Tremellio viene soprannominato "Scrofa"
Tremellius cognomen Scrophae eventu tali 1 habuit.
Is Tremellius cum familia atque liberis in villa erat. Servi eius2 , cum
de vicino scropha erravisset3 ,
eam subripiunt atque conficiunt4 .
Vicinus custodiis suis omnia circumvenit ne5 quid effugere
possit, vilicum appellat, pecudem repetit. Tremellius, cum ex vilico rem
comperisset3
, scrophae cadaver sub centonibus collocat, super quos uxor eius cubabat; inde
quaestionem vicino permittit. Cum ad cubiculum perveniunt6,
iurat Tremellius nullam esse in villa sua scropham7
, "nisi ista - inquit - quae in centonibus iacet": et lectulum
monstrat. Vicinus discedit ridens8
, et ea facetissima iuratio Tremellio Scrophae 9
cognomentum dedit.
Da
Macrobio, Saturnalia 1. 6. 30
Tremellio ebbe il soprannome di Scrofa a causa del
seguente1
episodio. Questo Tremellio si trovava nella (sua) villa con la servitù ed i
figli. I suoi servi, siccome una scrofa era sfuggita dalla (casa del) vicino,
la catturarono e (la) uccisero2. Il
vicino circonda tutto (= tutta la villa di Tremellio) con i suoi sorveglianti,
perché nulla possa sfuggir(ne), chiama il fattore, chiede indietro l'animale.
Tremellio, dopo aver saputo la cosa dal fattore, mette il cadavere della scrofa
sotto le coperte su cui stava dormendo sua moglie; poi permette la
perquisizione al vicino. Quando giungono nella stanza da letto, Tremellio giura
che nella sua villa non c'è nessuna scrofa, "se non questa - dice - che
giace tra le coperte": e mostra il letto. Il vicino se ne va ridendo, e
quello spiritosissimo giuramento diede a Tremellio il soprannome di Scrofa.
Nota
1 - italiano
Tale.
Nota
2 - italiano
la sottraggono e (la) uccidono.
Cesare conquista la Gallia
Is primus vicit Helvetios, qui
nunc Sequani appellantur, deinde vincendo per bella gravissima usque ad Oceanum
Britannicum processit Domuit autem annis novem fere omnem Galliam, quae inter Alpes, flumen
Rhodanum, Rhenum et Oceanum est, et circuitu patet ad bis et tricies centena
milia passuum. Brittanis mox
bellum intulit, quibus ante eum ne nomen quidem Romanorum cognitum erat, eosque
victos, obsidibus acceptis, stipendiarios fecit. Galliae autem tributi nomine annuum imperavit stipendium
sestertium quadringenties, Germanosque trans Rhenum aggressus, immanissimis
proeliis vicit. Inter tot
successus ter male pugnavit, apud Arvernos semel praesens et absens in Germania bis Nam legati eius duo, Titurius et Aurunculeius,
per insidias caesi sunt.
Eutropio, Brev.
ab U. C. 6. 17
Egli per primo vinse
gli Elvezi, che adesso sono chiamati Sèquani, poi, vincendo con guerre molto
serie, avanzò fino all'oceano britannico. Sottomise poi in nove anni quasi
tutta la Gallia
che si trova fra le Alpi, il fiume Rodano, il Reno e l'oceano e (che) si
estende per un perimetro di seimila miglia1. Subito
dopo portò guerra ai Britanni, che prima non conoscevano2 neppure
il nome dei Romani e, dopo aver(li)
vinti, ricevuti degli ostaggi, li rese tributari. Alla Gallia invece ordinò a
titolo3
di tributo una imposta annua di
quaranta milioni di sesterzi4 e, assaliti i Germani al di là del Reno, (li) vinse in
battaglie atroci. Fra tanti successi, combattè con esito negativo tre volte,
una volta presso gli Arverni, (pur) essendo (egli) presente e due volte in
Germania, mentre non era presente. Infatti due suoi luogotenenti, Titurio ed
Aurunculeio, furono uccisi in un agguato.
Nota 1 per seimila miglia nel perimetro;
Nota 2 ai quali non era noto;
Nota 3 sotto il nome.
Nota 4 quattrocento
volte (cento migliaia) di sesterzi.
Tito,
"amore e delizia del genere umano"
Huic1 Titus filius
successit, qui et ipse Vespasianus est dictus, vir omnium virtutum genere
mirabilis adeo, ut amor et deliciae humani generis diceretur, facundissimus,
bellicosissimus, moderatissimus Causas Latine egit, poemata et tragoedias
Graece composuit. In oppugnatione
Hierosolymorum sub patre militans duodecim propugnatores duodecim sagittarum
confixit ictibus. Romae tantae
civilitatis in imperio fuit, ut nullum omnino punierit, convictos adversum se
coniurationis dimiserit, vel in eadem familiaritate, qua antea, habuerit. Facilitatis et liberalitatis tantae
fuit ut, cum nulli quidquam negaret et ab amicis reprehenderetur, responderit
nullum tristem debere ab imperatore discedere, praeterea cum quadam die in cena
recordatus fuisset nihil se illo die cuiquam praestitisse, dixerit: "Amici,
hodie diem perdidi". Hic Romae
amphitheatrum aedificavit et quinque milia ferarum in
dedicatione eius occidit. Per haec inusitato favore dilectus morbo periit in
ea, qua pater, villa post biennium et menses octo, dies viginti, quam imperator
erat factus, aetatis anno altero et quadragesimo.
