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VITTORIO BODINI 1914-1970

Italiana


Vittorio Bodini 1914-1970

da Foglie di tabacco

Tu non conosci il Sud, le case di calce

da cui uscivamo al sole come numeri

dalla faccia d'un dado.

Quando tornai al mio paese nel Sud,



dove ogni cosa, ogni attimo del passato

somiglia a quei terribili polsi dei morti

che ogni volta rispuntano dalle zolle

e stancano le pale eternamente implacati,

compresi allora perché ti dovevo perdere:

qui s'era fatto il mio volto, lontano da te,

e il tuo, in altri paesi a cui non posso pensare.

Quando tornai al mio paese nel Sud,

io mi sentivo morire.

Una funesta mano con languore dai tetti

visita i forni spenti, le stalle in cui si desta

una lanterna o voce impolverata.

Come da un astro prossimo a morire

S'ode un canto dai campi di tabacco.

Sulle soglie, in ascolto, le antiche donne sedute

- o macchie che la luna ripercuote nell'aria -

socchiudono pupille d'una astratta durezza

dai palmi delle mani, aperte pietre sui grembi.

Che nevoso silenzio,

che sogno miserabile

di carbone e di fango nei sobborghi!

Fra spettinate case qualche fanale a gas

getta nell'ombra la sua ombra verdastra:

lì una coppia dilegua, e nel punto ove sparve,

la coda d'una serpe fra le canne

d'una remota estate un attimo balena.

Una pietà insensata

arida come semi di girasole

gira in folle ai crocicchi,

mentre nella tua terra i contadini

invisibili parlano turchino 11311i82l

dai campi di tabacco, e fra un istante

la notte avrà sapore di oliva verde.

Viviamo in un incantesimo,

tra palazzi di tufo,

in una grande pianura.

Sulle rive del nulla

mostriamo le caverne di noi stessi

- qualche palmizio, un santo

lordo di sangue nei tramonti, un libro

lento, di pochi fatti che rileggiamo

più volte, nell'attesa che ci dia

tutte assieme la vita

le cose che crediamo di meritare.

Un monaco rissoso vola tra gli alberi.

da Altri versi

Tanti anni

Noi abitiamo in una rosa rossa.

Passavano treni in corsa alla periferia

- un gomito sonoro -;

e tutto il resto era un fermento di cieli.

Un meriggio d'inverno, col sole su un muro bianco,

riconoscemmo la nostra amata calligrafia.

Chi avrebbe mai pensato

che voi scriviate come un'ombra d'alberi,

come i pettini freddi

con i denti coperti di capelli!

(S'era in pena per voi.)

Così passammo la notte.

da La luna dei Borboni

La luna dei Borboni

col suo viso sfregiato tornerà

sulle case di tufo, sui balconi.

Sbigottiranno il gufo delle Scalze

e i gerani - la pianta dei cornuti -,

e noi, quieti fantasmi, discorreremo

dell'unità d'Italia.

Un cavallo sorcigno

Camminerà a ritroso sulla pianura.

Un campanile di sughero

verso i capelli corti della luna

ghiotta d'angurie. Un grande carro fermo

ai passaggi a livello,

fra gli orti coi piselli calpestati

di nottetempo. Dorme

il carrettiere o non dorme,

bocconi

con il capo fra le braccia,

e il fanciullo covava

il desiderio inquieto dei pidocchi

al passaggio del treno verso il Nord.

I preti di paese

hanno le scarpe sporche

un dente verde e vivono

con la nipote.

Presso cassette vuote

d'elemosina

sanguina Cristo in piaghe

rosso borbonico;

esala un'agonia

dura dai banchi

e dai fiori di campo.

In piazza, accoccolati

sulle ginocchia del Municipio,

stanno i disoccupati

a prendere l'oro del sole.

Trotta magro e sicuro

un gatto nel Sud nero.

Qui non vorrei vivere dove vivere

mi tocca, mio paese,

così sgradito da doverti amare;

lento piano dove la luce pare

di carne cruda

e il nespolo va e viene fra noi e l'inverno.

Pigro

come una mezzaluna nel sole di maggio,

la tazza di caffè, le parole perdute,

vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:

divento ulivo e ruota d'un lento carro,

siepe di fichi d'India, terra amara

dove cresce il tabacco.

Ma tu, mortale e torbida, così mia,

così sola,

dici che non è vero, che non è tutto.

Triste invidia di vivere,

in tutta questa pianura

non c'è un ramo su cui tu voglia posarti.

Cocumola

E infine aranci imbandierati e carichi,

spine e raffiche

di dolcezza nei fichi d'India, uomini

traballanti sui carri

vuoti

per caricare il tufo dalle cave,

col cane morto di sonno.

E stagioni dal becco sottile

di cicogna, che si spulciano il petto,

che prendono pietre da terra

e le buttano più in là.

da Dopo la luna

L'allodola e la luna

L'allodola e la luna sole nel cielo:

lei sorta appena e il passero spaurito

dal pino nero e i silenziosi spari

dei finti cacciatori in mezzo al grano nascente.

