancora e che il meccanismo di repressione ancora l. pronto a essere riattivato in qualsiasi momento, nel futuro.

Deng non pu. rinunciare alla politica di apertura al mondo

esterno perch' questa la sua unica chance di vincere la scommessa su cui tutta la sua politica di modernizzazione, per alzare

il tenore di vita della gente, si fonda. Ma di tanto in tanto dovr.

schiacciare le mosche del libero pensare e dell'occidentalizzazione che quell'apertura comporta.La campagna contro F inquinamento spirituale stata solo un avvertimento di cui anche tutti i dirigenti della nuova Citt. Proibita debbono tenere conto.

Il primo ministro Zhao Ziyang, cui piace vestirsi all'europea e che quando va in visita all'estero si porta dietro una serie di bei vestiti e un corredo di venti cravatte, recentemente ha ba-dato bene, ricevendo dei dignitari stranieri a Pechino, a indos-sare di nuovo la classica giacca di Mao.

18. E ora cominciamo con la tua rieducazione La mia espulsione dalla Repubblica Popolare Cinese confessa, contessa i tuoi crimini e il regime del popolo ti trat-ter. con clemenza. Se invece nascondi qualcosa, la tua condan-na sar. durissima... Confessa. per il tuo bene... pensa al tuo futuro... Confessa. Cinque poliziotti cinesi, in uniforme blu, mi stanno a guar-dare e la voce metallica di quello che mi interroga mi arriva, per ore e ore, nelle orecchie come da una distanza infinita. Nel-lo stato di confusione causato dalla fatica, nell'altalena di mi-nacce e promesse, la mente come un mare pieno di relitti da cui affiorano a caso resti di vita e di ricordi. Confessa. Noi conosciamo i tuoi delitti. Le masse ti hanno osservato da tempo, dice il secondo interrogatore. Mi vengono in mente libri letti anni fa: Prigioniero di Mao, di Jean Pasqualini, il francese che pass. sette anni nelle prigio-ni cinesi; Ostaggio a Pechino, del giornalista inglese Anthony Grey, che fu tenuto per ventisei mesi segregato nel suo appar-tamento. Mi vengono in mente storie di interrogatori durante la Rivoluzione Culturale, resoconti di lavaggio del cervello scritti da cinesi e da stranieri sopravvissuti al gulag cinese del passato. Ma questo non il passato, non la Cina della Banda dei Quat-tro: questo ora, 1984, e non si tratta di loro, gli altri; sono io, e mi viene da sorridere al pensiero di me ostaggio di Deng Xiaoping.

Quali delitti? chiedo.

Tu lo sai bene ed meglio che confessi subito. Parla. Non

menare il can per l'aia... Confessa.

Tutto cominciato il 1 febbraio quando sono andato in viaggio a Hong Kong. Al posto di frontiera di Gong Bei, fra la Cina

e la colonia portoghese di Macao, sono stato perquisito dalla testa ai piedi dai doganieri cinesi che mi hanno sequestrato un portafortuna datomi da mia moglie nel 1975 dopo che, cat-turato dai khmer rossi in Cambogia, riuscii miracolosamente a salvarmi. Quel portafortuna stato da allora sempre con me ed passato avanti e indietro attraverso le frontiere cinesi decine di volte. I doganieri mi hanno dato una ricevuta e mi hanno detto di rivolgermi a Pechino per la sua eventuale restituzione.

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Una settimana dopo torno in aereo a Pechino. Alla dogana vengo nuovamente preso da parte e perquisito minuziosamente.

Questa volta mi vengono confiscati due periodici cinesi pubblicati a Hong Kong e che il mio ufficio in Cina riceve comunque

regolarmente con la posta. La procedura dura a lungo, e adesso mi rendo conto che quella lentezza era solo un modo per far si che tutti i passeggeri se ne andassero e non ci fossero testimoni a quel che stava per succedere.