Eutropio, Brev. ab U. C. 7. 21-22
Cioè a Vespasiano.
A costui (=
Vespasiano) succedette il figlio Tito, che fu chiamato anch'egli Vespasiano,
uomo straordinario per ogni genere di virtù1, al punto
che veniva chiamato amore e delizia del genere umano, molto eloquente, abile
guerriero2,
molto equilibrato. Trattò cause in latino, compose poemi e tragedie in greco.
Nell'assedio di Gerusalemme, prestando il servizio militare sotto il padre,
trafisse dodici nemici con dodici frecce3.
A Roma, durante il (suo) impero, fu di tanta mitezza che non punì assolutamente
nessuno, lasciò andare i colpevoli di una congiura contro di lui, anzi li
considerò amici come prima4. Fu di
tanta indulgenza e generosità che, non negando nulla a nessuno ed essendo
rimproverato dagli amici, rispose che nessuno doveva allontanarsi triste
dall'imperatore; inoltre, essendosi un giorno ricordato durante la cena
che in quel giorno non aveva fatto nulla per nessuno, disse: "Amici, oggi ho
sprecato un giorno". Costui a Roma fece costruire un anfiteatro e fece uccidere
cinquemila fiere nell'inaugurazione. Amato di non comune amore per (tutti)
questi motivi, morì di malattia in quella villa in cui (era morto) il padre,
due anni, otto mesi (e) venti giorni dopo che era diventato imperatore, a
qua 18218s1824s rantadue anni d'età.
Nota 1 per il genere
di tutte le virtù;
Nota 2 bellicosissimo;
Nota 3 dodici
difensori con dodici colpi di frecce;
Nota 4 li tenne nella medesima amicizia in cui (li
aveva tenuti) prima.
Esempi di disprezzo verso il denaro
An Scythes Anacharsis potuit
pro nihilo pecuniam ducere, nostrates
philosophi id facere non poterunt? Illius epistula fertur his verbis: "Anacharsis
Hannoni salutem . Mihi amictui est Scythicum tegimen,
calciamentum solorum callum, cubile terra, pulpamentum fames; lacte, caseo,
carne vescor. Quare munera ista,
quibus es delectatus , vel civibus tuis vel dis
immortalibus dona". Omnes fere philosophi omnium disciplinarum eodem hoc
animo8
fuerunt. Socrates,
cum9
in pompa magna vis auri argentique ferretur, "Quam multa10 non
desidero!" inquit. Xenocrates, cum legati ab Alexandro quinquaginta ei talenta
attulissent (quae11 erat
pecunia temporibus illis, Athenis12
praesertim, maxima), abduxit legatos ad cenam in Academiam; iis apposuit tantum
quod satis esset13,
nullo apparatu. Cum postridie rogarent eum cui14
pecuniam numerari iuberet: "Quid?" inquit "Vos hesterna cenula15 non
intellexistis me pecunia16 non
egere?". Quos17 cum
tristiores vidisset, triginta minas accepit, ne aspernari regis liberalitatem videretur18.
da Cicerone, Tusc. 5. 32
Ma come: lo scita
Anacarsi poté stimare nulla il denaro, (e) non potranno fare altrettanto i
filosofi del nostro mondo civile1? Si
tramanda una sua lettera che contiene queste
parole2:
"Anacarsi saluta3
Annone. Mi fa da vestito il mantello scitico4, la
(mia) calzatura (è) il callo delle piante dei piedi, il (mio) letto la terra,
il (mio) companatico la fame; mi nutro di latte, formaggio, carne. Perciò
codesti doni dei quali ti compiaci5,
regala(li) o ai tuoi concittadini o agli dèi immortali". Quasi tutti i filosofi
di tutte le scuole ebbero questa stessa disposizione d'animo6.
Socrate, mentre veniva portata in processione una gran quantità di oro e di
argento, disse: "Di quante cose non sento la mancanza!" Senocrate, dopo che
degli ambasciatori (mandati) da Alessandro gli
avevano portato cinquanta talenti, che erano7 una
grandissima somma di denaro a quei tempi, soprattutto ad Atene, condusse gli
ambasciatori a cena nell'Accademia; fece servire loro quel tanto che era
sufficiente, senza alcuna ricercatezza. Poiché il giorno dopo gli chiedevano a
chi volesse8 che
fosse versato il denaro, disse: "Come?9 Voi
dalla cenetta di ieri non avete capito che io non ho bisogno di denaro?". Ma
avendoli visti piuttosto tristi, accettò trenta mine, per non dare
l'impressione di disprezzare10 la
generosità del re.
Nota 1 - italiano Fare ciò i filosofi del
nostro paese
Nota 2 - italiano con queste parole
Nota 3 - italiano dà il suo saluto a
Nota 4 - italiano a me è di vestito
Nota 5 - italiano ti sei compiaciuto
Nota 6 - italiano furono di questa medesima
disposizione d'animo
Nota 7 - italiano la quale era
Nota 8 - italiano ordinasse
Nota 9 - italiano e che?