Nessuno l'attendeva. Nessuno attende.

Volava di traverso con tutto il cielo in gola.

Sotto di lei crollavano i papaveri,

un'ombra cancellava coi grossi pollici

il dolce vino e il viola del tramonto.

In una stanza in fondo, la memoria,

lasciata ai suoi più torbidi solitari,

di te non s'informava, fine d'un grande giorno:

giorno da meditare

davanti a una finestra, col silenzio alle spalle.

Come un polpo sbattuto

Come un polpo sbattuto ancor vivo contro lo scoglio

si arricciavano i miei pensieri

a Bari fra le barche verdi e gli inviti

favolosi dei venditori

di quella iridescente pena; ma io

non avevo che una moneta

d'impazienza e di notte,

una moneta nera dei paesi

dell'interno, che soffoca le case

fra orizzonti di corda su cui oscilla

la tarantola - un'altra pena; e tu un'altra,

quando dicesti: la pietà è più forte

dell'amore. Più rapida è volata

che il mio odio la mano sulla tua guancia.

Sto davanti alla tua caverna

Sto davanti alla tua caverna.

Esci fuori e arrenditi.

Noi abbiamo la sintassi e la radio,

i giornali e il telegrafo,

e tu non vivi che del mio sonno,

non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato,

e per farmi dispetto

non mi rispondi nemmeno.

Tutto ciò che ti dono

Tutto ciò che ti dono

non t'interessa.

Guardi le grandi siepi

gialle,

e il ponticello senz'acqua

o la grottesca ira del pungitopo,

e pensi a un cielo più alto,

non quello su cui corrono

pattinando i miei occhi,

o le gare fra case ed erba, e i gialli

e rossi dei suoi fiori.

Un contadino catafratto spruzza

d'azzurro le sue viti:

se ne tinge il vento

capelli e dita per gioco.

E non è bello? E dunque? Noi viviamo

assieme da tanti anni,

e non posso sapere

cos'è che ti rattrista,

che respingi ogni cosa:

se è l'orgoglio e i belletti del piacere

o se il dispetto di non essere eterno.

Voli basso sulla pianura

Voli basso sulla pianura

amore il cielo

poco ti solleva

come sei verde e nera

la bocca rossa

di rosolaccio.

Vola così e così

t'incurvi bianca

fra le vigne fugaci

e a me torni più viola

mia di colore e tutto

agave mia

che ha imparato a cantare

dal gorgoglio dei pali del telegrafo

un canto nero che va giù e s'interra.

Cresce l'erba

e la capra legata al fico.

Xanti-Yaca

Solo quando tu entrasti

la barca fu piena,

e il barcaiolo coi buchi nella maglietta

fece sparire la nazionale

che gli diedi perché remasse di spalla.

Così il mare quel giorno

poté maturare ricordi per dopo.

Al tempo dell'altra guerra contadini e contrabbandieri

si mettevano foglie di Xanti-Yaca

sotto le ascelle

per cadere ammalati.

Le febbri artificiali, la malaria presunta

di cui tremavano e battevano i denti,

erano il loro giudizio

sui governi e la storia.

Così semplice,

che noi non lo avremmo fatto.

Uno l'ho visto io

camminare col capo in giù

sul soffitto,

altri bevevano a un pozzo

di scorpioni e di serpi,

non senza gridi,

nel viola acido e sporco

d'una cappella,

mentre fuori era il chiaro giorno

steso coi piedi avanti

come il Cristo del Mantegna.

Così mi disorienti

se ti guardo vivere:

io vedo tutte le insidie

e tu sei in grande pesce senza testa,

disordinato e prode,

che smuove più acqua del necessario,

e poi d'un tratto ti fermi e indovini il dissenso,

ed è quando mi dici disperata

«Vorrei già avere trent'anni!».

Col tramonto su una spalla

Col tramonto su una spalla

e fasce gialle e blu,

alto, come un gelato

di corvi in mano,

chino la testa e passo

sotto l'arco di Carlo V.

E al passaggio si spegne

il lumino dell'anime sante

che tengono la destra

a cinque punte sul petto,

fra le fiamme del Purgatorio.

Questa è la mia città,

le mura le avete viste:

sono grige, grige.

Di lassù cantavano

gli angeli dei Seicento,

tenendo lontana la peste

che infuriava sul Reame.

Ora c'è fichi d'India, un aquilone,

un ragazzo che tende

il suo elastico rosso

contro qualche lucertola

troppo spaurita e minima

per presentarsi a quel sogno

d'inaudite avventure

di cui s'inorgoglisca il cuore umano.

da Serie stazzemese

Ninetta, la poesia

(d'estate) è un pappagallo

dalle penne oro e verdi e la mania

di contraddire.

Così mentre tu sogni

d'arrivare in Versilia

in regola, coi pantaloni gialli,

io penso a un viaggio di sei anni fa.

