ALTE DOCUMENTE
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Maria Venturini
Dizionario delle felicità
ppoii
Piero Lacaila Editor |
dix-sp J Mauro Mas
,<8 Fiero Liicaita Editore - Manduria-Bari-Rum a Sede legale; Manduria - Vico degli Albanesi, 4 Tel.-Fax 099/9711124
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T |
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DIALOGO CON UN LETTORE
Lettore - Un dizionario suJia
felicità? Se devo essere
sincero
ho idea che Lei prenda l'argomento un po' alla
grande,
con una buona dose di presunzione.
Autore - Lei mi sospetta di
essere un aspirante auto
re
di operette morali. Mi vuoi dare una buona ragione
perché
non si debba affrontare questo tema?
Una ragione di modestia, per esempio. Ne hanno
parlato
già tanti, e illustri.
Non intendo mettermi sulle orme di Piatone o Se
neca, Le faccio tuttavia notare che siamo circondati da
gente
infelice, stressata, depressa o euforica per motivi
di
una sconcertante banalità. Gente che ingurgita pillole
per
dormire, per stare sveglia, per far carriera, per di
menticare,
per ricordare.... Le sembra normale tutto ciò?
- D'accordo, non mi pare tuttavia che sia necessario scomodare una parola sacra come felicità,
Mi scusi ma non sono d'accordo: non c'è nulla di
sacro nella parola felicità. Tutti
desideriamo essere feli
ci; gli americani hanno addirittura ipotecato la loro cre
dibilità societaria sul diritto alla felicità per ogni cittadi
no, diritto sancito netta Carta
Costituzionale, e non vedo
cosa vi sia di sacro e intoccabile in
un proposito condi
viso da aìmeno duecento mììioni
di persone, per iegge,
e dal resto dell'umanità, per consuetudine.
Per l'appunto: su un tema dì tale vastità Lei preten
de
di avere ancora qualcosa da dire? Con tutta la sag
gezza
messa per iscritto, in argomento, si potrebbe co
struire
ex novo una biblioteca grande quanto la Herzia-
na
di Roma o la Malatestiana di Cesena. E poi sa che Le
dico?
Per me "sufficit" il mirabile aforisma epicureo: una
delle
ragioni per cui la gente non è felice nasce dal fatto
che
immagina di non poterlo essere.
Lei porta acqua al mulino della mia ambizione: aiu
tare
l'immaginazione della gente, inventarsi le ragioni
della
felicità. Non mi elargisca quello sguardo di scetti
co
compatimento. Lei mi ha già classificato fra ì tipi che
predicano una felicità in chiave riduttiva: qualcosa di più
del
"chi si accontenta gode" e qualcosa di meno "del
l'avere
tutto e subito". Non voglio insegnare niente a
nessuno,
soltanto riflettere insieme ai miei lettori sulla
grandissima
questione di metodo posta da Epicuro: per
essere
felici bisogna credere di poterlo essere e ogni tem
po,
luogo, epoca, propone daccapo nuovi ostacoli a que
sto
sforzo di immaginazione.
Sarebbe a dire?
Sarebbe a dire che nel Medio Evo si era infelici an
che
per ragioni metafisiche, seppur in mezzo a guerre e
pestilenze
- Tannhauser non si dava pace finché il Papa
non gli perdonò il suo lungo soggiorno nel letto di Ve
nere
- oggi con automobili climatizzate e guerre teletra
smesse
che si metabolizzano a tavola fra il primo e il
dessert,
si può essere infelici per molto meno, per il pos
sesso
di uno swatch.
È un punto di vista interessante, anche se non del
tutto nuovo. Su questa questione Gesù
Cristo e Marx la
pensavano quasi allo stesso modo: non
è il possesso che
da La felicità.
Ma Le dirò di più/ caro signore: più si vive
nell'ab
bondanza
più si è soggetti a rischio, quanto a felicità.
Pensi
alle enormi possibilità (non sempre colte, s'inten
de) di essere felice, per un povero tra i poveri, e invece
alla tempesta di confronti, competizioni, sussulti di in
vidia,
senso di privazione, di chi vive in una società ric
ca,
televisiva e dedita al consumo, senza la possibilità di
accedere
a tutti i beni che gli passano sotto gli occhi.
Visto che Lei è così deciso, non mi resta che augu
rarla buon lavoro.
Ma Lei, almeno, lo comprerà il mio libro, quando
sarà stampato?
Non so, a me pare di essere felice; non vorrei che Lei mi facesse venire dei dubbi.
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Abitudini
E' bello averne ma è opportuno non esserne schiavi. L'abitudine è una pausa nello stress quotidiano del vivere; la lettura del giornale, quasi sempre alla stessa ora del mattino, la passeggiata postprandiale o la classica breve pennichella in poltrona ( aut stabis aut lento pede deambulabis secondo l'antica scuola salernitana). Anche il telegiornale in prima serata - se si fa vita cadenzata a orario - può essere una pausa r 15515b15p ilassante, e, a meno di notizie disastrose, velatamente soporifera con i volti dei soliti noti in cerca di parole nuove mentre i microfoni dei cronisti ne tampinano le facce come le sonde delle ecografie mediche. Ci sono abitudini più complesse; cenare tutti i sabati con fratelli o sorelle, andare a messa tutti i venerdì, giocare a carte tutti i giovedì sera, andare a pesca tutte le domeniche mattina. Ci sono le abitudini gradevolmente viziose: prendere l'aperitivo prima di cena - se il fegato lo consente -, fumare la prima sigaretta dopo il primo caffè - all'alba -, due pagine di lettura erotica, la sera, prima di dormire. Nulla da eccepire: ognuno ha le sue abitudini e se le tenga. Una sola raccomandazione: non trasformare questi angoli di piccole
riposanti certezze in appuntamenti inderogabili. Se ci invitano per un week-end, ci capita l'opportunità di un viaggio, facciamo un incontro piacevole in orario imprevisto, mandiamo al diavolo aperitivo, passeggiata, fratelli e sorelle, e, naturalmente, telegiornale. Le occasioni di trasgressione, nella vita, a voler dare ascolto al nostro super io e ai buoni insegnamenti ricevuti sull'altrui pace e libertà da rispettare, non sono poi tante; trasgredire alle nostre buone o cattive abitudini può essere dunque un bell'esercizio di fantasia, e una via di fuga dall'abitudine trasformata in schiavitù.
Amare
La prima volta fa paura: se ci coglie in un momento di felice autosufficienza come non avvertire lo strappo da se stessi, l'improvvisa dipendenza della nostra felicità da qualcuno che è altro da noi? Altri amori verranno, altre insicurezze, gioie ed amarezze, ma non più quella lacerazione primordiale di un unicum - anima e corpo -che avevamo faticosamente ricomposto attraverso le dolcezze e i travagli dell'adolescenza. Il pensiero di un futuro che non ci appartiene più interamente ci colpisce come uno schiaffo. Assenza, lontananza, privazione, attesa: parole che entrano con violenza nel vocabolario dell'anima, e rendono gravide di paura le dolcezze e gli smarrimenti dei primi abbandoni amorosi. Forse la vita, più avanti, ci renderà forti. Ma è bello non dimenticare, se li abbiamo vissuti con sincero stupore, quei primi irripetibili turbamenti.
Amarsi
Non abbiate paura di amarvi, fino all'autocitazione al narcisismo più sfacciato. Perché non dovreste ? Avere un grande affetto e anche una bella stima per se stessi è fonte di straordinarie risorse nell'affrontare la vita: più coraggio, più iniziativa, meno incertezza nel decidere e agire. Amatevi fino al punto di non raccontarvi troppe bugie sulle vostre debolezze e sui vostri errori. Sarebbe un modo sbagliato di amarvi. Tale lo giudichereste se rivolto ad altri, e tale lo dovete sentire, con Ja stessa chiarezza e severità verso voi stessi. Triste e imperfetto l'amore che si costrìnge a non vedere, per sottrarsi alla dolorosa scoperta di qualche piega dell'anima un po' acciaccata. Eppure non ci vuoi molto per dedicare a se stessi un amore vero e limpido: basta attraversare le nebbie della paura, fare un inventario scrupoloso dei propri vizi con altrettanta notarile sincerità di quella impiegata per raccontarsi - come generalmente si preferisce - le proprie virtù. Con l'aggiunta di un pizzico di ironia e di indulgenza non autogiustificatoria si ottiene una creatura di disarmante bellezza inferiore. Come non restarne affascinati, e anche in allegria? Amatevi cosi, se ne siete capaci.
Amori trascorsi
Pochi o tanti che siano fanno parte della nostra vita; è sciocco pentirsene, covare risentimenti, avere rimpianti. Se qualcosa non ha funzionato nelle nostre vicende sentimentali l'uso migliore che possiamo farne è quello di riesaminarle, magari con il distacco della lontananza
per conoscere un po' meglio noi stessi e anche gli esseri che abbiamo amato. 11 passato è il nostro incancellabile teatro di vita. Vi si accumulano, nel tempo, tesori di crescita della nostra sensibilità - nella gioia e nella sofferenza - e anche dagli aspetti più sgradevoli delle nostre esperienze è possibile trarre ricchezza, È cosa sciocca, perciò, disprezzare o condannare gli amori del passato, parte cosi viva di noi stessi, ed è inelegante fare antipatici confronti a favore di quello che si sta vivendo; potrebbe trattarsi di un amore destinato anch'esso a trascorrere. Conviene adottare nei confronti delle nostre avventure o disavventure amorose una linea morbida, senza troppa indulgenza; che il nostro esame di coscienza sia severo ma non privo di un certo fair play verso noi stessi. Se non abbiamo grandi cattiverie da perdonarci o da farci perdonare, se all'esperienza amorosa ci siamo avvicinati con sincerità, se generosamente abbiamo amato e sofferto, accogliamo con simpatia e custodiamo con affetto nella memoria, queste parti turbinose ma affascinanti della nostra vita. Se il partner del nostro amore presente non si rende conto che egli ama un essere cresciuto e maturato attraverso tante controverse esperienze sarà il caso di trasferirlo nella lista dei "trascorsi". Anche da lui avremo imparato qualcosa: che si può decidere di restare soli piuttosto che male accompagnati.
Aprile
Scomodo quando piove, seccante per chi soffre d'asma o d'allergia, non si pagano tasse, né bolli. Tal-
volta è attraversato da festività pasquali, meno tristi di quelle natalizie anche se si è "single". Aprile è un mese di confine per ìa meteorologia e la campagna. Sappiate cogliere la sua precaria bellezza e fate una passeggiata in un parco o in un viale qualsiasi della vostra città. Alzate gli occhi verso gli alberi: vi farà tenerezza osservare le foglie giovani di un verde chiaro e trasparente spuntate quasi all'improvviso intorno a rami nodosi e rustici, talora resi scuri e cupi dalla pioggia. E così pure non vi lasceranno indifferenti tutti quei bianchi fiocchi che vagano nell'aria, portati dal vento a mete indefinite, o a perdersi nel nulla. Lasciatevi emozionare da questa sfacciata, quasi violenta fertilità della natura, non camminate torpidi e distratti in mezzo a tanta creatività. Fate che aprile non passi invano nella vostra vita.
Archeologia
Beato chi scava nel passato: è uno che conquista mille occhi per leggere il presente. La vita gli sarà più lieve, le preoccupazioni meno assillanti. Le ansie dell'oggi non avranno più quella tinta plumbea e definitiva che affligge coloro che non riescono a vedere al di là del loro naso. Chi scava nel passato si troverà a navigare nel grande fiume della storia, in compagnia di tanti che prima di lui hanno goduto sofferto amato studiato faticato conosciuto. Vite e vite con la loro ricchezza e gioia, dolore e povertà verranno a soccorrere la sua, gli regaleranno un senso della relatività che non è solo consolazione filoso-fica ma vera attitudine a badare a se stessi con un pizzico di equilibrio in più. Se non l'avete mai fatto aprite un
libro di archeologia: scoprirete quanta commozione può
suscitare uno sguardo nelle tazze degli assiro-babilonesi o nei gioielli di una signora egiziana, essi vi verranno incontro con i loro piccoli grandi problemi, ìe loro guerre, i loro momenti di serenità scanditi da oggetti che palpitano ancora di quelle millenarie emozioni. Vi sentirete piccoli e grandi insieme, partecipi e debitori di qualcosa di cui avvertirete lo straordinario fascino. Insomma non sarete più così desolatamente soli, come vi eravate rassegnati a credere.
Architetti
Cercate di non averne bisogno, ma se proprio sarà necessario ricorrere ad un discendente dalla nobile scuola che dalie Ville Venete a San Pietroburgo ha illustrato l'Italia della pietra e del mattone nel mondo, lasciate che vi dia alcuni buoni consigli: 1. Non scegliete il vostro architetto fra i frequentatori di comuni salotti - voi potreste giudicarlo benevolmente da qualche nobile conversare ed egli potrebbe scambiarvi per un Rockfeller dei giro di amici dal cospicuo conto in banca; equivoco destinato a produrre una evidente miscela esplosiva, magari a scoppio ritardato. 2. Osservatelo: se parla con aria troppo ispirata della Bahaus, se prende l'aereo in continuazione per visitare mostre dì Alvar Aalto, Gropius ecc. significa due cose: i suoi committenti ideali sarebbero, se potesse, Papa Giulio II e l'antica illustre Casata dei Medici. Inoltre ha un tenore di vita che prelude a parcelle incompatibili con le vostre tasche. 3. Nel conversare sulla progettazione del vostro futuro nido o castello che
sia, non confidategli particolari intimi della vostra famiglia, evitate anche lettere elogiative a metà dell'opera nell'intento eli fermare la voragine di spese che si è aperta ai vostri piedi e indurio a risparmiarvi la bancarotta: in tribunale diventano prove a vostro carico. In tutti questi casi i patti poco chiari non vi risparmieranno l'inimicizia lunga. E dunque, se proprio dovete costruire, ristrutturare, rabberciare un casale, un palazzo, un appartamento in condominio e il capomastro non. vi basta, andate da un progettista sconosciuto, discutete tutto prima, in modo becero e taccagno, mettete nero su bianco e mandate il vostro angelo custode ad un corso accelerato di computo metrico. Aumenteranno , grazie a questi accorgimenti, le probabilità di godervi felicemente le vostre quattro mura.
Arredare
Voce del verbo disperarsi nel tentativo di conciliare volere e potere. Come possedere mobili di antiquariato senza ridursi alia fame? Come avvalersi del consiglio dell'arredatore senza soccombere all'arrivo della parcella? Come ricorrere ad un intervento globale "chiavi in mano" dei mobilieri della Brianza senza finire prima o poi nel bollettino dei protesti cambiari? Come procurarsi uno straccio di antenato in crosta ottocentesca senza impegnare gli ori di famiglia al Monte di Pietà? È improprio definire la casa Io specchio dell'anima ma certamente le quattro mura che racchiudono parte della nostra privacy parlano di noi attraverso gli oggetti che vi accumuliamo nel tempo. C'è chi conserva tutto minu-
ziosamente e in armonioso disordine si costruisce una casa - cuccia, comoda e personale, chi rimane schiacciato dal peso degli antenati e vive in un museo, chi sistema libri e librerie a metro quadrato e il resto secondo catalogo, chi rifugge dal mobile che abbia meno di cen-tocinquant'anni, chi espone in vetrina l'oggettistica ricevuta in regalo in epoca di potere, chi i diplomi, le foto in compagnia di uomini illustri, chi si circonda di mobìli e oggetti firmati da designers di chiara fama ottenendo un magnifico effetto casa - negozio; ci sono giovani coppie che non pronunciano il fatidico sì finché non hanno corredato il nido d'amore di tutto quanto di dovere, fino all'ultimo contenitore per spille da balia, ve ne sono che celebrano il primo venticinquennio di convivenza con un fazzoletto di battista che fa da diffusore della lampada in salotto, in attesa dell'introvabile paralume di Le Corbusier. Un campionario di varia umanità si dipana agli occhi di chi osserva le case e il loro modo di essere arredate; basta saper leggere. Quanto al modo migliore di affrontare il problema non esistono consigli da dare: quello di essere se stessi nel dedicarsi al maquillage della propria tana è già da tutti ampiamente applicato ed è sterile lamentazione notare che gli altri, con affetto o con cattiveria, ne approfittano per classificarci e in qualche modo definirci.
Artemisia
Ebbe in sorte, da ragazza, una brutta avventura per mano di un giovinastro che la stuprò e che si aggirava nella bottega del padre, pittore di buona fama. Non fu
una storia di silenziosa e subì violenza: ne seguì un processo che rese pubblico l'orrore e la vergogna e indusse, forse anche per questo, la giovane anch'essa pittrice, e ben presto di fama, a frequenti migrazioni lungo le città dove fiorivano le arti, presso le Corti, le Curie, i ricchi committenti privati. Artemisia, figlia di Orazio Gentileschi, nasce a Roma nel 1598; si ignora, secondo Anna Banti - sua biografa appassionata - l'anno della morte. La prima metà del Seicento si arricchisce delle sue opere: raccolgono e la onorano Roma, Napoli, Firenze, Genova, Marsiglia, Parigi, Londra,
Ebbe gloria, danaro, un marito che le insegnò a scrivere, ma suoi erano il segno e il colore, la rappresentazione pittorica dei mondo, raramente gioiosa, più spesso corrusca e improntata con straordinaria vividezza alle storie più sanguigne dell'Antico Testamento. Dimenticata fino alla riscoperta critica dello storico dell'arte Roberto Longhi, solo poche decine di anni fa, Artemisia è la testimonianza di una donna che ha reagito con ostinato amore per la vita ad un delitto che ferisce profondamente la femminilità. Non so se la sua sia stata una vita felice; certamente per un artista l'emozione creativa, la fatica che vi si accompagna sono momenti assai vicini ad una felicità che miracolosamente, misteriosamente, si riverbera su chi guarda e ammira.
Asma
Ci sono felicità che scaturiscono improvvise ed impreviste da esperienze dolorose. La guarigione propria o di una persona cara da una malattia grave, un nuovo amore alla fine di una storia sentimentale molto acciden-
tata, un'offerta rii lavoro riopo un traumatico licenziamento; insomma, lo stress della cattiva sorte subita, agisce da moltiplicatore del buon evento in arrivo, ne esalta la goriibilità. Sempre che non si compia l'imperdonabile errore di affezionarsi troppo al ricordo delie proprie disgrazie.
Anche uscire indenni da un attacco d'asma più preoccupante del solito, riacchiappare improvvisamente l'aria, che si era intrappolata negli alveoli inerti dei bronchi e sfuggiva ad ogni controllo della niente che "voleva ma non poteva respirare" può procurarci momenti di felicità vertiginose. Per non dire del sassolino nella scarpa opportunamente rimosso, del dente cariato abbandonato al suo destino durante una seduta dal dentista, del posto a sedere raggiunto dopo lungo travaglio in tram affollatissimo, ecc. ecc. Non che siano queste felicità particolarmente brillanti, ma ne capitano parecchie nella giornata di ciascuno, in una vita contrassegnata da alti e bassi, chiaroscuri, toni bianchi e neri, eventi prò e contro. Tanto vale prendere queste docce scozzesi per il verso migliore: sono brandelli di felicità da non lasciar cadere. Alla lunga ci confezioneranno addosso un abito mentale di ottimo taglio.
Bagno di Romagna
Deve essere stata da sempre una stazione dì sosta e riposo per uomini e cavalli questa località incuneata, a cinquecento metri sul livello del mare, fra le montagne deLl'Appennino Tosco Emiliano, a metà strada dalle foreste di Camaldoli e Campigna e a breve distanza da Bertinoro e dalle altre colline vitivinicole romagnole.
Perciò si sono felicemente incontrate in questo luogo
l'eleganza del vivere toscano e la fantasiosa cordialità dell'ospitale Romagna. L'eleganza di Bagno si chiama discrezione: nell'assetto del lungo fiume per le passeggiate degli ospiti turisti, nella sistemazione del bel parco comunale, nella semplicità architettonica dello stabilimento termale, nella creazione di deliziose e agevoli "passeggiate della salute". Il pane è rimasto senza sale e l'amore per il buon vino - comune alle due regioni - si è ben conservato; intatta la tradizione della pasta fatta in casa a colpi di mattarello - anche nella ristorazione collettiva - accentuato il gusto per i mille raffinati prodotti in apicoltura - forse anche merito della vicina scuola della farmacia camaldolese, affettuosa l'accoglienza dell'ospite, familiare e al tempo stesso orgogliosa di voler dare il meglio secondo tradizione. Fiorentini gli illustri frequentatori delle antiche ferme di Bagno, da Benvenuto Cellini a molti rappresentanti della famiglia Medici. Vengono dalla profondità della montagna - milìecinque-cento metri - le calde acque che hanno segnato il destino di questo piccolo centro appenninico. Vi sono giunte per via piovana ed è stato così secolare il percorso fino a quella profondità, e l'arricchimento minerale e la risalita, anch'essa lentissima, che il ciclo completo dura settecento anni. Un tale calcolo, affidato ai geologi - scienziati e insieme poeti del sottosuolo - ci dice che nelle piscine termali di Bagno - oggi - scorre acqua purissima scesa dal cielo in epoca giottesca o nel bel mezzo del dolce stil nuovo del Petrarca e di Dante Alighieri. Ed è usando le stesse storielle acque che i cittadini di Bagno decisero alia fine degli anni 70 che - con un po' di fantasia tosco-romagnola e un po' di quattrini italiani e comunitari - si poteva tentare un impianto di teleriscatdamento con lo
" sfruttamento di risorse geotermiche a bassa entalpia". Ci sono riusciti fin dal 1987, in via sperimentale, e dal 1990 in via definitiva. Il vezzoso camino di una moder-nissima centrale geotermica segnala la presenza di un impianto di energia a basso costo, caso isolato in Europa [accanto ai noti soffioni boraciferi islandesi] di utilizzo di risorse naturali a fini termici, e per il quale Bagno non è famosa e conosciuta quanto meriterebbe. Questo gioiello della tecnica, non molto più grande di un comodo ufficio postale di paese - raccoglie trasforma e distribuisce le acque profonde attraverso undici chilometri di rete, duecentocinquanta utenze invernali per mille abitanti - che si quadruplicano in stagione termale, mantiene in costante equilìbrio orari temperature utenze, tramite computer, ha eliminato tutte le eventuali fonti di inquinamento termico da riscaldamento, ha quasi azzerato ì costi comunali di gestione termica mantenendo quelli dei privati a livello pressoché allineato al resto d'Italia. E bello pensare a quanta immaginazione unita a sano pragmatismo sia occorsa a questa antica municipalità italica che affonda le sue radici in epoca romana, per assemblare tutta la burocrazia e la tecnologia neces-sarie ad un risultato così speciale. Ecco un motivo in più perché susciti interesse e curiosità un contatto con questi luoghi - magari non nei momenti più affollati per le cure termali che coincidono con l'estate. Ma nelle stagioni di mezzo, quando l'aria è ancora un po' cruda, ( o l'estate in lento disfacimento) la neve si affaccia sui picchi più alti, i venti appenninici si infilano subdoli nelle vie deserte con le botteghe ancora aperte per gli ultimi visitatori d'autunno [o i primi di aprile e maggio] e il grande fratello che arriva a quarantacinque gradi di calore da sette secoli dì distanza veglia sulle ultime [o le
prime] saune di mezza stagione e si prepara a governare, a temperatura costante, il letargo invernale.
Bevagli a
Chi è arrivato in questo delizioso borgo, di fondo valle, in Umbria - che nelle carte comunali, e giustamente, si fregia del titolo di città, per antiche tradizioni e vasti-tà dt territorio circostante - è rimasto incantato dalla sua compatta bellezza di cittadella murata. Bevagna è stata per molti, italiani e non, una scoperta prima di tutto estetica - una piazza e altri angoli medioevali indimenticabili - ma una scoperta tardiva, diluita nel tempo, che non autorizza sospetto alcuno di colonizzazione da parte di cittadini in fuga dalle turbolenze metropolitane. Poi si sono accese altre curiosità sullo stile di vita del luogo: una rispettosa memoria per alcuni uomini illustri del proprio passato, un puntiglioso e sano rapporto con la propria amministrazione comunale - con la polizia urbana in prima linea a raccogliere segnalazioni, proteste, appelli di ogni genere di quotidiane piccole emergenze - un affettuoso e ipercritico amore per la banda cittadina, la rievocazione medioevale del Mercato delle Gaite che riproduce un po' di storia del passato, un gioco che si ripete a giugno di ogni anno, sempre coinvolgente, forse cresciuto troppo per continuare ad essere un gioco. È bello entrare in questo mondo un po' rarefatto, senza esagerare: la vita di una piccola comunità ricorda le gioie e le nefandezze della famiglia - è bene saperne qualcosa, è male saperne troppo.
Bevagna è emblematica di un'Italia verace - con i suoi e Le sue virtù - che non emerge nella banalità del
VLZl
quotidiano teatro televisivo , surrogato volgare dell'immagine vera del Paese - è uno dei tanti microcosmi che vive lavora soffre e si diverte nella normalità. Una normalità che solo il travisamento multimediale ha relegato ad un ruolo di secondo piano ma che in realtà è la forza strutturale - economica e civile - di una nazione. Per questa ragione - io che ho scelto dì vivere in questo luogo - pavento troppe incursioni televisive, troppa Luce della ribalta, molto di più dell'arrivo di qualche svizzero o di qualche altro cittadino del mio genere, che approda a questo porto tranquillo. Noi metropolitani stanchi non faremo danno; semmai ci lasceremo contagiare un poco dalla vita del borgo. Ciò che i suoi abitanti non hanno ancora apprezzato abbastanza è una tranquillità che non è affatto isolamento. Bevagna, come tanti altri centri minori dell'Italia delle cento città, vive immersa in isole metropolitane, fittamente abitate e attraversate da quotidiane e facili comunicazioni: si studia, si lavora, si acquista, ci si diverte, selezionando i luoghi, organizzando il tempo e il movimento. La felicità del borgo non è nel vivere chiusi ma nell'avere tranquillità e insieme comunicazione, a portata di mano. Inutile invocare il frastuono in loco come diversivo; ce n'è già tanto intorno -a distanze ravvicinate che qualsiasi abitante di Los An-geles non si stupirebbe -.