Nota 10 - italiano perché non sembrasse
disprezzare.
Eroico
sacrificio del centurione Marco Petronio - Cesare
eodem tempore L. Fabius centurio quique una murum ascenderant, circumventi
atque interfecti de muro praecipitabantur.
M. Petronius, eiusdem legionis centurio, cum portas excidere conatus
esset, a multitudine oppressus ac sibi desperans multis iam vulneribus
acceptis, manipularibus suis, qui illum erant secuti, "Quoniam" inquit "me una
vobiscum servare non possum, vestrae quidem certe vitae prospiciam, quos
cupiditate gloriae adductus in periculum deduxi. vos data facultate vobis consulite." Simul in medios hostes
inrupit duobusque interfectis reliquos a porta paulum submovit. conantibus auxiliari suis, "Frustra"
inquit "meae vitae subvenire conamini, quem iam sanguis viresque deficiunt. proinde abite, dum est facultas,
vosque ad legionem recipite." Ita pugnans post paulo concidit ac suis saluti
fuit.
Cesare, B. G.
7. 50. 1-6
Nello stesso tempo il
centurione L. Fabio e quelli che con lui avevano scalato il muro, circondati e
uccisi, venivano buttati giù dal muro. Marco Petronio, centurione della
medesima legione, dopo aver tentato di sfondare le porte, oppresso dal numero e
disperando per la sua vita1,
poiché aveva già ricevuto molte ferite, disse ai suoi manipolari, che lo
avevano seguito: "Dal momento che non posso salvarmi insieme a voi, provvederò
almeno alla vostra vita: io infatti, spinto dalla brama di gloria, vi ho condotto2 in
pericolo. Voi, (appena ve ne sarà) offerta la possibilità, provvedete a voi
stessi". Nello stesso tempo si slanciò in mezzo ai nemici e, dopo aver(ne)
uccisi due, allontanò gli altri un po' dalla porta. Mentre i suoi tentavano di
aiutarlo, disse: "Invano tentate di portare soccorso alla mia vita: infatti3 il
sangue e le forze mi abbandonano. Perciò andate, finché potete4, e
tornate alla (vostra) legione." Così, combattendo, dopo poco cadde, e fu di
salvezza ai suoi.
Nota 1 per sé;
Nota 2provvederò alla vita vostra (= di voi) che... ho condotto;
Nota 3alla vita mia (= di me) che;
Nota 4mentre è (a voi) la possibilità.
Nobile comportamento di Scipione - Livio
Captiva
deinde a militibus adducitur ad eum adulta virgo, adeo eximia forma ut
quacumque incedebat converteret omnium oculos. Scipio percontatus patriam
parentesque, inter cetera accepit desponsam eam principi Celtiberorum;
adulescenti Allucio nomen erat. Extemplo igitur parentibus sponsoque ab domo
accitis cum interim audiret deperire eum sponsae amore, ubi primum venit,
accuratiore eum sermone quam parentes adloquitur. "Iuvenis" inquit
"iuvenem appello, quo minor sit inter nos huius sermonis verecundia. Ego cum sponsa tua capta a militibus nostris
ad me ducta esset audiremque tibi eam cordi esse, tuo amori faveo. Fuit sponsa
tua apud me eadem qua apud soceros tuos parentesque suos verecundia; servata
tibi est, ut inviolatum et dignum me teque dari tibi donum posset. Hanc
mercedem unam pro eo munere paciscor: amicus populo Romano sis et, si me virum
bonum credis esse quales patrem patruumque meum iam ante hae gentes norant,
scias multos nostri similes in civitate Romana esse". Laetus donis
honoribusque adulescens dimissus est domum.
Fu1 quindi
condotta presso di lui dai soldati una giovane donna vergine, di una bellezza
così straordinaria che, dovunque passasse, faceva voltare (verso di sé) gli
sguardi di tutti. Scipione, informatosi della (sua) patria e dei (suoi)
genitori, fra l'altro venne a sapere che ella (era stata) promessa in sposa ad
un principe dei Celtiberi; il giovane si chiamava2 Allucio.
Dunque, fatti chiamare immediatamente da casa i genitori ed il fidanzato,
poiché nel frattempo sentiva (dire) che egli si struggeva per amore della
fidanzata, non appena arrivò, si rivolse3 a lui con
un discorso più premuroso che ai genitori. "Giovane (come sono), - disse -
(ti) chiamo giovane, perché l'imbarazzo di questa conversazione fra di noi sia
minore. Io, dal momento che la tua fidanzata, presa (prigioniera) dai nostri
soldati, era stata condotta presso di me, e sentivo (dire) che ella ti stava a
cuore, voglio favorire4 il tuo
amore. La tua fidanzata è stata trattata presso di me con lo stesso rispetto5 che
presso i tuoi suoceri e suoi genitori; è stata conservata per te, perché
potesse esserti offerto un dono intatto e degno di me e di te. Quest'unica
ricompensa pattuisco per quel dono: (che tu) sia amico al popolo romano, e, se
credi che io sia un uomo onesto quali già in passato queste genti avevano
conosciuto mio padre e (mio) zio, (che tu) sappia che nella popolazione romana
ci sono molti (uomini) simili a noi". Felice per i doni e per le
attestazioni di stima, il giovane fu rimandato a casa.