Ballava la Olivetti

la bombola del gas

sopra il sedile posteriore, il trucco

troppo forte ti sbilanciava il viso -

poi l'ulivo e un paese

dove moriva il giorno

come un gran gallo suicida

sulle terrazze.

Son maturato tardi. È la smania

di vivere troppo presto che m'ha tradito.

Non dar tempo al tempo. Vedere

la bellezza soffrendo

di non poterla usare.

Ho imparato tardi ad accordare

al mormorio del ruscello i moti del cuore,

a ammettere la natura fra i miei pensieri

come un ospite da lasciare a suo agio.

da Metamor

Conosco appena le mani

Conosco appena le mani,

le scarpe che metto ai piedi.

Conosco il giorno e la notte

e i terrori del vento.

Ma gli anni? Dove son gli anni,

e tutti i libri che ho letto?

I volti amati si sfrondano

delle loro vicende,

non restano che i nomi.

Tutto nella memoria

cade a pezzi, sprofonda

senza rumore

nelle botole dei morti.

Ah, dove son le acute presenze

del passato, le sue calde forme,

la cera su cui incidevano

i miei sentimenti?

Dove si nasconde il senso

delle cose che ho vissuto,

e i brividi lucenti

e i cieli dell'avventura?

Nelle spire del boom

Presi nelle spire del boom ne gustiamo anche noi

gli alti palazzi e le piante nane

piume serpenti chiomati sotterfugi intimi.

L'astrattismo ci punse un dito come una rosa neoclassica.

Tacevano i cani di calce e la civetta veloce

e tutto ciò che un tempo avevamo dentro capovolto come in un negativo.

Solo una luce lontana e senza voce

accucciata davanti al mio mare in tempesta

come la vedova d'un marinaio

era il banco di prova dei tuoi velieri

di solitudine e d'ira,

solo una sera ignara che si versa

nella buca delle lettere.

Daccapo?

Alle radici dei gesti

dove amare significa

imbeccare risposte a un passero giallo

chi ti cercò con l'anima

non ti trovò che con gli occhi.

La laguna interiore

insabbiata in accuse

proposizioni vertigini soavi sassi

aveva sogni circondati di vuoto

manifesti gialli

sui quali si leggeva comodamente

che tutto avrebbe potuto

ricominciare daccapo.

Gli occhi d'oro del sole

sequestravano nell'aria

un colore di ponti levatoi.

Persuadeva i tuoi seni di mercurio

l'incerta ubiquità

del pube a filo dell'acqua.

Night II

Se bere un whisky è versarlo

sull'arso terriccio della propria tomba

dove l'oscenità canticchia assassinata

dall'ombra d'un cane o dalla furia della ragione

trofei d'occhi inespugnati

come fregi di antiche stamperie

si scioglieranno nell'alcool tra i sadici archivi

di una notte tradita da strambi propositi.

Una finestra morrà.

Morrà sul Bosforo un ferro di cavallo.

Tramonto a San Valentino

L'uomo che s'affeziona al proprio deserto

guarda la proditoria brace

che scolora fra i platani

e sa che il suo pensiero un tempo amante di sfide

non sa andar oltre e quasi di quel limite

s'accontenta.

Lo sfiora appena il sospetto

d'essere prediletto

da quel rosso nulla.

da Inediti

I pomodori secchi

I pomodori secchi

attaccati a uno spago

e le donne dai cuori di cicoria.

I pomodori secchi e i datteri gialli,

e le donne che colgono le olive

fra gli olivastri, con la bocca viola;

tutto è univoco e perso a furia d'esistere.

Dove hai nascosto, cielo, l'altra ipotesi?

Quale parte è la nostra?

Non saremo null'altro

che rozzi testimoni di questo esistere?

O mio dio a cui non credo

O mio dio a cui non credo,

ti leggo come una poesia profonda,

piena d'occulti sensi e di fiumi paterni.

Sera

La lezione di musica

bruca l'umido

nel mezzo della via,

sentinella perduta dell'autunno,

e in una scia di zucchero filato

si fa strada l'urlo dei Sioux.

Nessun tempo avrà speso così male

tanta sete d'ignoto:

compra educatamente biglietti di morte

ai botteghini la gente, i giornali

parlano di dischi volanti

da cui ciascuno spera una rivincita.

da Zeta

La passeggiata del poeta

Il poeta passeggia fra i seni altrui

fra lune altrui

ed intanto si interroga sulla propria

statura d'uomo.

Girano delicatamente

piccoli e grandi emisferi

ma non sanno svelargli

quale delitto lo apparenti

al rosso dell'occaso o dell'aurora nel bosco.

Antipoetica

Un tempo il verso d'avvio

cadeva direttamente dalle ginocchia di Giove

bastava riconoscerlo e seguitare

elaborare trascegliere il reale o se stessi

non già questo sporcarsi e intridersi

questa mano accusativa

che non salva e non placa

che lascia tutto come sta.


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