Tranquilli escursionisti in bicicletta solcano d'estate gli antichi acciottolati. Bevagna è meta preferita dì gitanti ecologici, anche per la sua configurazione pianeggiante, la confluenza di più corsi d'acqua, fino al letterario Clitunno. Tante acque ricche di vapori invernali le hanno meritato - quando èva fiorente città romana, con le sue ferme e il suo teatro - l'appellativo di "caliginosa Mevania" e tale ancor oggi è considerata dai pochi che
la conoscono. I quali crescono di giorno in giorno e oramai sono numerose le comitive pellegrine che dopo le rituali visite al Santo di Assisi, alle storie francescane di Benozzo Gozzoli a Montefalco, alla splendida Cappella dipinta a Spello dal Pinturicchio, percorrono l'antica via Flaminia oggi corso principale della cittadella murata. Curiose di tutto, anche, se aperto, del grazioso Teatro Comunale, un gioiello ottocentesco inserito in un antico palazzo del milleduecento che avrebbe provocato brividi di orrore a un'Italia Nostra dell'epoca, ma di cui, oggi, i cittadini di Bevagna vanno giustamente orgogliosi. E non mancano i dotti e santi pellegrini di apprezzare -fra una visita e l'altra - quei sani prodotti della terra che la campagna, appena fuori le mura, offre al viandante: olio, vino, farro, lenticchia. Ecco dunque uno squarcio di vita felice; è per poco, dunque approfittatene subito perché il Dizionario diventerà un best-seller e le folle invaderanno questo luogo di pace. In caso contrario - se pochi ed eletti resteranno i miei lettori - avrò felicemente conservato la tranquillità del mio buon ritiro a scapito delle mie fortune letterarie. Pazienza: non si può avere tutto dalla vita.
Bollicine
Non voglio provocare un eccessivo consumo di alcolici ma solo spendere due parole a favore del vino con bollicine, champagne per i francesi, " metodo tradizionale" per lo spumante di pregio italiano, [al quale è stato negato l'uso dell'espressione metodo champenois dai viticultori d'oltralpe] spumante metodo charmat [maturazione in grandi otri anziché in bottiglia]. Ce n'è per
tutti i gusti e per tutte Je tasche; con un po' di oculatezza nella scelta si possono gustare bollicine di qualità senza alleggerire troppo il portafoglio consumando prodotti nazionali, e non necessariamente di grandi marche; la rete di piccoli e raffinati produttori italiani di bollicine si sta estendendo. Vedo i puristi del brut francese che arricciano il naso di fronte a tale eventualità; buon per loro che hanno soldi da spendere e, si spera, una solida competenza per destreggiarsi nella scelta di qualità fra le numerose etichette della concorrenza. Si tratti del classico brut o secco - vino per cultori della bollicina assoluta, senza interferenze zuccherine - del demi-sec o dell'amabile [giudicati con sufficienza dagli intenditori, tuttavia presenti sul mercato] - la mia raccomandazione è la seguente; abbiate sempre in frigo una bottiglia con bollici-ne, non consideratela una bevanda riservata alle feste comandate, ai compleanni, agli aruiiversari. Quelle bevute occasionali, per lo più consumate in grande chiasso e turbativa festaiola, accompagnate da pasti pantagruelici, con vini spumanti impropriamente relegati a fine pasto, non rendono giustizia alla qualità e al piacere delle bollicine. Lontano dalla pazza folla, nell'intimità di un incontro amoroso, con la complicità di una conversazione amichevole fra pochi, a mo' di aperitivo in attesa di una riunione conviviale, alla fine di una intensa giornata di lavoro, o quando sì e quasi al compimento di qualcosa di impegnativo e serve un momento di relax per lo sprint finale, sono questi i momenti per stappare la bottiglia e sorseggiare a mente leggera e papille gustative non contaminate, questo il momento per avvertire in pieno tutto il solleticante piacere della bollicina e del profumo del vino che l'accompagna. Anche per affrontare, seduti in poltrona, un programma televisivo
un po' cretino o un po' noioso, il calice, rigorosamente flute può giovare: allevierà la sofferenza se si rimane svegli, favorirà il sonno se la trasmissione è insopportabile. Questa mia perorazione non venga considerata viziosa: essa risponde al desiderio di suggerire un uso meno ruspante di una delle migliori invenzioni dell'uomo dopo che Noè scoprì che dall'uva si poteva trarre una bevanda esilarante, e gli enologi ne proseguirono l'opera.
Cajkovskij Piotr Il'ja
In molti lo abbiamo amato in gioventù. Ma dopo, dopo non più. La nostra educazione sentimentale e quella musicale avevano raggiunto misure ed equilibri diversi; come non rinnegare una musica così intensamente legata ai nostri abbandoni adolescenziali ? Eppure, riascoltarlo negli anni '90 di questo secolo, eseguito da quelle orchestre russe che la caduta del muro di Berlino ha reso felicemente nomadi nel mondo occidentale, giunge quasi nuovo e sorprendente al nostro orecchio. Niente cedimenti romantici e una quasi violenta puntigliosa fedeltà interpretativa che non nasconde te corde fragili e nervose di quel linguaggio ma non le accentua.
I cinquantatre anni di vita di Piotr Il'ja Cajkovskij furono largamente attraversati da tempeste nevrotiche alternate a brevi bonacce, in una personalità fortemente conflittuale con se stessa e con la propria tendenza omosessuale. Una vita difficile, non priva di comportamenti sgradevoli anche verso gli altri, una vita che conobbe anche onori e ricchezze ma non la grande gioia di saper vivere il presente nella sua semplicità: sempre, e in con-
tinuazione soffocata da tormentosi rimpianti per il già accaduto o la frustrante attesa di "altro" da ciò che stava accadendo. Uno che tuttavia desiderava liberare la propria musica dai suoi personali tormenti - Mozart tra i suoi inarrivabili modelli - ce l'ha lasciata intrisa di tutta la sua complessa problematica esistenziale, ma non per questo meno bella, e riscattata dall'autobiografia in splendide forme. Perché parlarne qui? Per riconoscenza a chi, dal profondo del suo disagio di vivere ci ha regalato momenti di felicità? Scrivendo del quarto tempo della sua quarta sinfonia alla signora von Meck, a lungo sua mecenate, Piotr Il'ja sfiora le intuizioni di un destino che non è il suo "Non è giusto affermare che tutto è tristezza sulla terra; siamo noi stessi la causa della nostra malinconia. Esistono gioie semplici e prorompenti. Dobbiamo saper gioire dell' altrui felicità. Possiamo continuare a vivere."
Caminetto
Conversazioni confidenziali contribuirono a diffondere le ragioni del new-deal roosveltiano dopo la crisi economica del 1929. Giunsero agli americani via radio da un Presidente che parlava accanto al fuoco, rassicurante. Dopo di allora il caminetto in politica ha invaso gli schermi televisivi senza tuttavia raggiungere il carisma e i risultati di quell'illustre precedente. Accanto al fuoco - a conferma del fascino anche letterario del camino - una memorabile performance erotica di Lady Chat-terly e del suo amante, nel romanzo di D.H. Lavvrence. La fiamma di un focolare, vivace o tremula, la brace, luminosa o fievole, se ce la troviamo accanto, suscita sen-
timenti diversi ma non lontani da un primo frammento di felicità: sentirsi meno soli. Il camino ci offre anche piaceri ghiotti: arrostire salsicce alla brace, patate sotto la cenere, cuocere fagioli nel lento e saporoso "pignatid-do" di coccio. Intorno al fuoco di grandi camini - unica fonte di riscaldamento - ci si riuniva nei lunghi inverni delle società contadine, per raccontarsi storie e anche trasmettere valori. Camini sontuosi e decorati con arte hanno accompagnato per secoli vite vissute in mezzo a grandi scomodità da re, principi, baroni e nobili guerrieri, dentro castelli e palazzi pieni di spifferi. Oggi quelle vetuste artistiche cornici vengono vendute dagli antiquari ad adornare i camini dei nuovi ricchi dentro case riscal-datissime dai termosifoni. Una ragione c'è, ed è che il camino, prima che l'aria, riscalda il cuore. State all'erta perciò se un amico, un ospite, il vostro futuro marito, dichiara programmaticamente che non accenderà mai un camino in casa svia, o vostra, perché consuma troppa legna o tiene la casa in disordine. Potrebbe essere tirchio, e già questo non è molto simpatico se lo dovete sposare. Ma potrebbe anche avere un cuore arido se non si è mai lasciato tentare dalla fiamma.
Camogli
Camogli ha case dipinte che si affacciano sul porto e gatti che vivono da padroni sui moli e nelle barche dei pescatori. Abitanti che sì muovano abitualmente in uno scenario del genere hanno il comportamento che ci si aspetta da loro: una gentilezza rustica e padrona, molto ligure ma vera. I gatti danno ii viatico alle partenze notturne delle barche; al ritorno dalla pesca sono ricompen-
sati con minutaglia invendibile - alcuni esigono che sia fresca, altrimenti esibiscono sguardi inequivocabili di rimprovero. Ciò mi è stato detto da un pescatore. Ca-mogli è bellissima nel pallido sole d'inverno. Fin dalla mattina aleggia sul porto un profumo di pane caldo e appena sfornato: viene da una botteguccia che confeziona pizze farcite con le verdure più singolari, ed una, squisita, con la cipolla. Questo è un ricordo di tanti anni fa e appartiene ai miei luoghi felici. Ho paura dei cambiamenti che potrei trovare, ma il desiderio di tornare è tanto, e anche la voglia di riprovare la felicità di allora.
Cappelli
Giovani e giovanissime, oggi, se li infilano in testa
con iattanza, sopra lunghi paltò rivaiuzionari che na
scondono,
o appena lasciano intravedere gambe inguai-
nate fino all'orlo di abitucci minimali. Altre li indossano
con
allegria sfidando l'aria in sella a un motorino. L'uso
del
cappello viene suggerito da lungo tempo con una
insistita e ricorrente presenza sugli scaffali dei grandi
magazzini
ma decolla a fatica, nonostante la democra
tizzazione del prezzo. Sono le donne dell'età di mezzo,
quelle
che ricordano le visite un po' cerimoniose delle
loro
mamme e nonne nella bottega - salotto della modi
sta,
a resistere alla tentazione. Il cappello sembra loro,
ancora, un capo "importante"; per le tradizionaliste si
gnifica
osare il look della "vera signora", per le ex ses-
santottine
è un tradimento del barricadiero passato,
Eppure infilare un cappello in testa ed entrare in sin
tonia con lui può giovare; scoprirete il vostro salumiere
un po' più cerimonioso, il fioraio più disponibile, se en-
tratc dal mobiliere per chiedere il prezzo di un divano non sarete trattata da perditempo. Potreste persine osare l'agenzia immobiliare con la richiesta di informazioni su attico e superattico. Signore, il cappello incute rispetto, approfittatene! E poi, stende qualche ombra discreta su un volto affaticato, induce vecchi amici a qualche affettuoso complimento, finanche un marito distratto potrebbe guardarvi con occhi diversi. Perché privarvi di queste piccolissime occasioni di felicità?
Cattivi
Talvolta si deve essere cattivi. Con lo sportellista che strapazza la vecchietta lenta a capire il modulario astniso, con la portiera che maltratta il garzone sovraccarico di spesa da consegnare al quinto piano e gli vieta l'uso dell'ascensore, con il cretino che redarguisce la gattara per una tazza di cibo abbandonata in un angolo di strada e non vede le cartacce i cartoni le siringhe i preservativi sparsi sull'acciottolato, con il ferroviere che infierisce sullo straniero che non ha "obliterato" il suo ticket prima di salire sul treno, con la commessa che risponde indolente "non ce l'ho" a qualsiasi richiesta che disturbi la sua conversazione al telefono, con l'oste che tratta con sufficienza il turista sprovveduto e desideroso di spiegazioni su un conto dalle voci indecifrabili, con l'idraulico che trasforma il diritto di chiamata in un esproprio proletario. La lista delle persone tendenztalmente portate a distribuire piccole e grandi infelicità con i proprt comportamenti potrebbe continuare all'infinito e ognuno di noi ha la sua personale esperienza da aggiungere al catalogo. Non lasciate che vadano impunite per la loro
strada. Talvolta uno sguardo, una parola tagliente, un invito anche cortese ma fermo a desistere dalla carognata può bastare. Costoro devono capire che la loro stupida prepotenza fatta di meschino potere è stata giudicata. Non temete di passare per un cattivo carattere, non esponetevi fino alla rissa; basta un tocco di severità o di ironia. Permettetevelo, e vi sentirete meglio.
Certosa di San Lorenzo in Padula
Risorta dalle macerie dell'ultima guerra mondiale questa Certosa testimonia l'intensa vita economica e sociale del nostro Mezzogiorno - che certe faziosità ieghi-ste vorrebbero ridurre a pietra negativa di paragone per Se glorie aziendali dei padroncini del nord - est. Visitarla non è solo un piacere degli occhi, ma piuttosto un sorprendente viaggio attraverso sei secoli di storia. Nata nel 1306 per volontà di Tommaso Sanseverino, conte di Morsico, porta i segni della sfarzosa magniloquenza dell'ordine Certosino, nonostante le ruberie degli eserciti invasori l'abbiano privata di pregevoli quadrerie. Ma non si distrussero abbastanza (e fu possibile restaurarle) le pietre, la straordinaria, opulenta bellezza circolare delle sue scalinate, la finezza d'intaglio e i colori freddi ed eleganti dei marmi che adornano gli altari, la commovente grandiosità della biblioteca lignea impreziosita da un pavimento di ceramica di classica fattura locale, la lineare bellezza degli appartamenti dei monaci chiusi nel silenzio dei loro orti, i portici, i giardini, la marmorea lievità di statue e pinnacoli contrapposti con barocca sfronta-tezza all'azzurro del cielo. Una grande piana deserta circonda la Certosa; siamo nel Vallo di Diano, antico baci-
no di un lago scomparso e i centri abitati arroccati intorno conservano vestigia importanti. La storia di questi luoghi non si sottrae alla modestia politica delle nostre vicende nazionali; vi affiorano tuttavia caratteri e sinergie singolari, in vario modo debitrici di un passato illustre. Non sono trascorse invano le esperienze di una religiosità contemplativa e aristocratica, dentro e fuori le mura di questo monumento che può aggiungere un tassello importante nel nostro mosaico di momenti di felicità.
Cimiteri
"Vissi felice ma non abbastanza" si legge sulla tomba di un cinquantasettenne vissuto fra l'ottocento e il novecento a Trieste e che ora giace in quel cimitero ( a meno che l'implacabile turn - over del sovraffollato luogo di eterno riposo non abbia spazzato via la stele di marmo e la sua scritta). A ben vedere, l'illustre defunto di che si lamenta? Di non aver vissuto più a lungo, o lascia intendere di non aver goduto, nell'arco della sua vita non lunghissima certo, di abbastanza felicità? C'è spazio per disquisizioni degne delle ambiguità adottate spesso nel loro linguaggio dagli antichi romani aruspici E perché - se fu egli personalmente a decidere per quel prò - memoria post mortem - una scritta così perentoria* e sottile al tempo stesso? Rimpianto verso un futuro che già si intravedeva proteso ad un allungamento della speranza di vita? E anche un po' di invidia per i più giovani di lui che ne avrebbero beneficiato? Corruccio di un ipocondriaco insoddisfatto? Voleva egli invece lasciare un ultimo insegnamento scolpito nel marmo: di non aver
saputo catturare a piene mani tutta la felicità che poteva venirgli dalla vita, e di essersene reso conto solo in punto di morte? Un invito a chi avrebbe sostato davanti alla sua tomba: non fatevi sfuggire la felicità, sappiate vederla, afferratela in tempo, non aspettate il finire della vita per scoprire, con rimpianto, di aver sciupato occasioni e opportunità? In molti avranno letto questo messaggio. Il cimitero triestino è frequentato con spirito mondano appena venato di malinconia; in cimitero ci si da appuntamento, le famiglie stabiliscono Ì turni per la cura delle tombe, le gattare nutrono i felini che vi passeggiano pigramente, in cimitero si fanno e disfanno amicizie, fioriscono "laisons" della terza età, anche matrimoniali, il richiamo delle fioraie con i loro banchetti disposti in circolo all'ingresso, nell'attirare i clienti risuona affabile, quasi giocoso, come di chi invita a portare fiori in visita ad un amico o a un parente. Il nostro triestino vissuto a cavallo di due secoli avrà pensato che questo era un posto giusto per una perorazione a favore della felicità-
Compagna Francesco
È stato un intellettuale dì grande impegno, Francesco Compagna, direttore di Nord e Sud, la prestigiosa rivista da lui governata per quasi un trentennio, fino alla morte, nel luglio del 1982, in un sabato assolato, nell'isola di Capri. Ed era entrato nella politica attiva portando in questa esperienza, vissuta da deputato e uomo di governo, la stessa instancabile fede nella capacità delle idee di incidere fortemente sulla realtà, trasformandola. Que-
sto lo ha spinto ad un modo generoso ed impetuoso di vivere la politica, lo ha reso esigente nei confronti delle sue stesse azioni. "Il risultato" ci doveva essere, bisognava dare una risposta vera, concreta, che riscattasse l'attesa dei lunghi anni trascorsi nell'isolamento politico di una Napoli dominata dai laurismo e dal trasformismo, anni di battaglie giornalistiche feroci, di libri importanti, in una condizione minoritaria ma di riferimento per quanti credevano in un Paese unito e in una rinascita del Mezzogiorno d'Italia. La prematura scomparsa ha risparmiato a Francesco Compagna Io spettacolo indecoroso della crescita leghista, dei cedimenti istituzionali a questa marea di analfabetismo politico, degli ammic-camenti di buona parte del mondo giornalistico e dell'informazione che hanno assecondato un dibattito squallido. Lui che nella polemica giornalistica si era sempre esposto, con nettezza salveminiana, pronto a scegliere una parte, senza mezzi toni o ambiguità. Questo dolore gli è stato evitato da una morte che non arrivava improvvisa, ma era frutto di una scelta: portare avanti il proprio compito, nella normalità, ignorando un cuore malato. Chi è vissuto in questo modo, con questa generosità, ha certamente attraversato la vita con molti momenti felici. Momenti che si avvertivano nella Sua ricerca di soluzioni armoniche ai problemi - quasi in contrasto con il turbinìo di polemiche e battaglie che accompagnarono di continuo la sua vicenda di intellettuale e di politico. Quando un'azione ben fatta andava in porto, o degli amici realizzavano un programma stabilito, quando si superavano difficoltà per raggiungere un accordo, in politica o in famiglia, egli manifestava una soddisfazione, una voglia di felicità, che in persona meno avveduta e intelligente sarebbe potuta apparire ingenui-
tà o sprovvedutela, ma in lui, per ragioni biografiche, assumeva la nobiltà di intima coerenza con una concezione anche estetica della vita che poteva e doveva essere "bella".
Compagni di viaggio
Avete tutta una vita da passare in compagnia di voi stessi, perciò datevi da tare per conoscervi il meglio possibile. Vi accorgerete ben presto che la felicità o l'infelicità dipendono solo in parte dalle cose che accadono fuori di voi, e moltissimo invece da come voi le accogliete e le vivete. Siete voi, con ì vostri umori e sentimenti, ma anche la vostra ragione, che date un senso agli avvenimenti e li colorate di rosa o di nero. Oppure li conservate in quel grigiore spesso e gelatinoso che mortifica il presente - sempre - a vantaggio di improbabili gioie future o di rimpianti per quelle non vissute del passato?
Confidenze
Rassegnatevi a perdere ben presto il controllo delle vostre confidenze. Non esiste segreto che abbiate deciso di affidare all'amorevole attenzione di un amico che non trovi una via di tuga considerata praticabile da colui o colei con cui avevate deciso di condividere "riservatamente" un vostra cruccio o magari una felicità. Siate saggi e non prendetevela troppo con il traditore. Interrogatevi con sincerità per capire se avreste saputo essere migliori. Oppure, siate saggi: tacete. O ancora, siate saggi, parlatene con il vostro gatto: apprezzerà che abbiate
avuto fiducia in lui e vi regalerà uno di quegli sguardi liquidi ed enigmatici che lasciano trasparire altre cose e altri luoghi da esplorare per saperne di più della vita. Entrerete in una dimensione chi vi distrarrà dall'ossessione del vostro segreto. E inoltre, siate certi, "lui" non ne parlerà.
Confronti
II confronto può essere un gioco divertente o perverso. Dipende da chi lo frequenta. Ambiziosi e arrampicatori lo mettono al centro della loro filosofia di vita; i primi ne ricavano una spinta e nuove energie per raggiungere mete sempre più grandi, i secondi ne traggono invidie provvidenziali per la propria affermazione sociale. Il confronto assomiglia a Giano bifronte: se guarda dietro di sé si rallegra per il percorso compiuto, se guarda avanti si rammarica di quello da fare. Il confronto vale se parte da una ragionevole sincerità con se stessi; in caso contrario - di chi si sovrastima come di chi si deprezza - cose, persone, situazioni vengono deformate da un errato metro di giudizio. Insomma il confronto non è esattamente un esercizio spirituale dei più facili; esige anche una giusta dose di autoironia, e in tal caso può risultare perfino divertente e liberatorio. Giova ai temperamenti con vocazioni forti: lottatori della vita, leaders politici, scienziati e managers in carriera, aspiranti alla santità; non da ad essi una vera felicità ma li mantiene in armonia con i propri percorsi di vita e magari, anche, con le loro nevrosi. Il confronto è tuttavia innato nella nostra natura di animali sociali - si sospetta che finanche il gatto, il più solitario fra gli esseri a quattro zampe
io eserciti ogni qualvolta incontra un individuo della stessa specie dentro il suo territorio -, Kassegnamoci perciò ad averlo come compagno di vita, ma asteniamoci
dall'abusarne e consideriamolo per quello che vale, spesso inutile e talvolta anche dannoso.
Controra
Dolcissimo riposo della controra; se non siete costretti alla scrivania con. panino, o in azienda o in fabbrica con il self-service della mensa aziendale, concedetevelo! Non fatevi intimorire da chi vi annuncia severamente "io non dormo mai di pomeriggio!" La cosa non vi riguarda: ciascuno è padrone di rendersi amara la vita come crede. Pensate a voi: in veglia 0 in sonno aprite una parentesi, una pausa nella vostra giornata. C'è tutta una scuola di pensiero, da quella salernitana [aut stabis aut lento pede deambulabis] al cardiologo di Eisenhower che invitava a prendere un po' alla leggera le ore immediatamente successive al pasto di mezzogiorno. 11 giornale o il libro nella penembra complice di una stanza vanno benissimo, anche per chiudere un occhio. E ad occhi aperti - se vi si è costretti dal lavoro o da altri impegni - perché non indugiare su pensieri disimpegnati, ricordi, sogni, speranze? Aprire anche per poco una finestra su un mondo di tranquilla fantasia vale una "pennicchella" - camminare nei vicoli deserti dì un pìccolo paese - se si ha la fortuna di viverci - significa respirare le sfumature più segrete della controra: la vita quasi sospesa dietro le persiane accostate, la qualità di un silenzio voluto e goduto, e se si è in estate, il canto delle cicale, incuranti della calura, da ascoltare, al riparo di un albero o alla frescu-
ra di un angolo ombroso dei vicoli. Piaceri da filosofo, interdetti ad una intera generazione di yuppies.
Cose
Le cose hanno un'anima. Piegatevi talvolta su di esse per trame i molti e diversi piaceri che possono dare. Non trattate distrattamente la tazza del vostro caffè mattutino. Ci sarà un motivo perché l'abbiate scelta del colore e forma preferiti. O no? Trangugiate in fretta una brodaglia qualsiasi in un contenitore qualsiasi? Orrore! Correte alla vetrina dove stanno solitàrie e abbandonate meravigliose o semplicemente belle tazze di porcellana, di ceramica, di qualsiasi altro nobile materiale, sceglietene una e domattina anticipate il risveglio anche di soli cinque minuti per berci il vostro caffè o thè che sia. Accarezzatela con gli occhi e con le mani, vi restituirà, triplicato, il piacere di essere usata, con mille impercettibili godurie. E vi sarà grata, più dei vostri nipoti ai quali non importa affatto che il servizio arrivi intatto in eredità. E se, per caso, a loro importa? A maggior ragione: ricordatevi che avete una vita soltanto per gustare una buona bevanda in una bella tazza di porcellana.
Danaro
Non prendete troppo sul serio quelli che predicano che il danaro non da la felicità. Controllate, per prima cosa il loro personale comportamento: sono attaccati al soldo? Al bar aprono il portafoglio per primi e pagano? Fanno la mossa e basta? Avete mai provato a chiedergli
in prestito anche solo diecimila lire? Ma veniamo alla sostanza dell'assioma, il quale è vero e non è vero! Ai tipi melanconici, depressi, ipocondriaci non basterà il tesoro contenuto nei depositi di Fort Knox per renderli di umore più trattabile. Ma non prendeteli ad esempio: rappresentano un caso estremo. Anche il mendicante che vi gratifica di un sorriso aperto ed amichevole per una elemosina data con garbo non è emblematico. Il danaro è importante per vivere bene e ognuno di noi ha di questo "vivere bene" una propria misura. Il campionario umano è vastissimo: il misantropo, il festaiolo, il viaggiatore, il musicomane, Io stanziale pantofolaio, il cacciatore dì farfalle, il lavoratore stakanovista, lo sportivo, l'artista, il giovane, l'anziano, l'avaro, il prodigo, l'arrampicatore sociale, l'ambizioso sfrenato ecc. ecc. La "misura" sta ancora una volta nel titolare dei bisogni e dei desideri. Il danaro è fuori gioco, conta tanto e nulla se è "lui" che possiede, o è solamente posseduto. Datevi perciò una regolata. Certo, un po' di danaro aiuta e se vi arriva all'improvviso un' eredità cospicua, non tiratevi indietro. Vi metterà al sicuro se la vostra USL vi rifiutasse le cure mediche per qualche antipatica malattia. Se non proprio la felicità dal danaro avrete un po' di sollievo.