Livio,
Ab urbe condita, 26. 50. 1-13 passim
Nota 1
Storia vera di un'amicizia incredibile
In Circo Maximo multae saevientes1 ferae
erant, omniumque invisitata2 aut
forma aut ferocia. Sed praeter alia omnia leonum immanitas admirationi3 fuit,
praeterque omnes ceteros unus. Is unus leo corporis impetu et vastitudine
terrificoque fremitu4 et
sonoro, toris comisque cervicum fluctuantibus5,
animos oculosque omnium in sese converterat. Introductus erat inter complures
ceteros, ad pugnam bestiarum datus6,
servus viri consularis; ei servo7
Androclus nomen fuit. Ubi hunc8 ille
leo vidit procul, repente quasi9
admirans stetit, ac deinde sensim atque placide, tamquam noscitabundus, ad
hominem accedit. Tum caudam more adulantium canum clementer et blande movet,
hominisque corpori se adiungit10
cruraque et manus eius11,
prope iam exanimati metu, lingua leniter demulcet. Homo Androclus, inter illa
tam atrocis ferae blandimenta, amissum animum recuperat, paulatim oculos ad
contuendum leonem12
refert. Tum, quasi mutua recognitione facta13,
laeti et gratulabundi homo et leo ab omnibus visi sunt14 .
da Aulo Gellio, 5.14.7-14 passim
Nel
Circo Massimo c'erano molte bestie feroci, e tutte avevano una prestanza o una
ferocia mai viste1.
Ma più di ogni altra cosa2 fu
(motivo) di ammirazione la smisurata grandezza dei leoni, e più di tutti gli
altri (leoni) uno (in particolare). Quel solo leone, per l'irruenza e per la
stazza del corpo, per il ruggito terrificante e potente, per i muscoli e per la
criniera ondeggiante3,
aveva attirato su di sé l'attenzione e gli sguardi di tutti. Era stato
introdotto tra parecchi altri, destinato al combattimento con le bestie4, il
servo di un uomo (di rango) consolare; quel servo si chiamava Androclo5.
Quel leone, quando vide costui da lontano, all'improvviso rimase fermo, quasi
meravigliato, e poi a poco a poco e con calma si avvicinò all'uomo come
cercando di riconoscerlo. Poi incomincia a muovere6 la
coda tranquillamente e docilmente, come i7 cani
che fanno le feste, a strofinarsi8 contro
il corpo dell'uomo e a leccare9
dolcemente con la lingua le gambe e le mani di lui, già quasi mezzo morto dalla
paura. L'uomo, Androclo, tra le effusioni di quella10
belva tanto terribile, recupera il coraggio perduto, a poco a poco volge gli
occhi per osservare il leone. Allora, come se si fossero riconosciuti a vicenda11,
l'uomo ed il leone furono visti da tutti scambiarsi, felici, effusioni
d'affetto12
Nota 1 -
italiano e di
tutte mai vista o la prestanza o la ferocia
Nota 2 -
italiano più
di tutte le altre cose (o: più di tutti gli altri animali)
Nota 3 -
italiano le
chiome del collo ondeggianti
Nota 4 -
italiano dato
alla battaglia delle bestie
Nota 5 -
italiano a
quel servo fu il nome androceo
Nota
6 - italiano muove
Nota
7 - italiano secondo il costume dei
Nota 8 -
italiano si
attacca
Nota 9 -
italiano liscia
Nota 10 -
italiano tra
quelle effusioni della
Nota 11 -
italiano come
se fosse avvenuto un vicendevole riconoscimento
Nota 12 -
italiano l'uomo
ed il leone furono visti da tutti lieti e che si congratulavano
Esercizio: prova ad
analizzare gli elementi grammaticali sottolineati e a definire la loro funzione
sintattica; non lasciarti trarre in inganno dalla forma simile: un ut +
congiuntivo, ad esempio, può svolgere diverse funzioni (finale, consecutiva,
completiva...), e sei tu a dover comprendere quale sia quella giusta nel
contesto!
Tèseo sconfigge il Minotauro e
tradisce Arianna - Igino
Tèseo, per
liberare Atene dal tributo di sangue dovuto al re cretese Minosse, affronta
il tremendo Minotauro rinchiuso nel Labirinto, e con l'aiuto di Arianna
riesce ad uscirne indenne; poi la abbandona su un'isola deserta (un gesto da
galantuomo, non c'è che dire!).
Minos,
posteaquam Athenienses vicit, instituit ut anno uno quoque
septenos liberos suos Minotauro ad epulandum mitterent. Theseus
posteaquam a Troezene venerat et audit quanta calamitate civitas afficeretur,
voluntarie se ad Minotaurum pollicitus est ire. Postquam Cretam venit, ab
Ariadne, Minois filia, est adamatus adeo ut fratrem proderet et
hospitem servaret: ea enim Theseo monstravit labyrinthi exitum; quo
Theseus cum introisset et Minotaurum interfecisset, Ariadnes monitu licium
revolvendo foras est egressus, eamque, quod fidem ei dederat, in
coniugio secum habiturus avexit. Theseus in insula Dia1
tempestate retentus, cogitans, si Ariadnen in patriam portasset, sibi
opprobrium futurum, ita in insula Dia1
dormientem reliquit; quam Liber amans, inde sibi in coniugium abduxit.