Quando finalmente il capodoganiere con un sorriso mi dice:

Puoi andare, l'aeroporto completamente deserto, tutti gli altri passeggeri sono spariti e io mi preoccupo di non riuscire a trovare un taxi che mi porti a casa.

All'uscita mi ferma un giovane poliziotto: Tu sei Deng

Tiannuo? (il mio nome cinese composto dal nome di famiglia

Deng, come Deng Xiaoping, e gli altri due caratteri che vogliono dire promessa del Cielo ).

S. Sono io.

Seguimi.

Sono le dieci e un quarto di sera dell'8 febbraio. Andiamo al primo piano dell'aeroporto e vengo fatto accomodare in una piccola stanza. Due poliziotti mi si siedono davanti, in silenzio, a osservarmi.

Posso fare una telefonata? chiedo.

Mi dicono che non c' nessun telefono e che presto verr. un | loro capo a parlarmi.

La porta socchiusa. In una stanza piena di fumo, dalla parte opposta del corridoio, vedo altri poliziotti. Sento squillare un telefono, ma non riesco a percepire la conversazione che segue.

Passa un'intera ora finch' non entra, alto, scarno, gli occhiali

spessi su un naso storto, un ufficiale. In mano ha un piccolo

pezzo di carta in calce al quale vedo il timbro rosso dei docu-

menti ufficiali cinesi. Si appresta a leggere e io automaticamente reagisco prendendo il mio libretto di appunti e la mia penna

Metti via, dice lui, non il momento di prendere appunti! Ma io sono giornalista, ribatto.

Che giornalista... ride quello. Tu sei un farabutto, un cri-

minale. Siediti , e, tenendo il foglietto con tutte e due le mani,

come fosse una dichiarazione di guerra, declama: Deng Tian-

nuo... in nome del governo del popolo, in base all'articolo 38

del codice di procedura penale della Repubblica Popolare Cinese, ti dichiaro detenuto per interrogatori. Ho ordine di portarti

all'ufficio della Pubblica Sicurezza di Pechino. D'ora in poi sei sotto il mio comando.

Mi mostra il foglietto, mi indica in calce la firma del coman-dante di Pechino e mi chiede di controfirmare. Mi rifiuto. In-nanzitutto debbo chiamare l'ambasciata italiana o quella tede-sca. Vengo informato che mi ormai proibito ogni contatto con il mondo esterno.

Accompagnato da una mezza dozzina di poliziotti, con tutti i

bagagli che mi sembrano diventare ogni momento pi- pesanti,

scendiamo verso l'uscita. Si passa davanti al banco dei taxi, dove so che ci sono vari telefoni e tento di raggiungerne uno. Una

mano decisa mi tira via e quella piccola violenza, pi- di ogni altra parola precedente, mi fa capire che non sono pi- libero. Stretto fra due poliziotti nel sedile posteriore di una Mercedes nera con le tendine tirate, vengo portato verso Pechino e la lun-ga, silenziosa corsa attraverso le spettrali strade della capitale scioglie grovigli di fantasie e di incubi.

Sono vissuto in Cina quattro anni e ho sentito terribili storie di gente prigioniera di questa temuta polizia cinese. Conosco le vicende di tanti che per poco o anche nulla spariscono per anni e anni nei campi di lavoro senza mai vedere un giudice o pas sare per un'aula di tribunale.

Scomparire. Scomparire. La parola mi rimugina nella testa assieme al pensiero che nessuno mi ha visto, nessuno sa che sono stato preso.

Prima di raggiungere la piazza Tienanmen la macchina piega a nord nella strada del Lago ed entra nel cortile di quella che un tempo era la residenza di un principe manci- e ora la sede della Pubblica Sicurezza, sezione stranieri.

Nella stanza dove vengo portato ci sono delle poltrone, un tappeto e il solito quadro a olio della Grande Muraglia. Sui ta-voli, delle tazze da t'; ma nessuna per me, e ho freddo. Poli-ziotti vanno e vengono bisbigliandosi nelle orecchie inquietanti segreti. Alcuni si affacciano solo per darmi un'occhiata e poi se ne vanno.