Dare - avere
Ecco un bilancio sulla propria vita da evitare se si desidera sinceramente essere felici. Se abbiamo dato molto e avuto poco, constatarlo cambia le cose? Se abbiamo avuto molto e dato poco non è il caso di risparmiare alla nostra coscienza qualche angoscioso pentimento? In tutti e due i casi abbiamo seguito, evidente-
mente i] nostro temperamento, ed essere stati in armonia con noi stessi nell'agire è già un bel risultato. Ci sono tuttavia delle differenze nell'uno o l'altro modo di essere che la vita stessa, alla distanza, incamera nel conto del risultato finale. Chi ha un temperamento generoso, portato a offrire amore, simpatia, aiuto, solidarietà- anche senza grande merito, arricchisce: donare è un atto creativo e fantasioso, restituisce sempre qualcosa a chi ha fatto il gesto. Donare troppo può anche non essere giusto, talvolta, ma se ci va di farlo, di certo non fa male alla salute. Chi misura con troppa frequenza il dare e avere nei propri rapporti con il prossimo rischia di meno, ma siamo proprio sicuri che viva felice?
Digitare
In principio il gesto ha avuto del miracoloso; prendete una tastiera e uno schermo e vi cambierà la vita. Niente più vistose cancellature con le xx sui testi scritti ma videate limpide dove tutto è possibile: scrivere, spostare frasi, allineare, integrare, correggere. Niente più ingombranti agende per appuntamenti e prò memoria, sostituite da eleganti tastierine tascabili. Archivi polverosi affidati alla memoria dell'hard disk, la vecchia schedatura del patrimonio librario di famiglia contenuta in un minuscolo floppy. Le ghiotte ricette di mamme e zie riemergono dalla memoria del personal suddivise per tipologia, variabili merceologiche degli ingredienti, tempi di cottura, menù di occasioni memorabili - battesimi, lauree, compleanni. Tutto intorno a noi induce a digitare: scrittori - ingegneri ci invitano sorridendo a provarne l'ebbrezza colloquiando confidenzialmente dal video,
digitano ragazze giovani e spavalde negli uffici, non più giovani e attempateli riciclati all'anagrafe e alle poste, al botteghino di teatro una luminosa trasparenza ci assegna il posto che vogliamo, all'albergo la stessa stanza dell'ultima volta, se gradita, e guai a non decidere velocemente; un brivido di piacere ci attraversa, siamo ancora dentro il tempo massimo consentito, la macchina non ci surclassa! Nonostante qualche disavventura di percorso - una manovra sbagliata ha cancellato all'istante cinquecento indirizzi faticosamente inseriti sul note book - ci sentiamo felicemente alla pari con nostro nipote che digita giochi e puzzle, visita il Louvre di-Parigi seduto sulla moquette di casa e riceve posta elettronica on-line. Ne ricevo anch'io: ho una casella, codice di identificazione e tutto quel che serve per corrispondere con il "mondo". Ho trovato in casella, qualche giorno fa, un messaggio impertinente " che ci fai alla tua età in Internet"? Ho risposto per le rime "Avrai anche tu, prima o poi, i capelli grigi, e chissà se ce la farai ancora a navigare in cyberspazio".
Divorzio
Tutto quello che precede il divorzio ha ben poco a che fare con la felicità; si sia trattato di un lento logoramento del rapporto amoroso, di un rissoso e defatigante confronto di caratteri, di tradimenti e traumatici addii, la fine di un matrimonio resta un'esperienza dolorosa. Il divorzio regola gli aspetti giuridico-istituzionalì del "fallimento", mette a posto le carte ma non sempre placa gli animi. Bisogna essere in due a voler fare in modo che le conseguenze di un matrimonio sbagliato non ricadano
rovinosamente sul resto della reciproca esistenza. Le ragioni per cui molto spesso questo gesto di estrema eleganza del vivere non si materializza con reciprocità nei comportamenti del "dopo" sono tante: i figli, usati come arma permanente di ricatto, i quattrini, trattati con l'avidità dell'inimicizia che ha sostituito l'amore, la paura della solitudine sublimata nell'odio dell'altro, o più semplicemente l'errore iniziale di valutazione del partner si riverbera al di là della notarile separazione dando al legame - in negativo - quel carattere permanente che le legislazioni liberali hanno voluto attenuare.
Il divorzio come istituzione ha tuttavia riversato su un'intera collettività di malmaritati una libertà di nuove opzioni creando le premesse per armistizi nella guerra di coppia. I molti, e coraggiosi, che hanno voluto rimettere su famiglia - magari sommando figliolanze nate da precedenti legami - hanno esercitato la prima delle libertà offerte dall'istituzione: ricominciare daccapo, riaprire il cuore e l'anima a nuovi affetti; una rinascita sentimentale più matura, e forse, meno conflittualità verso il legame di prima. C'è anche chi scopre, dopo un matrimonio andato male, di non essere proprio tagliato per la vita in due - narrata tutta a rose e fiori dai venditori di elettrodomestici, automobili, liquori e viaggi di nozze ai Caraibi.- Anche a costoro l'istituzione divorzio offre la stessa opportunità: ricominciare una vita nuova, stavolta da single, ricca di inimmaginabili libertà. Dopo l'approvazione della legislazione divorzista una mia cara amica ha smesso di proclamare ai quattro venti che il giorno più bello nella vita di una donna è quello in cui diventa vedova. Un bel progresso nella sua Weltan-schauung, tutto ascrivibile all'Istituzione.
Editore
Un navigatore temerario, un gentiluomo votato al suicidio, un giocatore d'azzardo, un gigante con i piedi d'argilla, un mago, un benefattore dell'umanità, un cavaliere della cultura, un pazzo: provate a mettervi nei panni di uno che pubblica le opere d'ingegno di un altro, il quale, a sua volta ha speso ore e ore della sua vita, in solitudine, davanti a un foglio bianco e una macchina da scrivere o avvinghiato ai comandi di un Personal Computer e di una stampante laser. Vi sembra costui persona normale, dal momento che "stampa" in previsione che qualcuno "compri" e precisamente un "pubblico" di futuribili, imprevedibili, ondivaghi lettori? Costui è sicuramente dotato di molta immaginazione, qualità lodevolissima ma poco diffusa, e dunque del tutto normale non è. Vendere medicinali, legacci per scarpe, frutta e verdura, intimo da donna e uomo, cappotti, vernici, automobili, è attività con un margine di rischio calcolato. Vendere libri, un genere non necessario in un mondo dominato dalla comunicazione teievisivizzata e informatica, è come ripiombare nei medioevo amanuense. Così pensa e si dispera l'aspirante scrittore, al quale tuttavia "un editore" è necessario come il pane. Egli ha bisogno spasmodico di un padre-padrone che lo omologhi nell'universo delle lettere e renda credibile ai suoi stessi occhi la "sua" identità di scrittore. Un editore "Ma-ero" con uffici satellitari e luogotenenti sparsi ovunque potrebbe essere rassicurante ma anche occasione di lotta continua con i vassalli e valvassori che si annidano negli anfratti dei grattacieli di ferro e vetro, incaricati di scrivere letteracce gentili e negative - con rituale restituzione del dattiloscritto - dopo aver lasciato il pesciolino
appeso per almeno sei mesi all'amo della speranza, per ributtarlo, alla fine, nel mare dell'anonimato letterario. In un paese in cui l'esercito dei lettori è quasi minori ta-rio rispetto a quello degli scrittori - si dispera il nostro autore - il pubblico rincorre le banalità in carta patinata degli eroi dell'effimero, quelli con la faccia in TV. -. Motivi di consolazione per il pesce piccolo ributtato a mare: riflettere sui "grandi respinti" del passato, Italo Svevo, Boris Pasternak straniero in patria, Tornasi di Lampedu-sa, ecc. ecc. O anche, registrare qualche incidente di percorso di vassalli e valvassori che non hanno fatto il pieno preventivato, con il lancio dell'ultimo venditore di illusioni televisive formato copertina e carta patinata. Giunge la felicità quando l'approdo è vicino: un editore, grande, piccolo, medio, storico, nato ieri, microscopico, di avanguardia o meno, ha detto "si pubblica". Inizia un tortuoso percorso fra sponsor, recensori, amici facoltosi e condiscendenti, giornali fiancheggiatori, presentatori televisivi compiacenti, librerie con pubblico assicurato, ecc. ecc. Quanta fatica, e al fondo un pensiero che la illumina tutta: "qualcuno" ha pensato che quanto era stato scritto " valeva la carta su cui stamparlo". Quando si dice che si può essere felici con poco!
Facile-difficile
Toglietevi dalla testa l'idea che la felicità sia facile e che la si conquisti cantando. Danno maggiore non poteva farvi chi vi ha lasciato coltivare l'illusione che la vita sia una passeggiata di tutto riposo. Ma se accettate la sfida e vi lasciate stuzzicare dall'ambizione di diventare i creatori di quella personalissima opera d'arte che è una
creatura "felice" entrerete in un mondo infinitamente ricco e pieno di sorprese, non finirete mai di stupirvi su voi stessi, sugli altri, sulle cose che accadono intorno a voi. E, credetemi, già questo, in un mondo popolato di gente annoiata e triste, che spesso si fa passare sotto il naso momenti di felicità senza vederli e senza coglierli, vi distingue e vi regala allegrìa.
Fantasie
Sono i nostro attimi di libertà dagli imperativi concreti delle cose di tutti i giorni, perché privarcene? Purché la fantasia, il sogno, non prevarichino e non diventino evasione dalla responsabilità di vivere. Se abbiamo lavorato abbastanza da guadagnarci il pane quotidiano, pagato debiti tasse e contravvenzioni, rispettato, ove sussistano, gli affetti familiari, possiamo permetterci tutta la fantasia di cui siamo capaci. Ci sono le fantasie "buone": immaginare una vincita in lotteria e tutti i piaceri che ne potremmo trarre, compresi quelli "cattivi" di rallegrarci dell'invìdia del nostro prossimo; ci sono le fantasie cattive - immaginare i guai che possono capitare ai nostri peggiori nemici (se ne abbiamo), fantasie dopotutto "buone" poiché risolvono nell'immaginario vendette che non eseguiremo mai. Fantasie erotiche, buone per conciliare il sonno nelle notti solitàrie, fantasie futurologiche - vie di mezzo fra il sogno e la progettazione - se si vuoi anticipare il risultato delle nostre ambizioni o aspirazioni. La fantasia fa bene alla salute, dilata gli orizzonti, può finanche suggerire idee e percorsi nuovi alla vita reale. È un esercizio mentale cui dedicarsi nei momenti difficili per chiamare in soccorso
ai nostri problemi il massimo delle risorse . È un modo per usare il cervello al di là delle strettoie delia pedissequa quotidianità. A piccole dosi consente di attenuare le angosce di uno sgradevole presente in attesa di tempi migliori. Non abusarne e non rifiutarla è una giusta via di mezzo.
Fantasmi
Se un caso, un meritato successo professionale, un colpo di fortuna vi riportano improvvisamente sul palcoscenico del vostro piccoio teatro della vita, vedrete ricomparire i fantasmi delle vecchie amicizie. L'oblio, la perdita di status da protagonista vi avevano reso invisibile, e loro, gli amici di sempre, ne avevano preso atto e a loro volta si erano resi " invisibili"; non richiamavano dopo una vostra telefonata a vuoto, il saluto per strada da partecipe si era fatto cordiale e frettoloso, gli incontri rari. E adesso, vi chiedete un po' perplessi, come comportarvi di fronte a telegrammi, inviti reiterati, telefonate chilometriche e giulebbose? Avreste voglia di mandare tutti al diavolo e rinfacciare i bocconi amari trangugiati. Ma non fatelo; li trattereste da uomini senza ricavarne granché. Sul filo dell'ironia, anche benevola, lasciateli nella loro condizione di fantasmi. Gentili quanto basta, condiscendenti con piacere e distacco alle loro rinnovate attenzioni. Accettate inviti a cena se in casa dei fantasmi si cucina con garbo e si servono vini di qualità. Un po' di gente intorno, quattro chiacchiere del più e del meno, a piccole dosi, qualche week-end nelle case di campagna di queste creature evanescenti, tutto giova all'igiene mentale. E poi al primo rovescio di fortuna,
all'appressarsi di qualche nuovo black-out mondano, non sarà meno penoso veder risucchiati nel nulla i nostri cari fantasmi anziché esseri più consistenti e veraci? Sarà questo il lato debole della vostra vita. I sentimenti forti, gli amori, gli odi, le trepidazioni riservatele ai veri amici, che sono pochi.
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vW
Felicità è gatto
Sarò accusata di faziosità, in primo luogo dagli amanti dei cani - e me ne scuso - e da tutti coloro che vivono nella presunzione di essere qualcosa di diverso da "animali a due sole zampe" - e mi rammarico per loro -. Felicità è gatto lo dichiaro a ragion veduta. Molti mi sono vissuti accanto e ci siamo fatti buona compagnia. Abbiamo lavorato insieme - talvolta una carezza distratta ad una pelliccia avvoltolata sulle carte ha riacceso la fantasia e ripescato qualche idea che si era perduta. Abbiamo ascoltato musica insieme, talvolta abbiamo viaggiato. Ciò che io ho dato in cibo e cure mi è stato ampiamente restituito in emozionanti scoperte sulle infinite possibilità di comunicazione che si possono instaurare con ognuno di loro. I segnali di questo contatto sono impercettibili, le affettuosità sottese, l'invito al gioco discreto ed elegante, la trasgressione o il dispetto hanno una loro logica che chiede di essere interpretata, è anch'essa, come accade nei cuccioli d'uomo, una forma di comunicazione. Ho imparato molto di me stessa vivendo con loro, e da ognuno cose diverse: ad essere meno aggressiva, a riflettere sulla natura delle cose, a indulgere un
po' di più a momenti di contemplazione. Quanti stupidi motivi di stress si sono dileguati in pochi minuti concessi ai loro giochi. Ho evitato di vivere troppo sopra le righe, abbandonandomi talvolta alle loro fantasie. Ho sofferto delle perdite, ed ho ostinatamente continuato a cercarne altri, accettando a priori il dolore del distacco. Non ho mai messo piede in un negozio per comprare un gatto; i miei amici stavano per strada, o sono nati in casa. L'orrore e la paura per le sofferenze cui potrebbero andare incontro mi ha insegnato il rispetto per le sofferenze di tutti gli animali, soprattutto di quelli di cui ci nutriamo, esposti a comportamenti disumani e istituzionalizzati. Detesto i corsivisti e i maìtres a' penser che nei loro scritti, ogni tanto, distinguono le categorie del dolore per Je sofferenze degli uomini e degli animali assegnando alle prime un posto di riguardo; come se non fosse atroce la vista di un animale che soffre per mano d'uomo senza avere l'intelligenza necessaria per capire fino in fondo da dove, e perché gli viene tanta crudeltà. C'è poca felicità in quanto sto scrivendo, c'è semmai, assenza di felicità, e ad una assenza di vera felicità, credo, si debba attribuire la capacità di esseri umani dì infliggere sofferenze, a uomini ed animali, senza distinzione alcuna dì gravita. Se gatto è felicità ciò non accade tuttavia per tutte le piccole gioie e l'affettuosità che ci procura nella sua quotidiana compagnia, ma è proprio per la lievità con cui ci induce a passare da quel piacevole rapporto a una maggior profondità dentro noi stessi: quando si nega, e ci costringe a domandarci perché, quando ci sfugge e ci sfida, quasi, a misurare con altro metro la distanza che da lui ci separa, quando si invaghisce di un nuovo gioco e ci distrae da qualche ossessione di cui misuriamo improvvisamente tutta la inconsistenza,
quando, vivendo con più di uno in casa, seguiamo i loro comportamenti, lo scambio di piccoli reciproci favori, La gestione oculata delle maternità, la vita di coppia, il gioco dei fratelli cucciali come scuola di vita. Sì schiude un mondo che altrimenti verrebbe meno alla nostra esperienza, e si materializza nel tempo, una sorta di educazione sentimentale che si accompagna a quella che la vita ci somministra nel contatto con gli uomini: ne usciamo un po' più ricchi nell'ariana, e dunque potenzialmente più felici. Se avete un figlio che vi chiede insistentemente di possedere un gattino non negategiielo solo per qualche piccola scomodità in più. Sappiate che gli state negando un'avventura educativa di straordinaria bellezza, e la state negando anche a voi.
Femminismo
Si può essere telici di vivere in un mondo in cui Lina buona metà degli esseri viventi è considerata violente-mente o blandamente inferiore a causa del proprio sesso? 11 femminismo nasce da questa domanda, diventa filosofia non da oggi - risalgono alle donne monacate a forza fin dal sedicesimo secolo dopo Cristo le prime forme di autocoscienza e di rifiuto di questo grande sopruso della storia - scrive attraverso molti protagonisti, donne e uomini, pagine teoriche di straordinaria efficacia e bellezza, ma ancor oggi è costretto a confrontarsi con l'impermeabilità di un'opinione pubblica che scambia una grande rivoluzione di pensiero con incomposte manifestazioni di piazza. E può una donna cosciente di tutto ciò vivere felice accanto ad un compagno conosciuto ed amato neLl'equivoco ante-femminismo? Molte furo-
no le separazioni, le rotture di legami matrimoniali considerati solidissimi, nel momento dell'ultima ventata femminista, agli inizi degli anni '70; ed erano le donne ad andarsene. Avevano sperimentato tutta la verità delle parole di John. Stuart Mill " ai di sotto di ogni uomo, anche il più reietto, c'è una donna che subisce"; una dominazione che "differisce da tutte le altre perché volon-tariamente accettata".
Ne conseguiva inevitabilmente che il privato era "politico" e si cercava, attraverso la rottura, una propria nuova dignità. Molte donne hanno evitato il trauma della separazione e si sono dedicate all'educazione femminista delle proprie figlie, e dei figli maschi, convinte che si può essere felici anche consapevoli di vivere dentro una rivoluzione incompiuta. Del resto, quanti sono, realisticamente, i casi di felicità totali ed assolute?
Fotografie
Ordinatele per data e luogo, abbandonatevi a qualche didascalia se vi va di farlo, date ogni tanto un'occhiata a questo film della vostra vita, nato spontaneamente da viaggi, occasioni, avvenimenti. A differenza della petulante telecamera amatoriale che spesso induce i soggetti a fare gesti inconsulti e un po' imbecilli per movimentare la scena di improvvisati registi, l'obiettivo fotografico è più immediato; per qualche innocente messa in posa vi saranno tante e tante vostre immagini colte dal vivo, espressioni rubate e sincere. Magari al momento non vi saranno piaciute, un po' crude e non perfette, meno belle di quanto pensate di voi stessi, ma a distan-
regalatevi ora un diario così, tenero e divertente, mettendo ordine nelle vecchie foto che avete ammucchiato
da qualche parte.
Gatto
II gatto è animale curioso e questa è forse l'unica sua qualità da non imitare. Ci sono gatti - e uomini - che hanno preso sul serio l'esortazione del Poeta "fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza". Consiglio da assumere con cautela se non si possiede l'intelligenza e soprattutto la fortuna di Ulisse che ne ha passate di tutti i colori ma alla fine ha ritrovato casa, beni e Penelope. Quest'ultima in veste di gatta, ad esempio, mantiene una parvenza di moglie fedele finché alleva amorevolmente la sua cucciolata, ma se Ulisse - gatto non si ripresenta in tempo quando "lei" ha deciso di emancipare i figli e affidarli al loro destino di giovani adulti per le vie del mondo, trova un branco dì Proci pronti a sostituirlo, e Penelope consenziente.
Innumerevoli gli incidenti che possono occorrere al gatto curioso: restare prigioniero di una cantina o di un armadio, salire su un albero o sulla cima di un tetto senza trovare agevolmente la via del ritorno, perdere il baffo o la coda dentro qualche ingranaggio esaminato a distanza troppo ravvicinata. Analoghi e peggiori incidenti riguardano gli umani che hanno deciso di dedicarsi al
giornalismo di cronaca nera, ai servizio della giustizia, al lato nobile della carriera politica - che esiste, ma pochissimo frequentato.
Virtù gattesche da imitare: pulizia [il gatto si lava prima e dopo ì pasti], prudenza [vale per i curiosi], distacco e discrezione nel guardare alle cose del mondo, attitudine a dedicarsi con moderazione ma con gioia, al piacere altrui. Un gatto che ronfa sulle vostre gìnocchia e vi t'issa negli occhi, dolcissimo e imperscrutabile, come se... vi insegna, in ogni caso, che nella vita, a far bene si ricava maggior felicità che a far male. Provare per credere.
Gentilezza
Non è facile essere gentili con gli arroganti, gli stupidi presuntuosi, i supponenti, i bugiardi colti in flagrante. Non è necessario esserlo, a ben vedere; costoro hanno diritto ad una nostra pedagogica scortesia che li aiuti a capire i loro errori. Un eccesso di gentilezza - vendetta di aristocratica raffinatezza il cui significato ultimo è l'assoluta sottovalutazione dell'interlocutore maleducato -va riservata a casi rarissimi, altrimenti è dannosa e male interpretata. Ma con tutti gli altri, esseri normali pieni degli stessi difetti normali da cui noi stessi non siamo esenti, perché non essere gentili? La gentilezza scioglie le difficoltà piccole e prepara il terreno d'intesa per quelle pili grandi. Mantiene una temperie morbida nei rapporti con gli altri e fa bene alla salute poiché il sangue scorre senza turbolenze nelle vene ed arterie. Non costa nulla, o molto poco, se diventa un abito mentale, una costante di comportamento, e genera, non sempre ma spesso, reciprocità. Con gentilezza si possono pronun-
ciare anche giudizi poco caritatevoli verso il prossimo, ma ciò appartiene ad un altro capitolo, e qui se ne accenna con riprovazione. Le nuove generazioni sono poco gentili poiché nessuno ha loro insegnato ad esserlo. I vecchi lo sono di più, anche per paura di essere maltrattati. Se siete donna, in quell'età di mezzo che espone i primi capelli bianchi e ricevete una scortesia, magari da un giovanotto al guinzaglio di iuta sgallettata che vi sorpassa in coda per il taxi con il passo lungo e scosciato, non mancate, gentilmente, di ricordare ad ambedue che il tempo passa per tutti, inesorabilmente anche per loro.
Gioie
Se dovessimo contare sulle grandi gioie per misurare la nostra felicità avremmo di che lamentarci; possono presentarsi anche molto raramente ed essere di breve durata. Sono le piccole gioie quotidiane, i piaceri minimi, la scelta delle soluzioni più congeniali a noi, la rete di sicurezza su cui poggia uno stato d'animo sereno, anticamera della felicità. Impossibile fare un decalogo di piccole gioie che valga per tutti: ognuno di noi ha preferenze, ossessioni, nevrosi, tic, gusti, temperamenti diversi. Ma per tutti restano le occasioni quotidiane da prendersi per il verso giusto; c'è chi ama sostituire una sveglia carcassona con musiche rilassanti, chi decide -se in ritardo sugli appuntamenti - di affidarsi ad un taxi piuttosto che all'autobus valutando il maggior costo a vantaggio della propria igiene mentale, chi spazzola il micio dì casa, rubando qualche minuto alia propria toilette per il piacere di sentirsi fra le mani un essere ron-fante di affettuosa riconoscenza, c'è chi nel percorso casa
ufficio cambia itinerario per il gusto di attraversare un parco, chi si prepara una tazza di thè secondo le regole più classiche e cerimoniose anche se è solo in casa, chi
accompagna l'idromassaggio sull'onda delle belliniane imprecazioni della sacerdotessa Norma contro Pollione e Adalgisa, chi mette a soqquadro un negozio senza comprar nulla, ma qui siamo al limite del lecito. Le piccole gioie proprie non possono intaccare l'altrui tranquillità, perciò niente televisori o radio a tutto volume, bando alle sigarette sventagliate distrattamente sotto il naso di asmatici e non fumatori, silenzio in teatro, spenti i te-lefonini alle conferenze, niente biciclette contornano, anche se in passeggiata ecologica. Per il resto si dia via libera all'invenzione e non si concluda che "ci vuoi poco per essere felici", è vero il contrario; a rovesciare l'antico detto ( ad ogni giorno la sua pena ) occorrono impegno e fantasia.
Gioielli
Se appartenete al genere di persona che non distingue un topazio da un'acqua marina consideratevi ignoranti, ma non infelici. Una buona conoscenza della qualità e del valore dell'oggettistica preziosa da indossare, al femminile, fa parte dell'istruzione doverosa per le signore da compagnia, in carriera. Se non si conosce esattamente il valore di ciò che viene regalato si rischia il deprezzamento sul mercato, sia quello libero che quello matrimoniale. Perciò tanta premura da parte di nonna e zia di Gigì, indimenticabile personaggio di Colette, per istruire bene la ragazza, in proposito. Quando le vostre amiche più avvedute scambiano opinioni e informazio-
ni su qualità, prezzi, modalità d'acquisto della gioielli-stica, prestate silenziosa attenzione, non scopritevi troppo sulla vostra ignoranza [imparare non guasta, mai], ma soprattutto non fatevi prendere da complessi di alcun genere. Potrete avere una bella storia d'amore senza contorno di rubini, oro, argento o altri preziosi. Sarete superfortunate se rubini oro argento e altri preziosi arriveranno insieme al grande amore, ma quanto alla promessa "per sempre" che i pubblicitari hanno associato negli spot televisivi al diamante sappiate che non è affatto garantita. Non fatevi prendere da crisi d'invidia se un'amica esibisce troppo spesso zaffiri e smeraldi; potrebbero rappresentare succedanei di felicità. Diffidate ugualmente di vostro marito se, dopo lunghi anni di astinenza da regalo, si presenta a voi con un prezioso importante; gli uomini, anche alle soglie del duemila, usano il gioiello per farsi perdonare un tradimento.