Igino, Fabulae
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traduzione e la "soluzione" dell'esercizio proposto
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tornare alle altre versioni tradotte e commentate
(1) Antico nome dell'isola di Nasso. A proposito,
lo sapevi che "piantare in asso" viene proprio da "piantare in
Nasso"? Non è uno scherzo, è proprio così: il nostro modo di dire conserva
memoria del vile tradimento di Tèseo (peccato che pochi lo sappiano!).
Torna su
sei il visitatore numero
Tèseo sconfigge il Minotauro
e tradisce Arianna - Igino
Minosse, dopo che vinse gli Ateniesi, stabilì
che (essi) ogni anno mandassero sette loro giovani al Minotauro, perché se li mangiasse1.
Teseo, dopo essere arrivato da Trezene e dopo aver sentito2 da
che grande disgrazia la città fosse colpita, volontariamente promise di
andare dal Minotauro. Dopo essere giunto a Creta, fu amato da Arianna,
figlia di Minosse, a tal punto da tradire il fratello e salvare3
l'ospite: ella infatti mostrò a Teseo l'uscita del labirinto; Teseo
infatti, essendovi entrato e avendo ucciso il Minotauro, uscì fuori
riavvolgendo il filo secondo l'avvertimento di Arianna e la portò via,
poiché le aveva dato la parola [oppure: come le aveva promesso4], con
l'intenzione di tenerla con sé come moglie5.
Teseo, trattenuto nell'isola di Dia da una tempesta, pensando che, se
avesse portato Arianna in patria, sarebbe stato per lui un disonore, la
lasciò così nell'isola di Dia mentre (lei) era addormentata; ma Libero (=
Bacco), amandola, la portò via e se la sposò6.
Soluzione dei quesiti grammaticali proposti:
ut =
introduce una proposizione completiva introdotta da instituit ;
quoque = da non confondere con la congiunzione che significa
"anche", è un aggettivo indefinito distributivo strettamente legato
a uno. Sul vocabolario cercherai unusquisque, che significa
"ciascuno";
ad epulandum = gerundio con valore finale;
ut = preceduto da adeo, introduce una proposizione consecutiva;
quo = nesso relativo = nam
eo; è un avverbio di moto a luogo;
quod = nell'ipotesi 1 (= poiché le aveva dato la parola) è
una congiunzione e introduce una proposizione causale;
nell'ipotesi 2 (= cosa che le aveva promesso) è un pronome
relativo e introduce una relativa appositiva;
habiturus =
participio futuro con funzione di participio congiunto. Indica intenzionalità
come nella perifrastica attiva e si traduce con "avendo intenzione di"; è
affine al participio futuro finale;
il periodo
ipotetico è dipendente da un verbo di tempo storico (reliquit), per cui non è facile
stabilirne il tipo. Ai fini della traduzione non cambia nulla, ma si tratta
di capire se nell'apodosi sia sottinteso esse o fuisse. Nel
primo caso il periodo ipotetico potrebbe essere indifferentemente del I
tipo (realtà) o del II tipo (possibilità), nel secondo caso potrebbe essere
solo del III tipo (irrealtà). Noi sappiamo però che Teseo non ha
portato con sé Arianna e che quindi l'ipotesi non si è verificata:
propendiamo quindi per l'irrealtà;
quam =
nesso relativo = sed eam.
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latino
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Nota 1 sette loro figli al Minotauro per mangiar(li);Nota
2dopo che era giunto e
sentì
Nota 3a tal
punto che tradì... e salvò Nota 4cosa che le aveva dato come promesso Nota 5in moglie
Nota 6se
la portò via verso il matrimonio
Triennio
Augusto racconta
le sue gesta
Augusto, non avendo trovato un cantore delle sue gesta,
scrisse da sé le proprie lodi nell'opera Res gestae divi
Augusti, nella quale, come potrai notare, il princeps sottolinea
soprattutto di aver sempre rifiutato - pur potendo farlo - di divenire
monarca assoluto dell'impero romano.
In consulatu sexto et septimo, postquam bella civilia
exstinxeram, per consensum universorum potitus rerum omnium, rem publicam ex
mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro
merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum et laureis postes
aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est
et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum populumque
Romanum dare virtutis clementiaeque iustitiae et pietatis causa testatum
est per eius clupei inscriptionem. Post id tempus auctoritate omnibus
praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi
quoque in magistratu conlegae fuerunt.Tertium decimum consulatum cum
gerebam, senatus et equester ordo populusque Romanus universus appellavit
me patrem patriae idque in vestibulo aedium mearum inscribendum et in curia
Iulia et in foro Augusto sub quadrigeis, quae mihi ex senatus consulto
positae sunt, censuit.