Di che cosa posso essere accusato? So bene che gli articoli

che ho scritto da quando sono in Cina non mi hanno reso par-

ticolarmente gradito alle autorit.. Anzi: dopo il mio viaggio nel

Tibet, mi fu detto dall'allora portavoce del governo che ci. che

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avevo scritto da Lhasa aveva irritato moltissimo alcune alte personalit.. L'anno scorso, dopo che pubblicai una serie di articoli sulla deliberata distruzione della vecchia Pechino da parte dei comunisti, fui chiamato al ministero degli Esteri e in nome delle masse tedesche irate dalla distorsione dei fatti cinesi (apparentemente quel ministero si sente di rappresenta-re tutte le masse popolari del mondo) fui criticato e messo in guardia contro ulteriori articoli di quel tipo.

Il pezzo, poi, che i miei figli scrissero sulla loro esperienza

nella scuola cinese fu oggetto di durissime critiche, e molti credono ancora che fosse farina del mio sacco e non esclusivamen-

te del loro, come invece .

Nel dicembre 1983, il ministero degli Esteri ha fatto sapere,

per via diplomatica, che, a causa dei miei articoli, il mio visto

da giornalista non sarebbe stato rinnovato alla sua scadenza. In-

vece il 17 gennaio, dopo un amichevole chiarimento seguito a

un intervento delle autorit. di Bonn, il visto mi stato prolungato per un anno.Com' possibile che le stesse autorit. montino ora, a distanza di sole due settimane, qualcosa contro di me? O forse non si tratta delle stesse autorit. e ora ho a che fare con il ministero della Sicurezza dello Stato che, scontento della decisione del ministero degli Esteri di farmi stare in Cina ancora un anno, tenta di cacciarmi con i suoi metodi? La solita lotta fra radicali e moderati?

Un gruppo di poliziotti entra nella stanza e si dispone ceri-moniosamente dinanzi a me. Uno stende dei fogli bianchi e si appresta a scrivere.

Lo Scarno: Come ti chiami?

Potete leggerlo qui, e gli porgo il mio passaporto.

Qual il tuo nome cinese?

Gli porgo la mia tessera di giornalista.

I due documenti scompaiono nella borsa di plastica nera che lo Scarno carezza continuamente come se contenesse tutte le sue armi segrete contro di me.

Infatti.

Da li tira fuori un nuovo foglietto con timbro rosso: Ordine di perquisizione di Deng Tiannuo e della sua abitazione .

Di nuovo mi viene chiesto di firmare, di nuovo rifiuto, ma

noto un dettaglio interessante: la data di quel documento il

20 gennaio. Giusto tre giorni dopo che il mio visto stato rin-

novato. Sembra davvero un'azione della polizia contro la decisione del ministero degli Esteri.Un giovane poliziotto mi perquisisce. Il contenuto delle mie tasche viene disposto sul tavolo, quello dei bagagli per terra. Ogni pezzo di carta viene esaminato, quelli scritti in cinese messi da parte assieme a tutti gli indirizzi di amici e conoscenti cinesi. AH'1.45, nel mezzo della notte, con una temperatura di dieci gradi sotto zero, di nuovo pigiato fra due poliziotti nella Mer-cedes nera, vengo portato nel quartiere diplomatico dove vivo. Lo Scarno mi avverte: Finora la tua detenzione un segreto e non vogliamo renderla pubblica. Vogliamo salvaguardare la tua reputazione, non vogliamo che per questo tu perda il tuo lavoro. Ora andiamo nella tua abitazione e lo facciamo in silen-zio. Non vogliamo destare scalpore, non vogliamo svegliare i tuoi vicini. Contiamo sulla tua collaborazione. Io, al contrario, conto sul fatto che qualcuno mi veda, ma quando arriviamo davanti all'ingresso del casamento, dove vi-vo, non c' un'anima in vista, il cortile muto e tutte le finestre buie, tranne due all'ultimo piano. Ma chi abita l? Nell'ascensore di ogni casamento c' un telefono che serve al guardiano sempre presente per avvisare la polizia ogni volta che un cinese va a far visita a uno straniero. Chiedo di nuovo di chiamare l'ambasciata. Per tutta risposta vengo spinto con forza verso la porta.