Il libro che viene da lontano
Non è un oggetto qualsiasi un libro: dentro ci sono parole e pensieri che qualcuno ha sentito il bisogno di comunicare ad altri. Uno come noi aveva qualcosa da dire, un messaggio affidato a sconosciuti, con affetto e con dolore: arriverà in porto? Si perderà? Pensate a quanti, rassegnati & soli in una stanza, hanno scritto immaginando, come il Manzoni, di avere appena quaran-tacinque lettori. Certuni sono morti ignorando che sarebbero stati diffusi nel mondo milioni di copie delle loro sudate parole, altri senza il minimo sospetto che i diritti d'autore avrebbero arricchito odiatissimi parenti, altri ancora senza minimamente immaginarne l'esistenza.
Vogliamo dare un po' di soddisfazione a tutti questi nostri concittadini dei mondo passato? Se villaggio globale deve essere a che scopo limitarlo ad un presente e futuro tutto da scoprire, ignorando un patrimonio di saggezza già bell'e pronto e collaudato da intere generazioni di lettori? Il libro che viene da lontano, convenzionalmente chiamato "classico" ha perso in parte il suo carisma dopo che i frati e gli amanuensi hanno smesso di trascriverlo a mano, ha riconquistato un mercato di "amatori" fra i bibliofili e i cacciatori di edizioni rare. Oggi una generazione di editori dotati di una vena di pazzia ottimista l'ha rimesso in circolazione a prezzi stracciati. Sceglietene alcuni e metteteveli sul comodino in camera da letto. Scoprirete ben presto che due pagine accostate con calma e in silenzio vi conciliano il sonno altrettanto bene di un film in seconda serata infarcito di pubblicità sulle merendine delia prima colazione. E vi sentirete meno cretini.
Immaginazione
Nel 1968 e dintorni si invocò a gran voce, sulle piazze e sai muri delle città universttarie "l'immaginazione al potere" e una parola per secoli relegata nell'alveo fantastico assunse improvvisamente un grande valore politico, una domanda di maggior fantasia nel governo della società. Non è un caso che la massa d'urto di contestazione del presente, tutta proiettata su un futuro" diverso e migliore " fosse lievitata sulle elucubrazioni di Herbert Marcuse: j filosofi sono a tutti gli effetti individui capaci di applicare alle scienze esatte una giusta dose di immaginazione. Furono del resto gli illuministi i veri
padrini della magnifica rivoluzione americana e anche della più cruenta rivoluzione francese, dove, nello scorrere di tanto sangue non è certo mancata una buona dose di immaginazione. L'immaginazione abita ovunque e non sempre viene usata a buon fine: anche i torturatori nei lager, i massacratosi di etnie, i dittatori sono capaci dì grande immaginazione nel praticare il loro mestiere. Nel grande equilibrio dell'universo uso ed abuso di immaginazione si sono rincorsi e compensati lasciandoci eredità pesanti ma anche bellissime. Che dire di Federico 11 di Svevia, del suo navigare fra più culture e religioni in epoca di crociate ed anatemi, del suo abile giostrare fra il potere ecclesiastico e quello civile; quanta immaginazione per tutto ciò, se ancora oggi, a noi uomini del ventesimo secolo, desta emozioni indicibili sostare dentro le mura ottagonali del suo Castel del Monte dove gli echi del vento profumano dello spirito del suo tempo. E Benedetto da Norcia? Immaginò che le risorse morali e spirituali dell'uomo avrebbero avuto la meglio su pestilenze e scorribande barbariche, salvò per un futuro che appariva improbabile, la saggezza dei libri, la manualità artigiana, il lavoro dei campì. Se la chiesa cattolica lo ha fatto santo i laici dovrebbero assegnargli un premio Nobel alla memoria. A Federico e Benedetto ben si addicono le qualità dell'immaginazione secondo il dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto "facoltà di cogliere il valore di un'ipotesi o di una interpreta-zione ad un livello superiore". È la facoltà dei poeti, degli uomini di azione e dei contemplativi, di quelli che hanno lasciato un segno nella storia e di chi mette delle briciole sul davanzale della finestra immaginando che siano più utili a qualche volatile di passaggio piuttosto che al secchio della spazzatura. Piantare un albero, e far-
Io prima che sì può "perché ci vorranno vent'anni prima che sia cresciuto abbastanza" è frutto dell'immaginazione, e dimostra di averne vostro figlio quando si propone di instaurare buoni rapporti con "tutti" i gatti di casa, (se ne avete più di uno). Non mettete un freno, sottovalutandoli, ai suoi primi passi sulla via dell'immaginazione. È il gran numero di occasioni che ci offre di vivere con straordinaria versatilità piccoli e grandi eventi deJla nostra vita a rendercela amica e a incoraggiarci nel coltivarla: se non abbiamo mai pensato che l'immaginazione era nelle nostre possibilità, è questo il momento di farlo; saremo più felici.
Imprevisti
Siete rimasti bloccati, durante un viaggio in treno, in una stazione intermedia? Un guasto alla vostra auto vi costringe ad una sosta in un luogo sconosciuto? Avete dovuto rimandare la partenza? A meno che questi disguidi non vi costino Ja perdita di un contratto di lavoro miliardario, occupate il tempo libero, veramente lìbero che vi è stato inopinatamente regalato dalla sorte, dedicandovi alla scoperta di cose che altrimenti non avreste avuto l'opportunità di osservare. Fate scorrere le immagini nuove, i colori e le forme di un paesaggio, i volti delie persone, le architetture dei luoghi, in un persona-lissimo film tutto vostro. Non trovate più gratificante e creativo occupare la vostra mente in queste esplorazioni, che il caso vi ha regalato, anziché disperarvi, senza averne comunque costrutto, per un incontro mancato? E se si trattava di un appuntamento sentimentale, o ero-
tico? Mah! Chissà che una pausa di
riflessione non gio
vi,
o non rappresenti una svolta
Incongruenze
Giunti alla fine dei terzo atto di Lohengrin viene naturale domandarsi perché iì forte e gentile figjio di Par-sifal abbia affrontato un lungo viaggio fluviale a dorso di cigno, un duello periglioso allo scopo di scagionare Elsa dall'accusa di aver assassinato il giovane fratello, una faticosa notte di nozze funestata dalle tremebonde incertezze della sposa sulia di lui identità, regalando alfine agli attoniti sudditi di re Enrico l'Uccellatore un colpo di teatro di totale incongnienza: il fratello di Elsa eccolo, vivo e vegeto sotto le spoglie del cigno gentil, viene a riprendere il suo posto regale mentre Elsa muore desolata per aver mancato di fede nel suo salvatore. Addolorati in tanta mestizia gli spettatori del wagneriano dramma in musica riacquistano tuttavia la lucidità necessaria per arrabbiarsi: non si maltrattano con così tanta disinvoltura il cuore e il cervello di normali individui pensanti. Ma da tanta sfacciata incongruenza scaturiscono tre ore di musica sublime; note e note ci dilaniano l'anima e il corpo per raccontare in un linguaggio senza mediazioni che non siano purissimi suoni, il dolore, la speranza, il desiderio amoroso, l'afrore della vendetta, la nobiltà sofferta delia rinuncia, la delicata fede nel sublime, la toccante compassione per l'umana debolezza frammista al languore amoroso. Una musica che tocca l'anima senza nulla togliere alla ragione sovrasta questo monumentale melodrammatico nonsenso che si chiama Lohengrin. E tanto valga a dichiarare che una
immensa e totale godibihtà musicale nasce da una vicenda assurda. Abbracciare senza riserve le incongruenze non è sempre possibile ma talvolta giova alla felicità.
Infelicità
Ebbene, non possiamo negarlo; esiste l'infelicità. Nul
la
possiamo fare per evitarla se ci colpisce nel corpo o
nell'anima,
al di fuori delle nostre difese. A seconda del
nostro
temperamento saremo forti come querce nell'af-
frontare
il dolore, flessibili come giunchi perché passi su
di noi con il minor danno possibile. Eccoci assimilati alle
piante,
creature sensibili ma anche vulnerabili perché
radicate
alla terra, segno della nostra fragilità. Se abbia
mo
imparato a non procurarci da soli e con la nostra
imperizia
a vivere, altre infelicità, abbiamo forse motivo
per
rallegrarci di dover subire soltanto quelle che ci in
fliggono
gli altri. Non è molto, tuttavia come dice un
proverbio pieno di amara saggezza più buio che a mezzanotte non può essere.
Lagune
Ciò che veramente ci affascina delie lagune non è chiaro da subito; il paesaggio inconsueto, la distese d'acque ferme o increspate da brividi di vento, gli uccelli che stazionano immobili su acque pali e barene, le nebbie che si alzano lievi e in ordine sparso nelle mattinate d'inverno, i riflessi infuocati che certi tramonti accendono sullo specchio lagunare sono già motivi di incantamento. Ma è il silenzio in cui ci troviamo, d'un tratto, che ci
sorprende. È un silenzio di totale immersione: la piattezza essenziale della laguna, la circolarltà di un orizzonte fatto di terre e acque che si rincorrono all'infinito ci tengono alla mercé di un paesaggio senza scampo; non c'è rifugio per il corpo, né per l'anima. Nulla che ci distragga o ci aiuti a fuggire da noi stessi. Non resta che trame profitto ascoltando le nostre voci di dentro, quelle che non affiorano mai dal consueto fragore metropolitano. Gioverà mai alla nostra felicità questo bagno di saggezza lagunare? La risposta è incerta e personale. Chi non vuoi correre rischi escluda le lagune dai propri iti-nerari.
Lisa
Ora me ne sto alla finestra e guardo i paesani che passano per la nostra strada. In fila, caracollando, si fanno vedere anche i piccioni che abitano nella chiesa qui di fronte; non mi temono e io non li desidero. Gli stranieri, di passaggio in paese, puntano su di me le loro macchine che fanno splash e flash. La vita scorre tranquilla, i pasti assicurati, in famiglia tutto bene. Figli e nipoti mìei godono ottima salute, anche i miei ospiti a due sole zampe non hanno, al momento, problemi. Vengo da una lunga travagliata storia; sfuggita in tenerissi-ma età all'eliminazione ecologica di una nidiata di indesiderati gattini unilateralmente decìsa da una gattara di Campo dei Fiori, antica piazza di Roma, mi sono nutrita con biberon di latte e giallo d'uovo gentilmente offertimi da mani pietose. Ho sposato, messo al mondo ed educato molti figli, subito dolorose perdite a causa delle micidiali macchine con ruote gommate. A figli e nipoti
ho insegnato la caccia a lucertole e topi, a piccoli uccelli di nido. Ho educato i mariti ad accudire i giovani gatti insegnando loro tecniche di attacco e difesa. A tutti ho creato la buona abitudine all'uso della cassetta da toilette, additando a mò di cattivo esempio - da non imitare -la consuetudine invalsa in certi automobilisti a due zampe di sostare sui bordi delle strade inondando i campi della loro orina puzzolente. Le cose migliori le ho insegnate a coloro che mi hanno raccolto e ospitato: ora non si allarmano se io salto all'improvviso sul comò per vederli meglio e dall'alto. Questo li ha resi meno ansiosi. Sanno che adoro ricevere una carezza quando mi metto a pancia all'aria lungo i loro percorsi, e farlo li fa sentire più buoni. Se allungo una zampa mentre sonnecchio sul forno a microonde, mi chiamano per nome e si rallegrano di non essere soli ad occuparsi delle faccende di casa. Se distrattamente non li curo e passo indifferente cercano di attirare la mia attenzione poiché ora sanno che amore è conquista continua. Insieme ascoltiamo musica e guardiamo tivù. Talvolta li risveglio e so che fingono occhi chiusi per godersi, inosservati, le mie acrobazie fra piumini e cuscini. Insieme abbiamo abbandonato Campo dei Fiori e il teatro di Pompeo, luogo di un illustre tirannicidio, e sostiamo in un incantevole luogo umbro. Le pietre che stanno sotto la mia finestra appartengono all'antica via Flaminia.
LUOGHI
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Continua il dialogo con il lettore perplesso Let
tore; mi vuoi dire perché il suo dizionario si frammenta
in una serie di "posti",
paesi, città che evidentemente
appartengono alla sua esperienza personale?
Autore: È vero, sono tutti luoghi che fanno parte della mia vite, e riportandoli alla memoria scopro che mi hanno dato felicità, o non me l'hanno data ma mi hanno insegnato qualcosa, hanno suscitato emozioni o sentimenti.
L Vede, mio caro, stiamo scivolando nell'autobiografia.
A. Aspetti, non dia giudizi frettolosi. I luoghi hanno un'anima, le pietre un linguaggio, ciò che vi è accaduto ha lasciato dei segni, e noi stessi li trasformiamo a seconda del momento in cui li avviciniamo.
L. E con ciò?
A. Il mio è un invito a far tesoro dei luoghi, a non attraversarli invano, a coglierne i messaggi, talvolta impercettibili. Non ho altro modo per farlo che con questa quasi confessione in pubblico del rapporto che ho avuto e ho ancora con i "miei luoghi".
L. E in che modo Lei ritiene che tutto questo giovi al suo dizionario?
A. Felicità si annida ovunque, bisogna cercarla, stanarla, non essere ciechi e sordi di fronte alle emozioni, alle riflessioni, ai ricordi che ci possono venire dalle cose; e i luoghi sono momenti importanti, con le loro partico-larità, la loro diversità, il colore del tempo, quello antico dei centri storici, dei castelli, delle lagune, quello avveniristico se abbiamo visitato Tokio o le New Towns sparse nei continenti. Stabilire un rapporto con i luoghi è ricchezza, è fantasia
L E che altro?
A. È dare un'impronta creativa alle proprie azioni. Non importa essere viaggiatori incalliti per godere la felicità dei luoghi. Luoghi da ricordare, rivivere, assaporare ce ne sono dentro perimetri infinitesimali: un paese, una città ne custodisce numerosi.
L. Va bene, leggerò i "suoi" luoghi. E poi?
A. Provi a ricordare quanti ne ha visti di suoi, e se li ha capiti e vissuti come meritavano. Lavori di memoria, e per il futuro stia più attento.
Mai
Parola che appartiene di diritto a coloro che sono passati a miglior vita. Sono essi gli unici a poterla usare con tutto il significato definitivo da cui è gravata. D'accordo che gli aventi diritto non sono più nelle condizioni ottimali per esprimersi. Ma noi che "possiamo", con quale saggezza ci ostiniamo a sigillare con un "mai" fedeltà, amori, odii, comportamenti futuri? Chi promette che non amerà mai più dopo una grande delusione viene
smentito da una sana voglia di intessere nuovi rischiosi legami affettivi. Chi giura che mai tradirà cede a nuove tentazioni. Chi assicura che mai sostituirà il fedele micio defunto con un altro quattrozampe, per paura di soffrire ancora una perdita, si sorprende con un cucciolo vibratile e languido sulle ginocchia e un "mai" di troppo da dimenticare. C'è anche chi dichiara che mai più salirà su un 747 Boeing dopo l'atterraggio ballerino di un comandante che aveva fretta di rincasare e vince al concorso detersivi ecologici un volo per due, destinazione Cuba. Dietro al "mai" non mancano i buoni propositi ma talvolta vi si nasconde la paura di vivere, la voglia di rinuncia per non rischiare. La vita si vendica con piccole o grandi smentite, talvolta procurandoci amare delusioni su noi stessi, talaltra regalandoci insperate felicità.
Mantegazza Paolo
"In ogni questione agricola dobbiamo occuparci del terreno e del seme; così è anche della felicità. Prima dobbiamo occuparci del terreno che siamo noi, poi del seme, che sono tutte le cose esteriori che possono farci ricchi o poveri, felici o infelici. Che cosa direste voi di chi avendo un campo che non conosce né ha mai studiato, vi piantasse semi e piante, anche di prima qualità ma non adatti a quel terreno, che per giunta non fosse stato lavorato né concimato? La felicità è in noi stessi, non nelle cose, e se noi gettassimo a casaccio nel nostro terreno non preparato a riceverle, gemme preziose? Molti e molti uomini hanno sprecato la loro vita facendo quest'agricoltura al contrario, accumulando semi e piante senza
mai occuparsi della terra che doveva riceverli. Se invece ci occupassimo di più della nostra sensibilità, che è il terreno in cui si pianta e cresce la felicità potremmo concludere che sì, l'uomo può essere felice." L'arte di essere felici fu scritta verso la fine del secolo scorso da Paolo Mantegazza, medico, docente universitario, parlamentare e scrittore di grande capacità didascalica e divulgativa. Mi sono imbattuta in questo suo scritto quando ero a buon punto del mio dizionario, in una libreria di Port'Alba luogo di appuntamenti Ietterari della Napoli più creativa e fantasiosa. Un libraio - editore, Gaetano Colonnese, ne ha scelto pagine suggestive raccogliendole in un piccolo elegante volume. E non è stata questa l'unica attrattiva di un luogo dagii scaffali pieni di au-tentiche sorprese. " I libri che pubblichiamo devono piacere prima di tutti a noi" fu la risposta, gentile e sorridente, a tante mie domande, da parte della signora che mi porgeva il pacchetto-Mantegazza. Ecco un modo singolare - ho pensato - di fare della felicità un'arte e dell'arte un'occasione di felicità.
Mare
II mare non è quella lunga linea piatta, liquida e mutevole nel colore, che accompagna la vostra passeggiata lungo la battigia, né quell'azzurro violento e profondo in cui affonda il vostro sguardo in esplorazione dall'alto di un promontorio. 11 mare è un continente immenso, popolassimo e affollato di creature enormi e infinitesimali che a stento conosciamo per qualche illustrazione sui libri di scuola o per la visita a un acquario - ne ricordo tre molto belli a Napoli, Genova, Trieste - ma chissà
quanti altri ci sono, da conoscere, nel mondo. Chi ha visitato un acquano butta meno cartacce e altra immondizia in mare. Chi porta in giro per i mari carichi inquinanti di varia natura, rovescia in acqua di tutto - com-plice la solitària e incontrollabile immensità e incurante di produrre danno e morte di tante creature viventi: aver visitato acquari non gli è servito assolutamente a niente. Chi ha la fortuna - e il coraggio - di fare il subacqueo -comincia sparando qua e là con il fucile apposito ma spesso s'innamora dello straordinario mondo vivente in cui si è cacciato e smette di sparare per guardare incuriosito. Se qualche volta avete fatto il navigatore solitario, a poche miglia dalla costa, con una modesta barchet-ta, vi sarà capitato di incontrare molti, o anche un solo gabbiano adagiato in tutta calma sullo specchio d'acqua, incurante di voi e della vostra barca, perché "lui" è sicuro sul "suo" territorio, e voi siete un intruso qualsiasi esposto al primo vento contrario. Le tempeste riguardano voi, che vi siete avventurati in superficie: sotto, nel profondo del continente liquido la vita scorre tranquilla. Avendo presente tutto ciò, godetevi pure, vedutisti-camente, come foste un pittore, o un poeta, la bellezza del mare in superficie. Se proprio siete dei raffinati fate-io d'inverno; la gamma dei colori offerti da cielo e mare è variabilissima, anche nelle giornate grigie o tempestose, e le spiagge sono libere da glutei e seni in sovraespo-sizione solare.
Martina Franca
Questa città pugliese che nel nome conserva un ricordo di libertà, domina dall'alto dei suoi quattrocento
metri di altitudine la Valle dei Trulli e vi si affaccia tutta bianca e maestosa. Il suo centro storico, assediato a sud ovest dalla città nuova, conserva dentro le mura tutta la magia di un barocco elegante in forme talvolta povere, talaltra sontuose. I suoi tetti a cupola, a punta, in altre forme bizzarre, disegnano confini netti e candidi contro un cielo azzurro e intenso; è uno spettacolo che sa di magia, improbabile e unico nella sua bellezza. Nulla si può dire di più, e di meglio, su questo luogo, di quanto scrisse uno storico d'arte come Cesare Brandi che se ne innamorò. Ecco un luogo che non sì dimentica e nel quale si desidera tornare. Tutti gli anni, e da tanti anni, d'estate, vi si fa bella musica e bel canto: rivisitazioni dotte e gentili del seicento, settecento , primissimo ottocento. Mon-teverdi, Handel, Bellini, Rossini, sono di casa. Ma anche Nicolo Piccinni, Saverio Mercadante e altri autori pugliesi e meridionali meno conosciuti ed eseguiti. Svizzeri, francesi, inglesi, tedeschi, da artisti o da spettatori si danno appuntamento nel cortile del Palazzo Ducale, chi per far musica chi per ascoltarla. Non mancano gli italiani, ma si nota con sollievo l'assenza dei presenzialisti che si accalcano alle prime, gli eventi, le inaugurazioni, gli an-niversari" nei luoghi e nel tempo" ecc. ecc. Questa enclave di vera cultura musicale nel profondo sud - insospettabile nell'immaginario collettivo della repubblica leghista di Roncade di sotto - è nata dall'amore per la sua città del pugliese Paolo Grassi, uno che è stato anche Presidente della Televisione Italiana quando vi si facevano meno giochini e più cultura.
Matrimoni
Quanta tristezza di fronte alla fine precoce di unioni
nate sotto ottimi auspici, o almeno tali reputati. Al di là dei dolori dell'anima e della devastazione dei sentimenti si insinua nel ricordo il teatrino beffardo della cerimonia, sempre più solenne, costosa, e scandita su elaborati copioni dettati da mode imbecilli. Basti per tutte l'idea che ì già scarsi ritagli di intimità concessi agli sposi dalla coralità celebrativa vengano monopolizzati dal fotografo-regista, banalizzati nel monumentale album di foto ricordo, mortificati nei filmini a soggetto; non c'è sorriso, sguardo, passo, gesto di tenerezza o di affetto che non finisca, violato ed estraniato da se stesso, nel rollino di celluloide. Col senno di poi e alla luce degli eventi, tanta enfasi celebrativa acquista un malinconico effetto moviola.
Forse gioverebbe maggior discrezione, nel momento in cui si trasforma in un patto di convivenza quell'amore che un poeta definisce come incontro e scontro dì due individualità - e lascia intendere che la strada per l'intesa non è breve né facile -. Non esistono ricette per semplificare il percorso, né ì'avvio in pompa magna garantisce alcunché. Si può provare, prudenzialmente, a invertire il gioco; un inizio irrituale, una promessa celebrata con pochi intimi e drastica riduzione dei costi, forse anche dei regali. Tutto più avventuroso ma può essere anche divertente. E poi? Se le due individualità sono riuscite a trasformare la loro convivenza nel corso degli anni in un piccolo capolavoro di equilibri instabili e non del tutto privi di fantasia si dia corso ai festeggiamenti. Dieci, quindici, venticinque, quarant'an.ru: tutte le date sono buone per riunire intorno a se, anche sontuosamente "se si può" amici gradevolmente sorpresi che la coppia non sia ancora giunta sull'orlo del divorzio. Ecco momenti di vera felicità, sia pure vissuti nella precarietà
di tappe di percorso, frammenti di un risultato che non arriva mai veramente alla fine. La vita in coppia è un'opera d'arte, non sempre un capolavoro, ma certamente un bene culturale in progress e irripetibile. E anche assolutamente indipendente dal nastro di partenza.
Memoria
Cercate di averne abbastanza per ricordare le cose buone che vi sono capitate durante la vostra vita. I guai, le disgrazie, le cattiverie, i torti subiti conservateli in uno scaffale a parte: da consultare al momento opportuno, quando le circostanze presenti esigono che facciate tesoro dell'esperienza per non ricadere in qualche tranello, imbroglio, errore fatale. Ma per carità, passata l'emergenza rimetteteli a! loro posto. Non permettete alle brutture del passato di infelicitarvi !e ore e ì giorni. Se incontrate qualcuno che nel raccontarvi fatti spiacevoli della propria vita dichiara che " non può dimenticare", cercate di aiutarlo a liberarsi di quella zavorra che gli appe-santisce il proseguimento del viaggio. E se non ci riuscite, compiangetelo.
Merletti
Un merletto esalta la bellezza di una donna, ammor-bidisce i lineamenti di un volto segnato dal tempo o indurito dai dolori della vita. Un merletto sul ventaglio ricama l'aria con garbo ed eleganza, sul grande e morbido cuscino rende amabile il sonno, sul lenzuolo invita
ad amorose battaglie, sul vassoio moltiplica il piacere di un thè e da godibilità ed aroma ad una tazza di caffè. Sull'abito da sposa intreccia speranze di felicità, sulle camìcie da notte disegna sogni voluttuosi, sul velluto diventa sontuoso, sul fazzoletto rinverdisce un moto di innocente civetteria, veste l'infanzia con tenerezza, nella lingerie seduce, nei dipinti antichi suscita un affettuoso, competitivo desiderio di passato, sul vetro delle nostre finestre disegna la luce del giorno e sfuma quella del tramonto, sull'ottocentesco parasole impreziosisce un mondo di ricordi, sulla cappa vaporosa suscita uno sfrenato bisogno dì raffinatezza. Un merletto non ha necessità alcuna di queste occasioni per manifestarsi. La sua esistenza si giustifica per la sola bellezza che gli è propria, basta a se stessa, godibilissima e straordinariamente disutile. Fatto per essere ammirato e desiderato, in assoluta gratuità, ovunque sì trovi; chi ha conosciuto il piacere di un merletto difficilmente potrà convivere con oggetti banali.