Augusto,
Res gestae 6. 13-27
Triennio
Augusto racconta le sue gesta
Durante il (mio) sesto e settimo consolato1,
dopo che avevo soffocato le guerre civili, pur essendomi impadronito del
potere assoluto per consenso unanime, trasferii la (gestione della) cosa
pubblica dalle mie mani2
alla sovranità del senato e del popolo romano. E per questo mio merito, per
deliberazione del senato, fui chiamato Augusto, e gli stipiti della mia
casa (furono) ornati di alloro per decisione pubblica, e la corona civica3
fu appesa sopra la mia porta, e (fu) posto nella curia Giulia uno scudo
d'oro, e dall'iscrizione di quello scudo risulta che il senato e
il popolo romano me lo donavano4
per la (mia) virtù, clemenza, giustizia e religiosità. Dopo di allora5
fui superiore a tutti per autorità, ma di potere non ne ebbi affatto più
degli altri, che (anzi) mi furono anche colleghi nelle magistrature. Quando
esercitavo il tredicesimo consolato, il senato, l'ordine equestre e tutto
il popolo romano mi chiamarono6
"padre della patria" e stabilirono7
che questo (appellativo) dovesse essere scolpito nel vestibolo della mia
casa, nella curia Giulia e nel foro (di) Augusto, sotto le quadrighe che mi
furono dedicate per deliberazione del senato.
Nota 1cioè nel 28 e nel 27 a.C.
Nota 2dal mio
potere;
Nota 3onorificenza militare
che veniva conferita a chi avesse salvato in battaglia un cittadino romano
uccidendo un nemico
Nota 4(scudo) che, per mezzo
dell'iscrizione di quello scudo, è stato attestato (= è attestato) che il
senato e il popolo romano mi donavano;
Nota 5dopo quel tempo;
Nota 6chiamò; Nota 7stabilì.
Nobile comportamento di Crastino Cesare
Nella
battaglia decisiva contro Pompeo i soldati di Cesare, fedeli al comandante,
dànno prova di grande coraggio e determinazione; fra di essi si segnala
particolarmente il valoroso Crastino.
Erat
Crastinus evocatus in exercitu Caesaris, qui superiore anno apud eum primum
pilum in legione decima duxerat, vir singulari virtute. Hic signo dato
"Sequimini me," inquit "manipulares mei qui fuistis, et
vestro imperatori, quam constituistis, operam date. Unum hoc proelium
superest; quo confecto et ille suam dignitatem et nos nostram libertatem
recuperabimus." Simul respiciens Caesarem, "Faciam" inquit
"hodie, imperator, ut aut vivo mihi aut mortuo gratias agas."
Haec cum dixisset, primus ex dextro cornu procucurrit atque eum electi
milites circiter centum et viginti voluntarii eiusdem centuriae sunt
prosecuti.
Cesare, De bello civili 3. 91
Prerequisiti: le cinque declinazioni; le quattro
coniugazioni attive e passive; i principali pronomi; i principali complementi; l'ablativo
assoluto; il
nesso relativo; le
completive; il cum
narrativo.
Riconosci: l'ablativo assoluto; il tipo della completiva (con ut-ne o
con ut-ut non?); il complemento di qualità; il nesso relativo; il
valore temporale del cum narrativo (contemporaneità o anteriorità?).
C'era nell'esercito di
Cesare un richiamato, Crastino, che l'anno precedente nella decima
legione era stato primipilo1,
uomo di singolare valore. Costui, dato il segnale, disse: "Seguitemi,
(voi) che siete stati (soldati) del mio manipolo2,
fornite al vostro comandante l'aiuto che avete deciso (di dargli). Rimane
quest'unica battaglia; e una volta terminata questa, egli (recupererà) il
suo onore e noi recupereremo la nostra libertà". Nello stesso tempo,
rivolgendosi a Cesare, disse: "Oggi, comandante, farò in modo che mi
ringrazi, sia che io viva sia che muoia3".
Dopo aver detto queste parole, si slanciò per primo dall'ala destra e
circa centoventi soldati scelti, volontari, della medesima centuria, lo
seguirono.
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Soluzione dell'esercizio:
signo dato; quo
confecto = ablativi assoluti;
ut. agas =
completiva del tipo ut-ut ne; sarebbe però accettabile anche
identificarla come completiva del tipo ut-ut non, a seconda della
sfumatura di significato che si vuole attribuire all'affermazione. Come
ricorderai, infatti, facio ed efficio si costruiscono con ut,
ne quando significano "procuro che", "mi adopero a
che"; con ut, ut non quando invece significano
"faccio sì che", "produco come conseguenza che".
singulari virtute =
complemento di qualità in ablativo;
quo (confecto)
= nesso relativo: et eo;
cum dixisset = cum
narrativo con valore di anteriorità rispetto al tempo della reggente.
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Nota 1aveva guidato il
primo manipolo (di triari);
Nota 2miei soldati del
manipolo;
Nota 3renderai grazie a me
o vivo o morto.
Un ambasciatore insolente Seneca
Demòcare,
ambasciatore ateniese, rivolge a Filippo di Macedonia parole di inaudita
insolenza; il re, però, non lo fa punire.