Fra i poliziotti che scendono, alcuni con grosse valigie nere, dalle macchine che ci hanno seguito, vedo una troupe televisiva e due fotografi che preparano i loro flash. Penso a una trappola, penso a chili di eroina che possono improvvisamente essere tro-vati sotto il mio letto e faccio quello che mi son proposto per tutto il tempo: aiuto... aiuto... sono il giornalista Terzani... aiuto, urlo a pi- non posso.

Tutti i poliziotti mi si buttano addosso. Uno tenta di chiuder-

mi la bocca e cos la sua mano finisce fra i miei denti. Uno

tenta di afferrarmi fra le gambe, altri mi prendono per i capelli

cercando di torcermi la testa. Sento un paio di colpi sulle spalle,

ma continuo a gridare. Chiamati dallo Scarno, arrivano di rinforzo il guardiano della mia casa, quello della casa accanto e i

tre impiegati del turno di notte della Posta.

Con un piede riesco a chiudere la porta della Mercedes, ma

presto vengo sopraffatto e buttato dentro la macchina che riparte a tutta velocit. verso la sede della polizia.

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Strana sensazione quella di passare davanti alle case di ami-ci, davanti al Peking Hotel dove mi immagino gente che cono-sco, ora al loro ultimo bicchiere nel bar, e pensare che non pos-so raggiungere nessuno. Quel che non so che le mie grida hanno svegliato un diplomatico occidentale e sua moglie, che quelli si sono affacciati alla finestra; che nella mischia delle ombre nere nel cortile essi hanno riconosciuto i miei capelli gri-gi e hanno gi. avvertito Graziella Simbolotti, consigliere del-l'ambasciata italiana.

Siccome le macchine non avevano targhe speciali e gli uomini nei loro cappotti imbottiti non potevano da lontano essere

riconosciuti come poliziotti, si racconta che sono stato pic-chiato e rapito da un gruppo di sconosciuti .

Lo Scarno furibondo. Sei un selvaggio. Cosa credi? Che abbiamo paura delle tue urla? Siamo poliziotti del popolo e non abbiamo paura di nulla e di nessuno. Dovresti sapere che abbia-mo ogni mezzo per farti fare ci. che vogliamo. Avremmo po-tuto portare con noi i bastoni elettrici, ma non abbiamo pensato che fosse necessario usarli con te. Un'ora dopo, quando si riparte, vedo che i poliziotti si siste-mano dei manganelli alle cinture. Due giovanottoni mi prendo-no in consegna e, torcendomi le dita e piegandomi le braccia dietro la schiena, mi immobilizzano completamente. Un grosso cappotto imbottito mi viene buttato sulla testa e le mie nuove urla vengono cos soffocate con facilit..

Come un pacchetto, vengo portato in casa. Primi a entrare

sono quelli della televisione e i fotografi. L'appartamento si

inonda della luce dei flash e io divento protagonista involontario di un assurdo film. Mi spingono attraverso la casa, forzan-

domi davanti alla mia libreria, facendomi sedere al mio tavolo.

La perquisizione dura dalle tre alle sei e un quarto del mat-

tino. Pi- di venti poliziotti mettono a soqquadro la casa vuotan-

do cassetti, sfogliando ogni libro, esaminando ogni incartamen-

to del mio ufficio, smontando le lampade per guardare nel loro

interno, io vengo continuamente portato qua e l. per essere filmato e fotografato con in mano le prove dei miei crimini,

che piano piano si accumulano sul tavolo da pranzo. Quando viene fatto l'inventario e tutto finisce in tre grosse borse, a parte sedici foto di famiglia e altre scattate in vari mu-sei cinesi, gli oggetti confiscati sono sessantaquattro. Fra questi:

un manifesto di Mao e Hua Guofeng, stampato in Cina nel 1980, cui avevo recentemente aggiunto un piccolo crocifisso

che avevo curiosamente trovato in vendita nel tempio buddista

di Shaolin nella provincia di Henan; una cartolina, mandatami

tempo fa da un collega europeo, in cui la faccia della Gioconda

sostituita con quella di Mao; sette bottoni di giada; un'incen-

siera di ottone che mi ero fatta fare qualche mese prima; alcuni

Budda senza valore che ornavano il mio altare di casa; tre figurine di bronzo che stavano sulla mia scrivania; un manifesto

di un tanka tibetano; una tartaruga di legno della Thailandia; una scatola per il bethel del Laos; tre gabbie di grilli (chiedo che le bestiole che hanno continuato a cantare allegramente du-rante tutta la perquisizione vengano risparmiate e questo desi-derio viene esaudito).

Tornati alla sede della polizia, l'interrogatorio riprende. Un'o-ra dopo l'altra.

Rifiuto di collaborare e mi vengono dati brevi periodi per ri flettere.

Se confessi subito, sarai trattato con clemenza, altrimenti la pena sar. durissima, ripete lo Scarno. inutile che ti rifiu-ti... sappiamo gi. tutto... siamo stati informati da... Si sa che questo un trucco vecchio quanto la polizia, ma uno vede nella propria mente sfilare gli amici, le persone che si conoscono e d'un tratto ciascuno pare diventare un possibile traditore. Penso al libretto con tutti i nomi e gli indirizzi dei cinesi che conosco e che stato trovato nella mia scrivania e immagino come quel-la gente possa essere ricattata e costretta eventualmente a testi-moniare contro di me e ad accusarmi dei crimini pi- terribili.

Il mondo lontano. Attraverso le finestre guardo i rami stecchiti d'un albero contro il cielo grigio di Pechino e immagino

che tutti i cinesi che conosco vengano in questo momento in-terrogati come me.

Improvvisamente provo quel che devono provare loro. Mi sento come un cinese deve sentirsi davanti alla polizia: dispe rato, senza terreno sotto i piedi, senza una legge da citare, un diritto da invocare e con la sola possibilit. di confessare, di pentirsi e di abbandonarsi ai propri salvatori .

Finalmente sono anch'io un cinese! E questo pensiero mi di-

verte. Gli stranieri in Cina hanno di rado la possibilit. di avvi-

cinarsi alla vera vita della gente, perch' restano dentro le mura

costruite apposta per tenerli separati. Gli stranieri vivono in ca-

se speciali, mangiano in speciali ristoranti, viaggiano sui treni

[PAGINA 127] in scompartimenti speciali, stanno in speciali alberghi, costan-temente guidati e sorvegliati da speciali cinesi. Gli stranieri vivono in Cina come su una giostra che li separa dalla vita. Ogni volta che cercano di scendere, di stabilire un rapporto normale con un normale cinese, di andare a trovarlo nel suo appartamento, di andare a fare una passeggiata con lui, quel muro si ricostruisce perch' il cinese, questo diritto di incontrarsi con uno straniero, non ce l'ha. Protetto dai suoi privilegi, lo straniero non ha mai la possibilit. di provare che cosa un cinese sogna o teme.

Ecco la mia chance. Improvvisamente mi si aperta una finestra su uno degli aspetti pi- importanti della vita di qui: il

rapporto fra il cittadino e il potere. Sono stato ingoiato nel ven-tre della balena e mi avvicino a quel cuore di tenebra che una parte cos importante della vita di questo paese. Dopo diciannove ore vengo finalmente portato davanti a due giovani diplomatici, Bisogner. e Giorgi, dell'ambasciata italia-na, che guardano preoccupati la manica stracciata del mio cap-potto.

Mi vengono formalizzate le accuse: insulti al presidente Mao e al Partito Comunista cinese ( un atto, questo, controrivolu-zionario - dice un poliziotto -, perci. gravissimo); acquisizio-ne privata, possesso e trasporto di tesori nazionali cinesi.