Concedetevi un merletto, o più merletti nel vostro vivere quotidiano; rilassatevi e fermatevi ad ammirarne la grazia tutte le volte che sareste tentati di correr via, prigionieri dell'impazienza. Se possedete antichi o nuovi merletti non lasciateli ammuffire nei cassetti ma go-deteveli, usateli, circondatevi della loro bellezza. Lasciatevi affascinare dai nomi che percorrono la vita secolare di questi preziosi "beni culturali": punto Venezia, point de Paris, point d'Angleterre, merletto Malta, merletto di Bruxelles, punto di Burano, point de France, punto Va-lencienne e così via. Dietro a ognuno di questi nomi c'è una storia di luoghi, di tempi, di uomini e donne che hanno creato e trasmesso la loro arte di generazione in generazione, hanno dato libero sfogo all'immaginazio-
ne, e hanno creduto nella bellezza che usciva dalle loro mani. Sarà un piacere per voi, ripercorrere i sentieri di tanta vitale invenzione che arriva da lontano, e anche un atto di gentilezza verso coloro che vi hanno conservato, nel tempo, e non certo senza fatica, tante occasioni di felicità.
Mimi
Aveva grandi occhi azzurri che in tarda età mantennero tutta la loro sorridente limpidezza. Allieva di De Pisis, moglie di Nello Quilici - perito in tragiche e oscure circostanze durante gli anni del fascismo - madre di Folco e Vieri, nonna di Brando e altri nipoti. Una vita intessuta di memorie e di presenze familiari vissute intensamente e affettuosamente, non ha impedito a Mimi Quilici Buzzacchi di restare fedele alla sua vocazione: raccontare il mondo attraverso colori raffinatissimi e un disegno sicuro. La sua è una pittura di cose e di luoghi -Ferrara, la sua citta, e i suoi lidi, il Tevere e Monte Mario come li vedeva dalla sua casa romana, le rocce di Anse-donia, i tetti e i monumenti della Roma antica, il Delta del Po, e alberi, pietre, fiori; talvolta passava la notte a dipingere un mazzo regalatole in occasione di una mostra - subito, diceva, prima che i fiori appassiscano -.Non descriveva le cose, Mimi, le trasformava in una delicata sintesi fra il loro modo di essere e il suo di vederle; c'era un margine di riconoscibilità immediata, per chi guardava i suoi quadri, e un margine di creatività da esplorare con l'occhio dell'artista. Si lamentava, ma senza gran corruccio, "non sono abbastanza astratta e alla moda con i tempi" [eravamo negli anni '60-'80'. Ma ere-
deva nella sua vocazione, con serenità e anche un pizzico di civetteria. Compra questo quadro, mi disse una volta, vedendomi un po' perplessa, " quando sarò morta varrà molto di più". Talvolta esitava a vendere - erano momenti della sua esperienza creativa da cui le era evidentemente difficile il distacco - taialtra generosamente regalava o vendeva per cifre irrisorie - ricordo certe sue bellissime acquetarti degli anni giovanili. Ora che Mimi non c'è più, non so se i suoi quadri sono aumentati di quotazione sul mercato artistico. So di certo che averla conosciuta è stato un regalo della vita; per la freschezza e la serenità un po' contagiose del suo modo di guardare alle cose del mondo, per la cordialità affettuosa nell' affronta rie. Lei ha dipinto, io ha appreso un altro modo di guardare, forse non solo la sua pittura. Se un vero artista ha attraversato la vostra vita, fate che non sia stato invano.
Moda e mode
Non sia la moda a rendervi infelici, né le mode vi inducano in schiavitù. Per quanto banali e scontate queste regolette di bon ton verso se stessi non vengono mai raccomandate abbastanza.
Perché si, di rispetto per se stessi e non altro è fatta la sana reattività di chi non va supinamente a rimorchio di moda e mode. Guardatevi da imperativi destinati acriticamente alla pazza folla, rifiutate le gonnelline elasticizzate se avete urv sedere autorevole, sfuggite alla minigonna se le gambe non sono perfette, esercitate su di voi lo spirito critico di cui siete capaci guardando gli altri. Non usate vistosi parrucchini se tendete alla calvi-
zie, non vestitevi da capo a piedi come i giovanotti grintosi che occhieggiano dalle pagine pubblicitarie della moda maschile se non avete le physique dn ròle, e per carità evitate di farlo anche se J'avete. Se possedete un telefono cellulare siate eleganti e non posatelo sul tavolo del ristorante prima ancora di aver aperto la lista dei vini, non aspettate che suoni prima di spegnerlo - con compiacimento e contrizione - durante il concerto. Non controllate l'ora ogni cinque minuti se possedete un orologio che supera i due milioni di costo, e se lo fa il vicino alla riunione condominiale, con uno firmatissimo, esibite il vostro, targato Taiwan, con tutta la sicurezza di uno che non porta attaccata al polso la propria identità di persona. Immaginate che un furto o uno smarrimento gliela sottraggano all'improvviso e compiangetelo. Riassumendo: indossate ciò che piace a voi, che vi convince, vi abbellisce, fosse anche un vecchio merletto ottocentesco, o la cappa mantello di Sherlock Holmes, assolutamente fuori gioco dall'imperativo del momento. Quanto a mode, conquistate una volta per tutte l'orgoglio di srare fuori dal coro. Anche quando vi troverete casualmente dentro ci sarà sempre qualcuno convinto che se lo avete fatto "voi" l'idea era proprio buona.
Morte
Ecco un appuntamento che anche il più distrarrò e ondivago degli esseri umani non potrà mancare. L'aspetto più inquietante ma anche salvifico di questo ineluttabile incontro è che "non si sa quando": una incertezza che produce tesori di speranza a chi sa approfittarne. Ciò
indusse certamente Catone ad iniziare lo studio del greco alla bella età di ottant'anni e un caro amico e maestro, Manlio Rossi Doria, scomparso senza aver completato l'opera, a digitare, più o meno alla stessa età di Catone, le proprie memorie su un personal computer. " Se non dovessimo andare proprio d'accordo, abbiamo pensato che sarà per poco" mi confidò qualche anno fa una coppia di pluriottantenni sposata da un mese appena; difficilmente potrò dimenticare quella frase carica di autoironia pronunciata nel tardo pomeriggio che illuminava di dolcezza crepuscolare un salotto Biedermeyer di Ivrea. Che bella lezione di vita da due che già ne avevano tanta, e importante, alle spalle.
Di una oscura e sotterranea paura non riusciremo mai a liberarci: "come" sarà la "nostra" morte? Meglio, talvolta, lasciarsi distrarre dalle stupide preoccupazioni quotidiane e dimenticarla, questa paura che è anche una domanda senza risposta. Non ci spaventano le morti così sfacciatamente meiodrammatiche e letterarie di don Ro-drigo, madame Bovary, la monaca di Monza, ma se abbiamo vissuto da vicino lo spegnersi lento della vita di una persona cara, un'agonia, una morte dolorosa, allora sì comprendiamo perché i credenti invocano nelle loro preghiere " una buona morte". A chi crede nell'aldilà i predicatori raccomandano di vivere bene la vita per assicurarsi una buona morte e in certo qual modo questo è vero anche per un laico che non si faccia troppe illusioni sul paradiso dei buoni; meglio arrivare all'appuntamento leggeri, senza troppi rimorsi e un curriculum dignitoso della propria coscienza. E per chiudere un capitolo assai avaro di felicità il verso, non proprio ottimista ma certo molto realistico, di Umberto Saba: " è il pensiero della morte, infine, che ci aiuta a vivere".
Muratori Ludovico Antonio
"Chi non sa che la perdita della libertà, ie
calunnie,
le
persecuzioni, le prepotenze, i timori d'insulti e di dan
ni,
e cento altre simili traversie han forza tale da rodere
ciascuna
d'esse si fattamente il cuore dell'uomo che lo
fan
divenire se non un covile, un nido almeno di malin
conia?
Ora datemi chi goda questo privilegio di non pro
vare
alcun male perturbatore dell'animo e corpo suo: se
costui ben l'intendesse, ha in sé il principal fondamento
dell'umana
felicità. Non dirò io che il più grande dei
beni
quaggiù sia il non avere alcun male; ma certamente
dirò che questo è un inarrivabil bene, a cui non dì meno
facciam si poca riflessione, o non ne conosciamo quasi
mai il pregio." Così il modenese Ludovico Antonio Mu
ratori [1672-1750] - precettore di principi, bibliotecario
all'Ambrosiana
di Milano, polemista e letterato - deli
nea una possibile felicità umana inserita in una società
In
cui l'individuo sia al riparo da "perdita di libertà, ca
lunnie, persecuzioni, prepotenze e cento altre simili tra
versìe "
Siamo già negli anni dell'illuminismo ma an
cora la rivoluzione francese non ha
intaccato l'assoluti
smo ed è dunque aJ Principe, a chi detiene il potere che
il Muratori dedica quest'ultimo dei
suoi scritti, che nel
titolo " della pubblica
felicità" indicata subito dopo come
"oggetto dei buoni
principi" assegna al monarca assolu
to il compito di provvedere alla
felicità dei propri sud
diti, e non tanto per propria bontà d'animo quanto per
dovere intrinseco al proprio ruolo.
Siamo sul crinale dei
grandi cambiamenti politici del
diciottesimo secolo e il
Muratori che firma la sua dedica di "umilissimo devo
tissimo e riverentissimo servo"
al Principe Arcivescovo
di Salisburgo, da conto del dibattito in corso " fra i lette-
rati
politici, qual sia da preferire fra i Principati, o quel
lo,
a cui si perviene coli'elezione, o pur l'altro che per
successione
passa dai padri nei figli". Fuor di discussio
ne
le ottime doti di governo del Principe destinatario di
tanta dedica - la pubblica felicità tocca tutti i possibili
temi della vita sociale dalle scuole all'annona, dal debi
to pubblico al controllo del lusso all'assistenza ai poveri
- l'autore lascia impregiudicata la scelta sul dibattito in
corso
ai suoi tempi - anche ad eleggere chi ci governa -
osserva - si può sbagliare, quanto ai prìncipi per succes
sione
o designazione dall'alto dipende a leggere con
l'ottica attuale il suo linguaggio aulico si conclude che " ne possono capitare dì tutti i colori". Quanto a noi, lettori e testimoni della prudente prosa muratoriana non possiamo che rinnovare a noi stessi un interrogativo vecchio di alcuni secoli: visto che siamo così fortunati da non dovere la nostra pubblica felicità alle benevolenze del principe, siamo almeno capaci di eleggere governanti altrettanto solleciti verso analoga meta? E , assecondando l'invito del Muratori a riconoscere " il pregio di trovarsi liberi [ anche in via provvisoria ] da perturbazioni dell'anima o del corpo" interroghiamoci ancora: siamo capaci di cogliere attimi talvolta fuggevoli, di felicità, o apparteniamo alla noiosissima e lamentosa schiera degli affezionati al mugugno?
Musica
Appartiene alle felicità difficili; bisogna aver avuto genitori lungimiranti e scuole intelligenti per non essere cresciuti da selvaggi e analfabeti di fronte al suono. Che pena leggere nel volto di troppe creature un'assenza che
è privazione e povertà ignorata, di gioie intellettuali ed emotive. Perché musica non è solo emozione; é anche un intenso esercizio della mente nel cogliere accostamenti e analogie, nel riconoscere e riorganizzare i suoni e il loro significato, è consenso ed adesione a un modello astratto di creatività, è dominio delle proprie emozioni ma anche abbandono ad esse, è percorso nei tempi e luoghi in cui fu pensata, scritta, mille e mille volte eseguita. Una musica ascoltata bene è una navigazione tridimensionale dentro e fuori di noi. Dire che ci arricchì-. sce è troppo poco. Dire che ci trasforma é troppo, se non per quei momenti in cui ci trattiene cuore e cervello dentro le sue magie. Che in definitiva sono note e numeri, numeri e numeri. In questo mix di precisioni ed emozioni sta la difficoltà ma anche la grande qualità educativa della musica ad una disciplina dell'anima di bellezza struggente.
Romantica, classica, barocca, jazz: diversi i linguaggi e le emozioni, ma sempre attivo questo dialogo fra cuore e cervello, senza pietà per gli effetti facili, le leziosità, gli estraneamenti verso languori sentimentali. Da questo confronto la diffidenza per il rock e la musica di consumo: é un ascolto di straordinaria fisicità, ritmato su un costante, forse inconsapevole bisogno di distacco del corpo dall'anima, la ricerca di una felicità corporea liberata da ogni turbamento che venga da quel grande seccatore che é il cervello. Insomma, una droga, con buona pace degli apostoli dell'allineamento paritetico di "tutte le musiche".
Napoli
Di questa straordinaria città si è detto tutto e il con-
trario di tutto, sviscerandone cultura e folklore, storia e mito, musicalità e temperamento; la si è osannata e criminalizzata, dipinta di tutti i colori possibili, in teatro e cinema, mentre letteratura e giornalismo hanno tatto la sua fortuna e la sua disgrazia, spesso tradendola nel denigrarla, ma anche, non di rado, nell'esaltarne i lati meno veri. Napoli è difficile, quasi quanto la felicità, ma quantunque sembri una pazzia parlarne in questo dizionario, desidero richiamarla fra i "luoghi" che suscitando creatività e fantasia, più preparano il nostro animo ad una condizione felice. Non citerò i luoghi bellissimi e conosciti tissimi delie guide turistiche ma non posso tuttavia ignorare la Cappella dei Principi di Sansevero, luogo per anni negato al pubblico, con il volto del Cristo morto ricoperto da un velo incredibilmente sottile di marmo trasparente. Mi rallegra sperare che mai più nella storia dell'arte occidentale si riprodurrà una "soavità del giogo coniugale" sotto forma di marmorea ed opulenta matrona che "Paulus Persico sculpsit 1767" e che fa bella mostra di sé nella dovizia di allegorie che circondano il Cristo nella Cappella.
A metà della fastosa scalinata di Palazzo Serra di Cassano, a Monte di Dio, una lunga lista di nomi eccellenti, incorniciati dal marmo barocco, ferma l'attenzione del visitatore; nobili, prelati, artisti, letterati, uomini di cultura "decollati" o "impiccati" dai Borboni, riportati sul trono dagli inglesi dell'ammiraglio Nelson, dopo la sconfitta della repubblica nata dalle speranze di giustizia e libertà della rivoluzione francese. Sono trascorsi quasi due secoli - era il 1799 - e ancora è vivissimo il ricordo di due donne - Luisa Sant'elice ed Eleonora Fonse-ca Pimentel, animataci e vittime di una lotta combattuta da pochi illuminati, su due fronti, con la strapotenza
militare straniera e l'ignoranza dei popolo lazzarone. Una pagina di storia che commuove e nobilita tutto un ceto della Napoli migliore, e induce a trovarne traccia nel presente, cosa non impossibile, nelle pieghe della vita culturale della città. Tra le sue bellezze un po' nascoste, le grotte di San Germano, ad Agnano: un luogo di cura che ha del misterioso e dell'infernale con quelle pareti di tufo scavate dal tempo e dal calore in forme bizzarre che, se non fosse per le donne in camice bianco che vi augurano gentilmente "buon bagno" mentre si apre l'ingresso alla grotta in una nuvola di caldo vapore, potreste credervi sul punto di avere un appuntamento con Caronte. Quando rilassati e purificati riguadagnate la luce del giorno vi attende la campagna incolta che circonda le grotte, dove le acque termali scorrono calde; nelle ore di prima mattina il reticolo di rivoli fumanti libera nebbie che conciliano pensieri svagati. Sfido chiunque a incontrare momenti migliori di questi per immaginare più qualità di vita. E se ve ne sono, Napoli è certamente un luogo che ne conserva tanti: ciascuno metta in moto la propria fantasia ed esca dai sentieri consueti della memoria per scoprirli, se in questa città ha vissuto, o si prepari a visitarla, se ad una prima volta, con curiosità un po' speciale.
Nemici
Meglio non impegnarsi troppo nei tentativo di non averne; si va incontro ad uno spreco di energie con scarsi risultati. Nemici spuntano ovunque; nel lavoro e in famiglia, nel condominio e in palestra, tra vicini a teatro, sulla spiaggia, in coda per lo sky pass, il taxi, la ban-
ca, l'ufficio postale. Le circostanze sono variabili indipendenti; talvolta agire o non agire provoca ugualmente la nascita di robuste inimicizie. Lo stesso si può dire per la personale propensione alle relazioni sociali; i tipi che dicono con chiarezza ciò che pensano, immediatamente bollati per cattivi caratteri, sono destinati ad aprire continuamente nuovi fronti conflittuali, ma non è affatto escluso che analoga sorte tocchi anche ai miti, dal temperamento conciliante. Poiché le inimicizie esigono almeno due interlocutori, ognuno con un proprio modo di intendere le cose della vita e i limiti fra i propri e altrui interessi, tanto vale prender atto senza drammi di quel cinquanta per cento a rischio che si affaccia di continuo nella nostra vita di relazione. I nemici vanno successivamente enumerati, memorizzati, suddivisi per categorie. Buona politica sarà quella di ibernarne il maggior numero possibile, dimenticandoli, perlomeno quelli con cui possiamo evitare lo scontro diretto. Per gli altri, gli attivi e dannosi, neutralizzarli con le armi dell'intelligenza, della furbìzia, se ne abbiamo. A volte anche le tattiche temporeggiataci producono soddisfacenti, risultati. Gli scatti di nervi vanno invece evitati; non si sa dove portano, magari alla scrivania di qualche avvocato, e in caso di scelta non oculata potrebbero generare altri nemici al momento delle parcelle.
Neve
Godiamoci il brivido di imprevedibilità che ci rallegra se, affacciati alla finestra, sorprendiamo fiocchi belli e vaganti che si posano, e resistono silenziosi, sui tetti, sugli alberi, sui fili elettrici, sulla strada. C'è qualcosa di
irrazionalmente gioioso nella lenta pioggia bianca che attraverso gli occhi ci accarezza l'anima. Arriverà il momento delle assennate preoccupazioni, se il lieto evento si verifica in luogo poco frequentato da acque condensate in cristalli refrigerati: gli scarponi da indossare, le catene, magari arrugginite per il disuso, da applicare alle gomme dell'auto, bus che non camminano, il gelo in agguato, le pozzanghere, il fango ecc. ecc. Ma sul momento prendiamocela tutta, e senza pentimenti, questa felicità un po' insensata e infantile, questa scorpacciata dì un piacere fantasioso e raro che ha qualcosa dell'incantamento e non ci va nemmeno di capire fino in fondo perché ci piace così tanto. È un siparietto candido che ci separa dalla monotonia dei nostri paesaggi consueti, il sole, la pioggia, i colori lividi delle giornate burrascose, i grigiori delle nebbie, le uniformità notturne. Non godranno degii stessi piaceri i patiti delle settimane bianche - raggiungerla, la neve, anziché esserne sorpresi, è bello, ma in altro modo -. Non mostreranno altrettanto entusiasmo coloro che vivono per mesi in luoghi innevati, né i malcapitati viaggiatori che rischiano ingorghi, paralisi e altri guai a causa della imprevedibilità e copiosità dei fiocchi venuti dal cielo. La felicità da neve, è dunque di alcuni e non di altri, a conferma che non tutte le felicità riguardano tutti e non tutti godono delle stesse felicità. Un pro-memoria sul fondamentale principio della relatività delle cose, appropriatamente affidato dalla nostra immaginazione ad un fiocco bianco, al quale basta un grado in più sul termometro per cessare dì esistere.
Nuvole
L'attesa di un temporale con cielo percorso da enor-
mi nuvoloni nero-grigi può renderci nervosi, se ci troviamo allo scoperto in un luogo privo di ripari e un ventaccio umido preannuncia pioggia rabbiosa. Al chiuso, difesi dai vetri di una finestra, una scena così può diventare un bello spettacolo. Vi sono nuvole ornamentali - quelle rosa sparse come lenzuoli un po' stracciati nel cielo azzurro tenero di certe mattinate napoletane - nuvole che colorano di sé un mare liscio e danno ragione alla tavolozza perlacea dei guazzi che descrivono il golfo. Ci sono nuvole compiici - eclissano a tratti lunghi o brevi una luna piena e sfacciata regalando momenti di intimità a innamorati stradaioli. Nuvole così, tra luci ed ombre, lunari, sono state usate spesso dai maestri del cinema specie in bianco e nero, per dare drammaticità a una storia, a una scena. Nuvole sontuose, rotonde, bianchissime si rincorrono spesso nei cieli Veneti, tali e quali incantarono Tiziano Tintoretto e Giambellino. Le stesse, immobili e orlate d'oro hanno ispirato tanta iconografia dei santi ottocenteschi e si sono trasferite nelle immagi-nette con cui molti devoti imbottiscono il messale.
Chi vola oggi nei superjet acquista nei loro confronti una familiarità meno vedutistica, le attraversa in tutto il loro umido, solo immaginato, spessore, le supera ritrovando il cielo sereno, osserva dall'alto il loro modo bizzarro di avviluppare i picchi montagnosi. Le nuvole fanno parte della nostra vita, la arricchiscono di immagini. Non siamo pittori né pionieri come Lindberg e Saint-Exupery, ma abbiamo occhi per vedere e una mente per scegliere, ed esse, che hanno accompagnato la creatività di artisti e precursori del volo non meritano un po' della nostra attenzione? Qualche emozione nuova la riserveranno anche a noi.
Olivetti Addano
La straordinaria avventura culturale e umana di Adriano Olivetti si snoda nello spazio di un venticinquennio, dalle prime esperienze editoriali a metà degli anni '30 alia esemplare rivista "Comunità", ai libri di filosofia politica, all'impegno diretto, aziendale e politico, lungo tutti gli anni cinquanta, fino alla sua morte, in solitudine su un treno fra l'Italia e la Svizzera, alle soglie del 1960. Il ragazzo dagli occhi celesti e la pelle diafana che il padre Camillo aveva mandato a lavorare in fabbrica, da operaio, che aveva salvato alcuni antifascisti eccellenti attraverso il confine svizzero, che aveva fatto il suo tirocinio "americano" prima di diventare il presidente della società che costruiva macchine da scrivere, quel ragazzo aveva un sogno: che il lavoro non fosse una brutale condamia che si portava via la vita degli operai, che la fabbrica non fosse un luogo ostile al territorio, che la giovane industria italiana riuscisse a bruciare i tempi e fare importanti salti di qualità. Non fu un caso che Olivetti finanziasse la ricerca su un maxi elaboratore elettronico alla Normale di Pisa in anni assai lontani ancora dalla rivoluzione informatica. Da grande, l'ingegner Adriano conduceva l'azienda con polso d'acciaio e lungimiranza; il sogno non lo abbandonò mai e a Ivrea, sede della fabbrica madre, e nel Canavese, la vita aziendale e quella del Movimento Comunità camminavano insieme, nutriti dalla ricerca di tecnici, designers, operatori culturali - un gruppo di intellettuali, vivace e cosmopolita, visto con qualche diffidenza dalla città sonnolenta e tradizionalista -. Il mondo confindustriale ironizzava: "tutto serve a vender meglio le macchine da scrivere". E intanto gran parte dell'industria italiana si preparava con
le proprie stesse mani l'ingorgo immigratone) e la saturazione degli insediamenti al Nord, che avrebbero portato alla contestazione e agli anni di piombo, mentre Olivetti investiva al Sud e scriveva alla Stampa di Torino per difendere l'efficienza degli operai dello stabilimento di Pozzuoli dai pregiudizio piemontese sui "meridionali". A Olivetti non si perdonava di avere danaro e idee e la pretesa utopistica di spendere l'uno per realizzare le seconde. La sua presenza in un habitat dedito al cinismo del potere suscitava crisi di rigetto. Oggi non sarebbe diversa la sua condizione. Egli appartiene ad una esigua schiera di italiani eternamente fuori tempo rispetto alla maturità del loro paese; degli sradicati che vedono e sentono in anticipo Le pulsioni giuste per una crescita civile, e non di rado attraversano indenni ma inascoltati per tutta una vita, il deserto di mediocrità che gli è toccato come patria. Alla quale tuttavia restano ostinatamente fedeli. La fecondità della loro utopia, a dispetto dell'apparente sconfitta, è ricca di risultati; il primo, e più importante, la voglia di non interrompere quel dialogo difficile con il proprio paese che la loro testimonianza ha sollecitato in noi, e in chi verrà dopo.
Paesaggi
La natura ci offre infinite occasioni di felicità che noi ignoriamo perché distratti da altro. Passiamo accanto ad un cespuglio di pitosforo con i bianchi tenerissimi fiori che si aprono ed esalano il primo soffio di profumo ma il nostro cervello elabora nuove trappole per ingannare il fisco, e via. Un fi umida ttolo, con le sue erbe sommerse e fluttuanti, 1<ì mutevolezza del colore nelle ore della
giornata, il suono delle acque che precipitano da una chiusa, tutte cose che non ci impressionano se stiamo con la testa alle baruffe in corso sulla tomba di famiglia, E che dire di certi tramonti dai colori sgargianti e limpidissimi del tardo autunno che disegnano profili gloriosi anche fra le mura cittadine? Mai visti, se in macchina o a piedi si rimugina, a capo chino, su come organizzare il prossimo week-end rubando mezza giornata all'ufficio e scansando inviti di suoceri e suocere. Basterebbe riservare pensieri così assorbenti e "delicati" agli angoli bui della giornata [la metropolitana, il salotto del dentista, l'anticamera dell'ufficio passaporti della questura, la coda per il taxi], e tenere gli occhi attenti per vedere di più quando si cammina. Non la sola campagna ci offre momenti di grazia; se siamo animali metropolitani ricordiamoci che il paesaggio urbano è ricco di sorprese in quanto a pietre, colori, piante e creature viventi a due e quattro zampe. Anche un gatto disteso con nonchalance su una cariatide di travertino o un piccione che si abbevera alla fontana del Berninì fanno paesaggio, e da signori. Basta saper vedere. Come hanno fatto molti grandi fotografi cogliendo, sulla strada, tanti e diversi brandelli di vita.