Si
qua alia in Philippo virtus fuit, fuit et contumeliarum patientia, ingens
instrumentum ad tutelam regni. Ad illum Demochares, Parrhesiastes1
ob nimiam et procacem linguam appellatus, inter alios Atheniensium legatos
venerat. Audita benigne legatione
Philippus percontatus est: "Dicite mihi quid possim facere quod sit
Atheniensibus gratum." Excepit Demochares et: "Te" inquit
"suspendere." Indignatio circumstantium ad tam inhumanum
responsum exorta erat; sed eos Philippus conticiscere iussit et illum
salvum incolumemque dimittere. "At vos," inquit "ceteri
legati, nuntiate Atheniensibus multo superbiores esse qui ista dicunt quam
qui inpune dicta audiunt."
da Seneca,
De ira 3. 23
Prerequisiti: le cinque declinazioni; le quattro
coniugazioni attive e passive; i principali pronomi; i principali complementi; l'ablativo
assoluto.
Riconosci: l'ablativo assoluto; il valore sintattico di: qua (prima riga), Parrhesiastes
(prima riga), salvum incolumemque (terzultima riga), quam (ultima
riga).
Se ci fu qualche altra virtù
in Filippo, ci fu anche la capacità di sopportare le offese, potentissimo
strumento per la conservazione del regno. Era venuto da lui, fra altri
ambasciatori degli Ateniesi, Demòcare, detto "Parresiaste" a
causa della (sua) eccessiva e mordace loquacità. Ascoltata benevolmente
l'ambasceria, Filippo chiese: "Ditemi che cosa posso fare che sia
gradito agli Ateniesi." Demòcare (lo) interruppe e disse: "Impiccarti".
Fra i presenti1
era sorta indignazione ad una risposta così incivile; ma Filippo ordinò
(loro) di tacere e di lasciarlo andare sano e salvo. "Però"
aggiunse "voialtri ambasciatori riferite agli Ateniesi che sono molto
più superbi coloro che fanno simili affermazioni2
che coloro che le ascoltano senza punirle3."
Soluzione dell'esercizio:
l'ablativo assoluto è audita
benigne legatione (valore temporale);
qua (prima riga)
sta per aliqua e concorda con virtus;
Parrhesiastes (prima riga)
è complemento predicativo del soggetto Demochares;
salvum incolumemque (terzultima
riga) è complemento predicativo dell'oggetto illum;
quam (ultima riga)
introduce il secondo termine di paragone.
Nota 1di coloro che stavano
intorno;
Nota 2dicono codeste cose;
Nota 3ascoltano le cose
dette impunemente.
Storia di un cane fedele Igino (data III c per interrogazione
orale)
Icario, incaricato da Dioniso di divulgare
l'uso del vino sulla terra, viene barbaramente ucciso; il suo cane Mera,
però, denuncia alla figlia Erìgone l'assassinio.
Cum Liber pater ad homines descendisset ut suorum
fructuum suavitatem atque iucunditatem ostenderet, ad Icarium et Erigonam
in hospitium liberale devenit. Iis utrem plenum vini
donavit, ut in reliquas terras vinum propagarent. Icarius, plaustro
onerato, cum Erigone filia et cane Maera in terram Atticam ad pastores
devenit et vini suavitatem ostendit. Sed pastores, cum immoderatius
bibissent, ebrii conciderunt; postea, existimantes Icarium sibi malum
medicamentum dedisse, fustibus eum interfecerunt. Canis autem Maera ululans
Erigonae monstravit ubi pater insepultus iaceret; at virgo, cum in locum
venisset, super corpus parentis in arbore suspendio se necavit. Ob id factum Liber pater iratus
Atheniensium filias simili poena afflixit. Athenienses de ea re ab Apolline
responsum petierunt, iisque responsum est id evenisse quod Icarii et
Erigones mortem neglexissent. Ideo de pastoribus supplicium sumpserunt et
Erigonae diem festum instituerunt; postea per vindemiam de frugibus Icario
et Erigonae primum semper delibaverunt. At ii deorum voluntate in astrorum
numerum sunt relati: Erigone signum Virginis, quam nos Iustitiam
appellamus, dicta est, Icarius Arcturus appellatus est, canis autem Maera
Canicula.
da Igino, Fabulae 130
Prerequisiti: le cinque declinazioni; le quattro
coniugazioni attive e passive; i principali pronomi; i principali complementi; l'ablativo
assoluto; il cum
narrativo; le finali.
Riconosci: l'ablativo assoluto;
le finali; il valore temporale dei cum narrativi (contemporaneità o
anteriorità?); il valore di immoderatius (quinta riga).
Dopo
che il padre Libero (= Dioniso) era disceso presso gli uomini per rivelar
(loro) la dolcezza e l'amabilità dei suoi frutti, si recò presso Icario ed
Erìgone e fu da loro generosamente ospitato1.