L'alternativa dinanzi alla quale vengo posto semplice: o

controfirmo l'ordine di detenzione, l'ordine di perquisizione,

l'inventario, i protocolli degli interrogatori e stilo una confessione, o vengo formalmente arrestato e trasferito in una pri-

gione cinese.

Non ho studiato per anni la Cina per non sapere che qui il piegarsi una virt- e l'ostinazione un delitto. Essendomi gi. sentito come un cinese, non mi ora difficile comportarmi co-me un cinese.

Firmo i documenti ma, invece di una confessione, scrivo un

breve testo che intitolo il mio errore: Io sottoscritto Tiziano

Terzani, conosciuto in Cina come Deng Tiannuo, dichiaro di

essere in possesso di alcuni vecchi oggetti cinesi acquistati pri-

vatamente. Mi rendo conto ora che l'acquisto, il possesso e il

trasporto di questi oggetti sono contro la legge cinese. Mi dispiace di aver commesso questo errore e chiedo comprensio-

ne . Mi scuso, inoltre, di aver offeso la memoria di Mao affig-gendo un crocifisso al suo ritratto.

Alle sei di sera del 9 febbraio vengo rilasciato, ma il mio

status quello di sospetto agli arresti domiciliari. Mi viene

trattenuto il passaporto. Ho l'ordine di non muovermi da Pechino e di restare a disposizione della polizia.Rientro in una casa che non mi pare pi- mia: in disordine, violentata. La notte piena di. incubi.

La prima convocazione viene al mattino. Mi debbo presenta-re alle due e mezzo del pomeriggio.

Stessa stanza. Stessi poliziotti. E ora cominciamo con la tua

rieducazione, dice lo Scarno, mentre un giovane prende ap-

punti. Dopo le prime ore, ieri hai finito per fare dei buoni progressi nel tuo atteggiamento. Ora vogliamo aiutarti a farne di pi-. Raccontaci tutto,

raccontaci i tuoi pensieri. Non nasconder-

ci nulla.

Va avanti cos per varie sedute. Io racconto dove ho compra-

to i vari oggetti confiscati, come mai quel minuscolo crocifisso

finito sul petto di Mao nel manifesto, come mai i miei figli,

per il mio compleanno, mi hanno dipinto come regalo un quadro che mi raffigura travestito da dio cinese seduto su un trono

con su scritta la prima frase che hanno imparato in cinese:

Lunga vita al Partito Comunista cinese .

Dalla borsa di plastica dello Scarno escono fogli ingialliti di vecchi giornali e manuali del poliziotto con testi di leggi che mi vengono recitate con un crescendo minaccioso di pene per i miei crimini: da una multa di poche lire a dieci anni di ga-lera, all'ergastolo.

Ergastolo. La. parola mi viene ripetuta varie volte, ma io non discuto. Semplicemente racconto. Con i miei progressi ven-gono anche i premi: la prima seduta niente da bere, la seconda acqua bollita, la terza una tazza di t' fumante. Ci sono ancora momenti di tensione.

Dove hai comprato questo tankat chiede lo Scarno.

Non un tanka. un manifesto. Qui c' scritto prinied in

London. L'ho comprato al Victoria and Albert Museum a Lon-

dra per una sterlina.

Tu menti. Tu menti e lo sai, urla lo Scarno. Questo tan-

ka lo hai comprato o forse rubato nel Tibet. vero? Tu ci sei

stato in Tibet, non vero?

Certo che ci sono stato.

Quando?

Nel settembre del 1980.

[PAGINA 128]

Lo vedi che ho ragione, allora? Questo tanka viene dal Ti-bel. No. Non un tanka, una riproduzione stampata a Lon-dra. Cos per delle ore.

Eppure lo Scarno non un imbecille. Printed in London lo sa leggere anche lui. Allora perch' mi fa questa scena?