Patria
Non possiamo farne a meno, non sappiamo goderne. La parola fa paura, evoca fantasmi retorici, fastidiosi sospetti guerrafondai. Della patria, al presente, ci addolora la pochezza: vizi, trasgressioni diffuse, scarsa virtù civile. Una patria di ladri, evasori fiscali, esportatori di capitali all'estero, baroni universitari, di automobilisti e
motociclettari che passano col rosso e vanno controma-no, di rumoristi in discoteca e fuori, di falsi invalidi, baby pensionati, ladri di polli in prigione e maxi tangentisti che si godono le mazzette all'estero, di infermieri autorizzati a maltrattare i malati, di chirurghi che partono per la settimana bianca dimenticando un guanto nei visceri del paziente. Per recuperare un po' di ottimismo proviamo a voltare pagina, visto che la normalità - quella dei cittadini probi - non fa notizia, ma esiste e fa parte a tutto titolo della patria con la P maiuscola. E soprattutto non abbandoniamoci alla deriva del presente, che incombe, ma non è tutto. Patria è un linguaggio che ci mette subito in un rapporto di appartenenza comune, sono le cento città, i mille luoghi dove possiamo andare liberamente, riconosciuti per una fratellanza naturale; chi è vissuto esule in luoghi stranieri sa che nessuna anche affettuosa accoglienza equivale a quella familiarità in cui non è fatica darsi il buongiorno da figli della stessa storia, partecipi della stessa tradizione. In questi incontri le differenze si misurano sui margini di una stessa cultura, quasi il liquido amniotico della nostra e altrui nascita. Patria è una felicità ignorata fino al momento della privazione è il godimento, spesso inconsapevole, di un patrimonio culturale sedimentato nel tempo; i poeti, i musicisti, gli scrittori, gli ingegneri, gli orafi, i contadini, gli artigiani, i produttori di beni materiali e immateriali di cui oggi godiamo sono anch'essi la patria. Il loro ingegno, la loro fatica, le sofferenze, ìe gioie e le disperazioni creative, la miseria, le frustrazioni, le esperienze, tutto è stato metabolizzato e si è fatto parte di ognuno di noi. Patria è un luogo dell'anima straordinariamente generoso: ci lascia l'illusione di non averne proprio bisogno, ci accompagna nelle nostre peregrina-
zioni, asseconda le nostre curiosità sulle altre patrie, ci consente di sentirci cittadini del mondo, forti di una solida radicata, seppur un po' misconosciuta appartenenza.
Paure
Ve ne sono di tutte le specie: di viaggiare, di volare,
di entrare in un luogo buio, di salire nell'ascensore, di essere punti da una vespa o sfiorati da un moscone, di andare in una automobile guidata da altri, di affidarci alle scale mobili o a un tapis roulant. Sottostimate e comunemente definite "fobie" restano tuttavia dei fatti tormentosi, occasioni di disagio, anche quotidiano, debolezze per le quali veniamo osservati e giudicati dagli altri. Sarebbe opportuno non avere paura delle nostre paure; riconoscerle e parlarne, senza ostentazione ma anche con un po' di ironia; è il modo migliore per affermare il nostro diritto a tenercele tutte.
Ci sono poi le paure "grandi", quelle che non si dimenticano ma che è bene archiviare in qualche angolo del cervello senza tenersele sempre in evidenza: aver subito un grave intervento chirurgico (ah! quel sonno in cui si precipita ignorando se ci sarà il risveglio), la rapina in banca con relative minacciose frasi e gesti da film noir, il vuoto d'aria mentre si volava a diecimila metri sulle montagne svizzere e così via.
La più insidiosa, perché non si fa riconoscere facilmente, è la paura di vivere. Le ambiguità, i depistaggi, le giustificazioni a posteriori sui fatti e svii comportamenti non mancano. Eppure alcuni sintomi parlano chiaro: un perenne cattivo umore nei confronti del presente che
solo quando diventerà "passato" si rivelerà rifugio e luogo di felicità, fughe in avanti continue e persistenti in un futuro mitico e immaginario, fatalistico immobilismo prima, e vittimismo dopo, di fronte a qualsiasi decisione che comporti rischio o semplicemente responsabilità. Paura di vivere è malattia dalla quale si può anche desiderare di non guarire mai. Ma se a un certo punto della nostra vita ci rendiamo conto che non ci ha aiutato ad essere più felici potremmo forse cambiare idea.
Pazienza
Considerata virtù un po' in disuso dai cristiani, arrendevolezza colpevole dai cultori della vita ferocemente vissuta sopra le righe, disdegnata da molti: la pazienza è un caso disperato, oggetto di scarsa considerazione nel viver comune. Viene da lontano la sua sottostima, e vanta echi millenarii gli eroi della pazienza non suscitano ammirazione; al massimo vengono compatiti come accade a Giobbe. C'è tuttavia una possibilità di riscatto per tanta disprezzata attitudine: a piccole dosi, e nei momenti giusti, la pazienza può esercitare una salutare influenza sulla nostra salute, evitare inutili scariche di adrenalina nel sangue, consente una retromarcia morbida davanti a imprevisti senza scampo, aiuta a dare una dimensione relativa, e dunque sopportabile, al disastro che ci sta capitando. Se si esclude la morte - evento irreparabile e alquanto doloroso - ogni altro sgradevole ac-cadimento può giovarsi di questo ammortizzatore, squisito impasto di emotività e intelligenza. La felicità non è garantita ma lo stress è neutralizzato. Questa perorazione a favore delle pazienza fu scritta quando un treno
cosìdetto "rapido" e in ritardo di due ore stava per bruciarmi un importante appuntamento di lavoro. Confesso di aver trascurato, in seguito, la prevista richiesta di rimborso alle Ferrrovie dello Stato: ho temuto di mettere a troppo dura prova la mia pazienza nell'affrontare lo sportello.
Pellicce
È inutile illudersi: verdi ed ecologisti vi hanno tolto l'innocenza con cui fino a qualche anno fa indossavate la pelliccia. Ogni volta che la tirate fuori dal guardaroba, perché fa effettivamente freddo o perché avete un appuntamento mondano, sbuca fuori da qualche angolo buio della stanza il cucciolo del manifesto "mia madre aveva una pelliccia come la tua prima di essere ammazzata". Vi domandate anche, mentre uscite di casa avvolta nella vostra morbida pelle di cadavere se incontrerete ancora, all'ingresso del teatro quella ragazza che regala alla vostra amica in paltoncino nero di panno e velluto, un fiore con biglietto " grazie per la sua eleganza senza crudeltà". Insomma, dal possesso del morbido capo d'abbigliamento non più "status" né piacere ma confuso nervosismo e vaghi rimorsi. Non rammaricatevi : a forza dì essere contestata la pelliccia di vero pelo sta uscendo dalla moda, nonostante la rimonta pubblicitaria in corso, da parte dì importatori conciatori sartorie specializzate ecc. Se la vostra pelliccia è un po' vecchio stile, denuncia gli anni ed esìgerebbe una costosa sostituzione, regalatela a qualche ente benefico che assiste extracomunitari e toglietevi il pensiero facendo opera di bene. Quanto alle morbide calde e ìeggerissime
pellicce ecologiche che potrebbero attrarre, a questo punto, la vostra attenzione, ve ne sono in giro per tutti i gusti e per tutte le tasche: dalle firmatissimc di sartoria, alle pur eleganti dei grandi magazzini. Quella che avete abbandonato alla pubblica beneficenza, fra le tante crudeltà che noi uomini esercitiamo sugli animali non è forse la peggiore, ma certamente è fra le meno necessarie. Siate felici perciò di esservene liberate.
Pensione
Non paventatela, non invocatela. Non è questa dolorosa fine della vita attiva, questa ineluttabile disutilità della persona come spesso viene interpretata dal comune sentire. Non fate il torto alia vostra vita di considerarla divisa in periodi scanditi dalle "funzioni" esercitate. Abbiamo una sola anima, una mente, un cuore che crescono da quando andiamo all'asilo fino al giorno -speriamo il più lontano possibile - in cui lasciamo questo mondo, in un unicum meraviglioso e senza paratie stagne. Evitiamo che qualche parente zelante ci rifili a tradimento nel nostro necrologio la dizione ex magistrato o peggio " dirigente generale delle poste in pensione." In proposito lasciate precise istruzioni. Non invocatela con troppa leggerezza; potreste avvertire pesantemente il disagio di una disponibilità economica decurtata di premi gratifiche e altre diavolerie che le aziende inventano per aumentare la produttività dei propri schiavi. Potreste anche sgomentarvi di fronte all'improvviso mutato rapporto fra tempo libero e tempo occupato; concedetevi una pausa di riflessione prima di buttarvi a capofitto in un lavoro pagato in nero per in-
crementare le entrate e riempire il vuoto delle vostre giornate. Dedicatevi ad uno scrupoloso calcolo di costi e benefici e valutate quali e quante cose che vi sono sfuggite mentre eravate affannosamente in carriera potreste fare ora: occuparvi meglio della vostra salute, passeggiare di più e godervi la natura, leggere i libri mancati da tutta una vita, ascoltare musica se vi piace, accarezzare il vostro gatto che ne sarà felice e vi ricambierà affettuosamente.
PERSONE
|
Lettore: lasci che esprima le
mie perplessità sull'uso,
di
nuovo molto arbitrario, che Lei fa, del suo dizionario.
Autore: a che proposito?
leti.: nomi di persone tra le
voci. Come scelti? Con
quale
criterio? Passi per alcuni, di fama universale. Ma
altri?
Saranno pure amici suoi, avranno anche indiscuti
bili
meriti civici, o artistici. Perché dovrebbero interes
sare me, e in quale modo rendermi felice?
aut. non ho questa
ambizione; desidero solo testi
moniare, e non posso farlo altrimenti che attraverso la
mìa
personale esperienza, quanto possano certi incontri
arricchire la nostra
vita. Con Rossini e Cajkovskij le emo
zioni sono state fortissime, ma,
naturalmente, di segno
opposto. Essi hanno toccato punti
totalmente diversi
della mia sensibilità estetica ed è
stata già questa sco
perta un bel motivo di felicità. E Le
risparmio Verdi.
Mozart, Vivaldi e Wagner.
kit. grazie della cortesia.
Mi dica piuttosto qualcosa
degli
altri, quelli che ha conosciuto personalmente.
aut. nulla posso dirLe più
di quanto ho già scritto
su
di loro. Hanno contato nella mia vita perché il loro
modo
di essere mi ha insegnato qualcosa, mi ha in certo
qua!
modo segnato. Non importa se per ragioni morali,
estetiche, affettive. E non le pare questa lezione di vita "dal vivo" una bella occasione di felicità? Lei è stato così sfortunato da non incontrare mai sulla sua strada persone da cui apprendere qualcosa? Ci pensi. Se mi sono permessa di citare pochi casi che mi riguardano, l'ho fatto per indurla a pensare ai suoi. O lei appartiene forse a quel genere di persona graniticamente rinchiusa nel proprio modo di essere, e dunque impermeabile a sollecitazioni esterne? Se è così certamente alcune felicità Le sono negate. Glielo dice, con dispiacere, chi non esclude che si possa imparare qualcosa anche da un gatto.
Piaceri della tavola
Appartengono alle possibili forme di felicità ma fra le più contrastate, e anche incongruenti. Mentre a tavola, il palato gode, il cervello si contorce nelle spire delle calorie, i trigliceridi, il colesterolo. Se amiamo le confetture dolci i nostri occhi si deliziano davanti alle splendide tentatrici vetrine delle pasticcerie di città come Torino, Palermo, Ivrea, Napoli, per non parlare delle ciocco-laterie svizzere che ricordano così da vicino le esposizioni di gioielli e orologi per raffinatezza ed eleganza delle confezioni, o del profumo di antiche delizie mitteleuropee che si sprigiona dalle botteghe dolciarie di Trieste. Ma intanto, quali mortificanti messaggi trasmette il nostro cervello allo stomaco? "Ti piacerebbe? Ma non devi". E ci allontaniamo con un gran vuoto nel cuore. Stessa sorte è riservata a chi è naturalmente portato ad ammirare le esuberanti esposizioni norcine, parmigiane, altoatesine, calabro-lucane; peggio ancora se alle tentazioni dell'occhio si accompagna lo stuzzicante profumo
di salsicce e prosciutti caldi e arrostiti che, specie d'inverno, ci assale nel freddo dei marciapiedi, agli ingressi di buffet e birrerie. Come sottrarsi al tormentone del "vorrei ma non devo"? Se non siete vegetariani ultra o diabetici, se non vi trovate in sovrappeso critico abbiate pietà di voi stessi e prendetevi una tregua, sospendendo dalle sue funzioni il vostro Super Io. A qualche supe-raccidioso amico intenzionato a disciplinare con severi sguardi la vostra momentanea anarchia comunicate con il miglior sorriso che state eseguendo le prescrizioni del dietoiogo. O anche, non dite niente: non siete tenuti a giustificare le vostre parentesi di felicità. Immaginate che sia giunto il momento di concedervi - un "carpe diem", dal Poeta riservato ad altri piaceri, e da voi trasferito a quelli della tavola, senza rimorso alcuno.
Poesia
Molti di noi hanno smesso di occuparsene dopo gli anni della scuola. Esercizio di memoria o di interpreta-zione filologico-letteraria, la poesia non ha retro al nostro impatto con la vita. Che peccato! Ci siamo lasciati alle spalle, con tanta leggerezza, una visione a più dimensioni delle cose, uno spessore inavvertito che però le attraversa e le scompone in un gran numero di suggestioni ed emozioni. Tutto perduto, tutto appiattito in una quotidianità povera di colore. Provare per credere: riaprite un vecchio libro di scuola, oppure cercate nello scaffale le raccolte di poesie trascurate per tanti anni. Lasciatevi condurre dai ritmo proprio dei versi, sforzatevi di riaprire un dialogo con quelle parole che domandano di essere interpretate al di là del loro significato, e
da sole aprono un fascio dì luce, quasi un laser, in una nebbia di emozioni che diradandosi scoprono altri paesaggi delranima. Sentite ora di muovervi con il pensiero e anche con il sentimento su nuove lunghezze d'onda? Avvertite quella impercettibile ma anche acuta felicità di un confine superato? Un presentimento di maggior ricchezza , un profumo di novità nel vostro sguardo alle cose? Se si, ci siamo! Avete riconquistato con la poesia una parte di voi stessi che avevate perduto.
Pubblicità
C'era una volta il prodotto che cercava il mercato, e il mercato a sua volta anelava al prodotto. Incontrarono una mezzana che prometteva di accontentarli. Questo succedeva ai primardi della civiltà delle macchine; la mezzana raccolse intorno a sé artisti, designer, creativi e impreziosì di locandine i locali pubblici e di manifesti i muri delle città. Ricordate i vecchietti del cacao, le dante languorose della prima "Rinascente", le amazzoni rampanti delle quattro ruote di Dudovich? Con la radio e la televisione la mezzana entrò nelle nostre case. Dopo il "formato famiglia" del Carosello dei desideri anni '60, la pubblicità si è trasformata nella fabbrica delle frustrazioni; essere "in" o "out" a seconda dei prodotti che si usavano per la pulizia della ca^a, le toilette:? personali, i liquori prima e dopo i pasti, la marca di lucido per scarpe, di biscotti, cioccolatini, orologi, cravatte, e così via, è diventato il gioco più in voga del consumo telecomandato. Al limite della saturazione informativa il messaggio pubblicitario alza sempre di più, oggi, il volume audio dello spot e ingaggia una guerra disperata con il te-
lecomando, spara messaggi violenti e rapidi - e immagini sado-maso - più per affermare la propria esistenza che la propria credibilità. Stanche di essere infelici perché non hanno imbroccato l'acquisto giusto secondo l'ingorgo pubblicitario le madri di famiglia, anche quelle titolate e benestanti con governante di colore al seguito, frequentano sempre più spesso gli scaffali disadorni degli ipermercati discount dove si allineano prodotti non gravati da "passaggi" in tivù, e quindi meno costosi: provano, scelgono, selezionano, decidono in proprio se il bianco è il più bianco, il biscottato è morbido e se whisky e cioccolato sono indispensabili al prestigio della famiglia. Il campo è confuso, per il momento: quelli e quelle che hanno deciso di entrare nel club degli "autodiretti" e di essere consumatori felici o infelici in proprio, senza subire messaggi multimediali, sono ancora pattuglie mi-noritarie ma crescono al ritmo di un cinque per cento annuo. La prossima frontiera contro l'eterodirezione multimediale sarà la moda; quando giovani e meno giovani si convinceranno che top model con treccine africane e giovanotti tenebrosi in giacca e occhiali nerissimi non rappresentano il massimo dell'ideale di bellezza, aumenterà il tasso di felicità possibile nel villaggio globale.
Radici
Parola affascinante, abusata, equivoca; rasenta di continuo l'enfasi, rischia la retorica, e piace. Non sentitevi obbligati ad avere "radici"; non è indispensabile. Siamo già gravati abbastanza da un coacervo di disparate variabili - ovuli e spermatozoi che si sono incontrati in
percorsi convulsi e avventurosi, genitori che hanno messo su famiglia provenendo, talvolta, da mondi del tutto diversi, o al contrario, prevedibili fino alla noia, alberi genealogici esposti alle più bizzarre combinazioni, luoghi di nascita determinati dalle carriere paterne, antenati illustri e perciò opprimenti, birichini di cui vergognarsi, spendaccioni che ci hanno lasciato in miseria -. Una minuziosa ricostruzione degli eventi che hanno preceduto e seguito i nostri primi vagiti sul pianeta può essere rassicurante ma non costituisce un radicamento rispettabile. Né lo si individui nei luoghi, o nelle persone. Avete provato a tornare nel teatro della vostra infanzia o adolescenza dopo anni di lontananza per avvertirvi più che altro un doloroso estraniamento? E il dialogo con le amicizie di un tempo? Che dire di quel rivangare memorie rese nebbiose e inerti dalle troppe e incomunicabili esperienze e dalla diversità che ne è seguita? Le radici sono bersagli mobili, ce le portiamo appresso, sono forti e rassicuranti se abbiamo saputo suscitarle da un uso creativo di tutti i brandelli di vita che ci sono toccati in sorte; non c'è luogo, persona, circostanza, che possa darci radicamento più rassicurante di una bella sporta di autoconsapevoJezza, anche problematica, di noi. Per-sino l'idea di una Patria, luogo proprio di radicamento per lingua usi costumi leggi, comune sentire, vale poco senza una inferiore, anche affettuosa, partecipazione. Le radici non stanno ad aspettarci dietro un angolo morto, non sono a portata della nostra pigrizia mentale, sono una conquista del mestiere di vivere.
Radio
Amo la radio se non mi sveglia al mattino con i prò-
fumi virtuali di succulenti precotti da consumare a ora di pranzo; se non mi costringe ad un allarmato consulto medico per verificare lo stato di salute del mio apparato renale; se non mi induce all'acquisto intempestivo di un'automobile sgommante dentro gli altoparlanti o negli auricolari.
Per dirla in parole povere amo la radio senza pubblicità. Il mio è perciò un amore difficile. Devo destreggiarmi fra reti e programmi per cogliere la mia amata compagna di vita nei suoi momenti migliori, quando mi offre musiche di Mozart, Haydn, Bach. Più di rado Vivai-di, Corelli, Geminiani, Frescobaldi, riservati quest' ultimi alle prime ore del mattino, quelle che, per universale riconoscimento, hanno l'oro in bocca. Dribblare messaggi sgraditi diventa più laborioso in automobile e in cucina, con le mani attaccate al volante o impastate nei passatelli in brodo. Diverso - quasi un contemplativo esercizio voga - lavorare di cesello in poltrona con il telecomando, depurando dalle dirette della lirica le cronache dei Vip presenti in sala, la descrizione del look di signori e signore, la nota di colore sul menù offerto dopo teatro dallo sponsor.
Come tutti gli amori difficili le crisi sono ricorrenti; quando l'onda d'urto dei consigli per acquisti travolge le già travagliate esistenze dei Promessi Sposi, introduce una nota di volgarità estemporanea nel Decamerone, si insinua subdolamente nel Giardino dei Finzi Contini. E il dolore è grande quando altri abusano di "Lei" con il telefono e il quiz.
È ben vero, dunque, che "amor vuole sofferenza" e con rossiniana rassegnazione ogni giorno riaccendo quel bottone col timore di antipatiche novità del palinsesto o di agguati dei persuasori subliminali o palesi del consu-
mo; "Lei" ed io, sappiamo tuttavia come difenderci e godere insieme momenti di autentica felicità.
Ravenna
Molti anche fra i più colti e i meglio dotati, per araldica o beni materiali, cittadini di questa antica capitale, amano rivendicare nel rapporto con. la terra la propria più genuina natura, fatta perciò di solido attaccamento alla sostanza delle cose. Una terra che antiche subsidenze condannano alla contiguità con il mare, in un rapporto domestico e conflittuale. Ravenna è città che si esprime in modo struggente e magnifico attraverso le sue pietre. Città di atmosfere rarefatte a causa del silenzio e delle nebbie che avvolgono i suoi monumenti e quasi soffocano i segni della sua operosità. Pinete e paludi accentuano il suo carattere di isola-centro di potere di una particolarissima storia dell'età di mezzo, e ancor oggi le gelide "galaverne" che imbiancano i pini nella stagione fredda e i calori umidi dell'estate la difendono da presenze troppo invasive dei moderni barbari guidati da tour operators. Ma il richiamo delle sue chiese un po' misteriose e dei suoi mosaici incantati cresce incontrollato, senza tuttavìa aver intaccato la sua elegante "normalità" di città di lavoro e di gusto del buon vivere. Da anni si fa musica a Ravenna, specialmente d'estate, con sempre più intensa ricerca di qualità e anche un pizzico di mondanità cui gli abbronzatissimi ravennati - uomini e donne - si abbandonano partecipi, alla pari con i molti ospiti stranieri. Lo "straniero", villeggiante della costa, turista, musicofilo, è in ogni caso accolto cordialmente, nutrito secondo la dedizione tutta romagnola ai piaceri
della tavola, senza esplosioni godereccie, come se le memorie bizantine di Giustiniano e di Galla Placidia evochino ancora il gusto per una cerimoniosa, discreta, disciplina di Corte.
Ricardo Cesar Perez Megember
Chi si ricorda più di Ricardo Cesar Perez Megember? Eppure il suo volto ancora smarrito dal terrore, le sue braccia che stringevano un siamese rimpannucciato in un asciugamano, le mani contratte in un gesto di possesso e felicità hanno fatto il giro del mondo, nelle cronache di tutti i giornali dedicate al disastroso terremoto messicano del 1985. Questa storia metropolitana, immortalata dal fotoreporter John Storey per il San Francisco Examiner dice che Rìcardo e il suo amico a quattro zampe sono fuggiti per ben dodici piani di scale prima che il palazzo in cui vivevano a Mexico City crollasse. Ed ora eccoli, i due, sinistrati e privi di tutto, alla pari, per le strade della città sconvolta. È un'immagine, quella di Ricardo e del gatto, che trascende l'amicizia di un uomo con il suo animale di compagnia: ci riporta al bisogno primordiale di protezione che ci accomuna, uomini e bestie, di fronte al potenziale distruttivo che la natura scatena da sola o per la nostra azione invasiva, ed eccoci in balia di forze incontrollabili, in preda alle stesse paure, agli stessi disagi, ricondotti alla stessa povertà; forse, ma non sempre, con diversa facoltà di capire quello che sta accadendo - e ciò attutisce o acuisce le sofferenze ma non ottunde le sensibilità né la capacità di dolore fisico, e non solo. Ciò che talvolta induce gli umani a gesti di solidarietà verso i fratelli meno dotati appartiene ai mo-
menti difficili dell'esistenza, ma quanta inutile infelicità gli uomini riservano al mondo degli animali, nella vita di tutti i giorni, con manifestazioni di ordinaria quotidiana follia. Non voglio stilare qui un doloroso elenco di cattive azioni : chi "sa" deve domandarsi " si può essere veramente felici in un mondo che riserva trattamenti bestiali a molte specie di creature viventi?" Fra le cattive azioni un posto di riguardo va a quei lettori che scrivono al loro giornale lamentando che i difensori degli animali maltrattati non diano altrettanta importanza alia fame nel mondo o alle guerre fratricide sparse nei vari continenti. Come se esistesse una gerarchla nella riprovazione della cattiveria e del malaffare esercitati dai figli di Adamo.
Riconoscenza
Ecco una parola in disuso; essere grati, o riconoscenti odora di terza età, un po' fuori corso. Guardare avanti è giovane, significa puntare sul futuro. Riconoscenza è un sentimento complesso, arriva tardi, quando si sono smaltite tutte le illusioni sull'onnipotenza del proprio io, quelle adolescenziali, confuse e turbolente, quelle giovanili e quelle degli anni ruggenti, in carriera, quando si è disposti a infilzare senza pietà tutti gii ostacoli, umani e non, che si frappongono alla "meta". Riconoscenza è anche autobiografia critica di se stessi, e dunque per non creare equivoci predicatori dirò qualcosa sui miei motivi di "riconoscenza" e ognuno sì arrangi con ì proprì, se ne ha. Sono riconoscente a mia madre perché da bambina ero cagionevole di salute e sono stata curata con affetto e sacrifici. Ai miei professori di storia e filosofìa'.
hanno preso sui serio i miei balbettamenti, mi hanno incoraggiato a pensare, ed è stato per la vita. Al mio professore di matematica: severo ma anche benevolo con la mia idiosincrasia per i numeri, mi ha insegnato a convivere con i miei punti deboli. Ad un prete: ha incanalato in un alveo virtuoso una eccessiva fantasia adolescenziale. A Bertrand Russel; più di Einstein e di Emanuele Kant mi ha ricondotto alia relatività delle fedi. Alle persone che mi hanno voluto bene con discrezione, senza farlo pesare. Agli uomini che ho amato: ho imparato " quello che si deve sapere sul sesso e che padri e madri non ci confidano mai", ma anche le cattiverie difensive che, da figlia unica, erano mancate nel mio tirocinio familiare alla vita. A mio marito: mi ha abituato a distinguere un laico democratico dai clericali di sinistra che spesso per troppa religione perdono la bussola e sconfinano in territori inusitati. A donne e uomini che hanno creduto e credono nelle idee che professano e si comportano di conseguenza; non ne ho incontrati moltissimi, ma sufficienti per guardare con ottimismo al futuro. Chissà quanti ritagli di vita, e quanti motivi di riconoscenza, si potrebbero ancora trarre dal pozzo dei ricordi. Ma già così l'accumulo di piccole e grandi felicità postume è notevole. Voglio aggiungere un'ultima riconoscenza, e mi scuso del ritardo: ai gatti, che numerosi hanno allietato le mie case, e a quelli che tuttora si degnano di vivere con me: le loro vaghe passeggiate da una stanza all'altra, le soste in scrivania, i giochi eleganti, sono quotidiane occasioni di impercettibili piaceri. Un gatto ha sempre l'aria di sapere quel che fa anche se ti trascura affettuosamente o affettuosamente ti allunga una zampa quando meno te lo aspetti e dunque riesce a sorprenderti con garbo. Lo fa con tale scivolosa noncu-
ranza che ti viene il sospetto che il "tuo" gatto sia dotato di ironia, e anche se non è cosi, il solo pensarlo significa che uno stile di vita più disincantato ed elegante te l'ha suggerito proprio lui.