Ad essi donò un otre pieno di vino, perché diffondessero il vino in tutte
le altre terre. Icario, caricato il carro, giunse con la figlia Erìgone ed
il cane Mera presso (alcuni) pastori nella regione (dell') Attica, e
mostrò (loro) la dolcezza del vino. Ma i pastori, dopo aver bevuto in modo
piuttosto smodato, caddero (a terra) ubriachi; poi, pensando che Icario
avesse dato loro una pozione malefica, lo uccisero a bastonate. Allora il
cane Mera, ululando, mostrò ad Erìgone dove il padre giacesse insepolto; ma
la vergine, dopo essersi recata sul luogo, si uccise impiccandosi ad un
albero sopra il corpo del genitore. Il padre Libero, adirato per questo
fatto, colpì con una pena simile (= il suicidio) le figlie degli Ateniesi.
Gli Ateniesi chiesero ad Apollo un responso su questo avvenimento, e fu
loro risposto che questo era accaduto perché non si erano curati della
morte di Icario e di Erìgone. Perciò (gli Ateniesi) inflissero un castigo
ai pastori ed istituirono un giorno festivo in onore di Erigone; in
seguito, durante la vendemmia, consacrarono sempre la prima parte del
raccolto2
ad Icario ed Erìgone. Ma essi, per volontà degli dèi, furono trasformati in
costellazioni3:
Erìgone fu detta "segno della Vergine", che noi chiamiamo
Giustizia, Icario fu chiamato "Arturo" e il cane Mera
"Canicola".
Soluzione dell'esercizio:
l'ablativo
assoluto è plaustro onerato ed ha valore temporale;
le finali
sono:
ut suorum fructuum suavitatem atque iucunditatem
ostenderet
ut in reliquas terras vinum propagarent
i cum
narrativi sono:
cum Liber pater ad homines
descendisset
cum immoderatius bibissent
cum in locum venisset
indicano tutti anteriorità, come
segnala l'uso del congiuntivo piuccheperfetto;
immoderatius (quinta riga) è un
comparativo assoluto.
Nota 1presso Icario
ed Erìgone in generosa ospitalità;
Nota 2(una parte tratta)
dai frutti in primo luogo;
Nota 3furono riportati nel
numero degli astri.
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Amore
di Timoleonte per la libertà
Timoleonte di Corinto, mandato
dai concittadini a liberare Siracusa dalla tirannide di Dionisio II, si
rivela un grande condottiero e, dopo aver sconfitto gli avversari fra
cui i Cartaginesi, libera tutta la Sicilia. Da
giovane aveva salvato la vita al fratello Timofane, ma poi non esita a
farlo uccidere quando questi tenta di diventare tiranno di Corinto.
Timoleon Corinthius
sine dubio magnus omnium iudicio exstitit. Namque huic uni contigit,
quod nescio an nulli, ut et patriam, in qua erat natus, oppressam a
tyranno liberaret, et a Syracusanis, quibus auxilio erat missus, iam
inveteratam servitutem depelleret totamque Siciliam, multos annos bello
vexatam a barbarisque oppressam, suo adventu in pristinum restitueret. Sed in his rebus non simplici
fortuna conflictatus est et, id quod difficilius putatur, multo sapientius
tulit secundam quam adversam fortunam. Nam cum frater eius Timophanes,
dux a Corinthiis delectus, tyrannidem per milites mercennarios
occupasset particepsque regni posset esse, tantum afuit a societate
sceleris, ut antetulerit civium suorum libertatem fratris saluti et
parere legibus quam imperare patriae satius duxerit. Hac mente per haruspicem communemque affinem, cui soror
ex eisdem parentibus nata nupta erat, fratrem tyrannum interficiundum
curavit. Ipse non modo manus non attulit, sed ne aspicere quidem
fraternum sanguinem voluit.
Nepote, Timoleonte 1 passim
Esercizio riconosci
il valore sintattico dei due ut e di an.
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Timoleonte
di Corinto fu senza dubbio grande, a giudizio di tutti. E infatti
solo a costui toccò, cosa che forse non toccò a nessuno1, sia di liberare la città in cui era
nato dal tiranno che l'opprimeva2, sia di allontanare dai Siracusani, in
aiuto dei quali era stato inviato, una schiavitù ormai radicata,
sia, con il suo arrivo, di far ritornare nell'antico stato tutta la Sicilia,
travagliata per tanti anni dalla guerra e oppressa dai barbari. Ma
in queste imprese lottò con una sorte non facile e, cosa che è
reputata piuttosto difficile, fronteggiò molto più saggiamente la
sorte favorevole di quella contraria. Infatti, (pur) avendo suo
fratello Timofane, scelto come condottiero dai Corinzi, occupato la
tirannide per mezzo di soldati mercenari e (pur) potendo (egli)
essere partecipe del potere3, fu tanto lontano dal partecipare4 a (quella) scelleratezza, che antepose
la libertà dei suoi concittadini alla salvezza del fratello e
giudicò preferibile obbedire alle leggi che comandare alla patria.
Con questo sentimento fece uccidere il fratello tiranno per mezzo
di un aruspice e di un comune parente che aveva sposato una sorella
nata dai (loro) medesimi genitori. Egli, (però), non solo non vi
prese parte, ma non volle neppure vedere il sangue fraterno.
Soluzione dell'esercizio:
Nota
1cosa che non so se (toccò) a nessuno;
Nota
2liberare la patria. oppressa dal
tiranno;
Nota
3del regno;
Nota
4dalla partecipazione.
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