In Cina, quel che si vede spesso non che l'ombra di una

cosa, e ci. che pare la realt. spesso solo teatro. Allora possibile che lui mi parli di vilipendio a Mao, di tanka tibetani, di

antichit., ma invero miri ed altro. Ma a che cosa? Devi smetterla di andare in giro in bicicletta vestito da ci-nese, mi ha detto tempo fa un amico di Pechino. La polizia finir. per prenderti per una spia! Posso essere accusato di spionaggio?

In Cina, tutto quello che non pubblicato nei giornali ufficiali segreto di Stato, comprese le traduzioni degli articoli

sulla Cina apparsi in pubblicazioni straniere. Durante la perqui-sizione della casa ho sentito spesso i poliziotti che dicevano:

Mei you... mei you (non ce ne sono... non ce ne sono). Forse cercavano documenti di quel tipo.

Durante uno degli interrogatori lo Scarno ha parlato di stra-nieri che vengono in Cina per fare azioni di sabotaggio politico ed economico, ma questo tema stato presto abbandonato e, quando lo Scarno mi da come compito a casa da scrivere la mia autocritica, dice di centrarla esclusivamente sul vili-pendio e l'acquisizione di antichit.. Falla bene, altrimenti la dovrai scrivere e riscrivere varie volte. Mi da tre giorni. Per un cinese, oggi, scrivere l'autocritica un fatto normale, come per un cristiano confessarsi e, da cinese , tento di farla bene. Scrivo diligentemente venti pagine e le intitolo La Cina e io. Racconto del mio interesse per questo paese; del mio studio di Mao; di come ho finito per mettere il crocifisso sul manife-sto; di come ho comprato, allo stesso modo di altri stranieri che hanno vissuto e vivono a Pechino, delle piccole antichit.; di come il piccolo Budda portafortuna, datomi da mia moglie nel 1975, fosse venuto in Cina assieme a tutte le altre cose comprate in varie parti dell'Asia, allorch' ci siamo trasferiti da Hong Kong a Pechino nel 1980, quando non c'era una legge che prescrivesse la dichiarazione specifica delle cose possedute.

Questa non un'autocritica, dice lo Scarno dopo essersi preso due giorni per leggere il tutto. un'autodifesa. Debbo

riscrivere altre cinque pagine e passare altre lunghe ore di in-terrogatorio-rieducazione.

Il 17 febbraio lo Scarno dice di dover fare un rapporto ai suoi superiori sui miei progressi. Io debbo aspettare il loro verdetto. Passano giorni e giorni e non sento niente. Senza pas-saporto, senza possibilit. di difendermi dando pubblicit. alla cosa (questo non farebbe che peggiorare seriamente la tua si-tuazione, mi ha avvertito varie volte lo Scarno), aspetto. Il 2 marzo, la telefonata: Qui la polizia. Vieni alle tre . Stessa stanza. Stessi poliziotti. Su tre tavoli, tutto il bric-.-brac che stato portato via da casa mia. Puoi prendere degli appunti , dice il poliziotto, prima di leggere con grande forma-lit. la decisione sul trattamento di Deng Tiannuo, 46 anni, ita-liano, giornalista... che ha commesso atti criminali. Il punto centrale suona cos: ... in base all'articolo 137 del codice penale della Repubblica Popolare Cinese, chi ruba o esporta tesori nazionali viene condannato a una pena detentiva di non meno di tre anni e non pi- di dieci anni. Nei casi gravi il colpevole viene condannato all'ergastolo. Noi avremmo potuto procedere legalmente contro Deng Tiannuo, e ci. gli avrebbe procurato l'ergastolo, ma in considerazione dei buoni rapporti fra l'Italia e la Cina, in considerazione dei buoni rapporti fra la Cina e la Repubblica Federale tedesca, in considerazione dei progressi fatti da Deng Tiannuo nella sua rieducazione, ab-biamo deciso di trattarlo con clemenza.

Il trattamento consiste nella confisca di venticinque og-getti, in una multa di duemila yuan, circa un milione e settecen-tomila lire.