Rimorsi
Fra tutte le infelicità possibili il rimorso è la più dura da sopportare; è un vulnus alla bella immagine che ci siamo creati, una lacerazione nel bozzolo dentro cui abbiamo conservato il meglio di noi stessi per ricavarne rassicuranti opinioni sul nostro conto. Non di rado il rimorso riguarda creature scomparse, o che difficilmente riincontreremo e ciò lo rende ineludibile e amaro. Tuttavia, guai a non averne. Significa che qualcosa proprio non va nella nostra mente o nel nostro cuore: da qualche parte si annida una menzogna che ci sottrae urv lato della nostra umanità. Meglio convivere con i propri rimorsi, colloquiare con essi, non respingerli ma piuttosto respirare dentro l'atmosfera dolorosa che li circonda quel soffio di umana pietà verso noi stessi cui abbiamo pur sempre diritto.
Ritratti
Un visitatore non privo di intelligenza, meno dotato di fair play, mi chiese, osservando un mio ritratto dipinto ad olio, a quanti anni prima risalisse, con ciò denunciando apertamente i molti segni che il tempo aveva successivamente lasciato sul mio volto. Un ricordo personale al quale ritorno spesso e volentieri: gli altri ci vedo-
no con occhi più severi, e questo è un punto di vista da non ignorare, ma alla fine trascurabile. Perché siamo noi
a guardarci allo specchio tutti i giorni, riconoscendo nel volto di oggi, pur segnato dagli anni, il bambino, il ragazzo 0 la ragazza di ieri, un'immagine che mantiene una sua continuità e mitiga i segni del tempo. Se non apparteniamo alla schiera dei maniaci che misurano ogni ruga con disappunto, è la visione d'insieme, la permanente riconoscibilità e dimestichezza della nostra espressività quella che leggiamo nello specchio, anche con partecipazione e simpatia. Questo è il nostro vero ritratto, non immune da un pizzico di narcisistica follia. E con ciò? Nei segni del volto c'è tutta la nostra vita che non intendiamo rinnegare; chi sa leggere capirà, gli altri non contano. Non adontatevi perciò se qualcuno fa domande stupide davanti a una vostra immagine giovanile, e non precipitatevi dal chirurgo per cancellare rughe che vi appartengono ben più in profondità dei primi strati epiteliali.
Rossini Gioacchino
II tenero e palpitante amore di Tancredi per l'amata e per la patria, il destino tragico di Semiramide alla fine di un lungo percorso di ravvedimento, la commossa religiosità di Mosé e del suo popolo, l'ironia elegante dell'italiana alle prese con il Bey di Algeri, le malizie di Ro-sina, il perdono di Cenerentola alle sorelle cattive, la fierezza di Ermione, bizze, languori e divertimenti di una compagnia di nobili scombinati che non arriverà mai a Reims per l'incoronazione del Re Carlo: Rossini ci ha regalato per ognuna di queste - e altre storie - una iniiv
terrotta sequenza di capolavori. Troppo, tutto insieme, nell'arco di un ventennio: bella musica, successo, danaro. Poi il silenzio, complice l'avanzare di una musica romantica, bella ma strappalacrime. Diverso Io stile del pesarese: aveva dato un'anima al meglio dell'eleganza barocca, l'aveva resa libera dagli antichi schemi ma aveva disciplinato sentimenti affetti passioni languori sofferenze dentro un linguaggio che era parossistico e monumentale, di una bellezza smagliante e contenuta insieme. Sono passate alcune generazioni prima che tanto ben di Dio riemergesse dal dimenticatoio da cui pochissimo si era salvato. Chissà come sarebbe felice il Maestro se gli fosse data la possibilità di osservare gli italiani alla riscoperta della Sua musica, magari un po' indispettito che l'input sia arrivato dai musicologi d'oltre Oceano. Ma bisogna accontentarsi: la sua musica, così limpida e controllata, assolutamente priva di retorica anche quando si libra negli equilibrismi belcantistici più audaci, non assomiglia per niente al temperamento ondivago e indisciplinato dei suoi concittadini. Se dunque, oggi, crescono le schiere dei suoi ammiratori, significa che uno dei grandi del nostro paese fa tuttora scuola agli italiani, e lo fa a modo suo, rendendoli felici con la musica.
Rumore
Ne viviamo così immersi che quasi non lo avvertiamo più. Se invece lo percepiamo, e magari ci infastidisce, vuoi dire che apparteniamo ad una esigua minoranza costretta a subire le prepotenze del popolo rumori-
sta, che nel nostro paese rappresenta una maggioranza niente affatto silenziosa e desolatamente inconsapevole.
Basti osservare l'occhio incredulo e allucinato che un rumorista riserva a chi gli chiede di abbassare il volume di una radio in un pubblico esercizio, l'allegria spensierata con cui giovani e ragazze chiusi dentro un'automobile con lo stereo a tutto volume si preparano ad un avvenire da sordi, la sventatezza di genitori in lotta con gli orari delle discoteche e incuranti della valanga di decibel che ubriaca e stordisce alla pari di tutti gli altri ingredienti disastrosi del sabato sera. Al di fuori delle proprie pareti domestiche - se non siamo costretti a convivere con qualche rumorista - restano ben pochi i luoghi dediti al silenzio - le chiese, gli ospedali, le anticamere del medico e del dentista - luoghi di non continua, e per la verità non sempre augurabile frequentazione. Pazienza!
Quanto all'educazione del popolo rumorista la televisione - pubblica e privata che sia - non aiuta; se si escludono i films e i dibattiti, i telegiornali e le informazioni sul tempo, il palinsesto è zeppo di trasmissioni te-stosamente gridate in cui si distribuiscono premi con urletti di gioia, mentre musicanti ballerini ed ospiti fanno a gara con le interruzioni pubblicitarie per rianimare il volume di ascolto. Al confronto i commentatori delle partite di calcio e degli incontri di pugilato figurano da compassati gentlemen inglesi. Che fare? Emigrare verso i più silenziosi paesi del Nord dove già trent'anni fa le radioline erano off limits nelle piscine ma - sostengono i rumoristi - il numero dei suicidi è di gran lunga più alto? Non vi è dubbio che il rumore sia uno straordinario am-mortizzatore, supplisce ad un vuoto dell'anima che non sa o non vuole entrare in confidenza con se stessa. Non
per questo da felicità ma solo una lunga, stordita vacanza da cui una volta o l'altra ci si dovrà pur risvegliare.
Se
Se non vi siete arricchiti riscuotendo tangenti in veste di infedeli servitori dello Stato o disinvolti amministratori pubblici - se non avete lucrato cinque paghe da fonti diverse e altrettante prebende usando una carica pubblica come rendita di posizione - se non vivete lussuosamente fra salotti mondani e televisivi, barche, spiagge e alberghi esclusivi come succede al vostro ex compagno di scuola, a suo tempo notoriamente ritenuto un asino e oggi in carriera per meriti oscuri - se pagate le tasse, non evadete l'imposta di valore aggiunto, non avete costituito società con moglie figli e nipoti per detrarre tutto il detraitele, non avete trasferito la residenza a Montecarlo dichiarandovi divorziato dalla cara metà allo scopo dì dimezzare l'imponibile - se pagate il biglietto senza cercare vie traverse a cinema, teatro, treno aereo autostrada alberghi eco - se emettete fattura o ricevuta fiscale, pagate i contributi alla colf - se vivete in appartamento di proprietà avendo contratto regolare mutuo anziché ottenerlo in cambio di qualche illecito e vistoso scambio di favori, e se non l'avete avuto in affitto a canone da Istituto Case Popolari avendo un reddito medio alto - se non vi siete prostituiti agli uomini delle pubbliche relazioni per ottenere vacanze gratis alle Mal-dive e propinato medicine placebo ai vostri mutuati meritandovi dalle case Farmaceutiche un safari sul Chi-ìimangiaro - se siete irrimediabilmente out da questi comportamenti, per piacere non fatesi venire complessi
di inferiorità, e soprattutto non sentitevi infelici. Essere poveri-onesti e sentirsi infelici di esserlo è il massimo delia disgrazia che vi può capitare. Allontanate da voi il dubbio maligno che i vostri comportamenti probi dipendano da una certa mancanza di fantasia, da incapacità vera e propria di servirsi delle moderne sofisticate forme di trasgressione, e ciò vi renda virtuosi senza merito. Quand'anche fosse? Appartenete in ogni caso alla esigua fondamentale schiera che esiste per essere punto di riferimento per chi vuole credere che il mondo si regge sulla virtù, e che rappresenta un motivo di inquietudine, seppur non frequente, per gli altri. Non nego che si tratti di una funzione scomoda, ma a prenderla per il suo verso se ne scoprono molti lati felici. Ne voglio richiamare uno per tutti: chi non ha debiti con la propria coscienza è un uomo Ubero e può parlare di tutto e di tutti senza remore. E vi sembra cosa da poco?
Sempre
È il doppio di "mai", il bisogno di eternità racchiuso in una parola, Ufficialmente deprezzata e relegata negli angoli bui del melodramma o delle telenovelas, "sempre" si prende le sue rivincite quando nel privato dei più scanzonati detrattori dei sentimenti con la esse maiuscola spunta il grande Amore; alzi il dito chi almeno ima volta nella vita non abbia detto " ti amerò per sempre". Una promessa per sempre - seppur attenuata dal buon senso anagrat'ico - " finché vita ci sostenga" è quella che si pronuncia in occasione del matrimonio religioso, eppure tutti sappiamo quanta precarietà si annida nelle pieghe di questo impegno solenne. "Sempre" è la nostra
diga contro i marosi della vita, l'argine che vorremmo opporre alla sua mutevolezza e anche alle nostre fragilità, è un atto di buona volontà con cui vorremmo associare la telicità al nostro destino, contando, anche, su una certa neutralità degli eventi esterni. Se questa neutralità viene meno, eccoci allo sbando. Come la formica che trascinava la sua mollica e noi, con gesto dispettoso abbiamo disturbato il suo percorso. Anche lei, tuttavia, come noi, è pronta a riprendere il cammino interrotto. Sempre è una parola a ciclo continuo; un filo di speranza la tiene, a dispetto di tutte le sue battute d'arresto.
Settembre
Una passeggiata in un viale tranquillo e una sosta in panchina, magari ad occhi chiusi per difendersi dal sole; improvviso il suono di una foglia secca trascinata dal vento sull'asfalto ed è subito settembre. È la prima solitària sentinella dell'estate che si allontana, quella foglia, e irrompe rumorosa, in un silenzio che sentiamo diverso e ostile: non cantano più le cicale, non volano calabroni. C'è un'aria sospesa, di trapasso, e se non fosse per quella foglia vagante non ce ne saremmo accorti. La malinconia è la prima tentazione che ci nasce dentro, e per un po' va anche bene di tenercela; l'estate con i suoi colori, le sue dolcezze, le libertà che ci offre, ha ben diritto al nostro rimpianto. Ma non si indugi troppo, ci attendono altri piaceri, diverse e non meno suggestive giornate; tra poco le foglie gialle o rosse saranno tante a dare colori luminosi al viale della nostra passeggiata, e quando, con i primi brividi di freddo formeranno un tappeto
dorato fra i tronchi degli alberi, noi avremo già ritrovato la gioia del fuoco nel caminetto, se ne possediamo uno, e ci sembrerà carezzevole e appagante indossare tessuti morbidi e caldi per lunghi mesi dimenticati. Gli appuntamenti con lui paese regionale e fantasioso come il nostro saranno tanti: le sagre del vino, delle castagne, del tartufo, di sedano e salsiccia, di funghi e polenta. Affrancati dai calori estivi riprenderanno vigore i balestrieri, i cavalieri delle antiche giostre medioevali, i musici, infaticabili ricercatori dei suoni alle corti rinascimentali. Si rianimeranno in tutta le penisola i mercatini di antiquariato, modernariato e robivecchi. Purtroppo, e questa è la zona d'ombra del nostro settembre, le cronache registreranno veementi discussioni venatarie fra artigiani, avvocati, eminenti ortopedici, piccoli impiegati, rispettabili commercialisti, insospettabili ginecologi cultori della "vita", a proposito dell'apertura più opportuna del calendario venatorio per ammazzare beccacce, tordi, lepri e fagiani.
E se vi dovesse cogliere di sorpresa mentre vi affacciate di primo mattino sul consueto paesaggio di pietra della vostra casa il suono ostile della pioggia con quel che segue di traffico, smog e sporcizia bagnata sulle strade? Affidatevi per qualche minuto ad Antonio Vivaldi e a quello straordinario pizzicato di violini che egli ha dedicato alla pioggia, nelle sue "Quattro Stagioni" e ricordatevi che anche il prete rosso all'epoca, aveva i suoi problemi. A Venezia non lo trattavano benissimo, si mormorava sulle sue orfanelle-cantanti, non sappiamo se, ben lontana dai fumi industriali odierni, la laguna non mandasse cattivi odori per altri motivi. Insomma, non si può avere tutto, e sempre, dalla vita.
Sonno
Aprire gli ocelli dopo un sonno ristoratore è già un bel colpo dì vita; ci siamo ancora, la giornata è anche per oggi, nostra. Non importa se siamo di quelli che hanno il risveglio cattivo e in odio all'umanità; col passare delle ore andrà meglio. A tipi così si può tuttavia consigliare l'adozione di un gatto per compagno di vita: sarà così discreto nel vigilare sul Loro sonno e sul loro risveglio, così disponibile a gesti affettuosi ma contenuti e pieni di estetiche invenzioni, nel momento in cui si aprono su di lui gli occhi dell'umano compagno, da facilitare il trapasso daìla felice incoscienza del sonno alla spigolosa realtà della veglia. Qualcosa di elegante da guardare è un'idea vincente per un buon risveglio.
Prima dì uscire dal sonno bisogna tuttavia entrarvi, acchiapparlo non è sempre, e per tutti, facile. Fortunati quelli che vi si abbandonano senza problemi e in età adulta lo frequentano con la naturalezza dei bambini. Un po' scìocchini quelli che si impongono di dormire poco "perché il sonno porta via tempo alla vita". Un po' sciocchini e irriconoscenti verso i grandi benefici che agli esseri viventi ne vengono dal sonno, come ben seppe Macbeth dopo che aveva ucciso il re Duncano - "tu più non dormirai Macbeth! Macbeth non uccidere il sonno, il sonno dell'innocente, il dolce sonno che rimargina nel cervello i dolorosi solchi del pensiero e ricrea ogni dì l'uomo alla vita; che rinfranca l'esausto corpo dalle stanchezze, che sana le piaghe dell'anima". - Una coscienza tranquilla, senza conti in sospeso è dunque il consiglio di W. Shakespeare per un buon sonno; in caso contrario ognuno si tenga il sonno o il "non sonno" che si merita.
Sud
Parola che evoca colori e profumi forti, luoghi di vacanza gioiosa e solare ma anche arretratezza economica impastata ad una grande storia e a lampi di intelligenza e cultura di straordinaria profondità. Ma ii Sud è ancora altro; lenta e discontinua crescita economica - meno visibile in confronto a un Centro-Nord dei paese che "cresceva correndo" in virtù delle migliori condizioni di partenza. Per molto tempo, e tuttora, grande e insostituibile mercato di consumo per le imprese italiane forti ma non ancora mature per l'export. Per anni serbatoio di emigrazione di mano d'opera e anche di cervelli verso i luoghi dove si produceva ricchezza, oggi serbatoio di scorie e discariche abusive di quelle stesse imprese che cercano di ridurre al massimo lo scotto da pagare per attività produttive pulite e amministrazioni pubbliche che hanno lo stesso problema con i residui della vita collettiva. Patrimonio artistico e monumentale ancora tutto da scoprire, oggetto di studio e di osservazione da parte di colti visitatori, a colmare i vuoti lasciati dal Va-sari che nelle sue Vite trascurò importanti eventi artistici al di sotto del fiume GarigHano. Di tutta questa complessa realtà di un'Italia unita e diversa, ricca di intrecci e di connessioni si sa ben poco. La povertà di sfumature della comunicazione multimediale ha lasciato nell'angolo buio della disinformazione molte delle cose accadute negli ultimi quarantanni in questa patria dotata di tante diversità che pure l'arricchiscono. E nel frattempo una torpida cultura fatta di separatezza e di povero locali-smo sta allontanando da noi italiani una parte di noi stessi come altro da noi. Un'unità sofferta e feconda, che ha avuto grandi tessitori in uomini di qualità, viene mes-
sa in discussione da microideologie paesane che i mass media amplificano per propria ineluttabile inerzia. Chi non condivide gioca di rimessa e in salita; l'impatto si frantuma contro l'onda lunga multimediale che premia notizie insolite e diverse, senza riguardo alla qualità che vi circola. Per ora il Sud è perdente: ha nemici beceri e rumorosi, amici tiepidi e prudenti. Anche la diversificazione delle attività criminose che al Sud odorano ancora di sangue e violenza e al Nord si consumano nelle banche estere, nelle società off-shore e nei prestigiosi studi di consulenza, crea al primo una infausta privilegiata ribalta. L'aspetto grave di un tam tam ideologico-razzista lasciato alla libera oscillazione del pensiero debole è il progressivo radicarsi dell'idea nella mente e nel costume, l'emergere di piccole quotidiane viltà che imboccano i sentieri della condiscendenza - prò bono pacis - o inclinano alla piaggeria compiacente. Questi percorsi precipitano alla fine nell'adesione supina al giudizio sull'uomo in virtù della sua provenienza geografica e territoriale e non del suo valore intrinseco. Vogliamo consentire a questa lue di marca balcanica di penetrare nella nostra cultura, privandoci di una lucidità mentale che solo alla ragione, e non al pregiudizio può richiamarsi? Vogliamo veramente diventare più poveri culturalmente, più incapaci di comprendere, e dunque più infelici?
Tardi
Non è parola indispensabile nel dizionario delle felicità e va usata con parsimonia. Salvo i casi più disgraziati - è tardi per Violetta Valery morente ricevere la lettera di Giorgio Germont che scioglie gli equivoci della
sua love story - non è mai troppo tardi per cambiare qualcosa della propria vita, anche le cose più difficili", recuperare i brandelli di un amore che si era affievolito nella routine, iniziarne uno nuovo, dire no a cattiverie e prepotenze che ci hanno avvelenato l'esistenza, rappacificarsi, se opportuno, con un nemico, iniziare lo studio delle lingue urofinniche, leggere i libri trascurati nei primi settantanni di vita. Clinicamente parlando, curare "tardi" un malanno non evita effetti letali, ma poiché la cosa non è certa vale la pena di tentare. "Tardi" prima che una parola è uno stato d'animo; per questo è bene diffidare, e ogni qualvolta siamo tentati di usarla domandiamoci prima se non stiamo facendo qualcosa contro di noi. Non sappiamo quanta vita ancora ci aspetta: se è poca non avremo il tempo di rimproverarci un eccesso di ottimismo che ci ha spinto a qualche nuova impresa ai tempi supplementari. Ma immaginate quanto sia seccante aver rinunciato, a causa di quello stupido avverbio, a tante cose che ci potevano piacere e per le quali la sorte ci riservava ancora tante e tante ore di felice godimento.
Televisione
È il mezzo di disinformazione più popolare non solo perché parla per immagini e dunque va sul facile. La sua grande popolarità nasce dal fatto che da a ciascuno il suo: le storie che "emozionano" ai patiti di telenovelas, la convinzione che la società in cui viviamo fa schifo ai consumatori di servizi giornalistici condotti dagli specialisti delle disgrazie in diretta differita, la gaudiosa fiducia che la vita è tutto un gioco ai fedelissimi dei tele-
quiz. Qualche problema assilla gli affezionati ai telegiornali : oltre alla noia di riascoltare alla sera i servizi già digeriti ad ora di pranzo resta l'incombenza di leggere i giornali il mattino dopo per sapere effettivamente come sono andate le cose.
Riesce difficile immaginare che la felicità o l'infelicità abbiano qualche attinenza con l'ingombrante scatolo-ne a colori. La sua funzione si esercita soprattutto negli angoli marginali della vita dì gruppo o individuale: colma i silenzi di incomunicabilità in famiglia, libera dalla cura dei figli genitori in carriera o superoccupati a far soldi, riempie le vuote ore dell'anziano accantonato, supporta fugacemente il lavoro della colf e della casalinga, specie se in più esemplari presente in zone strate-giche della casa, offre qualche serio motivo per dormire, agli insonni. La televisione, insomma, è più che altro un pretesto per altre cose della vita.
Tuttavia, consideratevi felici se non siete teledipendenti; felici di avere ancora pieno possesso del vostro cervello. Ma non sentitevi obbligati ad odiarla come usano certuni, desiderosi di essere arruolati nelle pattuglie degli intellettuali oltranzisti. Ricordatevi che negli orari più scarsamente frequentati dalle masse che fanno audience e share possono andare in onda programmi intelligenti e magari anche divertenti. A qualche programmista trasgressivo può, talvolta, sfuggire un po' di buona musica, e, in ogni caso, con la rinuncia al riposo notturno sarete in grado di arricchire la vostra personale videoteca del meglio di Greta Garbo, Marlene Dietrich, Francois Truffali:, Cinger e Fred, Fellini, Don Siegel, Wo-ody Allen, Rossellini, De Sica, Bunuel, Visconti, e persi-no metterete in fila con devozione, fra i classici da amare, gli sceneggiati in bianco e nero della Rai anni '50 e
'60 che allora vi sembrarono tanto noiosi. Ma non immaginavate quello che vi riservava il futuro.
Tempo
E prezioso, scorre via, non passa mai, non ce n'è mai abbastanza. Niente di più relativo del tempo, vissuto in modo diverso dalle persone, a seconda degli stati d'animo, delle circostanze, degli avvenimenti, e dalla stessa persona avvertito in modo felice o angoscioso, o annoiato. L'attesa di un incontro amoroso, di un appuntamento da cui ci si attende felicità vorrebbe tempi brevissimi, li precorre, li brucia in una infuocata anticipazione dell'evento. Quel tempo è sofferenza e gioia insieme. Non si può dire altrettanto di quello trascorso nell'anticamera di un gabinetto di analisi nell'attesa di una gastroscopia. Il tempo scandisce gli avvenimenti, parcellizza la giornata ma è giusto nutrire qualche dubbio sul vero rapporto che fra lui e noi si stabilisce: dubbio salutare se rivolto a chiarire chi comanda. Perché il vero problema è definire la gerarchla fra noi e il tempo. Si, è vero, ci sono le cadenze esterne, il lavoro e i suoi orari, il cinema, le trattorie, i negozi, gli appuntamenti. Ma ci sono anche ore senza impegni precisi, giornate vuote, intermezzi. Se il "tempo" si è impadronito di noi e ci ha in qualche modo asservito tenderemo a scandire e ad organizzare a tutti i costi questi spazi di libertà, essi ci appariranno tempi morti da imbottire di cose, non daremo tregua alle ore, a noi e agli altri. Sarebbe bello aver appreso l'arte di dominare il tempo con la dolcezza del non fare, la lievità di un ozio che si nutre anche del nulla, la trasparenza del ricordo alternata alla contemplazione
delle cose che ci sfuggono dallo sguardo e dal cuore quando il tempo ci mette fretta e ci priva della gioia di vedere: i colori e le luci della nostra casa, lo sguardo sornione del micio che finalmente può accoccolarsi in tranquillità sulle nostre ginocchia, tutto può diventare più godibile, anche i quadri che tanto tempo fa abbiamo appeso alle pareti e non li guardiamo mai, e la musica, ascoltata senza addocchiare l'orologio, e la conversazione con le persone care. "Che hai fatto ieri?" vi chiederà qualcuno. Risponderete "nulla", e godetevi la faccia perplessa, forse anche allarmata, del curioso.
Trevi so
La marca trevigiana - nei secoli luogo delle villeggiature mondane dei ricchi veneziani - sarebbe terra delle più gradevoli e accattivanti d'Italia se non fosse abitata da una elevata percentuale di leghisti per chilometro quadrato. Succede perciò, al turista in esplorazione delle sue collinari bellezze e alla ricerca delle fastose ville venete, di incontrare inopinatamente cartelli ammonitori "qui siamo nella repubblica veneta del Nord", issati a mo' dì segnaletica stradale ai crocicchi, o di veder imbrattate le mura dirimpettaie di qualche museo di buona frequentazione da scritte inneggiami al federalismo fiscale, una versione "politica" del detto "moglie e buoi dei paesi tuoi" trasformata in "tasse e buoi dei paesi tuoi". Si vorrebbe un clima più disteso da luoghi cosi" ameni, ma pazienza! Nessun luogo è perfetto; infastidisce un po', affrontando il leghista a tavola (c'è una trattoria a Treviso dove si mangia a stretto contatto di gomito con illustri sconosciuti, come dal mitico "romano"
Cesaretto, o ironica vendetta di indesiderate sinergie) scoprire che tanta voglia di separatezza dal resto d'Italia alberga nella mente di gente che spesso non ha viaggiato al di sotto del fiume Po, parla di un Sud che non conosce e inveisce contro "Roma ladrona" avendo sottobraccio il giornale della provincia dalle cronache zeppe di tangentopoli locali. Detto tutto ciò si deve a Trevi-so un omaggio particolare; è una città deliziosa. 1 due fiumi che la attraversano - il Sile e il Cagnan - creano angoli suggestivi e l'acqua che scorre fra quinte di mura antiche e spesso lambisce salici e altro romantico verde la rende viva e gioiosa. Le sue facciate dipinte, negli esterni di alcune case, i suoi barbacani, specie di contrafforti che ombreggiano i vicoli, il suo caratteristico mercato, le sue bellezze nascoste - un Tiziano nel Duomo, un Giorgione al Monte di Pietà - e quelle più in vista, le splendide mura lungo canali, opere di grande interesse anche idraulico, un delizioso teatro ottocentesco dove si fa musica sinfonica, lirica, prosa, con gusto e qualità - tutto congiura perché il visitatore, anche occasionale desideri ritornare. Depone a favore di uno o più ritorni la cantilenante gentilezza dei suoi abitanti, la buona cucina, il prosecco, la cordiale ospitalità di alberghi e trattorie. Tutto ciò era parte della felicissima immagine di questo luogo prima del leghismo e si pensa che continuerà ad esistere anche nell'era postleghista.
Trieste
Una città bella per il suo mare, le colline, i colori dell'altopiano carsico e il freddo nitore che ne disegna i profili quando è attraversata dai venti di nord-est. Poiché
case e palazzi rispecchiano Jo stile eclettico viennese e ancora in molti interni domina il Biedermeier della buona borghesia austriaca, aleggia sulle sue pietre il fantasma della mitteleuropa e i suoi abitanti immaginano di esserne gli eredi. Del cosmopolitismo degli anni di dedizione all'Austria e delle leggi teresiane si sono conservate alcune splendide chiese delle religioni ebraica, greco ortodossa, serbo ortodossa, anglicana, e il gran numero di lapidi funerarie dedicate a cittadini di ogni nazionalità ospiti nel civico cimitero. Quella spinta ad allacciare rapporti commerciali con il mondo che segnò l'epoca dei pionieri della navigazione e delle assicurazioni, oggi si cimenta con un turismo di consumo mordi e fuggì dei compratori dei paesi dell'est che l'arricchisce e la devasta. I rapporti con la madrepatria sono que-ruli e tempestosi, l'incomprensione conclamata e unidirezionale, vittimistica e priva di quella curiosità intellettuale per il mondo al di là del Timavo che spinse i padri dell'irredentismo a partecipare della vita culturale di Firenze, Torino, e altre città italiane. Trieste è la mia città ma non posso condividere quel sottinteso inespresso orgoglio che la spinge a chiudersi nella presunzione di una superiorità morale; dalle nebbie della memoria riemergono dolorose e insoddisfatte domande sulle complicità dell'unico campo di sterminio nazista in territorio italiano, i silenzi che hanno coperto a lungo la verità sulle foibe, luoghi della eliminazione fisica anche degli antifascisti triestini da parte dei "fratelli" confinanti dell'est, le ambiguità dei rapporti con il mondo slavo più segnate dall'affarismo o da altre convenienze che non improntate a chiarezza di idee. Questo luogo dove sono nata non mi possiede più, non sono qui le mie radici, anche se a queste radici devo riconoscenza e felicità per-
che le inquietudini che mi sono portata dietro, andandomene, non sono state inutili per la vita. Mi da emozione ripercorrere i luoghi, rileggere i poeti e i letterati, sentire i profumi della buona pasticceria ungherese che fiottano dai retrobottega dei caffè storici, l'odore acre che il mare stempera sugli scogli bruciati di sole e salsedine, l'accoglienza odorosa di legno alle pareti e di minestre slave e tedesche tipica delle trattorie del Carso. 1 miei concittadini li vedo in piazza dell'Unità d'Italia, o lungo lo storico viale XX settembre in un affollamento festoso e domenicale, colorati e vivaci, ma anche straordinariamente immobili, come in certi dipinti di passeggiate un po' crepuscolari di Giuseppe De Nittis, intenti a parlare della buona musica ascoltata, dei buoni libri letti, dei viaggi fatti o da fare, dell'inno del generale Radestky, se sia meglio eseguito nel teatro Domenico Rossetti, in città, o alla Grosser Musikvereinssaal di Vienna al concerto di Capodanno.
Tristezza
Se avete un buon motivo per essere triste non cercate vie di fuga. Se un rimorso vi opprime, una perdita vi addolora, una sconfitta vi brucia, far finta di niente non serve. Incolpare altri, rivoltare la frittata per dimostrare che le cose stanno diversamente prelude a false consolazioni di breve durata. Meglio una vera tristezza vissuta fino in fondo. Compatitevi un po', coccolatevi, raccontatevi qualche cosa bella che vi è accaduta in passato. Insomma, aiutatevi ma non raccontatevi bugie: vi caccereste in un vicolo cieco e perdereste una buona occasione per diventare più maturi e più forti.
Uccelli
II canto del merlo da suggestioni diverse a seconda delle ore in cui lo si ascolta: al mattino prestissimo, quando il giorno stenta a disegnare la luce sui profili d'ombra delle cose, il canto si leva estenuato e dolorante, quasi la fatica di uscire dalle tenebre possa ispirare note così dolcemente notturne. A fine giornata gioia e malinconia si fondono nei colori spesso dorati e luminosi del tramonto; il canto del merlo entra nel coro delle voci, le esalta e si distingue, celebra una conclusione della giornata non senza una vena di tristezza.
Le rondini: che dire di quel loro volare velocissimo e stridente che occupa l'aria, unisce cielo e terra in una palpitante sarabanda che mette allegria anche nell'imbrunire delle più calde giornate d'agosto?
La taccola canta con suoni brevi e timidi. I passeri con la loro coralità, anche un po' fastidiosa, assordano i viali alberati - e sporcano - ma certo ridanno un volto umano anche ai luoghi più anonimi delle città. Gli usignoli ricamano ì silenzi, instancabili, con le loro agilità rossiniane. I gabbiani emettono suoni rauchi e gravi, e il loro volo, ampio e silenzioso rievoca il mare anche quando ne sono lontani.
Alcune di queste creature alate segnano le stagioni; a Settembre, in riva al mare le vediamo partire a gruppi, contigui e cadenzati: il volo è lento di chi sa di avere tanta strada da fare, e triste per la premonizione che non tutti ce la faranno.
Felice chi coglie questi frammenti di vite altrui, chi si scopre sensibile agli accadimenti di altre creature, chi sa, per ascoltarle, far silenzio nel rumore della quotidiana futilità.
Vecchiaia
Non vi chiedo di dimenticarvene, ma se avete raggiunto un'età degna di questa parola lasciate ad altri la cattiva abitudine di usarla con troppa frequenza. Non rispondete "da poveri vecchi" a chi vi chiede come state. Poveri, perché? Ho conosciuto dei trentenni e quarantenni che sono passati a miglior vita quando erano convinti di averne davanti ancora tanta da vivere. Non sono stati, costoro, molto più poveri di voi? Fate un buon uso del vostro passato e dei vostri ricordi? O appartenete a quella specie di individui pervicacemente attaccati alle proprie disgrazie e incapaci dì ricordare le cose buone vissute? Non sono le rughe del volto ma quelle dell'anima che svelano la vostra vera età; ho conosciuto gente di vent'anni che era già vecchia per l'incapacità di emozionarsi alla vita e alle sue sorprese, e ottantenni vivaci e creativi.
Cancellate dalla vostra mente tutte le credenze e i luoghi comuni che la coscienza collettiva si trascina, pigramente, da secoli, sul conto della vecchiaia, senza neppure un po' di rispetto per la sua relatività; quando sì era "vecchi" qualche secolo fa, e quando oggi? Ricordatevi che molti dei sentimenti negativi che vi turbano pensando alla "vostra" vecchiaia, sono indotti dall'esterno, lì avete succhiati con il latte materno, interiorizzati senza volerlo mentre giocavate meditabonda sulle ginoc-chia della vostra nonna. Liberatevi da questi fardelli e navigate sgravati da tanto peso, nella vostra quotidianità che può riservarvi sorprese, incontri, momenti di gioia, anche dolori e malinconie, anche curiosità e dolcezze. Come sempre. Sta a voi decidere che il tempo ha cambiato ma non distrutto il vostro rapporto con le cose.
Vetrine
Esercizio gradevole e talvolta doloroso: consumare con gli occhi tutte le cose belle esposte nelle vetrine dei negozi. Ve ne sono di utili e irraggiungibili per il costo eccessivo. Altre, più a portata delle nostre tasche presentano spesso un alto tasso di "futilità"; si possono acquistare ma non servono a mente: sono solo bellissime!
Le vetrine che addobbano e illuminano le strade delle nostre città sono qualcosa di più di un fatto commerciale; la dovizia dei beni esposti, l'accattivante presentazione della mercé giocata su mille astuzie di ricerca estetica, tutto ciò è il volto verace di un universo potenziale, del nostro mondo dì "cose" che sono a portata degli occhi e quindi si possono "avere". È il passo successivo, quello che trasforma questo rapporto virtuale con la grande fiera del consumo in un bisogno reale, a procurarci il morso doloroso della privazione: ci assale il dubbio che quelle cose se esistono si "debbano" avere. È così che si entra nel grande fiume emblematico del possesso conte "status" e ci si intruppa nel gregge degli oltranzisti del consumo. Si parte con lo zainetto firmato il primo giorno di scuola e si finisce con l'affidare ad un orologio da otto milioni l'autocertìficazione di un tocco di classe. Sempre più tristemente insoddisfatti, sempre più affannosamente in credito rispetto a nuove mete. E la felicità? Abita qui saltuariamente: trasloca da un oggetto all'altro, subisce sfratti repentini e dolorose cadute. Insom-ma è un po' acciaccata.
Viaggiare
Ecco un piacere dei più faticosi e affascinanti; sceglie-
re, decidere, prenotare, munirsi di valuta e coupons se la destinazione è oltre confine, preparare il bagaglio, disporre quanto necessario per mantenimento e cura del gatto di casa, che non parte, provvedere a patente e assicurazione internazionale se la destinazione è Europa in automobile, studiare la guida a destra se ci si avventura nel Regno Unito, armonizzare il guardaroba da grande freddo con gli abiti da sera se si parte per San Pietrobur-go con prenotazione al teatro Marinsky, sottoporsi a vaccinazioni per viaggi esotici, sfogliare manuali dì bon torv della marineria, sia che ci si imbarchi su navi crociera sia che si affronti il mare a bordo di qualche cargo di lusso. Il viaggio in aereo presuppone individui forti, incuranti del pericolo, pronti a sfoderare statistiche che dimostrano l'assoluta sicurezza del volo rispetto alle carrette a quattro ruote che rottannano in continuazione sulle strade del mondo. Il viaggio in pullman si addice a indivìdui non affetti da nevrosi del tipo - guido solo io -ma anche dotati di temperamento mite, disposti a sopportare tutte le soperchierie cui si può andare incontro durante lunghe trasferte a contatto con la collettività del viaggio organizzato. Il treno è per i saggi e i goduhosi: non c'è fretta di arrivare, il paesaggio che cambia prepara la meta, in treno si dorme si legge si pranza si lavora o si gioca con il personal computer; il massimo è poter spendere abbastanza per regalarsi l'emozione del-l'Orient Express. Gli incontri sono brevi, se insoddisfacenti si neutralizzano con gli auricolari e la musica preferita; meno impegnativi della vita in barca con gli amici, meno noiosi delle quotidiane cortesie da scambiare con il commissario di bordo o l'animatore delle serate danzanti sulla nave.
Se questo breve escursus nel viaggio, seppur virtuale, vi ha stressato ed ha rivelato a voi stessi un temperamento contemplativo e sostanzialmente pigro non allarmatevi: libri, videocassette, riviste di turismo, foto e cineprese di amici che vi hanno preceduto sono in grado di soddisfare ogni vostra curiosità su! mondo e se di vostro ci mettete un po' di fantasia il risultato può essere gradevole. Viaggiare "per vedere" si può senza mettere il piede fuori di casa, con qualche emozione in meno e un gran risparmio di soldi e fatica. Viaggiare "per conoscere" è altra cosa; comporta i tempi lunghi dei viaggiatori di un tempo e non si concilia con le proposte "mordi e fuggi" delle agenzie turistiche. Viaggiare per lavoro è perfetto; sì va spesati, o si detrae dai conti so-cietari, e si impara di più. Viaggiare per esibire i timbri sul passaporto è l'ultimo dei desideri di una persona intelligente, e voi cari miei lettori lo siete e dunque scusatemi il solo pensiero. Andare alle Bahamas ignorando il museo di Capodimonte, Palazzo Fitti, la cattedrale di Otranto, il museo Egizio di Torino, il Parco nazionale d'Abruzzo, il Delta del Po, Mantova, le Cinque Terre, Martina Franca e la Valle dei Trulli, ecc. ecc. è comportamento provinciale e analfabeta. Si possono evitare anche queste limitate ma pur sempre faticose escursioni dentro i confini nazionali senza intaccare il proprio potenziale patrimonio di felicità? Prima ancora è bene chiedersi: viaggiare aiuta ad essere felici? La risposta è del tutto affidata alla propria esperienza personale. Ema-nuele Kant non si mosse per una vita intera, o quasi, dalla città natale di Kònigsberg e dentro questa sua sedentarietà costruì un complesso sistema fiiosofico, fonte di ricchezza per l'umanità e di angosce infinite per studenti di tutti i tempi. Fu egli felice? Marco Polo, Cristo-
foro Colombo, Wolfgang Goethe, Lorenzo da Ponte, Giacomo Casanova, Stendhal, viaggiarono molto. Furono essi felici?
Vino
L'ubriacatura di Noè - cui tanto si deve per la storica scoperta di un uso esilarante del vitigno - perseguita davvero come biblica maledizione il vino, e perciò bere succo d'uva in vario modo elaborato è piacere controverso. Considerato quasi vizioso, se si supera la dose medicamentosa di "un" bicchiere a pasto, non si conquista la deliziosa ebbrezza che vi si accompagna se si eccede da quella misura omeopatica, senza passare attraverso una piccola ma dolorosa crisi di coscienza; è la vergogna dei Patriarca che ancora ci opprime e trasforma la gioia del bere in un emblematico "prezzo da pagare" per approdare ad una felicità innocente. Le raccomandazioni che amici premurosi e parenti impiccioni ci riservano se esageriamo con le calorie a tavola si trasformano immediatamente in riprovazione sociale se siamo sorpresi al terzo bicchiere di vino. "Felici di bere" diventa poco meno di un inno alla droga tacitamente concessa a individui dediti a piaceri proibiti. Il vino è un caso da manuale dell'umana incongruenza: lacci e lacciuoli fioriscono intorno al suo consumo proprio nel momento in cui sempre più elaborate e raffinate tecniche di produzione vanno in soccorso all'acino per ricavarne il massimo di profumo, sapore, retrogusto, e leggi importanti, nazionali e regionali, ne tutelano la qualità. Con la denominazione a origine controllata e garantita il nostro paese -quantitativamente ai primi posti nel mondo fra i produt-
tori di vino - sta raggiungendo livelli di produzione eccelsa anche al di fuori delle aree di tradizionale coltivazione; Umbria Marche Puglia Sicilia si affacciano oggi alla ribalta della qualità accanto alle già affermate cantine Toscane Piemontesi e Venete. Non abbiamo ancora conquistato l'abilità tutta francese di esaltare il prodotto ma certo non dobbiamo invidiare nessuno per quello che offriamo al consumatore. Non vi sembra delittuoso vietarci il piacere di scegliere, degustare, confrontare, cen-tellinare tanta grazia di Dio? La recente scoperta di qualità medicamentose proprie del resveratrolo contenuto nel vino rosso ha aperto uno spiraglio alla nostra felicità di amanti del calice pieno. Ma dalla vita vogliamo di più: che ci siano concessi senza visti sanitari i deliziosi piaceri del gusto sapido fruttato asciutto profumato, la contemplazione tutta estetica del colore paglierino dei bianchi ecrù che popolano la penisola. Se poi si dovesse scoprire che fanno bene anche all'umore, e quindi alla salute, tanto di guadagnato.
Zanotti Bianco
"È l'ora buia in cui i primi rialzi del terreno diventano l'orizzonte, e l'orizzonte lontano scompare nel vuoto notturno. La testa della colonna scompare rapida verso la valle già scura. Non paiono uomini che abbiano sopportato giornate intere di privazioni e di fuoco. Ma d'un tratto un brusco movimento d'arresto. Una granata scoppia poco lungi aumentando la confusione. < avanti, ag-gimo a morire qui come li surcì fritti?> Tutti s'accendono d'ira senza capir bene per che cosa. - Chi ha dato l'alt - chiedo correndo innanzi - chi ha dato l'alt?- Signor tenente....dice la voce sperduta di un caporale...Che cosa
dal Diavolo...> ci hanno scoperti signor tenente? - Ma che scoperti, se fa più buio che in una tana di talpe , avanti, su, coraggio. - E intanto il sudore fieli ammollire sui corpi i panni irrigiditi dalla pioggia e dal fango, irrita e piaga le carni aride. Ultimo, dietro le barelle, da cui emana un acuto odore di cadaveri in corruzione e di cre-olina, sento venire a me quel muto supplizio....si sale e si scende e si sale nella notte. ■< Tenente, fammi riposare». Avanti, non è possibile fermarsi. «Tenente ho tutti i piedi tagliati» - «Se ti fermi ti dorranno di più, avanti, coraggio!». Piana di Casera Magnaboschi, 1916, prima guerra mondiale, diario del tenente Umberto Zanotti Bianco, volontario e medaglia d'argento, piemontese, nato a Creta nel 1889 da padre Console d'Italia e madre inglese, morto a Roma nell'agosto del 1963. Un italiano quasi dimenticato con una vita ricchissima di attività in difesa degli umili e dei perseguitati che lo ha portato a conoscere a fondo il nostro Mezzogiorno ma anche a percorrere migliaia di chilometri lungo i confini più caldi della persecuzione polìtica, in Russia, in Polonia, nei Balcani. Alia Voce dei popoli, rivista da lui fondata, col-laborarono esuli di molte nazioni e uomini di fama mondiale. Quest'uomo dalla figura alta e ieratica - piena di fascino fino agli ultimi anni di vita, il tenente che a detta dei suoi soldati "pareva un cero di catacombe e teneva li nervi di ferro" - ha agito con incredibile concretezza nelle sue missioni umanitarie; soccorritore in prima linea
.sso- |
nel terremoto di Messina del 1908, fondatore dell'A' ciazione per gli Interessi del Mezzogiorno subito dopo un viaggio di alcuni mesi in Calabria per un'inchiesta
su quell'Italia ancora sconosciuta dopo l'Unità, con la creazione di molte scuole nelle regioni meridionali; negli anni successivi alla rivoluzione russa organizza i comitati per il soccorso ai bambini russi, quello di soccorso agli intellettuali, porta viveri nella Russia sovietica colpita da carestia nel 1922 con un treno tutto suo, e in tasca un dizionarietto tascabile. Accanto all'azione umanitaria, quella culturale: fonda, per sostenere e incoraggiare importanti scavi archeologici, la "Società Magna Grecia" ed egli stesso conduce, con pochi mezzi, scavi nella piana di Sibari che studi recenti e condotti con ben altri mezzi, confermeranno di grande rilievo storico per l'individuazione dei siti delle città di Sibari e Turi. Fondatore, con altri, dell'Archivio storico per la Calabria e la Lucania. Dopo l'arresto e l'internamento da parte del fascismo riprende le sue iniziative, alle quali se ne aggiungono altre, la fondazione dell'Associazione Italia Nostra, la Presidenza e la riorganizzazione della Croce Rossa Italiana, la nomina, da parte del Presidente Einau-di, nel 1952 a Senatore a vita "per avere illustrato la patria con altissimi meriti nei campo sociale e scientifico". Le sue biografie ufficiali non ne parlano ma io che ho avuto modo di esserne testimone diretta voglio ricordare che quest'uomo dal passato così illustre accettò di fondare - e ne fu Presidente attivo e partecipe - l'Istituto per gli Studi dei Servizi Sociali insieme ad uno sparuto drappello di giovani che altro non avevano ad accreditarli che la serietà dell'impegno scientifico nella ricerca sociale e nel social - work in un momento - correva l'anno 1960 -in cui la società italiana era ancora assai lontana da queste problematiche. Mi sembrò allora un gran bel gesto, ma anche una continuità di quella vocazione alla concretezza e all'utilità sociale, sola misura nelle scelte di tutta una vita. Cercasi, al presente, personaggi di questa
sensibilità e statura. Voglio aggiungere una nota indiscreta a questa sommaria scorribanda nella biografia di Umberto Zanotti Bianco: la leggenda gli ha attribuito -nel turbinio di questa vita dedicata al prossimo bisognoso dì aiuto, ed alla creatività culturale, - un' altrettanto intensa e ricca vita sentimentale. Non so se la leggenda sia veritiera, ma è bello crederlo; chi ha saputo spendersi molto per gli altri deve aver potuto suscitare intorno a sé moti di generosità, dovizia di affetti, echi di felicità.
Zeno Zencovich Livio
Tutti i pomeriggi alle ore 17 Livio Zeno preparava secondo il rito più ortodosso una tazza di thè che veniva servito da lui stesso a se medesimo; la poltrona eia comoda, la musica quella della quinta rete di filodiffusione Rai - Mozart, Handel, Vivaldi, Monteverdi - sir Ne-ville Marriner fra i suoi direttori preferiti, ma anche John Eliot Gardìner. Il luogo - il soggiorno ampio di una villa affacciata sul mare di Trieste - era difeso dal sole estivo da una cortina d'alberi; un po' freddino d'inverno, a causa di una caldaia rotta e mai aggiustata, profumava di legna bruciata per la combustione difettosa di una di quelle antiche stufe di maiolica che ancora illustrano con la toro avvenenza le case sette-ottocentesche della città adriatica. Si era fatto silenzio nella vita di Livio Zeno che era ritornato nella sua città natale dopo anni intensi di attività diplomatica e giornalistica ; con il Ministro Sforza nel periodo più difficile per la diplomazia italiana che usciva sconfitta dalla seconda guerra mondiale, con la direzione della Voce Repubblicana, altri incarichi diplomatici in. Medio Oriente. Un silenzio contrappuntato da
telefonate con il mondo: Zurigo, Vienna, Roma - da lettere e brevi biglietti - con quel gusto tutto ottocentesco di mantenere viva anche per iscritto una perenne conversazione con gli amici lontani - e poi il piacere coltivato con semplicità, di intrattenere gli ospiti di passaggio in città in conviviali chiacchiere sempre punteggiate da sue domande che erano un pò garbate provocazioni sul presente politico e culturale. Livio Zeno rifuggiva con civetteria dai ricordi del Suo passato, ma se qualche ospite ve lo riconduceva si schiudeva in salotto un mondo ricco di memorie, squarci di vita, aneddoti, epistolari, vecchie polemiche politiche dell'Italia postfascista. L'eleganza del vivere con discrezione - questo è oggi, il ricordo di Livio Zeno, che ci ha lasciato nel 1994, abbandonando a se stesso un mondo in preda aLl'accattonaggio massmaediologico, invadente e senza pudore. Ciò che ferisce della febbre da palcoscenico televisivo - già endemica negli anni '80 ma esplosa del tutto nei pessimi anni '90 - è il contagio diffuso in tutti gli strati sociali, attraverso giochetti e gruzzoletti destinati a premiare pietose comparsate, lo straniamento di ogni stile di vita degno di questo nome. Quanto agli uomini pubblici il loro arrembaggio non conosce soste, né si placa negli anni; una volta affermato il teorema dell'esistenza di se stessi sub specie televisiva ci si assoggetta alla quotidiana volgarità del mezzo, ed è per sempre, poiché, altro modo di esistere, fuori della ribalta, non c'è. Grazie dunque a Zeno e alla sua lezione di vita. Non so se egli personalmente sia stato felice: difficoltà matrimoniali e familiari non sono mancate alla sua ottantennale umana esperienza. Certo quel suo garbato modo di offrire agli altri occasioni di felicità, quella sottile, pacata ironia del vivere i giorni dell'ombra, dominano la bufera confusionale del nostro presente con stile inconfondibile. ■
POSTFAZIONE
-Antere. Caro lettore, ho deciso di venire incontro alle sue iniziali obiezioni. Non nego la validità delle ragioni che mi hanno spinto a questa fatica, soprattutto l'impegno per aiutare i miei lettori a scoprire tutti quei motivi di felicità che sono a portata di mano, vicini e spesso trascurati, o sottovalutati. Riconosco tuttavia che l'ambizione era eccessiva e avrebbe richiesto un dizionario enciclopedico. Perciò le propongo un titolo più "rilassato" : Dizionario delle felicità.
-Lettore: Mi sembra una buozia decisione; in fondo le felicità, a cercarle come ha fatto Lei dalle quotidianità della vita^ sono tante e non sì esauriscono mai. Impossibile dunque ingabbiarle in una sola, solenne e impegnativa parola al singolare.
La ringrazio della comprensione, e anche di avermi
letto con attenzione critica. Se, e quando darò alle stam
pe
il libro, sarà bello aver avuto già un lettore e in segui
to
non mi dispiacerebbe se il mio Dizionario diventasse
un
best-seller; sarebbe questo un buon motivo di felici
tà.
Ma intanto, Lei che lo ha già letto, lo consigliere ai
suoi
amici?
Non so. Non vorrei che Lei, alla fine, si monti la te
sta,
e magari diventi infelice.
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Questo volume
chiuso in tipografia
ne! mese di ottobre 1997
e stato impresso
negli stabilimenti di arti grafici le "Tk'iume" per conto di Piero Lacnitn Editore in Mnndurin-Rouitì
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