Il punto finale dice: Deng Tiannuo non pi- adatto a vive-re in Cina. Fra le cose confiscate come tesori nazionali, anche il tanka printed in London. Quanto al delitto di vilipen-dio, mi viene condonato in ragione dei progressi fatti nella rieducazione e in ragione del modo esauriente in cui Deng Tiannuo si scusato .

Che cosa vuol dire che non sono pi- adatto a vivere in Cina? chiedo.

Tu lo capisci benissimo, risponde lo Scarno. Vuoi dire

che devi lasciare la Cina il pi- presto possibile.

Poi prende un altro foglio dalla tasca e legge: Lascia che ti

dia un consiglio personale. Quando esci dalla Cina, non tentare

[PAGINA 129]

di farci degli scherzi e di distorcere i fatti. Abbiamo gi. avuto altri casi del genere e abbiamo saputo fare i conti. Li faremo anche con te. Per oggi tutto .

L'ambasciata italiana chiede di avere una lista degli oggetti confiscati e una copia della sentenza della polizia. La rispo-sta negativa. L'ambasciatore tedesco chiede di vedere le cose confiscate, ma gli viene risposto che questa sarebbe un'intol-lerabile interferenza negli affari interni della Cina . Il giorno dopo pago la multa e mi viene restituito il passa-porto, perch' possa comprare il biglietto aereo per Hong Kong. Mi viene anche ritirata la tessera di giornalista.

Non ho contrabbandato nessun tesoro nazionale cinese n' ho

ammesso di averlo fatto in tutti i documenti che ho firmato,

eppure ora in Cina sono un criminale. E che finezza! Uno dei

temi ricorrenti dei miei articoli stato la distruzione della cultura cinese da parte dei comunisti, e ora sono io accusato da

loro di aver derubato quella cultura.

Il 5 marzo, all'alba, vado all'aeroporto. Lascio a casa i miei abiti cinesi e mi metto di nuovo la cravatta. Tutti i formulari della dogana e della polizia li riempio in inglese e non pi- in cinese come un tempo. Mi firmo Terzani.

Deng Tiannuo non esiste pi-.

Indice

Prefazione all'edizione 1998  1

Prefazione 

Liberi di volare, ma solo in gabbia

La Cina di Deng Xiaoping  17

La morte dei mille tagli

La distruzione di Pechino  25

Il cielo alto e l'imperatore lontano

Xinjiang: la provincia ai confini con l'Unione Sovietica 66

Il regno dei topi

La Manciuria: base industriale della Cina  80

Voci celesti

Giochi cinesi con grilli e piccioni  106

Se i contadini sono contenti, l'impero stabile

Lo Shandong e la fine delle Comuni Popolari  112

Costruire per cento anni

La vecchia colonia di Qingdao  136

Insegniamo loro a non ribellarsi

Qufu: dove nacque Confucio  142

Come cani dalle ossa rotte

Il Tibet dopo trent'anni di occupazione cinese 146

Lo accoltellai quattro volte ed ero felice

Shanzi: comunismo contro cultura tradizionale 167

Ottimo per l'individuo, ottimo per la patria

La rinascita delle arti marziali  190

Il miglior bambino un bambino morto

La politica per il controllo delle nascite  202

Disciplina nel Campo dell'erba profumata

I miei figli scrivono della loro scuola cinese 211

[PAGINA 130]

Ben vengano i capelloni

Shenzhen e Canton: esperimenti col capitalismo 222

AUah ci ha dato un cuore solo

Kashgar: Cina e Asia centrale  229

Ammazza un pollo per far paura alle scimmie

Le esecuzioni di massa  245

I cinesi non sono abituati a Vivere senza

un imperatore

La campagna contro l'inquinamento spirituale 250

E ora cominciamo con la tua rieducazione

La mia espulsione dalla Repubblica Popolare Cinese 259

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TEA

La scansione di questo libro stata

curata da Pietro Pellerito


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